1. Uno dei riflessi dell’emergenza coronavirus è rappresentato dalla sospensione del corso della prescrizione del reato: una misura adottata a fronte dell’impossibilità di svolgere ordinariamente l’attività giudiziaria e dell’esigenza di prevenire la diffusione del virus negli ambienti giudiziari, senza però pregiudicare l’efficienza del processo penale, cioè la sua idoneità ad accertare fatti e, se del caso, responsabilità[1].
L’emergenza ha così comportato l’introduzione di una nuova causa di sospensione del corso della prescrizione, rilevante ex art. 159 c.p. Ai sensi di tale disposizione, infatti, il corso della prescrizione rimane sospeso non solo in presenza delle tipiche cause di sospensione disciplinate dal codice penale, ma anche, appunto, “in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale…è imposta da una particolare disposizione di legge”. Si tratta, nel caso di specie, di una causa di sospensione introdotta da una legge eccezionale e temporanea, che ha l’effetto di prolungare di alcuni mesi il tempo necessario a prescrivere il reato.
La sospensione è stata disposta dall’art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 a decorrere dal 9 marzo 2020 con tre diversi termini finali:
a) fino all’11 maggio 2020, in relazione ai procedimenti in cui opera la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto (art. 83, co. 2), compresi i procedimenti sub iudice, le cui udienze sono state rinviate ex lege a data successiva all’11 maggio (“fase 1 dei rinvii”). In tal senso dispone l’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020 facendo riferimento al termine del 15 aprile 2020 che, tuttavia, è stato prorogato all’11 maggio 2020 dall’art. 36 d.l. 8 aprile 2020, n. 23;
b) fino al 30 giugno 2020, in relazione ai procedimenti le cui udienze siano rinviate dai capi degli uffici giudiziari a data successiva al 30 giugno 2020 (“fase 2 dei rinvii”, che inizierà dal 12 maggio 2020). In tal senso dispone l’art. 83, co. 9 d.l. n. 18/2020; con la precisazione che il citato termine del 12 maggio (cioè il termine iniziale della “fase 2 dei rinvii” delle udienze, di cui all’art. 83, co. 6 e co. 7, lett. g) è stato sostituito a quello del 16 aprile 2020 dall’art. 36 d.l. n. 23/2020;
c) fino al 31 dicembre 2020 – o alla data fissata per l’udienza, se precedente – nei procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e pervenuti alla cancelleria della Corte nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, quando si tratti di procedimenti non rinviati, a richiesta del difensore, a carico di soggetti che siano sottoposti o possano essere sottoposti a limitazioni della libertà personale in applicazione di pene, misure cautelari, misure di sicurezza e misure di prevenzione (art. 83, co. 3-bis d.l. n. 18/2020, introdotto in sede di conversione in legge dalla l. 24 aprile 2020, n. 27).
Salva l’ultima ipotesi ora considerata, la sospensione del corso della prescrizione non opera in relazione ai procedimenti non rinviati ed esclusi dalla sospensione dei termini, ai sensi dell’art. 83, co. 3, lett. b) e c) del d.l. n. 18/2020. Si tratta dei procedimenti di convalida dell’arresto o del fermo o dell’ordine di allontanamento immediato dalla casa familiare, dei procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di durata della massima della custodia cautelare, di cui all’art. 304 c.p.p., dei procedimenti per la consegna di un imputato o di un condannato all’estero ai sensi della legge sul mandato d’arresto europeo, dei procedimenti di estradizione per l’estero, dei procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive; nonché dei procedimenti che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di incidente probatorio di cui all’art. 392 c.p.p.
2. La sospensione del corso della prescrizione, a fronte di una situazione eccezionale che impedisce l’ordinario svolgersi dell’attività giudiziaria, non è una novità. Nel recente passato, a seguito del terremoto che colpì nel 2009 l’Abruzzo, fu disposta una sospensione dei procedimenti e dei processi penali, in quell’occasione con efficacia territorialmente limitata, e fu correlativamente sospeso il corso della prescrizione del reato per quasi quattro mesi: dal 6 aprile al 31 luglio 2009 (cfr. l’art. 5, co. 8 del d.l. 28 aprile 2009, n. 39).
Anche in altri ordinamenti la pandemia ha oggi comportato, assieme alla sostanziale paralisi dell’attività giudiziaria, la sospensione del corso della prescrizione del reato o di istituti ad essa equiparabili, quanto agli effetti. È così ad esempio in Francia, in Portogallo e negli Stati Uniti.
In Francia l’Ordinanza presidenziale n. 2020-303 del 25 marzo 2020 ha stabilito (art. 3) la sospensione dal 12 marzo al 23 giugno 2020 del termine per l’esercizio dell’azione penale (prescripcion de l’action publique) e del termine di prescrizione della pena.
In Portogallo l’art. 7, co. 3 della l. n. 1-A/2020 del 19 marzo 2020 ha disposto che la situazione eccezionale correlata all’emergenza COVID-19 comporta la sospensione del corso della prescrizione del procedimento e del processo penale; sospensione per un tempo allo stato indeterminato e che, ai sensi dell’art. 7, co. 2 della legge stessa, sarà individuato da un decreto-legge nel quale sarà dichiarata la fine dello stato di emergenza.
Negli Stati Uniti, a livello federale il Ministero della Giustizia ha chiesto a fine marzo al Congresso di sospendere i termini per l’esercizio dell’azione penale (statutes of limitations) durante l’emergenza coronavirus e per un anno dopo che sarà cessata. A livello locale, in diversi Stati americani quei termini, che intercorrono tra la commissione del reato e l’avvio del procedimento penale, sono già stati sospesi (c.d. tolling of the limitation period). Non solo: in alcuni Stati sono stati altresì sospesi i termini di durata del procedimento penale (c.d. speedy-trial limits), che corrono tra l’avvio e la conclusione del procedimento penale. In alcune contee della California la sospensione di tali termini è stata ordinata addirittura per un anno (fino al 17 aprile 2021).
3. La sospensione del corso della prescrizione del reato - ovvero, all’estero, la sospensione dell’azione penale o del procedimento/processo – è un provvedimento del tutto ragionevole perché giustificato dalla sospensione emergenziale dell’attività giudiziaria (in via generale e, comunque, con riferimento al procedimento penale di cui si tratta). Senonché, come conferma il dibattito in corso in ordinamenti stranieri, si tratta di un provvedimento che solleva dubbi di legittimità costituzionale in rapporto a due diversi principi: il principio della ragionevole durata del processo e il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente.
4. Il primo profilo problematico, relativo al principio della ragionevole durata del processo, è in questi giorni al centro del dibattito pubblico statunitense ed è ben rappresentato dal caso di un imputato di omicidio, a Colorado Springs, che sarebbe dovuto comparire davanti al giudice e alla giuria il 14 aprile 2020, a fronte di una deadline del termine per la conclusione del processo stabilita per il 22 aprile 2020. La sospensione dei jury trials, disposta nella contea nella quale il processo si sarebbe dovuto svolgere, ha posto il problema della compatibilità con il right to a speedy trial, assicurato dal VI Emendamento della Costituzione americana. La soluzione del problema, secondo una persuasiva impostazione, va individuata valorizzando l’emergenza coronavirus per quel che è: una circostanza eccezionale che impedisce il rispetto dei normali tempi di celebrazione del processo. La procedura penale, in diversi stati americani, espressamente prevede una deroga dei speedy-trial limits in presenza di “exceptional circumstances”. È così ad esempio nello Stato di New York (art. 30.30.4.G CPL), dove già in passato la New York Criminal Court ha ritenuto legittima la sospensione dei predetti termini in occasione dell’uragano Sandy, nel 2012, e degli attacchi dell’11 settembre, nel 2001. In quelle occasioni si trattò di sospensioni limitate ad alcuni giorni; si tratterà di vedere se e in che limiti le corti americane riterranno compatibili con il VI Emendamento periodi di sospensione più lunghi, come quello annuale disposto in California.
Traslata nel nostro sistema, che notoriamente non prevede una prescrizione del processo, la questione è prospettabile, almeno in via di principio, in rapporto al principio della ragionevole durata del processo. È un esercizio forse solo teorico, considerato che un domani sarebbe ben arduo sostenere che l’irragionevole durata del processo, in un sistema afflitto da cronica lentezza, è imputabile proprio ai mesi di sospensione dei termini processuali e al rinvio delle udienze disposti nelle scorse settimane per far fronte all’emergenza COVID-19. Ad ogni modo, sembra risolutiva, tanto rispetto all’art. 111, co. 2 Cost. quanto all’art. 6 CEDU, la previsione della ‘ragionevole’ durata. Non può certo dirsi irragionevole la più lunga durata di un processo imputabile al ritardo causato da un’emergenza sanitaria, che ha impedito la celebrazione delle udienze e comunque l’ordinaria attività giudiziaria a tutela di tutti i soggetti coinvolti nel processo, compreso l’imputato (il principio ad impossibilia nemo tenetur vale anche per l’amministrazione della giustizia, di fronte a una pandemia). Ciò detto, va però sottolineato che il ritardo dei procedimenti e dei processi penali è ragionevole se e in quanto correlato effettivamente all’emergenza sanitaria. Ciò significa, in primo luogo, che a emergenza superata l’eventuale ulteriore ritardo, imputabile a un’inefficiente organizzazione e alla conseguente incapacità di smaltire l’arretrato, non esonererebbe lo Stato da responsabilità per l’irragionevole durata del processo, ai sensi della Legge Pinto o di fronte alla Corte di Strasburgo. In secondo luogo, l’eventuale decisione del legislatore di prorogare ulteriormente la sospensione dei termini e il periodo di sospensione del corso della prescrizione dovrebbe trovare una ragionevole giustificazione nell’emergenza: la temporanea ed eccezionale limitazione del diritto alla ragionevole durata del processo, infatti, si giustifica nella misura in cui sia effettivamente necessaria. Conferme in tal senso, nella prospettiva dell’art. 6 Cedu, si ricavano dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo relativa alle deroghe in caso di emergenza, ai sensi dell’art. 15 Cedu.
5. Il vero nodo problematico riguarda però il secondo corno del problema, rappresentato dal principio di irretroattività della legge penale sfavorevole e, pertanto, dai riflessi di diritto intertemporale. Una legge che sospende per alcuni mesi il corso della prescrizione del reato concede alcuni mesi di tempo in più allo Stato per accertare fatti e responsabilità: rispetto ai fatti pregressi prolunga (sposta in avanti) il termine finale del corso della prescrizione. Quella legge si risolve, pertanto, in una modifica normativa sfavorevole per chi sia chiamato a rispondere di un reato antecedentemente commesso. Ci si deve chiedere, allora, se il principio di irretroattività della legge penale, di cui all’art. 25, co. 2 Cost. e all’art. 117, co. 1 Cost., in relazione all’art. 7 Cedu, operi o meno in rapporto a una legge che, dopo la commissione del fatto, sospenda il corso della prescrizione del reato per un certo periodo, in ragione di un’emergenza sanitaria sopravvenuta, che impedisca il regolare svolgimento dell’attività giudiziaria, mettendo a rischio, nei palazzi di giustizia, la salute e la vita di magistrati, avvocati, imputati, testimoni, ecc.
La soluzione negativa – quella cioè che esclude il divieto di applicazione retroattiva – sembra, al metro del buon senso, l’unica ragionevole[2]. Il provvedimento che sospende il corso della prescrizione si giustifica in ragione del rinvio dei termini processuali e delle udienze: per la sostanziale paralisi di fatto dei procedimenti penali, già nella fase delle indagini, dovuta alla pandemia; sospensione che la normativa emergenziale ha disposto non solo per evidenti ragioni di tutela della salute pubblica, ma anche a ben vedere per garantire l’efficienza del processo penale, nell’accezione di cui si è detto. È un provvedimento temporaneo pensato proprio per i procedimenti in corso e, quindi, per avere efficacia retroattiva. Si sospende un’attività in corso di svolgimento per l’impossibilità di proseguirla, e si individua un termine per riprendere quell’attività dal momento in cui si è fermata, congelando l’intervallo di tempo trascorso. La sospensione è forzata: non è imputabile a nessuno e non vi è ragione per cui torni a favore di qualcuno. Invocare il principio di irretroattività della sospensione della prescrizione e, al tempo stesso, sottolineare l’incompatibilità con il giusto processo delle modalità ‘da remoto’ che, sole, possono in non pochi casi consentire di proseguire l’attività giudiziaria durante l’emergenza sanitaria, sembra riflettere un uso improprio delle garanzie: sembra dimenticare quel che ha sottolineato un compianto maestro della procedura penale e, cioè, che le garanzie sono il mezzo necessario per conseguire il fine, rappresentato dall’esigenza di fare giustizia[3]. Le garanzie non possono però essere invocate per impedire di fare giustizia, profittando di un’emergenza sanitaria.
Senonché, come hanno osservato i primi commentatori[4], la soluzione affermativa – quella cioè favorevole al divieto di applicazione retroattiva – sembrerebbe imporsi nel nostro ordinamento alla luce del diritto vivente, che considera la prescrizione del reato un istituto di natura sostanziale, come tale sottratto al principio tempus regit actum e attratto invece nella sfera di operatività del principio di irretroattività. Non è allora inverosimile pensare che un domani potrà essere sollevata una questione di legittimità costituzionale della disciplina oggi introdotta dalla legislazione dell’emergenza: potrà farlo, dubitando della compatibilità con l’ art. 25, co. 2 Cost., il giudice che si trovasse a dover escludere l’intervenuta prescrizione del reato proprio in applicazione della causa sospensiva in esame.
5.1. La giurisprudenza costituzionale, nel recente passato, ha riconosciuto natura sostanziale all’istituto della prescrizione del reato traendone conseguenze proprio in ordine all’applicazione dei principi in materia di diritto intertemporale.
5.1.1. Con la sentenza n. 393/2006, relativa alla riforma della prescrizione del reato realizzata nel 2005 dalla legge ‘ex Cirielli’ (l. n. 251/2005), la Corte costituzionale ha affermato che il principio di retroattività della legge penale favorevole all’agente, radicato nell’art. 3 Cost., opera in rapporto a una legge che, a processo in corso, abbrevi i termini di prescrizione del reato. Quel principio, secondo la Corte, può subire deroghe solo nei limiti della ragionevolezza, ciò che in quel caso fu escluso. In particolare, la Corte costituzionale in quell’occasione dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, co. 3 della legge ‘ex Cirielli’ nella parte in cui escludeva che i nuovi termini di prescrizione del reato, ove risultassero più brevi, si applicassero ai processi già pendenti in primo grado ove vi fosse stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché ai processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione. Secondo la sentenza 393 del 2006, la soluzione che inquadra le modifiche in melius del regime della prescrizione del reato nell’ambito del principio di retroattività della lex mitior è “coerente con la natura sostanziale della prescrizione (sentenza n. 275 del 1990) e con l'effetto da essa prodotto, in quanto «il decorso del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilità in sé e per sé, nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potestà punitiva» (Cass., Sez. I, 8 maggio 1998, n. 7442). Tale effetto, peraltro, esprime l'«interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato (…) l'allarme della coscienza comune, ed altresì reso difficile, a volte, l'acquisizione del materiale probatorio» (sentenza n. 202 del 1971; v. anche sentenza n. 254 del 1985; ordinanza n. 337 del 1999). Pertanto, le norme sulla prescrizione dei reati, ove più favorevoli al reo, rispetto a quelle vigenti al momento della commissione del fatto, devono conformarsi, in linea generale, al principio previsto dalla citata disposizione del codice penale”. È un principio, questo, ribadito dalla Corte costituzionale nella successiva sentenza n. 324/2008: “è pacifico…che la prescrizione, quale istituto di diritto sostanziale, è soggetta alla disciplina di cui all'art. 2, quarto comma, cod. pen. che prevede la regola generale della retroattività della norma più favorevole, in quanto «il decorso del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilità in sé e per sé, nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potestà punitiva»”.
In occasione della riforma attuata con la legge ‘ex Cirielli’, la giurisprudenza costituzionale non si occupò peraltro del problema opposto e, cioè, del divieto di applicazione retroattiva delle modifiche in malam partem, che avevano comportato (ad es., in rapporto alle contravvenzioni) termini di prescrizione del reato più lunghi. Il problema fu infatti in quell’occasione risolto dal legislatore, stabilendo espressamente che le riformate disposizioni “non si applicano ai procedimenti e ai processi in corso se i nuovi termini di prescrizione risultano più lunghi di quelli previgenti” (art. 10, co. 2 l. n. 251/2005). Un’analoga disposizione transitoria è stata inserita nella successiva legge di riforma dell’istituto, che interessò proprio il meccanismo della sospensione del corso della prescrizione. Con la legge Orlando, nel 2017, fu come è noto introdotta un’automatica sospensione correlata ai gradi di giudizio; ebbene, tale sospensione, per espressa previsione normativa (art. 1, co. 15 l. n. 103/2017), poteva operare in relazione ai procedimenti per fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge stessa. Nulla ha previsto a riguardo, invece, l’ultima riforma dell’istituto, realizzata nel 2019 (a decorrere dal 1° gennaio 2020) dalla legge Bonafede, meglio nota come legge ‘spazzacorrotti’. Anche in questo caso, come si sa, il legislatore è intervenuto sulla disciplina della sospensione del corso della prescrizione, stabilendone in realtà l’interruzione (il ‘blocco’) dopo la sentenza di primo grado o il decreto penale di condanna. Senonché, in considerazione del diritto vivente, sembrerebbe pacifico che, anche in assenza di una disposizione transitoria analoga a quelle delle leggi ‘ex Cirielli’ e Orlando, la nuova e più sfavorevole disciplina introdotta dalla legge Bonafede non possa trovare applicazione retroattiva. Il perché è presto detto.
5.1.2. La riferibilità del principio di irretroattività ex art. 25, co. 2 Cost. all’istituto della prescrizione del reato, sul presupposto della sua asserita natura sostanziale e non processuale, è stata affermata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 24/2017 e con la sentenza n. 115/2018, nell’ambito e come esito della nota vicenda Taricco, in rapporto alla disciplina dell’interruzione del corso della prescrizione e, in particolare, del prolungamento del termine per effetto di atti interruttivi. In quell’occasione veniva in rilievo “l’estensione del potere punitivo pubblico oltre il limite temporale previsto al tempo del fatto” non già – si noti – in conseguenza di una modifica normativa, bensì per effetto della sentenza Taricco della Corte di Giustizia UE, alla luce della quale il giudice penale, in materia di gravi frodi a danno degli interessi finanziari dell’UE, avrebbe dovuto disapplicare la disposizione codicistica che, in presenza di atti interruttivi, pone un limite al termine di durata massima del corso della prescrizione. Ciò avrebbe comportato, secondo la Corte costituzionale, in relazione ai fatti commessi prima della sentenza Taricco, un vulnus all’art. 25 co. 2 Cost. Secondo la Corte, infatti, “un istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza”. La prescrizione pertanto “deve essere considerata un istituto sostanziale, che il legislatore può modulare attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all’oblio e l’interesse a perseguire i reati fino a quando l’allarme sociale indotto dal reato non sia venuto meno (potendosene anche escludere l’applicazione per delitti di estrema gravità), ma sempre nel rispetto di tale premessa costituzionale inderogabile (ex plurimis, sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006; ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999)” (sent. n. 115/2018).
Anche la giurisprudenza di legittimità riconduce all’ambito di applicazione del principio di irretroattività l’allungamento della durata del tempo necessario per la prescrizione del reato (cfr., con riferimento alla vicenda Taricco, Cass. Sez. II, 7 febbraio 2018, n. 9494, CED 272350-01). Così, ad esempio, la Cassazione ha affermato che “al reato di maltrattamenti in famiglia commesso in epoca anteriore alle modifiche apportate dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 non si applica il raddoppio dei termini di prescrizione di cui all'art. 157, co. 6 c.p. (introdotto dalla legge 1° ottobre 2012, n. 172) per la natura sostanziale di tale istituto, che non ne consente una applicazione retroattiva” (Cass. Sez. VI, 16 maggio 2017, n. 31877, CED 270629-01).
6. Ci troviamo allora di fronte a una impasse: è del tutto ragionevole sospendere il corso della prescrizione del reato, a fronte dell’emergenza coronavirus, ma sembra impedirlo il diritto vivente; un diritto vivente – vale la pena notarlo – formatosi prima dell’emergenza e, in buona parte, nell’ambito di un complesso dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia UE, condizionato da una più ampia questione politico-giudiziaria. Nell’ambito della vicenda Taricco l’affermazione da parte della Corte costituzionale della natura sostanziale della prescrizione, con le conseguenti ricadute sul piano dello statuto costituzionale, è stata sostanzialmente apodittica[5], “senza alcun reale sforzo motivazionale teso a dimostrare le ragioni sostanziali di un tale inquadramento”[6]. Quell’affermazione rappresentò null’altro che la via d’uscita dal caso Taricco; senonché l’impatto dell’emergenza coronavirus sulla giustizia penale presenta, oggi, un conto salato all’impostazione ‘sovranista’ rispetto alla quale fu funzionale l’argomento della natura sostanziale della prescrizione del reato.
Una via d’uscita dall’impasse – è bene chiarirlo subito – non può essere individuata invocando una deroga al principio di irretroattività. Si tratta infatti, pacificamente, di un principio “assolutamente inderogabile” (così, ad es., Corte cost. n. 394/2006). Leggi eccezionali e temporanee possono derogare al principio di retroattività della lex mitior, come stabilisce l’art. 2, co. 5 c.p. Solo quel diverso principio, infatti, è derogabile nei limiti della ragionevolezza (cfr., tra le molte, Corte cost. n. 394/2006). Il principio di irretroattività in malam partem non tollera invece deroghe: è un fondamentale e irrinunciabile principio di civiltà del diritto che “erige un bastione a garanzia dell’individuo contro possibili abusi da parte del potere legislativo” (così Corte cost. n. 32/2020). E tra i possibili abusi, da sempre, vi è proprio il pretesto di fronteggiare questa o quella emergenza. Non a caso, nella prospettiva del diritto dei diritti umani, l’art. 15 della Cedu annovera il nullum crimen nulla poena sine previa lege, ex art. 7 Cedu, tra i diritti che non ammettono deroghe nemmeno “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”[7].
Il carattere inderogabile del principio di irretroattività della legge penale sembra pertanto precludere la via di un possibile bilanciamento, in nome dell’emergenza, con altri principi di rango costituzionale, a partire da quello di ragionevolezza.
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7. Se si vuole evitare che la forzata inattività giudiziaria, a fronte di un’epidemia o di eventi eccezionali, pregiudichi l’efficienza del processo e, con essa, l’interesse dello Stato e delle vittime all’accertamento di fatti e, se del caso, responsabilità, non resta che rivalutare la correttezza della soluzione che inquadra la prescrizione del reato quale istituto soggetto al principio di irretroattività.
Come da tempo si sottolinea nella manualistica, nel nostro paese[8] e all’estero[9], la riconducibilità della prescrizione del reato nella sfera del principio di irretroattività è invero controversa. La soluzione legata alla natura sostanziale o processuale dell’istituto – risultata decisiva nel nostro diritto vivente, a partire dalla giurisprudenza costituzionale – è discutibile perché semplicistica: la prescrizione è infatti un istituto ibrido, nel quale convivono un’anima sostanziale e un’anima processuale[10]. Si tratta di un istituto ancipite: per certi aspetti in esso si può riconoscere una dimensione sostanziale, che ruota attorno alla rinuncia alla pretesa punitiva, a prescindere dall’avvio di un procedimento penale (che non inizia mai, per definizione, tutte le volte in cui il reato non viene scoperto e denunciato); per altri aspetti si deve riconoscere una dimensione processuale, legata all’incidenza del tempo in rapporto alle esigenze delle parti (accusa e difesa) e alle vicende procedimentali, che vengono in rilievo se e quando si è avuta notizia del reato ed è stato avviato, appunto, un procedimento penale. Le regole sulla interruzione e sulla sospensione della prescrizione del reato – relative a una fase in cui l’effetto estintivo e la rinuncia alla pretesa punitiva non si è ancora realizzata – sembrano collocarsi proprio in quest’ultima dimensione. Ad ogni modo, inquadrare l’istituto in una casella piuttosto che nell’altra (sostanziale/processuale) lascia in ombra, gioco forza, una delle due anime. È un’operazione di etichettamento che sconta necessariamente dei margini di imprecisione e che presta il fianco a soluzioni arbitrarie.
La fallacia di impostazioni formali, quando si tratta di ricavarne conseguenze in termini di estensione o meno delle garanzie fondamentali, è d’altra parte una lezione ormai acquisita dopo anni di elaborazione della categoria della ‘materia penale’ nell’ambito della giurisprudenza di Strasburgo, filtrata nel nostro diritto vivente. È vero che a quella ‘materia’ appartengono, nel sistema della Cedu, tanto il penale sostanziale quanto il penale processuale, ma è anche vero che l’idea di fondo che si ricava dalla giurisprudenza di Strasburgo, ormai assorbita nel diritto vivente italiano, è che quando si tratta di stabilire lo statuto costituzionale bisogna guardare alla sostanza degli istituti, più che alla formale qualificazione, da parte della legge o dello stesso diritto vivente.
Se ciò è vero, ci sembra dunque che meriti oggi di essere ripreso e sviluppato l’insegnamento di autorevole dottrina che, da tempo, sottolinea come per la soluzione del problema dell’applicazione del principio di irretroattività a istituti a cavallo tra diritto penale e diritto processuale “bisogna far capo non tanto all’appartenenza di questo o quell’istituto al diritto penale sostanziale o processuale, quanto alla funzione assegnata dalla Costituzione al principio di irretroattività”[11]. L’operatività del principio di irretroattività, come si legge infatti in uno dei più autorevoli manuali tedeschi di diritto penale[12], “non può dipendere da qualificazioni formali” ma richiede di valutare se nel caso concreto venga in rilievo la ratio di garanzia – “lo scopo” – del principio stesso. A ben vedere, lo ha riconosciuto anche la più recente giurisprudenza costituzionale (sent. n. 32/2020) allorché, nell’estendere il principio di irretroattività alla disciplina dell’esecuzione penale e delle misure alternative alla detenzione, ha tra l’altro sottolineato come “la collocazione topografica di una disposizione non può mai essere considerata decisiva ai fini dell’individuazione dello statuto costituzionale di garanzia ad essa applicabile”.
8. Sulle rationes del principio di irretroattività è di recente tornata la Corte costituzionale proprio con la citata sentenza n. 32/2020, relativa all’art. 4 bis ord. penit., nella versione della legge ‘spazzacorrotti’. Con questa storica sentenza la Corte, ribaltando un consolidato orientamento giurisprudenziale (anzi, dichiarandolo illegittimo), ha come si è detto esteso il principio stesso alle modifiche che riguardano le misure alternative alla detenzione e l’esecuzione penale, quando da esse dipenda lo stare dentro o fuori il carcere (la qualità della pena). La Corte ha individuato una duplice ratio del divieto di applicazione retroattiva della legge sfavorevole all’agente: “per un verso, il divieto in parola mira a garantire al destinatario della norma una ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si esporrà trasgredendo il precetto penale. E ciò sia per garantirgli – in linea generale – la «certezza di libere scelte d’azione» (sentenza n. 364 del 1988); sia per consentirgli poi – nell’ipotesi in cui sia instaurato un procedimento penale a suo carico – di compiere scelte difensive, con l’assistenza del proprio avvocato, sulla base di ragionevoli ipotesi circa i concreti scenari sanzionatori a cui potrebbe andare incontro in caso di condanna…Ma una seconda ratio, altrettanto cruciale, non può essere trascurata. Come già acutamente colse una celebre decisione della Corte Suprema statunitense a qualche anno appena di distanza dalla proclamazione del divieto di “ex post facto laws” nella Costituzione federale, il divieto in parola erige un bastione a garanzia dell’individuo contro possibili abusi da parte del potere legislativo, da sempre tentato di stabilire o aggravare ex post pene per fatti già compiuti”.
Decisivo, allora, è stabilire se le due evocate rationes – e le correlate garanzie – vengono o meno in rilievo a fronte di una legge che, dopo la commissione del fatto – a procedimento penale in corso – allunghi la durata del tempo necessario a prescrivere il reato; anche e in particolare allorché la legge preveda, come nel caso ora di attualità, la sospensione del corso della prescrizione per alcuni mesi, in ragione della sospensione dell’attività giudiziaria per esigenza di tutela della salute pubblica (a partire da quella degli attori del processo).
La risposta, sulla scia delle autorevoli impostazioni dottrinali sopra richiamate, ci sembra debba essere diversa a seconda che all’entrata in vigore della legge sia già decorso il tempo per la prescrizione del reato, ovvero la prescrizione non sia ancora maturata[13].
Se il termine è già maturato, la legge sopravvenuta, che lo allunghi, ha l’effetto di riattribuire allo Stato la potestà punitiva e di rendere punibile un fatto che punibile non era più[14]. La situazione è per certi versi analoga, quanto almeno agli effetti, a quella della nuova incriminazione che intervenga dopo la commissione del fatto e la garanzia accordata dal principio di cui all’art. 25, co. 2 Cost. è vulnerata sotto almeno due profili: perché espone il cittadino a possibili abusi del legislatore e perché pregiudica l’affidamento del cittadino sul fatto che lo Stato, una volta maturato il termine di prescrizione, non tornerà a chiedergli conto di quanto ha fatto; affidamento che può essere alla base di scelte che si rivelerebbero altrimenti controproducenti (ad es., la distruzione di materiale probatorio a sua discolpa)[15].
Se il termine non è ancora maturato, allorché interviene il prolungamento del termine di prescrizione – come nel caso della sospensione a motivo della pandemia –, la legge sopravvenuta non rende punibile un fatto non punibile: si limita a concedere allo Stato, per qualche ragione (da valutarsi al metro dell’art. 3 Cost.: nel caso oggi di attualità, in ragione di un’emergenza sanitaria), più tempo per accertare fatti e responsabilità. Il diritto difesa non è in alcun modo vulnerato e lo Stato non abusa del potere punitivo, né frustra l’esigenza di prevedibilità delle conseguenze della violazione della legge penale: come mostra la stessa disciplina della prescrizione del reato (si pensi alle cause di sospensione e di interruzione del corso della prescrizione)[16], il momento in cui matura la prescrizione del reato è d’altra parte variabile e in buona misura imprevedibile prima della commissione del reato, quando l’agente nemmeno sa se sarà mai avviato un procedimento penale (poi sospeso, ad esempio perché il giudice solleverà una questione di legittimità costituzionale o farà un ricorso incidentale alla Corte di Giustizia dell’UE o interrotto per il compimento di questo o quell’atto processuale). Soprattutto, il principio di cui all’art. 25, co. 2 Cost. non tutela l’aspettativa del cittadino “di sapere per quanto tempo dovrà stare nascosto dopo aver commesso il fatto per poi tornare tranquillamente alla vita di tutti i giorni”[17]. Fare calcoli sul momento in cui il reato si prescriverà è lecito e comprensibile, anche rispetto alle strategie processuali. Ciò non toglie che quei calcoli non rientrino nella sfera della garanzia accordata dal principio di irretroattività[18].
9. La soluzione qui prospettata, nella misura in cui legittima l’applicazione retroattiva della sospensione del corso della prescrizione, in ragione della pandemia in corso, consente di far produrre un effetto utile alla normativa emergenziale, pensata proprio per essere retroattiva (questo è il punto). La tesi opposta, pur sostenuta in dottrina, frustra quell’effetto utile: porta infatti a ritenere che la nuova ipotesi di sospensione della prescrizione riguarda solo i fatti commessi nel periodo della sua vigenza, cioè durante l’emergenza[19]: nessuno dei fatti, dunque, per i quali si stiano celebrando processi o siano in corso indagini interrotte dal ‘lockdown’ della giustizia penale. Ed è comunque una tesi incompatibile non solo con la ratio, ma ancor prima con la lettera della legge (art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020), che riferisce la sospensione della prescrizione ai “procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini”: è evidente che, per definizione, quei “procedimenti penali” sono relativi a fatti commessi prima del loro avvio, cioè prima dell’entrata in vigore della nuova disposizione che sospende il corso della prescrizione.
Facile peraltro è l’accusa di mancanza di ‘garantismo’, rivolta alla soluzione qui propugnata: si tratta però, a ben vedere, di una soluzione che mette in guardia rispetto all’invocazione impropria di una garanzia costituzionale, che nel caso oggi di attualità sembra davvero evidente, tanto appare irragionevole escludere l’applicazione retroattiva della sospensione della prescrizione a fronte della paralisi della macchina della giustizia. Ed è anche una soluzione che mette a nudo una certa ipocrisia nell’uso strumentale della prescrizione del reato, istituto al quale si riconosce natura sostanziale o processuale a seconda della convenienza[20]: sostanziale quando si tratta di escludere l’applicazione retroattiva di un prolungamento dei termini di prescrizione, prima che questa sia maturata; processuale quando si tratta invece di invocarne il ruolo chiave di strumento che, nella fisiologia del sistema, assicurerebbe la ragionevole durata del processo e che, pertanto, dovrebbe necessariamente operare anche nei giudizi d’impugnazione, cosa che la tanto contestata riforma Bonafede ha notoriamente impedito (a ben vedere, in applicazione della tesi qui sostenuta, con effetto retroattivo in relazione ai procedimenti per i quali la prescrizione non fosse già maturata prima del 1° gennaio 2020, data di entrata in vigore della riforma stessa).
Quella qui prospettata è, d’altra parte, una soluzione già accolta sul piano da corti costituzionali straniere e da corti sovranazionali.
10. La Corte costituzionale tedesca[21], già nel 1969, ritenne compatibile con il principio di irretroattività (art. 103-II) una legge che aveva allungato i termini di prescrizione per l’omicidio, disponendone espressamente l’applicazione retroattiva per l’ipotesi in cui la prescrizione fosse ancora in corso e consentendo così la punizione dei crimini, non ancora prescritti, perpetrati durante il regime nazista[22].
La Corte Suprema degli Stati Uniti, in Stogner v. California, ha riconosciuto nel 2003 che viola il principio costituzionale di irretroattività (le ex post facto clauses di cui all’art. I § 9-3 e § 10-1 della Costituzione) una legge che prolunghi i termini di prescrizione dell’azione penale (statutes of limitations) dopo che questi siano già maturati. L’idea chiave che ha portato la Corte Suprema ad affermare questo principio, per la prima volta nella sua storia, è che “a Constitution that permits such an extension, by allowing legislatures to pick and choose when to act retroactively, risks both arbitrary and potentially vindictive legislation”. La Corte richiama non solo la ratio di garanzia del principio di irretroattività, contro possibili abusi dello Stato, evocata di recente dalla nostra Corte costituzionale nella sentenza n. 32/2020 (peraltro proprio con un espresso riferimento alla giurisprudenza costituzionale americana), ma anche un’ulteriore idea-chiave: quel principio impedisce di rendere punibile ex post un fatto non punibile (o di aggravarne il trattamento sanzionatorio). Riportare in vita un termine di prescrizione già decorso significa restituire allo Stato la potestà punitiva alla quale aveva rinunciato, sulla base di una valutazione di opportunità che può sì cambiare, ma senza effetti retroattivi. Richiamando la giurisprudenza e la tradizione statunitense, la Corte Suprema sottolinea, in Stonger v. California, come sia ricorrente nelle corti americane e nella dottrina degli Stati Uniti l’affermazione secondo cui “the extension of existing limitations periods is not ex post facto “provided,” “so long as,” “because,” or “if” the prior limitations periods have not expired”.
11. Che il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente non impedisca di prolungare il termine di prescrizione del reato, che non sia ancora decorso, trova conferma anche nella giurisprudenza sovranazionale: tanto in quella della Corte del Lussemburgo, nella prospettiva dell’art. 49 CDFUE, quanto in quella della Corte di Strasburgo, nella prospettiva dell’art. 7 Cedu.
La Corte di Giustizia UE, nella sentenza della Grande Sezione del 2015, relativa al caso Taricco, lo ha sottolineato ribadendo un’idea-guida presente, come si è visto, anche nella citata sentenza della Corte Suprema americana: da un prolungamento del termine di prescrizione “non deriverebbe affatto una condanna degli imputati per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva un reato punito dal diritto nazionale (v., per analogia, sentenza Niselli, C‑457/02, EU:C:2004:707, punto 30), né l’applicazione di una sanzione che, allo stesso momento, non era prevista da tale diritto. Al contrario, i fatti contestati agli imputati nel procedimento principale integravano, alla data della loro commissione, gli stessi reati ed erano passibili delle stesse sanzioni penali attualmente previste”. D’altra parte, si legge sempre nella sentenza Taricco, “la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, che sancisce diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’articolo 49 della Carta, avvalora tale conclusione. Secondo tale giurisprudenza, infatti, la proroga del termine di prescrizione e la sua immediata applicazione non comportano una lesione dei diritti garantiti dall’articolo 7 della suddetta Convenzione, dato che tale disposizione non può essere interpretata nel senso che osta a un allungamento dei termini di prescrizione quando i fatti addebitati non si siano ancora prescritti [v., in tal senso, Corte eur D.U., sentenze Coëme e a. c. Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, § 149, CEDU 2000‑VII; Scoppola c. Italia (n. 2) del 17 settembre 2009, n. 10249/03, § 110 e giurisprudenza ivi citata, e OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia del 20 settembre 2011, n. 14902/04, §§ 563, 564 e 570 e giurisprudenza ivi citata]”.
E in effetti la giurisprudenza della Corte EDU – come si legge già nella guida all’art. 7, pubblicata sul sito della Corte (§ 2, n. 16), è consolidata nel senso che “l’articolo 7 non impedisca l’applicazione immediata, ai procedimenti in corso, delle leggi che allungano i termini di prescrizione, quando i fatti ascritti non sono mai caduti in prescrizione (Coëme e altri c. Belgio, § 149), e in assenza di arbitrarietà (Previti c. Italia (dec.), §§ 80-85)” – cioè in presenza di ragionevoli motivi a sostegno del prolungamento del termine, quali sono evidentemente quelli dettati dall’emergenza sanitaria in corso. Una soluzione che è adottata dalla Corte di Strasburgo sul presupposto della natura processuale dell’istituto e, in ogni caso, del fondamentale rilievo che la legge che prolunga il termine di prescrizione, non ancora maturato, non rende punibile un fatto che già non lo fosse prima della sua introduzione.
12. Prima di concludere, va segnalato un diverso e ulteriore profilo problematico, relativo alla sospensione dei termini massimi della custodia cautelare (art. 303 c.p.p.) e delle altre misure coercitive e interdittive (art. 308 c.p.p), disposta dall’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020; sospensione che comporta un allungamento dei termini di durata delle misure cautelari, operando così in malam partem. Trattandosi di misure che indicono su diritti e libertà fondamentali – a partire dalla libertà personale – la compatibilità della previsione normativa con il principio di irretroattività in malam partem appare dubbia. In questo caso, il diritto vivente è orientato nel senso di escludere l’applicabilità dell’art. 25, co. 2 Cost. in ragione della natura processuale delle disposizioni in materia di misure cautelari. In tal senso si sono espresse la Corte costituzionale, rispetto a un’ipotesi di allungamento dei termini massimi della custodia cautelare (sent. n. 15 del 1982), e la Corte di cassazione, con riferimento a un caso di sospensione dei termini della misura cautelare stessa (Cass. Sez. I, 8 aprile 1997, n. 2550, Esposito, CED 207701-01). Senonché, alla luce del criterio di soluzione che abbiamo proposto, si tratta non già, semplicisticamente, di affermare la natura processuale della disciplina delle misure cautelari, bensì di valutare se una delle suesposte rationes del principio di irretroattività sia di ostacolo o meno alla previsione normativa che ne sospende i termini di durata massima. Ciò sembra doversi escludere, ancora una volta, quando la modifica normativa intervenga, come nel caso si specie, prima che i termini siano maturati[23]. La legge dell’emergenza non rende infatti applicabili misure cautelari non applicabili al momento del fatto e la cui applicazione era imprevedibile: ne consente solo un’applicazione prolungata per far fronte a esigenze cautelari che risulterebbero altrimenti frustrate per l’impossibilità, sopravvenuta, di celebrare i processi e di rispettare i termini di durata massima di quelle stesse misure. La sospensione dei termini non è certamente espressione di alcun abuso da parte dello Stato, né rende punibile più severamente il fatto antecedentemente commesso. Si pensi alla custodia cautelare – contenutisticamente analoga alla pena detentiva (per quanto estranea al trattamento sanzionatorio). È vero che il suo prolungamento, per effetto della sospensione dei termini massimi, rende più gravosa la limitazione del diritto alla libertà personale, ma è anche vero, da un lato, che le misure cautelari non sono pene e che, dall’altro lato, che, in caso di condanna, la legge consente di detrarre dalla pena il pre-sofferto. Non solo, come è stato osservato da attenti commentatori del d.l. n 18/2020, “le persone sottoposte a misura cautelare possono espressamente chiedere che, nei loro confronti, non operi la sospensione del procedimento…sicché la sterilizzazione dei termini di custodia sino ad allora decorsi non costituirebbe un atto di imperio al quale le persone sottoposte a misura cautelare non potrebbero sottrarsi, ma un effetto sinergico del dato legislativo e della volontà/acquiescenza delle persone sottoposte a misure cautelari. Il che sembra poter sdrammatizzare il problema di legittimità costituzionale, altrimenti da ritenere tutt’altro che peregrino”[24].
[1] Per questa concezione della ‘efficienza del processo penale’, intesa come valore costituzionale, rinvio a una splendida relazione di Vittorio Grevi a un convegno del 1996 su “Garanzie costituzionali e diritti fondamentali” , che può ascoltarsi sul sito di Radio radicale cliccando qui (min. 45 ss.).
[2] Lo riconosce, attraverso un percorso argomentativo diverso da quello che sarà qui proposto, e che passa attraverso l’idea di una temporanea (emergenziale) ‘processualizzazione’ dell’istituto della prescrizione dl reato, T. Epidendio, Il diritto nello ‘stato di eccezione’ ai tempi dell’epidemia da Coronavirus, in Giustizia Insieme, 19 aprile 2020 (seconda parte).
[3] Cfr., ancora, la citata relazione di Vittorio Grevi (nota n. 1).
[4] Cfr. L. Fidelio, A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito: un catalogo (incompleto) dei problemi, in Qestione Giustizia, 16 aprile 2020, § 5; O. Mazza, Sospensioni di primavera: prescrizione e custodia cautelare al tempo della pandemia, in Archivio penale, 2020, n. 1, p. 7.
[5] Cfr. F. Viganò, Le parole e i silenzi. Osservazioni sull’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale sul caso Taricco, in Dir. pen. cont., 27 marzo 2017, p. 3
[6] Così F. Viganò, Il caso Taricco davanti alla Corte costituzionale: qualche riflessione sul merito delle questioni e sulla reale posta in gioco, in A. Bernardi (a cura di), I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, 2017, p. 258.
[7] Il che, si noti, non impedisce peraltro l’operatività dell’unica deroga realmente ammissibile (art. 7, co. 2 Cedu), ispirata alla c.d. formula di Radbruch, e relativa alla punizione, sulla base di una legge sopravvenuta, di fatti che, al momento in cui sono stati commessi, costituivano un crimine secondo i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili (si pensi ai crimini di Stato, puniti dopo la caduta del regime che li ha commessi).
[8] Cfr., con ampi riferimenti bibliografici alla letteratura italiana e straniera, G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, 3a ed., 2001, p. 262 s.
[9] V. ad es., in Germania, C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, I, 4 ed., 2006, p. 167 s.
[10] Nella manualistica spagnola v. ad es. S. Mir Puig, Derecho penal. Parte general, 10 ed., 2016, p. 799.
[11] Così G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 261. V. ora anche G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, 8a ed., 2019, p. 122.
[12] Cfr. C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., p. 167.
[13] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 262 s.; G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, cit., p. 122 s.; C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., p. 167 s.; F. Viganò, Il caso Taricco davanti alla Corte costituzionale, cit., p. 158 s.
[14] Cfr. C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., p. 167.
[15] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 263; G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, cit., p. 122; C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., p. 167.
[16] Cfr. C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., p. 167.
[17] Così G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 264. V. anche G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, cit., p. 122; C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., p. 168.
[18] Cfr. F. Viganò, Il caso Taricco davanti alla Corte costituzionale, cit., p. 260 s.
[19] Così O. Mazza, Sospensioni di primavera: prescrizione e custodia cautelare al tempo della pandemia, cit., p. 7. V. anche, per una soluzione analoga prospettata con riferimento alla disposizione portoghese della quale si è detto, R. Cardoso, V. Baptista, Prazos substantivos, in, Estado de emergência - COVID-19: Implicações na Justiça, e-book CEJ, 2020, p. 529.
[20] Per osservazioni analoghe cfr. F. Viganò, Il caso Taricco davanti alla Corte costituzionale, cit., p. 261.
[21] Bundesverfassungsgericht, 26 febbraio 1969.
[22] Cfr. C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., p. 167. V. anche G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 264 e, ivi, la nota n. 33 alla quale si rinvia anche per gli estremi della sentenza citata nel testo.
[23] G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 266.
[24] Cfr. L. Fidelio, A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito: un catalogo (incompleto) dei problemi, cit., § 1,1.