Pubblichiamo di seguito il testo dell’audizione, in data 20 novembre 2024, dell’Avvocato generale presso la Procura generale della Cassazione, Pasquale Fimiani, presso la Commissione giustizia della Camera nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 2084, approvata dal Senato, in materia di "Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione".
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1. La Procura generale della Cassazione non svolge, né coordina, l’attività investigativa.
Viene a conoscenza delle relative questioni o nella trattazione dei ricorsi nelle udienze penali pubbliche e camerali, partecipate e non, avanti alla Corte di Cassazione, ovvero nell’ambito del sistema di attuazione dell’art. 6 del d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106 che riguarda funzioni di vigilanza su aspetti di particolare delicatezza dell'attività del pubblico ministero, quali, in particolare, il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale, il rispetto delle norme sul giusto processo, la puntualità nell'esercizio dei poteri di direzione, il controllo e l’organizzazione da parte dei capi degli uffici requirenti.
In questo secondo contesto, il tema dell’uniformità dell’azione del pubblico ministero nella richiesta dell’autorizzazione alle intercettazioni o delle successive proroghe non si è mai posto, considerata la stabilizzazione di una consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto (infra).
Nell’ambito del rapporto di collaborazione con le Procure generali sono stati invece affrontati in passato aspetti di carattere organizzativo relativi alla gestione dell’attività di intercettazione, con l’emanazione di orientamenti reperibili sul sito dell’ufficio.
Dati i tempi di avviso per l’audizione, non si è potuto sottoporre alla valutazione degli uffici territoriali il testo della proposta di legge in modo da acquisire contributi sulle ricadute della novella sull’efficacia ed efficienza delle indagini. Un’analisi approfondita e completa a tal fine richiederebbe infatti un’attività complessa, inclusiva della ricognizione sulla durata delle intercettazioni, in relazione alle varie tipologie di reato, tenuto conto del doppio binario autorizzatorio per esse previste, nonché della successiva verifica, anch’essa selettiva e statisticamente supportata, se la prosecuzione degli ascolti oltre il termine di 45 produca effetti significativi ai fini delle indagini.
Sono state peraltro registrate, sia pure per le vie brevi, preoccupazioni per l’efficienza investigativa, non tanto per l’introduzione di un termine oltre il quale la prosecuzione delle intercettazioni sia consentita a condizioni più stringenti, quanto piuttosto per la brevità del termine previsto, che si ritiene dovrebbe essere più ampio (indicazioni sono giunte verso un termine di almeno 60 giorni).
Considerazioni accompagnate dal duplice rilievo della progressiva riduzione dei costi per le intercettazioni, anche a prescindere dall’intervento al riguardo del d.m. 6 ottobre 2022 (cfr. pagina 325 della Relazione del Ministro sulla amministrazione della giustizia in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 ), dato che sembra sintomatico di un minor ricorso alla proroga dello strumento, e della mancanza nei Paesi europei di tradizione giuridica vicina all’Italia di una norma analoga a quella che si propone di approvare (si rinvia al dossier n. 60 di aprile 2023 del servizio studi del Senato su “Le intercettazioni: profili di diritto comparato”).
Tanto premesso, il contributo di riflessione che si ritiene di poter offrire riguarda l’impatto della modifica sul sistema normativo vigente nell’applicazione che se ne è fatta secondo i consolidati orientamenti giurisprudenziali.
2. La riforma interviene sull’art. 267, comma 3, c.p.p., quale norma generale in tema di durata delle intercettazioni, ma fa espressamente salvo, considerandolo derogatorio, il regime speciale della durata delle operazioni di intercettazione previsto dall’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991 convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 per i reati di criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del telefono.
Va ricordato che l'ambito di applicazione dell'articolo 13 è stato successivamente esteso:
3. La norma che si intende introdurre andrà ad interferire con un consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale, dovendo il decreto di proroga delle intercettazioni telefoniche avere ad oggetto la persistente attualità delle condizioni di legittimità del provvedimento genetico del mezzo di ricerca della prova, l'onere della sua motivazione (la cui mancanza od apparenza comporta l’inutilizzabilità delle operazioni captative: ex plurimis, Cass., sez. IV, n. 48543/2018) presenta aspetti di minore specificità rispetto alle motivazioni del decreto di autorizzazione e ben può risolversi nel dare atto della constatata plausibilità delle ragioni esposte richiesta del pubblico ministero (ex plurimis, sez. VI, n. 22524/2020 ed ivi rif.).
Questo indirizzo giurisprudenziale è stato affermato per i reati cui si applica l’art. 13, sia di criminalità organizzata (ex plurimis, Cass., sez. II, n. 10644/2024 e sez. VI, n. 12159/2024), sia diversi (ex plurimis, sez. VI, n. 22524/2020, cit., in una fattispecie relativa a reato di corruzione).
Tale affermazione si comprende, perché la norma richiede indizi di reità non "gravi", come l’art. 267, comma 3, c.p.p., bensì "sufficienti" e prevede che l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni (e quindi anche la proroga delle stesse) presupponga la “necessità” del mezzo di ricerca della prova e non, come la norma codicistica, l’assoluta indispensabilità, concetto questo da intendersi, secondo la concorde dottrina (cfr. Cusano-Piro, Intercettazioni e videoregistrazioni, Milano, 2018, 260 ed ivi rif.), quale impossibilità di acquisire la prova in altro modo; la relativa valutazione spetta in via “esclusiva al giudice di merito, la cui decisione può essere censurata, in sede di legittimità, sotto il solo profilo della manifesta illogicità della motivazione” (Cass., sez. II, n. 4205/2019).
Coerente, allora, con la minor intensità nell’art. 13 delle condizioni richieste per l’autorizzazione delle intercettazioni e per la loro proroga, è l’affermazione che quest’ultima delle intercettazioni può effettivamente essere ispirata a criteri di minore specificità.
Lo stesso indirizzo giurisprudenziale è però applicato dalla giurisprudenza anche fuori dalle ipotesi in cui opera l’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991 (cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, n. 48944/2022, sez. II, n. 6895/2022, sez. III, n. 43244/2022 e n. 4212/2024, sez. V, n. 27424/2022).
L’avallo, anche nell’ipotesi di cui all’art. 267, comma 3, c.p.p., ad una minor specificità della motivazione del decreto di proroga è stata oggetto di critiche in dottrina con la considerazione che, trattandosi di uno strumento incidente sulla libertà di comunicazione, “l’essenza della proroga non può meritare incurvature del diritto alla motivazione” (pag. 122), aggiungendo che “occorre sempre la dimostrazione di un ragionamento in qualche modo specifico” [Maggio-Virga, Le richieste e i provvedimenti di autorizzazione, in Maggio (a cura di), La nuova disciplina delle intercettazioni, Torino, 2023, 120]. Altri, in epoca più risalente (Vele, Le intercettazioni nel sistema processuale penale. Tra garanzie e prospettive di riforma, Padova, 2011, 130), auspicavano che fosse il legislatore ad indicare i criteri «specifici in relazione alle modalità e alla durata delle operazioni, al fine di consentire al giudice di controllare la legittimità delle stesse in rapporto al caso concreto, contro un potere di controllo, quale quello attuale, di natura strettamente formale».
La norma proposta si iscrive, evidentemente, in questo filone critico e la sua introduzione comporterà la revisione di tale indirizzo giurisprudenziale in tema di proroga delle intercettazioni per i reati diversi da quelli inclusi nel perimetro di cui all’art. 13 cit.
4. Va subito detto che tale rivisitazione, stante il tenore letterale della novella, dovrebbe riguardare le sole proroghe per la continuazione degli ascolti dopo i 45 giorni e, quindi, a partire dalla terza che, secondo i principi consolidati, dovrebbe intervenire in prossimità della scadenza di tale termine (Cass., sez. VI, n. 7772/2016). Per le prime due proroghe dovrebbe trovare conferma la giurisprudenza consolidata.
Con riferimento alle proroghe successive, vanno evidenziate diverse questioni interpretative sulla portata della condizione secondo cui, per la prosecuzione delle indagini dopo il termine di 45 giorni, è necessaria l’emersione di “elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione”. Questioni con cui appare necessario confrontarsi, considerata l’esigenza di prevenire difformità applicative di una norma la cui inosservanza è sanzionata con la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni (art. 371 c.p.p.).
4.1. La prima questione è se, ai fini della prosecuzione delle intercettazioni dopo i primi 45 giorni, sia sufficiente che gli elementi “specifici e concreti” emergano in un qualsiasi momento ricompreso nel periodo precedente a detto termine, ovvero se sia anche necessario che, durante il singolo arco temporale in cui si sviluppa ciascuna successiva proroga, emergano elementi “specifici e concreti” con carattere di novità rispetto ai precedenti.
Tale seconda opzione sembra essere sottesa alla ratio della nuova disciplina che si intende introdurre, ma anche la prima non appare implausibile.
4.2. Una duplice questione si pone poi per il concetto di specificità degli elementi di nuova emersione (quello di concretezza non pone particolari problemi interpretativi, in quanto riguarda tutti i fatti che non hanno carattere meramente congetturale od ipotetico).
4.2.1. Un primo tema è se la proroga oltre i 45 giorni sia consentita solo se i nuovi elementi emergano dalle intercettazioni, ovvero se le nuove evidenze possano provenire da altri strumenti investigativi. Tale seconda opzione sembra più in linea con l'art. 267, comma 1, c.p.p., che àncora l'autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni all'assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova “ai fini della prosecuzione delle indagini”, condizione che lascia un margine operativo più ampio all’investigatore.
La persistenza di tale condizione e l’assenza di limiti alla platea probatoria di riferimento, sono, nell’attuale regime, elementi necessari e sufficienti ai fini di qualsiasi proroga. In quello proposto nulla cambierebbe per le prime due proroghe. Per quelle successive, aderendo alla tesi restrittiva, verrebbe invece a crearsi un doppio standard probatorio giustificativo del proseguimento degli ascolti, in quanto la condizione di indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini si dovrebbe fondare solo su elementi provenienti dalle intercettazioni e non su altre fonti. Soluzione che potrebbe portare a situazioni all’evidenza incongrue, come nel caso di prova dichiarativa, raccolta in prossimità della scadenza del termine dei 45 giorni, da cui risulti l’imminente consegna di una partita di stupefacente, la quale, seguendo l’opzione restrittiva, non potrebbe giustificare la proroga, trattandosi di elemento raccolto al di fuori delle intercettazioni.
4.2.2. Sempre riguardo al requisito della specificità, si pone l’ulteriore questione su come lo stesso debba essere inteso qualora gli unici elementi di novità siano quelli emergenti dalle intercettazioni, nel caso di pluralità di utenze o di ambienti intercettati, appartenenti allo stesso od a più soggetti.
In una prima opzione, il requisito potrebbe intendersi riferito alle emergenze rivenienti dagli ascolti nel loro complesso e, quindi, essere inteso nel senso di precisione e pertinenzialità rispetto al tema di indagine, con la conseguenza che, ai fini della proroga, sarebbe praticabile una valutazione d’insieme che consenta la continuazione di tutti gli ascolti precedentemente disposti.
In una seconda opzione, la specificità potrebbe ritenersi riferita al particolare oggetto dell’intercettazione, con la conseguenza che la prorogabilità andrebbe esaminata partitamente e dovrebbe essere consentita per ciascuna utenza od ambiente solo se gli elementi di novità siano emersi proprio dalle intercettazioni che li riguardano e non da altre, anche se riferite alla stessa persona.
In questa prospettiva, la nuova norma renderebbe, di fatto, più difficile il protrarsi degli ascolti nella misura necessaria al completamento delle indagini. Occorrerà l'emersione dalle captazioni di elementi “concreti” e soprattutto “specifici”, cioè, pertinenti a quella determinata utenza o a quel contesto in cui è attiva una intercettazione tra presenti.
4.3. Un terzo versante sul quale si potrebbe porre un dubbio interpretativo è se, con la previsione di una espressa motivazione della proroga oltre il 45° giorno, possa trovare conferma il consolidato orientamento di legittimità secondo cui, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, è legittima la motivazione "per relationem" dei decreti autorizzativi o di proroga quando in essi il giudice faccia richiamo alla richiesta del pubblico ministero ed alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, ponendo così in evidenza, per il fatto di averle prese in esame e fatte proprie, l'iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l'adozione del particolare mezzo di ricerca della prova (ex plurimis, da ultimo, Cass. sez. II, n. 36178/2024, che richiama sez. un. n. 17/2000, Primavera e le successive conformi; anche la Corte EDU, 10/04/2007, Panarisi c. Italia, ha affermato che non sussiste violazione dell’art. 8 Cedu nel caso in cui il Gip abbia autorizzato l'esecuzione di intercettazione mediante un provvedimento motivato con il mero richiamo di una nota della polizia giudiziaria menzionata nella richiesta del pubblico ministero).
Nella prassi degli uffici giudiziari, infatti, la proroga delle intercettazioni è un decreto motivato per relationem. Il decreto del gip fa riferimento alla richiesta di proroga del pubblico ministero ovvero all'informativa sottesa alla stessa.
Non pare tuttavia che l’eventuale previsione della necessità che la motivazione sugli “elementi specifici e concreti” debba essere “espressa” escluda la possibilità di continuare ad attingere al modulo della motivazione per relationem.
Anche una motivazione redatta secondo tale modalità, infatti, è da ritenersi espressa.
La motivazione per relationem costituisce una mera tecnica di redazione del provvedimento del provvedimento ed è uno strumento molto utile per giudice nella direzione dell’utilizzo adeguato e razionale del tempo del giudicante.
Pertanto, la necessità, nel modificato art. 267 c.p.p., di una “espressa” motivazione relativa a “elementi specifici e concreti” dimostrativi del permanere dell'assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova, sarebbe garantita dal rispetto delle regole elaborate dalla giurisprudenza in tema di motivazione per relationem; si tratta delle regole individuate dalla giurisprudenza di legittimità e riassunte chiaramente nella sentenza delle sezioni unite Primavera cit., secondo cui la motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando:
Il rinvio all’informativa di polizia o alla richiesta del pubblico ministero integra quindi una motivazione che rispetta l’art. 15 Cost. e l’art. 267 c.p.p. solo se abbia comportato il necessario vaglio critico da parte del giudice, rispettando l’obbligo di valutazione con “cautela scrupolosa” dei provvedimenti autorizzativi dell’intercettazione richiesta già dalla sentenza della Corte Cost. 34/1973, “onde impedire che il diritto alla riservatezza delle comunicazioni telefoniche venga ad essere sproporzionatamente sacrificato dalla necessità di garantire una efficace repressione degli illeciti penali”.
Il giudicante, dunque, ora come nella nuova formulazione, deve mostrare di aver preso in esame e fatto proprio l’atto richiamato (vale quindi il dictum delle sezioni unite Primavera nella parte in cui, in una fattispecie concernente provvedimenti di autorizzazione all'intercettazione di conversazioni e di proroga delle originarie autorizzazioni, hanno affermato che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di motivazione, è sufficiente che dalla lettura del provvedimento si possa dedurre l'"iter" cognitivo e valutativo seguito dal giudice e se ne possano conoscere i risultati, che devono essere conformi alle prescrizioni di legge).
5. Altro tema di riflessione, infine, è se, confermato il doppio regime per l’autorizzazione e la durata delle intercettazioni, la limitazione relativa alla norma generale vada bilanciata con l’ampliamento dello spazio applicativo dell’art. 13 cit. ad altre fattispecie di reato.
Considerato che già nell’attuale assetto normativo la norma si applica a reati diversi da quelli di criminalità organizzata (retro), la prospettiva non appare impraticabile in ambiti nei quali si configurano particolari esigenze di tutela dipendenti: