Tribunale di Milano, Uff. G.i.p., ord. 23.12.2024, Giud. Cipolla
L’ordinanza che può leggersi in allegato rappresenta forse la prima applicazione della disciplina del rito abbreviato – e, in particolare, dell’ulteriore riduzione della pena di un sesto conseguente alla mancata impugnazione – risultante a seguito della sentenza n. 208/2024 della Corte costituzionale.
Con questa sentenza la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 442, co. 2 bis e 676, co. 3 bis c.p.p nella parte in cui non prevedevano che il giudice dell’esecuzione, dopo aver operato l’ulteriore riduzione della pena di un sesto, potesse concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando il giudice della cognizione non avesse potuto provvedervi perché la pena allora determinata era superiore ai limiti di legge che consentono la concessione di tali benefici. La questione accolta dalla Consulta era stata sollevata dal Tribunale di Nola, in funzione di giudice dell’esecuzione, per contrasto con gli artt. 3, 27, co. 1 e 3, 111, 117, co. 1 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 Cedu. Un ruolo decisivo hanno giocato i principi di uguaglianza/ragionevolezza e del finalismo rieducativo della pena: era del tutto irragionevole e disfunzionale rispetto agli obiettivi di efficienza e di riduzione del carico delle corti d’appello – perseguiti dalla riforma Cartabia – la circostanza che non potesse giovarsi dei detti benefici, orientati alla rieducazione del condannato, chi avesse rinunciato all’impugnazione di una condanna a una pena che solo per effetto della ulteriore riduzione di un sesto conseguente alla mancata impugnazione risultava inferiore ai limiti di legge.
La sentenza 208/2024 ha consentito questa possibilità, colta dal difensore del condannato nel procedimento pendente davanti al Gip di Milano, quale giudice dell’esecuzione. All’esito del giudizio abbreviato, un giovane imputato era stato condannato a due anni e dieci mesi di reclusione ed era stato destinatario di un ordine di carcerazione, eseguito presso il carcere di San Vittore. Per effetto dell’ulteriore riduzione della pena di un sesto, la pena detentiva da eseguire è risultata pari a 2 anni, 4 mesi e 10 giorni. All’epoca dei fatti, il condannato aveva un’età compresa tra i 18 e i 21 anni: era cioè un “giovane adulto” rispetto al quale il limite di pena per la sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p. è di due anni e sei mesi.
Applicando gli artt. 442, co. 2 bis e 676, co. 3 bis c.p.p., come risultanti a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, l’ordinanza allegata, con una articolata motivazione che ripercorre gli esiti della questione risolta dalla Consulta, ha ordinato la sospensione condizionale della pena e disposto l’immediata scarcerazione dell’interessato.
Va segnalato, come risulta dalla motivazione, che non opera alcun automatismo: il giudice dell’esecuzione ha disposto la sospensione condizionale solo dopo averne accertato i presupposti, compresa la prognosi favorevole di non recidività; prognosi rispetto alla quale – in una vicenda nella quale è presente una vittima individuale – risulta aver giocato un significativo ruolo, tra l’altro, l’adesione a un programma di giustizia riparativa presso un Centro di mediazione, conclusosi positivamente. E’ stato altresì valutato positivamente dal giudice dell’esecuzione il comportamento tenuto dal condannato nel mese trascorso in carcere, che dimostra ulteriormente di avere intrapreso un serio e ben promettente percorso rieducativo.
In un contesto di generale e sempre più grave sovraffollamento delle carceri, l’ordinanza annotata – e, prima di essa, la sentenza n. 208/2024 della Corte costituzionale – aprono un piccolo ma significativo spiraglio di deflazione, valorizzando concretamente in rapporto a pene detentive brevi la finalità rieducativa della pena e financo il nuovo istituto della giustizia riparativa, che mostra le sue molte potenzialità.
(Gian Luigi Gatta)