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02 Luglio 2020


Dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa un monito alle autorità italiane: nessuna deroga al divieto di tortura, anche per i servizi segreti


Per il testo completo della decisione, in lingua inglese, clicca qui.

 

1. Con la decisione del 4 giugno scorso, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa – che a norma dell’art. 46 par. 2 CEDU controlla l’esecuzione delle sentenze definitive della Corte EDU – è tornato sulla vicenda del rapimento, della detenzione illegale e della sottoposizione a tortura in Egitto dell’imam Osama Mustafa Hassan Nasr, meglio conosciuto come Abu Omar.

 

2. Come si ricorderà, in occasione della sentenza Nasr e Ghali c. Italia del 23.2.2016, i giudici di Strasburgo avevano in primo luogo ravvisato la violazione indiretta dell'articolo 3 CEDU, poiché le autorità italiane avevano esposto il ricorrente ad un rischio elevato e del tutto prevedibile di sottoposizione, nel Paese di destinazione verso il quale avevano acconsentito al suo "trasferimento", a condizioni di detenzione e a trattamenti contrari a detta norma, e avevano altresì riscontrato una violazione degli obblighi procedurali discendenti dall'articolo 3 CEDU, dato che la mancata estradizione dei ventisei cittadini statunitensi ritenuti responsabili di tali condotte (alcuni dei quali beneficiari di provvedimenti di grazia presidenziale), e l’opposizione del segreto di Stato in relazione alle posizioni dei sei cittadini italiani coinvolti avevano, di fatto, determinato l’impunità dei medesimi, privando di effettività i rimedi giurisdizionali interni (di qui, l’ulteriore violazione dell’art. 13 CEDU)[1]. A tali censure si erano, poi, aggiunte quelle in tema di artt. 5 e 8 CEDU, posto che le condotte di cui sopra avevano recato pregiudizio anche al diritto alla libertà e alla sicurezza di Nasr e al diritto al rispetto alla vita privata e familiare di entrambi i ricorrenti.

 

3. Il Comitato dei Ministri ha anzitutto ribadito la gravità delle violazioni riconosciute dalla Corte in quell’occasione, per poi rimarcare come, a dispetto del fatto che le indagini avessero condotto all’individuazione dei responsabili, gli stessi fossero, di fatto, rimasti impuniti a causa del comportamento dell’esecutivo, e si è detto profondamente rammaricato (“profoundly regretted”) che a ciò non potesse porsi rimedio.

Sul fronte delle misure di carattere generale, pur salutando l’introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento penale italiano come un importante strumento per la prevenzione di gravi violazioni dei diritti umani come quelle accertate dalla Corte europea nel caso Nasr e Ghali, e riconoscendone in particolare l’effetto deterrente, il Comitato dei Ministri ha invitato le autorità italiane “ad alto livello” (“at a high level”) a inviare ai servizi di intelligence un messaggio inequivocabile circa l’assoluta inaccettabilità del ricorso alla detenzione arbitraria, alla tortura e alle “extraordinary renditions” e al fatto che non vi potrebbe essere tolleranza alcuna nei confronti di chi se ne dovesse rendere responsabile (“zero tolerance”).

Il Comitato dei Ministri ha parimenti invitato le autorità italiane a non opporre, in futuro, il segreto di Stato laddove ciò determini l’inefficacia dei procedimenti penali nei confronti degli autori di gravi violazioni dei diritti umani, ad esempio aggiungendo il delitto di tortura all’elenco di quelli per i quali lo stesso non può essere invocato[2].

 

4. Anche alla luce delle ripetute condanne inanellate dall’Italia a Strasburgo in relazione alle vicende del G8 genovese del 2001[3] e alla pratica sistematica di vessazioni nei confronti dei detenuti problematici del carcere di Asti[4], in occasione delle quali la Corte ha ravvisato veri e propri atti di tortura, le autorità in astratto titolate ad opporre il segreto di Stato a fronte di gravi violazioni dei diritti umani come quelle ravvisate nella sentenza Nasr e Ghali non potrebbero non porsi il problema del rilevantissimo “danno reputazionale” che deriverebbe al nostro Paese dal riconoscimento di nuove violazioni dell’art. 3 CEDU.

In quest’ottica, per riprendere la felice espressione di Elisa Scaroina, è allora possibile ritenere che la decisione del Comitato dei Ministri abbia inferto un duro colpo alla diffusa “convinzione che la tortura, delegittimata ufficialmente, [possa prosperare] negli angoli bui e nascosti delle democrazie, in particolare per opera dei servizi segreti, il nome della superiore esigenza di garantire la sicurezza dei cittadini "[5].

 

 

[1] Cfr. sul punto F.S. Cassibba – A. Colella, Proibizione della tortura, in Ubertis – Viganò (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Torino 2016, pp. 83 e 89, e, anche con riferimento alle sentenze n. 106/2009 e n. 24/2014 della Corte costituzionale e in generale sul tema del segreto di Stato, E. Scaroina, Il delitto di tortura. Attualità di un crimine antico, Bari 2018, pp. 335 ss.

[2] Per una puntuale ricostruzione della disciplina in materia, si rimanda ancora a E. Scaroina, Il delitto di tortura, cit., p. 339.

[3] Corte EDU 7.4.2015, Cestaro c. Italia; Corte EDU 22.6.2017, Bartesaghi, Gallo e altri c. Italia; Corte EDU 26.10.2017, Azzolina e altri c. Italia e Blair e altri c. Italia.

[4] Corte EDU 26.10.2017, Cirino e Renne c. Italia.

[5] E. Scaroina, Il delitto di tortura. Attualità di un crimine antico, Bari 2018, p. 335.