Segnaliamo ai lettori, pubblicandolo in allegato, che sul sito del Comitato Nazionale per la Bioetica è stata resa disponibile, dopo il comunicato stampa, la risposta completa fornita ai quesiti formulati dal Ministero della Giustizia circa la possibilità di eseguire, in caso di imminente pericolo di vita, interventi di nutrizione e rianimazione contro la volontà, precedentemente espressa, da parte di persona che abbia intrapreso uno sciopero della fame.
Sebbene il documento presenti l’intervento del CNB come frutto di riflessioni di «carattere generale», è noto all’opinione pubblica (e riconosciuto dallo stesso Comitato) come la richiesta del Ministero sia sorta a seguito del dibattito generato dallo sciopero della fame del detenuto Alfredo Cospito, le cui condizioni di salute sono progressivamente deteriorate, fino al punto di giustificare anche negli ultimi giorni – come si apprende dalla stampa – un nuovo ricovero ospedaliero, anche in vista di possibili interventi di emergenza da parte dei sanitari.
Dal documento emerge chiaramente come il Comitato, oltre alla condivisione di alcuni principi generali (enucleati in 10 punti all’inizio del documento) circa il tema, più generale, dell'autodeterminazione terapeutica della persona in stato di privazione della libertà, non abbia potuto assumere una posizione unitaria rispetto alla specifico tema affrontato, ma abbia espresso una pluralità di opinioni, raggruppabili in tre orientamenti: se la voce maggioritaria (Posizione A) è favorevole all’esecuzione di trattamenti salvavita, ritenendo inapplicabili a casi del genere eventuali dichiarazioni anticipate di trattamento, un indirizzo minoritario (Posizione B) invoca il diritto di autodeterminazione terapeutica, anche a costo della vita, e i principi oggi cristallizzati dalla l. 219/17, mentre un’ultima tesi (Posizione C) propende per l’opportunità, se non la necessità, di uno specifico intervento normativo per disciplinare casi analoghi secondo un bilanciamento rimesso alla discrezionalità del legislatore, da esercitarsi peraltro entro stretti vincoli.
Segnaliamo infine che, in calce al documento in allegato (p. 18-19), è riportata anche la richiesta del Ministero con i quattro quesiti formulati.
(Francesco Lazzeri)
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Riportiamo di seguito il testo del comunicato stampa, pubblicato alcuni giorni fa, che contiene una sintesi dei contenuti del documento oggi reso disponibile.
«Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) riunito oggi, 6 marzo 2023, in Plenaria, ha approvato il documento di risposta ai quesiti del Ministero della Giustizia presentati il 6 febbraio scorso.
Il CNB si è in primo luogo interrogato sulla possibilità di rispondere a quesiti per i quali è evidente il collegamento a una vicenda personale chiaramente riconoscibile, per quanto non esplicitamente menzionata. Il Regolamento del CNB esclude che si possano dare risposte a “quesiti riferiti a casi personali”, ma prevede che ciò possa avvenire “in ipotesi eccezionali in cui ricorrano motivi di interesse generale e comunque nel rispetto della funzione giurisdizionale spettante alla Magistratura”.
Il CNB non ha dunque alcuna legittimità giuridica, politica, morale ed etica per formulare un parere “ad personam”. Di conseguenza, la risposta del CNB ha un carattere generale.
Il confronto all’interno del CNB ha fatto emergere diverse riflessioni condivise, che sono state enucleate in 10 punti approvati all’unanimità (allegati) e che sono la premessa di posizioni che si differenziano in alcune conclusioni. Fra essi spicca la condivisione del rifiuto di adottare misure coercitive contro la volontà attuale della persona. Tutti, inoltre, ritengono che non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della L.219/2017 nei confronti della persona detenuta, che, in via generale, può rifiutare i trattamenti sanitari anche mediante le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT).
La maggioranza dei componenti del CNB (19), ha ritenuto che, nel caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita. La stessa Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) ha sostenuto di recente che: “né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna”. Le DAT sono incongrue, e dunque inapplicabili, ove siano subordinate all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della L.219/2017.
Altri componenti del CNB (9) ritengono che non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della L.219/2017 nei confronti della persona detenuta in sciopero della fame, anche in pericolo di vita. Anche in questo caso la nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere rifiutate, anche mediante le DAT e la pianificazione condivisa delle cure. Il diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà – derivazione logica del diritto alla intangibilità della sfera corporea di ogni essere umano – costituisce un principio costituzionale fondamentale del nostro ordinamento.
Altri ancora (2), pur privilegiando questa seconda posizione per quanto riguarda l’interpretazione dell’ordinamento vigente e l’applicabilità delle DAT, ritengono che un diverso bilanciamento dei principi in gioco non sia da escludere, anche guardando all’esperienza di altri Paesi. Considerano tuttavia che un intervento del legislatore sia la via obbligata, comunque stretta per vincoli e giurisprudenza costituzionali. Sottolineano inoltre la necessità di offrire un esplicito e chiaro riferimento normativo a chi si troverà a prendere queste decisioni, a partire dai medici».