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29 Febbraio 2024


L’eredità di Emilio Alessandrini nel contrasto al terrorismo


Il presente documento rappresenta la riproduzione, con l’aggiunta di note, del testo della relazione svolta all’incontro organizzato a Milano dall’A.N.M. di Milano per ricordare Emilio Alessandrini nel quarantacinquesimo anno dal suo omicidio (29.1.1979/29.1.2024).

 

***

 

Marco Alessandrini[1], presente a questo nostro incontro, sa quanto abbiamo cercato di fare, soprattutto negli ultimi anni, per ricordare suo padre e per dare un senso al suo sacrificio, creando occasioni di formazione per i magistrati sul suo esempio, sulle esperienze che ci ha lasciato, e cercando quindi di trasmettere una cultura ed un metodo.

Ogni anno la Scuola Superiore della Magistratura organizza – molto opportunamente – un corso di formazione sul terrorismo e sul sistema di contrasto.

Ebbene negli ultimi anni il corso è stato organizzato a Milano, presso l’Università Statale (dove insegnava Guido Galli); è stato intestato a Guido Galli ed Emilio Alessandrini, ed avendo curato l’organizzazione dei corsi per conto della S.S.M. ho sempre chiamato a parlare – per primi – proprio Marco Alessandrini e Carla Galli, figlia di Guido Galli e magistrato.

Il tentativo, evidente e del resto dichiarato, è stato quello di evidenziare la continuità, e forse contribuire a consolidarla, tra quelle esperienze e quei valori, e l’attualità, la nuova magistratura, le nuove forme di manifestazione del terrorismo.

Tentativo realizzato anche affidando le prime relazioni ai magistrati che si sono occupati in prima persona del contrasto al terrorismo di destra, stragista, ed a quello di sinistra,  negli “anni di piombo” e “del tritolo”[2].

Ed è proprio la continuità che voglio qui raccontare, sia pure senza riflessioni approfondite, per le quali rinvio – per chi fosse interessato – ad approfondimenti svolti in altre occasioni.

 

Allora una brevissima introduzione.

Dal 2001, dalla data simbolo dell’11.9.2001, ma anche prima come sa chi studia e guarda fuori dal proprio piccolo perimetro, il terrorismo internazionale ha rappresentato un pericolo enorme per i paesi fuori d’Europa prima, ed in Europa poco dopo, con l’ulteriore data simbolo per l’Europa dell’11 marzo 2004 con le stragi dei treni a Madrid: un pericolo enorme per gli Stati, ma soprattutto per le persone inermi vittime di attentati terribili, persone colpite come categorie e innocenti per definizione perché il terrorismo di matrice islamista è terrorismo stragista, puramente e semplicemente stragista.

Evidente quindi il collegamento con lo stragismo del terrorismo di destra da Piazza Fontana in avanti ed in tendenziale contrapposizione con il terrorismo di sinistra, fortemente e programmaticamente selettivo[3].

Non analizzo qui le categorie di innocenti programmaticamente colpite dal terrorismo c.d. islamico anche se sarebbe interessante[4].

L’ultima, di nuovo, il popolo ebraico con i terribili attentati terroristici del 7 di ottobre del 2023, purtroppo capaci di proselitismo ed emulazione nella logica perversa del terrore.

 

Se quindi c’è stato un grande pericolo per gli Stati e per le persone, c’ è stato anche un pericolo enorme in relazione alle risposte date dagli Stati al fenomeno e quindi alla tenuta delle regole di fondo dei sistemi costituzionali.

Detta nel modo più semplice possibile: ci sono state risposte che non sono compatibili con i sistemi di democrazia occidentale costituzionale.

Come ho già avuto modo di raccontare in altre occasioni[5], si tratta – almeno in parte – della complessiva risposta data dall’ordinamento nordamericano nell’immediato post torri gemelle, tra statuto di “combattenti nemici”, “patriot act” ed anche l’approccio globale della “war on terror”:  detenzioni senza processo, meglio se in situazione di extraterritorialità; uso più o meno “modico” della tortura; riduzione dei diritti processuali, e più in generale dei diritti individuali; extraordinary renditions in prospettiva di neutralizzazione della pericolosità del detenuto “extra-ordinem” (semplicemente scomparso dal paese in cui viene prelevato) e/o di suo “uso”, in senso stretto, come strumento di acquisizione di informazioni a fini di sicurezza.

Questa tipologia di interventi trova “sempre” giustificazione nell’interesse prioritario della sicurezza del paese e dei cittadini “come se” fosse necessario violare le regole di fondo del sistema per garantire la sicurezza dei cittadini.

Ecco allora che è possibile creare il collegamento tra passato e presente ed individuare il primo lascito, la prima eredità, di Emilio Alessandrini e della magistratura milanese di quegli anni terribili.

Il terrorismo è un fenomeno criminale, anche quello più terribile, anche quello stragista delle torri gemelle, dei treni dei pendolari di Madrid, della metropolitana e degli autobus di Londra, della musica e delle persone che ballano al Bataclan a Parigi, dei turisti al museo del Bardo di Tunisi ed ai mercatini di Natale di Berlino, e di tutte le altre vicende che ricordiamo; anche il nostro terribile terrorismo interno degli anni di piombo e del tritolo.

Ebbene nei sistemi costituzionali il contrasto ai fenomeni criminali deve essere fondato sul rispetto delle regole, con tutti i meccanismi di controllo e garanzia, anche complessi, che il sistema prevede; le indagini si fanno secondo le regole, e gli indagati vengono portati davanti al Giudice perché eserciti la giurisdizione “soggetta soltanto alla legge” e nel rispetto dei principi del giusto processo.

 

Il rispetto delle regole e la tutela dei diritti sono la base fondamentale ed irrinunciabile, ma è altresì necessario il progressivo miglioramento del sistema di contrasto in termini di efficacia ed il suo adeguamento alle mutate forme di manifestazione del fenomeno criminale.

In sintesi: un approccio che sappia coniugare legalità ed efficacia.

Questo è il primo e fondamentale lascito di Emilio Alessandrini, di Guido Galli (anche nei suoi lavori teorici), dei magistrati del tempo terribile del quale parliamo e di quelli che hanno cercato di continuare a svolgere il loro lavoro.

Questo approccio e questa cultura erano così evidenti da essere noti in tempi reali ai terroristi, ed hanno rappresentato la ragione per cui Emilio Alessandrini è stato ucciso e la ragione per cui poco dopo è stato ucciso Guido Galli.

 

Legalità ed efficacia.

Lo dice con chiarezza, e purtroppo con verità il volantino di rivendicazione dell’omicidio di Emilio Alessandrini (così come quello di Guido Galli).

È un volantino oggi abbastanza conosciuto grazie alle iniziative di memoria che sono state finalmente intraprese[6].

Il volantino di rivendicazione è uno straordinario riconoscimento delle qualità del magistrato, ma anche delle qualità del sistema di contrasto: vengono evidenziate la capacità professionale di Alessandrini, il suo impegno per ricostruire le responsabilità della strage fascista di piazza Fontana, nonostante la cappa nera che le circondava e tutelava vergognosamente i responsabili[7].

Ma poi – perché i magistrati fanno il loro dovere – l’attenzione efficace sul terrorismo di sinistra: «linea efficientista, adesione ideologica al compromesso storico, hanno portato questo magistrato ad occuparsi subito dopo il ‘72 delle organizzazioni comuniste rivoluzionarie e dei risvolti penali delle lotte operaie; lavoro che ha portato questo magistrato di “sinistra” ad inquisire, incriminare o condannare decine di comunisti»[8].

Molto simili, come è noto, i passaggi centrali del volantino di rivendicazione dell’omicidio di Guido Galli (19.3.1980): «Galli appartiene alla frazione riformista e garantista della magistratura, impegnato in prima persona nella battaglia per ricostruire l’Ufficio Istruzione di Milano come un centro di lavoro giudiziario efficiente, adeguato alle necessità di ristrutturazione, di nuova divisione del lavoro dell’apparato giudiziario, alla necessità di fare fronte alle contraddizioni crescenti del lavoro dei magistrati di fronte all’allargamento dei terreni d’intervento…».

Questo è un altro passaggio che rappresenta l’eredità di quel periodo storico e che è necessario trasmettere alla magistratura, verrebbe da dire “a tutti i costi”.

Sintetizzando e semplificando: Alessandrini era divenuto “famoso” per l’indagine sui neri, ma poi si era occupato dei rossi, pagando l’impegno con la vita.

Perché l’impegno del magistrato è un impegno a tutto tondo; il magistrato rifugge dall’adagiarsi sulla fama e svolge la propria attività su tutto quello che gli è affidato di fare.

Ancora: è magistrato, perché il P.M. nel nostro sistema costituzionale è magistrato (ogni riferimento all’attualità è semplicemente cercato e voluto) ed applica la legge senza valutazioni di opportunità e senza considerazione per vantaggi o svantaggi, senza valutazione degli assetti di potere e senza condizionamenti; non fermandosi di fronte allo scomodo, al pericoloso, al difficile.

Come ho avuto modo di scrivere, tutto il contrario dell’impostazione burocratico-difensiva che tende ad affermarsi nell’attualità, con minore impegno e soprattutto meno impegno sulle cose difficili[9].

Per tornare alle possibili forme illegali di contrasto al terrorismo, e per tornare su tempi e temi più recenti: quando i magistrati milanesi hanno investigato sulla extraordinary rendition di Abu Omar, e facendolo hanno investigato sui vertici degli apparati di sicurezza del nostro paese, l’hanno fatto perché lo dovevano fare, perché sono soggetti alla legge e sono indipendenti dagli altri poteri.

Anche se – come conseguenza – si sono trovati indagati presso la procura di Brescia per gravissimi delitti di attentato, addirittura su sollecitazione del senatore a vita Francesco Cossiga, ex Presidente della Repubblica[10].

Ma queste non sono medaglie da esibire; è l’adempimento del dovere in attuazione delle regole del sistema costituzionale.

Rimanendo alle esperienze personali, ho fatto anni di formazione all’estero sul nostro sistema di contrasto al terrorismo ed ho spesso narrato la vicenda della rendition di Abu Omar e delle investigazioni svolte per svelarla.

Ebbene la domanda sempre fatta da colleghi stranieri (ma anche da osservatori, studiosi ed avvocati) è stata: ma come fanno i magistrati italiani a investigare sui propri apparati di sicurezza e sugli apparati di sicurezza (C.I.A.) di un paese alleato (Stati Uniti); chi li autorizza? quale è la fonte del loro potere/dovere?

La risposta, semplice e fondamentale: non li autorizza nessuno perché nel nostro sistema costituzionale i magistrati sono indipendenti dagli altri poteri, operano in attuazione della legge nel quadro del principio di obbligatorietà dell’azione penale e di uguaglianza che lo sorregge.

Altra risposta, che è poi la ragione del grande interesse degli altri paesi verso il nostro sistema di contrasto: il rendere giustizia secondo le regole è il migliore antidoto al terrorismo ed alla visione radicale che lo sostiene; non è l’unico, ovviamente, ma aiuta davvero.

 

Un altro aspetto “da tramandare” creando di nuovo il ponte tra il passato degli anni terribili ed il presente difficile, e che traspare ancora una volta dal volantino di rivendicazione.

I magistrati che negli anni di piombo hanno lavorato sul terrorismo erano magistrati altamente specializzati[11], e lavoravano con la Polizia Giudiziaria altamente specializzata (tralascio qui i riferimenti al mondo delle patologie – della polizia giudiziaria soprattutto, ma anche della stessa magistratura – che lavoravano invece per inquinare ed orientare secondo opportunità).

La doppia e significativa specializzazione sul fenomeno del terrorismo ha rappresentato un punto di svolta, anche se l’obiettivo della specializzazione – soprattutto della Polizia Giudiziaria – è stato realizzato con grande fatica ed in modo non indolore.

Nel verbale dell’assemblea dei magistrati della Procura di Milano, tenuta all’indomani dell’omicidio Alessandrini (il 17.2.1979), si segnala con grande forza e chiarezza quanta strada doveva essere ancora percorsa per la qualificazione professionale della Polizia Giudiziaria, per la messa a disposizione di personale adeguato anche dal punto di vista numerico e – soprattutto – per la fondamentale attuazione dell’art. 109 della Costituzione

Le parole dell’ordine del giorno sono illuminanti e vanno ricordate ancora oggi:  «...va sciolto – conformemente all’art. 109 della Costituzione e alla Legga n. 517 del 55 – il nodo della dipendenza funzionale e gerarchica della polizia giudiziaria rispetto alla magistratura. Non si tratta di pretendere, in una logica corporativa, un maggior potere fine a se stesso…: a tutti deve essere chiaro che la direzione effettiva delle indagini da parte dei giudici... è allo stato l’unico modo per rendere più efficiente, più razionale, più democratico il processo contro la criminalità organizzata»

 

Ancora un passaggio di grande chiarezza e visione: «Solo così possono essere efficacemente unificate le indagini, limitati gli interventi repressivi più miopi e le “gestioni politiche” delle inchieste: è fondamentale respingere con i fatti il disegno dei terroristi di provocare una restaurazione autoritaria nel paese, per giungere così, una volta spazzato via “il cuscinetto democratico e riformista”, allo scontro frontale, alla guerra civile. Per questo, nonostante tutto, bisogna ostinarsi a rispondere nel pieno rispetto della verità processuale e della legalità. E solo la magistratura, pur con tutti i suoi limiti e difetti, puo’ offrire tale garanzia..» (corsivi miei)[12].

La specializzazione dei magistrati e della polizia giudiziaria che lavora con loro è stata la base per le riforme che si sono succedute negli anni, anche se in modo tardivo nel settore del terrorismo rispetto al settore del contrasto alle mafie.

È infatti noto che solo nel 2001 – dopo l’11 settembre – è stata realizzata la distrettualizzazione delle indagini sul terrorismo e che solo nel 2015, dopo l’avvento di Islamic State ed il ritorno della stagione degli attentati terribili in Europa, si è realizzata l’attribuzione delle funzioni di coordinamento nazionale e di impulso su questa materia alla Direzione Nazionale.

In ritardo quindi, e con talune incertezze, ma la direzione è stata quella.

Per quanto riguarda la polizia giudiziaria è però opportuno un altro monito, o quanto meno un reminder da tenersi stretto.

Con la Polizia Giudiziaria, nel settore del contrasto al terrorismo, è stato necessario creare un rapporto strettissimo, nato e sviluppato sul campo, e progressivamente divenuto fiducia.

Ma deve essere sempre ricordato che nel nostro sistema costituzionale la responsabilità dell’azione della Polizia Giudiziaria è del P.M.; non il contrario, ed anche in questo caso ogni riferimento a prospettive di riforma, anche costituzionale, è puramente voluto.

 

C’è di più e quel di più è ancora una volta la cultura che ci viene da lontano, che ci viene dagli esempi delle persone che l’hanno espressa e praticata.

La Procura Nazionale ha il potere ed il dovere del coordinamento e dell’impulso, ma questo fondamentale potere/dovere si deve accompagnare alla cultura dei magistrati, sicuramente di quelli che si occupano di terrorismo, di lavorare insieme, di scambiare le informazioni, di confrontarsi, di discutere con le Polizie Giudiziarie, di imparare dall’ascolto e dalla condivisione; di essere sempre aperti ad altri saperi.

Non hanno potuto raccontarlo né Emilio Alessandrini né Guido Galli, ma l’hanno raccontato quelli che sono venuti dopo: il punto di svolta nell’azione di contrasto al terrorismo interno è stato rappresentato dalla cultura del coordinamento spontaneo. 

Le riunioni spontanee, lo spirito del confronto, la condivisione delle scelte di fondo: quando si ha a che fare con un fenomeno di quel tipo (terrorismo interno) , di questo tipo (terrorismo internazionale), è necessario avere la capacità di lavorare insieme in vista di un obiettivo comune.

In estrema sintesi: la capacità di coordinarsi spontaneamente come elemento strutturale di qualsiasi contrasto efficace.

Come è abbastanza noto, è quello che negli anni dello stragismo del terrorismo c.d. islamico abbiamo fatto, come magistrati italiani, portando nella dimensione internazionale la cultura del coordinamento e della condivisione, che ci è stata riconosciuta ed apprezzata in moltissime occasioni e sedi, cambiando veramente il paradigma delle indagini collegate sovranazionali.

Ricordo che la prima volta che praticammo il sistema della trasmissione spontanea di atti ed informazioni verso le autorità giudiziarie dei paesi coinvolti vi fu anche tra i magistrati italiani chi esprimeva perplessità, riserve o anche solo la paura di prassi nuove.

Oggi con fatica, quel nostro sistema è diventato metodo e ancora una volta lo dobbiamo a chi ha avuto la capacità di farlo per la prima volta in Italia nel contrasto al terrorismo interno.

 

Allora per chiudere, con una sintesi finale: coltivare la memoria è un dovere, sempre di più; ma la memoria è anche esperienza ed insieme di esperienze, quindi insegnamenti che ci vengono dal passato, e che devono orientare i nostri comportamenti nel presente e per il futuro.

 

 

 

[1] Marco Alessandrini è il figlio di Emilio Alessandrini ed aveva 8 anni quando il padre venne assassinato a Milano – il 29 gennaio 1979 – da un commando di Prima Linea. L’omicidio venne commesso subito dopo che il magistrato aveva accompagnato il figlio in auto alla scuola elementare che frequentava.

[2] V. sul punto M. Romanelli, G. Salvi e A. Spataro, Esperienze e metodi di contrasto al terrorismo politico, in questa Rivista, 26 settembre 2023.

[3] Questo concetto è espresso con grande chiarezza nel volantino di rivendicazione dell’omicidio di Emilio Alessandrini da parte dell’organizzazione terroristica Prima Linea: 

«Compagni, l’intensificazione dello scontro armato in Italia, il precisarsi dell’azione controrivoluzionaria con l’obiettivo di annientare i combattenti comunisti ed insieme sbaragliare la rete operaia e proletaria rivoluzionaria, impone di dare precise indicazioni politiche circa l’attacco ai centri ed alle figure dello schieramento nemico. Oggi l’esecuzione del personale politico o militare nemico più significativo e più efferato è un elemento centrale e necessario della pratica delle organizzazioni combattenti…. È chiaro altresì che non possono valere criteri di indiscriminatezza: va colpita con precisione e puntualità la funzione specifica esercitata…» (il grassetto è mio).

[4] La macrocategoria è quella dei “miscredenti”, così ampia da giustificare qualunque strage di innocenti (in via di sintesi: i musulmani che non aderiscono alla visione radicale della religione; tutti quelli che non credono; tutti quelli che credono ad altre religioni; gli occidentali in generale; gli ebrei).

[5]  Rinvio per chi fosse interessato a M. Romanelli, Riflessioni sul complessivo sistema di contrasto al terrorismo in Italia, in Diritto penale contemporaneo, 14 giugno 2019.

[6] Si veda la pagina nel sito del CSM  dedicata ad Emilio Alessandrini all’interno dell’area “per non dimenticare”.

[7] Si vedano le frasi del volantino di rivendicazione: «Oggi, 29 gennaio 1979 alle ore 8.30 il gruppo di fuoco Romano Tognini “Valerio” dell’organizzazione comunista Prima Linea, ha giustiziato il sostituto procuratore della Repubblica Emilio Alessandrini. Alessandrini è uno dei magistrati che maggiormente ha contribuito in questi anni a rendere efficiente la procura della repubblica di Milano; egli ha fatto carriera a partire dalle indagini su piazza fontana che agli inizi costituirono lo spartiacque per rompere con la gestione reazionaria della magistratura, ma successivamente, scaricati dallo stato, i fascisti, ormai ferri vecchi, diventano il tentativo di ridare credibilità democratica e progressista allo Stato…».

[8] È ancora il testo del volantino di rivendicazione. Il senso della strategia delle B.R., di eliminazione fisica dei “progressisti”, era del resto molto chiaro ad Emilio Alessandrini, tanto da essere espresso con grande efficacia nell’intervista rilasciata dal magistrato pochissimi giorni prima di essere ucciso (il 26.1.1979) a Marcella Andreoli per il quotidiano “Avanti”: «...non è un caso che le loro azioni siano rivolte non tanto a uomini di destra, ma ai progressisti. Il loro obiettivo è intuibilissimo: arrivare allo scontro nel più breve tempo possibile togliendo di mezzo quel cuscinetto riformista che, in qualche misura, garantisce la sopravvivenza di questo tipo di società…». L’intervista è riportata ora in Igino Domanin, Un Eroe comune. 29 gennaio 1979 il giudice Alessandrini gli anni di piombo un romanzo familiare, Marsilio, 2024. L’Autore è il nipote di Emilio Alessandrini.

[9] «Credo purtroppo sia proprio quello che si vuole: una magistratura timida, tendenzialmente conformista, attenta ai carichi di lavoro ed alla pulizia dei ruoli, senza distinzioni di qualità tra “gli affari”, magari lavorando anche tanto, ma sempre in questa prospettiva.  La burocratizzazione non significa necessariamente lavorare meno.  Significa -purtroppo- elaborare una cultura, e farla diventare parte del nostro modo di essere e di pensare, che ci porta a non avere interesse per le cose che possono creare problemi, di qualsiasi tipo, forse non vederle neppure; parallelamente pensare a costruire le nostre carriere, anche su medagliette di scarso valore…» (in questa Rivista, 28 aprile 2022, Guido Galli e il ruolo del magistrato, ieri, oggi e domani).

[10] Per chi fosse interessato alla vicenda, v. la analitica ricostruzione operata da A. Spataro in Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa, Editori Laterza, 2011, in particolare da p. 265 in avanti.

[11] Come è noto sia Emilio Alessandrini che Guido Galli avevano una significativa esperienza e specializzazione anche nel mondo del diritto penale dell’economia, ma hanno continuato ad occuparsi efficacemente, sino alla fine, di terrorismo. Torniamo quindi al discorso sopra fatto in ordine al senso del dovere ed alla normalità del senso del dovere.

[12] Il documento dei magistrati della Procura di Milano contiene ulteriori riflessioni di grande importanza sui limiti e sui rischi della funzione di supplenza demandata ai magistrati nel contrasto al terrorismo: «Nella generale crisi istituzionale, i magistrati, caricati di sempre maggiori compiti di intervento nella società, ma privi di adeguate possibilità di azione, vengono offerti dalle inadempienze del potere politico come controparte a masse di emarginati nelle situazioni di conflitto più esasperate. Forse discende anche da questa situazione la logica aberrante di chi, decidendo di assassinare Emilio Alessandrini, identifica ogni difensore della legalità come strumento dei gruppi dominanti».