Abstract. La riforma dei reati agroalimentari, attualmente in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera, prevede l’inserimento nel codice penale di un nuovo delitto di disastro sanitario, da applicarsi in caso di verificazione di un numero minimo di eventi lesivi. Nelle intenzioni dei riformatori, il delitto dovrebbe poter essere accertato sulla base della sola evidenza epidemiologica. Sebbene non possa certo negarsi il ruolo spesso decisivo dell’epidemiologia nella scoperta di relazioni schiettamente causali, è altresì vero, tuttavia, che uno studio epidemiologico non riesce quasi mai a quantificare il numero esatto di eventi lesivi che sono stati provocati dall’esposizione a un certo fattore di rischio. Neanche gli studi architettati a regola d’arte, infatti, sono in grado di stabilire con precisione in che misura la stima degli eccessi di mortalità eventualmente osservati sia stata condizionata da errori sistematici (come la presenza di eventuali fattori di confondimento non sufficientemente controllati o la commissione di errori nella selezione dei soggetti che partecipano allo studio) o dalla casuale variabilità dei dati. Questo limite euristico – che è fisiologicamente connaturato all’evidenza statistica osservazionale e che gli strumenti metodologici dell’epidemiologia possono solo limitare, ma mai annullare – potrebbe costituire un serio ostacolo all’uso della (sola) prova epidemiologica per l’accertamento della causalità collettiva richiesta dal nuovo disastro sanitario, soprattutto in caso di studi su popolazioni di piccole dimensioni, quando gli eccessi di mortalità osservati riguardano un ristretto numero di casi e quando l’esposizione addebitabile all’imputato ha avuto breve durata. Grandi popolazioni, eccessi di mortalità estremamente rilevanti e periodi di esposizione prolungati nel tempo, viceversa, sdrammatizzerebbero grandemente il problema.
SOMMARIO: 1. Il nuovo delitto di disastro sanitario: una figura pensata per dare autonomo rilievo agli eccessi di mortalità registrati dall’epidemiologia. – 2. Il ruolo dell’evidenza epidemiologica nella scoperta dei determinanti delle malattie. Una riflessione epistemologica a cavallo tra causazione e probabilità. – 2.1. Il superamento del paradigma deterministico e l’avvento della causalità indeterministica. – 2.2. Le teorie probabilistiche della causalità e il fallimento del programma di riduzione della causa a mero “probability raiser”. – 2.3. Il superamento dell’approccio (meramente) probabilistico e l’importanza di conoscere il meccanismo causale: la posizione di Wesley Salmon e le teorie neomeccanicistiche. – 2.4. Il principio metodologico dello “strength through combining”. – 2.5. Una prima conclusione utile per il giudice penale. L’evidenza epidemiologica è importante, ma non basta: per provare l’idoneità causale di un fattore occorre combinare diversi tipi di evidenza (e poter almeno ipotizzare un plausibile meccanismo d’azione). – 3. “Quanti casi di malattia sono stati causati dall’esposizione?”: le risposte che può (e non può) dare l’epidemiologia. – 3.1. Come si misura l’occorrenza di malattia: il rischio, la proporzione di incidenza e il tasso di incidenza. – 3.2. Come si misura l’effetto dell’esposizione: il rischio relativo e la frazione attribuibile. – 3.3. Perché è sbagliato trattare la frazione attribuibile come se implicasse una precisa inferenza causale. – 3.4. La “morale epidemiologica”: le misure usualmente impiegate per riassumere gli esiti degli studi condotti sui dati osservazionali non si prestano a interpretazioni basate su logiche semplificate e lineari. – 4. La “morale penalistica”: una breve riflessione finale.
* Il contributo è stato sottoposto in forma anonima, con esito favorevole, alla valutazione di un revisore esperto.