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07 Agosto 2024


Le funzioni della pena nel pensiero di Franco Bricola


*Contributo pubblicato nel fascicolo 7-8/2024.

 

Pubblichiamo di seguito il testo dell'intervento tenuto dall'Autore, prof. Emilio Dolcini, in occasione del convegno "Ricordando Franco Bricola. L’eredità scientifica e culturale di un Maestro a trent’anni dalla sua scomparsa", tenutosi il 28-29 maggio 2024 presso l'Aula Magna, complesso di S. Cristina, dell'Università di Bologna. 

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Nella prima presentazione di questo Convegno, che accompagnava il graditissimo invito a prendervi parte, era presente un link che mi ha consentito di vedere in anteprima un’intervista a Franco Bricola realizzata nel 1982 dal dott. Jacopo Onnis, per la Rai – Sede regionale della Sardegna, intitolata «La giustizia penale nella società che cambia». Di qui l’idea di adottare, per la mia relazione, la formula del “colloquio fantastico postumo”: o dell’“intervista impossibile”, per rifarmi ad un fortunato programma radiofonico degli anni 70, che ha avuto come autori personaggi della cultura quali Giorgio Manganelli, Umberto Eco, Alberto Arbasino e Italo Calvino. Nomi che dovevano rendere subito evidente la mia inadeguatezza rispetto a questo compito, tra l’altro per me del tutto inconsueto. Nondimeno, ho ceduto a quella tentazione: vi propongo quindi la mia relazione nella forma di un dialogo ideale con il prof. Bricola in tema di funzioni della pena. Ricostruirò il pensiero del Maestro sul tema attraverso le monografie giovanili e la voce «Teoria generale del reato», pubblicata per la prima volta nel Novissimo Digesto Italiano.

Le domande verranno poste da Giulia Mentasti, assegnista di diritto penale nell’Università di Milano, alla quale devo anche il powerpoint che verrà proiettato durante il nostro dialogo (e che qui compare in allegato).  

Da parte mia, mi calo – con imbarazzo – nel ruolo del prof. Bricola.

Mio è il testo di questa pièce teatrale: sono io il responsabile.          

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1. Carissimo Maestro, nella sua ricchissima produzione scientifica la voce Teoria generale del reato non ha un pendant in una voce Teoria generale della pena, benché anche la teoria della pena trovi indicazioni altrettanto importanti e altrettanto innovative nei suoi scritti: in alcuni scritti cd. minori, ma soprattutto nella splendida monografia La discrezionalità nel diritto penale. Nozione e aspetti costituzionali, un testo fondamentale – una Bibbia – nella mia formazione di giurista.

Le chiedo: quali i rapporti tra teoria generale della pena e teoria generale del reato?

 

«L'istituto della pena non è estraneo… alla teoria generale del reato… La presa di posizione costituzionale sui fini delle sanzioni criminali (art. 27 co. 3 Cost.)… può essere produttiva di ripercussioni nel processo di determinazione degli stessi connotati essenziali dell'illecito penale»[1].

«La svalutazione dell'articolo 27 co. 3 Cost., la cui portata viene spesso limitata al terreno dell’esecuzione della pena, e la scarsa considerazione per le rifrangenze che esso presenta sulla struttura del reato, giustificano la scarsa permeabilità della dottrina generale del reato da parte dei principi costituzionali»[2].

«Teoria generale del reato e funzione della pena», ribadisco, «non sono due momenti concettuali distinti, posto che dal fine costituzionalmente attribuito alla pena può derivare una connotazione globale e sostanziale dello stesso illecito penale» (quella che io designo come “concezione teleologica del reato”)[3].

In altri termini: la normativa costituzionale sulla funzione della pena contribuisce a delineare il volto costituzionale del reato nel nostro sistema positivo[4].

Teoria del reato e teoria della pena, in un approccio metodologicamente corretto, devono assumere la Costituzione come riferimento primario: in tale prospettiva, interagiscono profondamente tra loro.   

 

2. Affrontiamo allora il nostro tema più da vicino. Le domando: quale contributo può dare l’art. 27 co. 3 Cost., in sinergia con l’art. 27 co. 1, all’individuazione del volto costituzionale del reato?

 

«La funzione rieducativa della pena ex art. 27 co. 3 Cost. sarebbe in grado di fondare il divieto di responsabilità penale per fatto altrui anche in assenza dell'art. 27 co. 1, essendo evidente che nessuna funzione rieducativa può perseguire una pena la quale colpisca un soggetto diverso dall'autore materiale del fatto»[5] (p. 51).

«La costituzionalizzazione del principio nulla poena sine culpa… viene desunta sia dall'art. 27 co. 1, sia… dall'articolo 27 co. 3… La funzione rieducativa della pena,… comunque intesa, contrasterebbe prima facie con una responsabilità penale per fatti non psichicamente riportabili almeno nella forma della colpa al soggetto da ‘rieducare’»[6] (p. 53).

Dalla funzione rieducativa della pena discende, infine, «la necessità costituzionale della possibilità di conoscere la legge penale come presupposto di colpevolezza»[7] (p. 15).

In sintesi: l’art. 27 co. 3 Cost. contribuisce a fondare il divieto di responsabilità penale per fatto altrui, il divieto della responsabilità oggettiva, l’inclusione della conoscenza/conoscibilità della legge penale tra gli elementi costitutivi della colpevolezza.   

 

3. Proseguiamo dunque portando lo zoom sull’art. 27 co. 3 Cost., nella parte in cui stabilisce che «le pene… devono tendere alla rieducazione del condannato». Rieducazione è formula che si presta a interpretazioni molto diverse, diverse, tra l’altro, a seconda del grado di attenzione che l’interprete ponga all’insieme della normativa costituzionale: rieducazione come rigenerazione morale del condannato, o come trasformazione coattiva della sua personalità, o altro ancora.

Le domando: come va intesa, a suo giudizio, la formula costituzionalerieducazione’?

 

Il concetto di rieducazione non va ricostruito dall’interprete alla luce della propria Weltanchauung, né alla luce delle norme penali ordinarie, ma deve assumere «una propria autonoma e oggettiva dimensione costituzionale»[8].

«La funzione rieducativa della pena,… anche perché legata al concetto di “trattamento”, implica necessariamente una delimitazione della illiceità penale a una sfera selezionata di valori»[9]: implica cioè che «l’illecito penale possa concretarsi esclusivamente in una significativa lesione di un valore costituzionalmente rilevante»[10], tale in forma esplicita o anche implicita[11].

La funzione rieducativa della pena va interpretata come «tendenza… a dare o ridare al reo una sensibilità per i valori costituzionali offesi, ossia per i significati preminenti del contesto in cui dovrà tornare ad operare»[12]:  «la rieducazione connota il reinserimento dell'individuo nel contesto sociale, con la rinsaldata consapevolezza di quei valori che egli ha dimostrato di non conoscere appieno, per cause non sempre da lui dipendenti, attraverso la trasgressione»[13].

«Questa funzione della pena… ha, come ovvio presupposto per la sua attuazione, il fatto che nel trattamento il reo non venga privato del godimento dei diritti costituzionali estranei a quelli rigorosamente menomati dall'esecuzione della pena detentiva»[14]: in altri termini, la funzione rieducativa presuppone una pena detentiva – se a quella facciamo riferimento, come la pena che, piaccia o non piaccia, rimane al centro del nostro sistema sanzionatorio – tale da incidere sulla sola libertà personale (e sui diritti della persona il cui sacrificio sia coessenziale alla privazione della libertà personale).  

 

4. Ci ha illustrato, poco fa, caro professore, alcune implicazioni del principio costituzionale della rieducazione del condannato relative al reato. Guardiamo ora alla pena (in particolare, alla pena nel momento della comminatoria legale): che cosa è in grado di dirci, su questo terreno, il principio costituzionale della rieducazione del condannato?

 

La funzione rieducativa della pena concorre con il principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.) a fondare l'idea della pena come extrema ratio[15].

Una riflessione sul finalismo rieducativo coinvolge anche il tema della proporzionalità della pena. «Il limite che vincola il legislatore nella fase di formazione della norma penale… attiene… anche alla graduazione della sanzione penale… La restrizione della libertà personale potrà adottarsi in misura crescente secondo l'importanza del bene costituzionale offeso. Ne discende la proponibilità di eccezioni di illegittimità costituzionale per sproporzione tra la misura della pena e la significatività del valore offeso»[16].

 

5. Spostiamo l’attenzione sulla fase applicativa e sulla fase esecutiva della pena. Quali le implicazioni del principio costituzionale della rieducazione relative a queste fasi della dinamica punitiva?

 

 «La funzione di prevenzione speciale (o rieducativa) è… destinata a prevalere in sede di applicazione (scelta del tipo e della misura) ed esecuzione della pena»[17]. Così scrivevo nella voce Teoria generale del reato, dove peraltro non ho sviscerato questo aspetto.

Mi rifaccio dunque, per dare una risposta alla tua domanda, alla monografia sulla discrezionalità. In quella sede affermavo che discende dall’art. 27 co. 3 Cost. l’esigenza che la pena venga adeguata dal giudice, oltre che al fatto, alla personalità del reo[18]. «La rieducazione quale connotato teleologico della pena non è criterio che si aggiunga a quelli indicati dall’art. 133 c.p., ma… metro per la valutazione dei medesimi»[19]: è il metro, dunque, alla stregua del quale valutare la gravità del reato e la capacità a delinquere dell’agente; prima ancora, è il metro per la valutazione dei singoli indicatori di cui all’art. 133 co. 1 e co. 2 c.p., individuando, di volta in volta, quelli in concreto più significativi.   

 

6. Molto abbiamo parlato, sin qui, di rieducazione. La rieducazione (come componente della più ampia categoria ‘prevenzione speciale’), peraltro, non è certamente l’unica legittima finalità della pena: su questo punto c’è totale consenso nell’inesauribile dibattito sulle funzioni della pena. L’uniformità di opinioni si esaurisce però su questo punto: tra le questioni aperte, da sempre, c’è quella relativa al ruolo della retribuzione.

Le domando, dunque, se lei ritiene che, accanto alla rieducazione, nella teoria della pena un ruolo competa anche alla retribuzione.

 

Rispondo in senso affermativo: il «contenuto retributivo della sanzione» (penale) è «ineliminabile»[20].

Concordo con il mio maestro, Pietro Nuvolone, il quale così scrive nel suo Manuale: «Alla pena che, nella sua essenza logica, rimane un castigo per un male commesso, e quindi retributiva, si aggiunge storicamente una funzione utilitaristica di modifica in senso sociale della personalità del reo»[21].

Questo, a mio avviso, il rapporto tra retribuzione e rieducazione: «Per evitare che la pena assuma una funzione di mera retribuzione (con repressione della pura disobbedienza) o di mera rieducazione (con repressioni di semplici stati soggettivi o atteggiamenti personali sintomatici di pericolosità) l'equilibrio tra le due funzioni deve avvenire radicando l'incriminazione su un fatto offensivo dell'interesse tutelato… In sostanza la polivalenza dei fini della pena rappresenta una saldatura fra il momento garantista o liberale della retribuzione… e le aperture ‘sociali o solidariste’ della rieducazione»[22].

La mia, dunque, è una concezione plurifunzionale della pena, nella quale hanno un ruolo sia la retribuzione, sia la rieducazione.

 

7. Chiarito che retribuzione e rieducazione sono, entrambe, legittime finalità della pena nell’intera dinamica punitiva, le domando, caro professore, quale sia lo specifico ruolo che compete alla retribuzione. Il mio quesito coinvolge anche la fase giudiziale della dinamica punitiva: la fase cioè in cui è il giudice che deve stabilire la specie e il quantum della pena.    

 

La retribuzione incide sui contenuti della pena: come dicevo, il carattere retributivo impone che la pena rappresenti un castigo.

Nel contempo, la retribuzione esprime un’istanza di garanzia individuale, che pure opera nelle diverse fasi della dinamica punitiva.

Per il legislatore la retribuzione fonda il divieto di reprimere la mera disobbedienza, consentendogli di incriminare solo fatti offensivi di un bene giuridico. Nel suo «significato genuinamente liberale», la retribuzione esprime l’esigenza che l’ordinamento giuridico penale reagisca soltanto alla «reale offesa di beni»[23]. Assolvono ad una funzione limitatrice dell’intervento penale sia il concetto di ‘retribuzione’, sia il concetto di ‘bene giuridico’.   

Sempre in una logica di garanzia, la retribuzione pone poi un limite quantitativo alle scelte sanzionatorie del giudice: non gli consente di irrogare pene sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità del reato – nelle sue componenti oggettive e soggettive – e alla personalità dell’autore.

Richiamo all’attenzione dei più giovani un progetto di riforma della parte generale del codice penale tedesco elaborato negli anni ‘60 del secolo scorso da un gruppo di penalisti di grande statura, tra i quali Claus Roxin, Jürgen Baumann, Arthur Kaufmann, Peter Noll e Günther Stratenwerth. Mi riferisco all’Alternativ-Entwurf eines Strafgesetzbuches – Allgemeiner Teil[24], al quale dall’intera Europa si guardava con enorme interesse. Segnalo in proposito un magistrale studio di Sergio Moccia dedicato al Progetto Alternativo e all’intera riforma del codice penale tedesco[25], frutto della dialettica tra Entwurf 62, Alternativ-Entwurf e Seconda legge di riforma del diritto penale (2.StrRG del 1969, in vigore dal 1975). Della Seconda legge di riforma, consentitemi di ricordare una traduzione italiana ad opera di Filippo Sgubbi, illustre docente di questo Ateneo[26]. Nel § 2 dell’Alternativ-Entwurf si legge che le sanzioni penali servono alla tutela dei beni giuridici e al reinserimento dell’autore nella vita sociale: tutela dei beni giuridici (cioè, retribuzione) e risocializzazione come funzioni della pena.  Il contenuto del § 2 AE si avvicina molto a quello che – nella mia lettura – è il contenuto dell’art. 27 co. 3 Cost. italiana[27].

Dunque, in estrema sintesi, retribuzione come connotato di afflittività della pena, ma anche come limite garantista alla potestà punitiva dello Stato.

 

8. Sin qui, è rimasto ai margini della nostra conversazione il tema della funzione generalpreventiva della pena, un tema al quale lei ha dedicato pagine di cristallina chiarezza nella monografia sulla discrezionalità. Gli aspetti problematici riguardano soprattutto la fase giudiziale della dinamica punitiva: le domando, dunque, quale ruolo competa in questa fase alla prevenzione generale.

 

Premesso che «la funzione di prevenzione generale della pena» (che si pone accanto alla funzione rieducativa e retributiva) «si attua sia nel momento astratto e comminatorio, sia in fase di applicazione giudiziale»[28], ritengo che «la tendenza – rilevata in alcune pronunce giurisprudenziali – ad attribuire un rilievo autonomo alla finalità di prevenzione generale, contribuendo a spostare il fuoco della valutazione su elementi estranei alla condotta e alla personalità dell’agente» incontri «un limite d’ordine costituzionale»[29]. Dall’art. 27 co. 1 Cost. discende che «l’uomo non può mai essere considerato, nel sistema della responsabilità penale, come semplice mezzo per il perseguimento di finalità politico-criminali»[30]. Ciò vale anche riguardo al quantum della pena, rendendo «inammissibile una prevenzione generale che, in sede giudiziale, superi il ruolo di mera Nebenwirkung»[31]

 

9. Uno dei risvolti della funzione retributiva della pena riguarda i suoi connotati di afflittività, che lei ha dichiarato ineliminabili: connotati che, tuttavia, mi sembra, possono ricollegarsi già alla funzione generalpreventiva della pena, comunque intesa, che della pena è la finalità primaria nella fase della comminatoria legale ed effetto accessorio nella fase giudiziale.

C’è davvero bisogno di parlare di retribuzione per dire che la pena deve essere afflittiva?

C’è davvero bisogno di fare riferimento alla retribuzione per esprimere l’esigenza di pene non sproporzionate per eccesso? Una pena sproporzionata per eccesso non può essere avvertita come giusta dal condannato: preclude ogni possibilità di adesione all’offerta di aiuto all’inserimento sociale che gli viene dall’ordinamento attraverso una pena finalizzata alla rieducazione.

Ma c’è di più. La retribuzione postula pene proporzionate sia verso l’alto, sia verso il basso: postula (anche) una pena che non scenda al di sotto del livello minimo corrispondente alla gravità del reato, nemmeno nel caso in cui – agli occhi del giudice – le istanze della rieducazione potrebbero essere soddisfatte da una pena più mite. In questa sfera, la retribuzione non svolge quel ruolo di garanzia individuale al quale lei chiama tale funzione della pena: la retribuzione è funzionale semmai alla tenuta del sistema, ossia alla prevenzione generale.

Di qui la mia domanda, al limite della provocazione: possiamo fare a meno, nella teoria della pena, dell’idea di retribuzione?

 

Concentro la mia risposta sul problema sostanziale che hai sollevato da ultimo: se il giudice possa scegliere una pena inferiore a quella corrispondente alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del reo, una pena cioè sproporzionata per difetto.

A mio avviso, come ho sottolineato in precedenza[32], «la funzione di prevenzione speciale o rieducativa è… destinata a prevalere in sede di applicazione – scelta del tipo e della misura – ed esecuzione della pena»: se dunque si delinea un’antinomia tra funzione rieducativa e funzione retributiva della pena, è la prima che deve prevalere, portando all’applicazione di una pena che si collochi, eventualmente, al di sotto della proporzione con la gravità del reato e la personalità dell’autore.

Forse, in definitiva, la questione di cui stiamo discutendo – se sia possibile fare a meno dell’idea di retribuzione – è più nominalistica che sostanziale: non incide su quelle che dovrebbero essere le scelte del giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale.

Aggiungo un richiamo a quanto scrivevo in saggio del 1984[33], nel quale mi pronunciavo a favore di un sistema depurato sia «dalle pulsioni etiche sollecitate dalla funzione retributiva», sia dai «sogni solidaristici alimentati dalla funzione rieducativa e risocializzante della pena»[34]: alla retribuzione e alla rieducazione attribuivo il ruolo di criteri regolatori all'interno delle funzioni di prevenzione generale e di prevenzione speciale mediante intimidazione.

Comprendo, in definitiva, il dubbio che della formula ‘retribuzione’ si possa fare a meno, senza eccessivi rimpianti.

 

 

 

[1] F. Bricola, Teoria generale del reato, 1974, estratto da Nss. Dig. It., vol. XIX, 1973, p. 25. Le citazioni presenti in questo scritto si riferiscono all’estratto. La voce Teoria generale del reato è ora reperibile anche in F. Bricola, Scritti di diritto penale, vol. I, tomo I, 1997, p. 539 ss.    

[2] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 22.

[3] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 38.

[4] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 8.

[5] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 51.

[6] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 53.

[7] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 15.

[8] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 11.

[9] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 15.

[10] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 15 s.

[11] «Rilevanza costituzionale di un bene… significa assunzione del medesimo tra i valori esplicitamente o implicitamente garantiti dalla carta costituzionale»: così F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 16.

[12] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 17.

[13] F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, vol. I, Nozione e aspetti costituzionali, 1965, p. 358 (ora anche in Scritti di diritto penale. Opere monografiche, 2000, p. 511 ss.).

[14] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 17.

[15] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 15.

[16] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 18.

[17] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 82, nt. 6.

[18] F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, cit., p. 91 s.

[19] F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, cit., p. 92.

[20] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 17, p. 53 e p. 82.

[21] P. Nuvolone, Il sistema del diritto penale, II ed., 1982, p. 58.

[22] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 82.

[23] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 31.

[24] Alternativ-Entwurf eines Strafgesetzbuches – Allgemeiner Teil, vorgelegt von J. Baumann u.a., 1966.

[25] S. Moccia, Politica criminale e riforma del sistema penale: l'Alternativ-Entwurf e l'esempio della Repubblica federale tedesca, 1984.

[26] Cfr. Indice penale, 1972, p. 455 ss.

[27] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., p. 31.

[28] F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, cit., p. 85.

[29] F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, cit., p. 87.

[30] F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, cit., p. 88.

[31] F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, cit., p. 89.

[32] Cfr. supra, nt. 17.

[33] F. Bricola, Tecniche di tutela penale e tecniche alternative di tutela, 1984, ora F. Bricola, Scritti di diritto penale, vol. I, tomo II, 1997, p. 1475 ss.

[34] F. Bricola, Tecniche di tutela penale, cit., p. 1523 ss.