Pubblichiamo di seguito, con l’autorizzazione dell’Editore, la Prefazione, a firma della Prof.ssa Grazia Mannozzi, a volume di M. Bouchard - F. Fiorentin, Manuale di giustizia riparativa, Giuffrè 2024 (in corso di pubblicazione)
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La letteratura scientifica italiana e internazionale in materia di giustizia riparativa è molto ampia. Si potrebbe dire, anzi, sterminata se alle monografie, ai manuali e ai collettanei, aggiungiamo gli articoli scientifici, le ricerche empiriche, le metanalisi.
Ci si potrebbe chiedere, allora, se sia necessario un ulteriore libro sulla giustizia riparativa.
La risposta è un sì, pieno e convinto, se si tratta di un libro capace di ricostruire il grande affresco della restorative justice con competenza giuridica, attenzione alle fonti sovranazionali, consapevolezza della dimensione storica, sensibilità vittimologica e, soprattutto, atto a gettare un ponte tra un prima e un dopo.
Il prima e il dopo a cui mi riferisco sono individuati dalla linea di demarcazione tracciata, nel sistema giuridico italiano, dalla riforma Cartabia, la quale ha introdotto, per la prima volta nel nostro Paese e, per certi aspetti, in Europa, una disciplina organica (analitica e dettagliata) della giustizia riparativa.
Per illustrare l’importanza e, direi quasi, l’essenzialità di questo “ponte” sul “fiume” della riforma partirò da una considerazione preliminare e da un’osservazione di contesto.
La considerazione preliminare è che il volume di Marco Bouchard e Fabio Fiorentin è un libro ben costruito, completo, solido. Non è – come ci si potrebbe aspettare all’indomani della riforma operata con il d. lgs 150/2002 – un commentario alla riforma, non è focalizzato sui metodi e prassi a discapito delle norme, e non è, d’altra parte, aridamente giuridico. È un libro sulla giustizia o, meglio, sull’esperienza di giustizia che la restorative justice, nella difficile quanto indispensabile complementarità con il sistema penale, può rendere possibile. Della giustizia riparativa viene tracciata con finezza e competenza la parabola evolutiva e vengono illustrati i contenuti, le possibilità concrete, i limiti, la relazione con le dinamiche di victim support.
Il contesto, del tutto peculiare, è dato dal fatto che l’uscita del libro si colloca in una fase storica contrassegnata, come si legge nell’introduzione degli Autori, da un doppio anniversario: quello del “prototipo” di mediazione, ormai unanimemente riconosciuto dalla letteratura nel c.d. Kitchener experiment (primo programma di giustizia riparativa in ambito penale ufficialmente documentato) messo in atto in Canada nel 1974); e quello della fondazione del primo ufficio di mediazione penale italiano, presso il Tribunale per i minorenni di Torino, avvenuto nel 1994.
Due pietre miliari, diverse per ambito geografico e funzione, ma entrambe indispensabili nella fondazione della giustizia riparativa.
Nell’arco di tempo che va dal modello di mediazione per la prima volta applicato nell’Ontario ad oggi, la giustizia riparativa ha fatto, ovunque nel mondo, molta strada. Il paradigma ha acquisito anzitutto uno statuto epistemologico, che gli autori mettono ben in luce nei primi capitoli del volume: definizioni, valori, garanzie sono sottoposti dagli Autori al vaglio delle indicazioni di fonte sovranazionali.
La centralità del concetto di riparazione viene inizialmente declinata nelle sue varianti storiche originarie quali la riparazione alla legge, alla collettività, al colpevole. La giustizia riparativa, intesa come approccio giusfilosofico, assume e trasforma il concetto di riparazione, che riceve linfa delle più recenti elaborazioni incentrate sulla duplice dimensione materiale e simbolica.
Veniamo al confronto tra il prima e il dopo. Il volume offre una panoramica del “prima” attraverso una ricognizione attenta sia al dato concettuale che a quello normativo della restorative justice.
L’analisi meticolosa delle fonti porta, anzitutto, il lettore a comprendere l’importanza del quadro sovranazionale. Quest’ultimo non è presentato come asettico e distante, come prospettiva centralizzata e con effetti meramente regolativi, bensì come risorsa, come fonte di ispirazione, come “bussola” per orientare riforme, come polo significativo per la dialettica tra i livelli di normazione.
Concetti, lessico, prospettive, linee di policy della giustizia riparativa sono analizzati e confrontati sincronicamente e diacronicamente, anche con mirate aperture comparatistiche. Vi è una scelta sapiente di ciò che è essenziale riferire per comprendere la nascita e l’evoluzione della restorative justice quale paradigma di giustizia autonomo e alternativo a quello penale, sia pure chiamato a lavorare, con quest’ultimo, secondo logiche di complementarità.
La ricognizione del dato normativo preesistente alla riforma delineata dal d.lgs. 150/2022 mostra, inoltre, come un paradigma dotato di forza e credibilità intrinseche, come quello della giustizia riparativa, possa funzionare anche secondo le dinamiche tipiche di una community justice, la quale potrebbe persino essere sganciata da una stringente normativa di settore tanto essa è sostenuta (come insegna la comparazione con riferimento a specifici gruppi etnici) a livello comunitario.
Il “dopo”, rispetto alla riforma italiana, è affrontato in modo coerente con le premesse.
Anche e, forse, soprattutto in questa parte dell’opera si stagliano quelli che mi sembrano i tre principali pregi del volume: l’attenzione alla praxis (che è dire ai programmi, ai servizi di giustizia riparativa e alla formazione dei mediatori), l’ermeneutica normativa e il linguaggio.
Sotto il primo profilo, quello della prassi, Bouchard e Fiorentin offrono riflessioni che muovono dalla disciplina organica di recente conio, e perciò dal dato normativo, per aprirsi alla “saggezza pratica” della giustizia riparativa e ai profili di riflessione di taglio criminologico e vittimologico. Qui, da un lato, affiora una straordinaria sensibilità politico-criminale, capace di tener conto di delicati bilanciamenti di interessi facenti capo all’autore del reato, alla vittima e alla comunità; dall’altro lato, emerge una piena consapevolezza dei possibili rischi connessi alle pratiche riparative in termini di “seconda vittimizzazione”.
Quest’ultimo concetto affiora più volte e viene approfondito particolarmente rispetto al ricorso a programmi di giustizia riparativa che prescindono dalla partecipazione della vittima diretta. Di indubbio interesse sono, infatti, le riflessioni, improntate alla scienza giuridico-criminologica e alla prudenza ermeneutica, relative all’ammissibilità/opportunità dei programmi di giustizia riparativa con vittima aspecifica o surrogata, Modelli controversi e non ancora adeguatamente investigati, essi sono stati tra i primi snodi problematici emersi dalla prassi. Ancorché previsti espressamente dal d. lgs. 150/2022, i programmi di giustizia riparativa (la mediazione, in particolare) con vittima surrogata sono suscettibili di chiavi di lettura diverse, a seconda dell’ottica di tutela prescelta, e reclamano pratiche attente e improntate a indiscusse doti di professionalità e sensibilità indispensabili già in capo all’autorità inviante.
Non si esaurisce nel rapporto dualistico autore/vittima, peraltro, la prospettiva di indagine dei due Autori circa i programmi di giustizia riparativa: lo sguardo alla comunità, alla sua problematica individuazione, al suo ruolo reale e potenziale nei percorsi di tipo restorative, getta una luce appropriata sulla riflessione generale in materia di giustizia riparativa.
Un capitolo è dedicato al funzionamento della macchina organizzativa a supporto della giustizia riparativa: centri per la giustizia riparativa, raccordo tra questi ultimi e i servizi di supporto alle vittime, ruolo degli stakeholders (ad esempio la magistratura, in qualità di autorità inviante i casi ai centri per la giustizia riparativa, ma anche il neoistituito ufficio per il processo). In siffatto contesto emergono anche i punti controversi della normativa, relativi – solo per citarne alcuni – all’iscrizione all’elenco dei mediatori esperti, alla natura giuridica dei centri nonché e alle difficoltà che sorgeranno nel tentativo di raccordare i centri per la giustizia riparativa con la preesistente rete di servizi alla persona.
Le norme – e vengo al secondo dei profili sopra enucleati – sono analizzate in un rapporto dialettico incessante non solo con le fonti sovranazionali, richiamate con puntualità nei contenuti e nelle più importanti linee di policy, ma altresì con la Costituzione, con la normativa italiana previgente e con la giurisprudenza. L’interpretazione non è mero esercizio di scienza giuridica ma diventa prospettiva politico-criminale aperta alla duplice dinamica effettività/efficacia della disciplina organica sulla giustizia riparativa. I profili di diritto penale sostanziale si intrecciano a quelli processuali. Il confronto è sempre serrato: lo chiede l’azionabilità dei programmi di giustizia riparativa per qualsivoglia tipo di reato, a prescindere dalla sua gravità oggettiva e soggettiva, e in ogni stato e grado del procedimento penale.
Le perplessità su talune opzioni normative non mancano ma sono esplicitate solo a patto che le stesse abbiano superato sia il vaglio critico della ragione, sia quello dell’esperienza nel campo della tutela delle vittime.
Il terzo pregio del volume è di tipo linguistico, ambito in cui si palesano alcuni tra gli aspetti più interessanti dell’opera.
Non ingannino la semplicità e la piacevolezza di lettura: le pagine scorrono, infatti, una dopa l’altra illustrando concetti, richiamando norme, dipanando argomenti, schiudendo ipotesi per ulteriori approfondimenti, quasi volessero avviare un dialogo sommesso ma attivo con il lettore, fino a sollecitare nuove ipotesi di ricerca. La chiarezza espositiva non è solo una scelta stilistica ma discende da competenze tanto ampie quanto sedimentate, che trapelano da ogni citazione, da ogni rimando interno, da ogni termine sempre appropriato e mai ridondante o incline al preziosismo fine a se stesso. Ma il profilo linguistico riserva vere e proprie gemme preziose quando la riflessione terminologica illumina l’ermeneutica di una luce che solo le parole individuate come pregnanti e disvelate nei loro significati giuridicamente e criminologicamente fondati sanno offrire.
A conclusione di un percorso teorico-ricostruttivo denso e significativo si pongono le pagine dedicate al possibile fondamento costituzionale della restorative justice. Il tema è tanto complesso quanto ineludibile e porta inevitabilmente a spostare l’asse degli interrogativi dalla giustizia riparativa alle strutture e ai fondamenti del penale.
La rieducazione è un principio tale da includere la prospettiva della giustizia riparativa? Gli Autori presentano elaborazioni teoriche e giurisprudenza che costituiscono tentativi forse non del tutto soddisfacenti di risposta.
La forza di tale interrogativo è quella dei fatti irriducibili e ostinati e ricorda al penalista la necessità di fare i conti con la propria “cattiva coscienza” e, al contempo, di guardare alle possibilità di contaminazione tra il diritto penale e le modalità di una giustizia altra, tanto bella da pensare quanto difficile da praticare, soprattutto nei sistemi giuridici dove la pena ha una valenza archetipica e presenta strutture normativamente e storicamente consolidate.