Pubblichiamo di seguito il testo dell'intervento del Presidente della Scuola Superiore della Magistratura e Presidente Emerito della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi in occasione dell'audizione del 19 settembre 2023 presso la Commissione Giustizia del Senato sul disegno di legge n. 808 in merito alla proposta di abrogazione del reato di abuso di ufficio.
Sul tema, segnaliamo altresì che nei giorni scorsi la nostra Rivista ha ospitato anche i testi dell'audizione del prof. Marco Pelissero e del dott. Raffaele Cantone.
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Signora Presidente, Onorevoli Senatrici e Onorevoli Senatori,
la proposta governativa di abrogare il reato di abuso di ufficio, trasfusa nel d.d.l. n. 808/2023, e presente anche nelle proposte C. 339 e C. 654 degli onorevoli Rossello e Pittalis, mi ha sorpreso.
L’abuso d’ufficio costituisce un illecito penale tradizionale nel sistema del codice penale, una tutela dell’imparzialità della pubblica amministrazione, la cui formulazione ha subito di recente varie modificazioni, da ultimo con il d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla l. n. 120 del 2020, sempre con la conferma dell’illiceità penale, che trova oggi riscontro anche in atti internazionali per il contrasto della corruzione. I fatti che la norma è chiamata a punire non sono di poco conto e ben giustificano un intervento del giudice penale, specie in un ordinamento in cui la presenza della pubblica amministrazione tende ad espandersi.
La Relazione al d.d.l. n. 808/2023 motiva l’intervento abrogativo con la considerazione che il numero delle condanne dibattimentali per abuso di ufficio è particolarmente basso (nel 2021 18, più 9 condanne in abbreviato e 35 sentenze di patteggiamento) mentre il numero delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato è alto (4745 nel 2021) e queste per lo più luogo danno luogo ad archiviazioni (4121 nel 2001). Per la Relazione «tale squilibrio tra iscrizioni della notizia di reato e decisioni di merito, rimasto costante anche dopo le modifiche volte a ricondurre la fattispecie entro più rigorosi criteri descrittivi, è indicativo di una anomalia che ha portato alla scelta proposta con il presente disegno di legge». Così, aggiunge la Relazione, «si recuperano risorse al sistema, non impegnando inutilmente l’apparato giudiziario e sollevando l’azione amministrativa ed il singolo indagato dalle ricadute negative derivanti da iscrizioni per fatti che risultano non rientrare in alcuna categoria di illecito penale».
La Relazione però non considera che la definizione con provvedimenti di archiviazione del procedimento cui le iscrizioni hanno dato luogo non comporta di regola un rilevante dispendio di risorse, e anche per questa ragione mi sembra che lo squilibrio tra le iscrizioni nel registro delle notizie di reato e le condanne non giustifichi l’abolizione del reato senza considerare la gravità del fatto e senza darsi carico del significato che viene ad assumere la riconosciuta liceità dei fatti che lo integravano, fatti che nel nostro caso sono considerati penalmente illeciti anche sul piano internazionale.
È possibile, mi chiedo, dare una patente di liceità a condotte, violative di leggi, che intenzionalmente siano economicamente vantaggiose per l’autore o ingiustamente dannose per altri? Quale sarebbe il significato del messaggio inviato alla collettività nazionale e l’effetto nei rapporti internazionali, a fronte, tra l’altro, della convenzione ONU contro la corruzione, che impegna gli Stati membri a prevedere come reato l’abuso d’ufficio? Senza considerare la conseguente questione di legittimità costituzionale per la violazione dell’obbligo internazionale la cui osservanza è imposta dall’art. 117 Cost.
Nella stessa linea della convenzione ONU si muove la recente proposta di direttiva europea sulla lotta alla corruzione, che all’art. 11 impegna gli Stati membri a prevedere come reato l’abuso d’ufficio.
L’indirizzo opposto del d.d.l. n. 808 è stato già censurato in sede europea, tanto che come ricorda il quotidiano La Stampa del 16 settembre la Commissaria agli affari interni dell’Unione Europea, la svedese Ylva Johanson è tornata «ad avvisare il Governo italiano sui rischi che le modifiche normative in questione possano “influire sull’efficacia dell’individuazione e del contrasto della corruzione”». E ha ribadito «che il reato di abuso d’ufficio è uno strumento importante, anche perché riguarda l’esercizio di funzioni pubbliche per conseguire un vantaggio personale».
In realtà, a quanto risulta da numerose dichiarazioni in sede politica, la vera ragione della proposta governativa, più che nello squilibrio tra iscrizioni nel registro delle notizie di reato e condanne e nel perseguito recupero di risorse al sistema, è costituita dalle pressanti richieste degli amministratori pubblici e in particolare dei sindaci, molti dei quali per denunce infondate acquistano la temuta definizione di indagati.
Si dice che gli amministratori pubblici hanno “paura della firma” e che ciò paralizza o ritarda l’azione amministrativa, nel timore dell’apertura di procedimenti penali. Riprendendo un aggettivo usato per i medici si parla di “burocrazia difensiva” o di “amministrazione difensiva”, cioè di comportamenti accompagnati da cautele eccessive che intralciano il normale procedere amministrativo.
Ma basta ciò per cancellare un reato?
È come se per rassicurare i sanitari che molto spesso subiscono denunce infondate da parte dei loro pazienti, per l’esito infausto del trattamento subito, si stabilisse che non si può procedere nei loro confronti per il reato di lesioni colpose.
Molto spesso, come gli amministratori pubblici, anche i magistrati per le denunce infondate relative ai loro processi vengono a trovarsi nella sgradevole e ingiustificata posizione di indagati, ma non mi risulta che per evitare ciò abbiano chiesto l’abrogazione dell’art. 323 c.p., ben consapevoli che un’abrogazione si giustificherebbe solo se per le sue caratteristiche la fattispecie non dovrebbe costituire reato. Ma certo non ha queste caratteristiche la condotta del pubblico ufficiale che, in violazione di specifiche regole di legge, procura intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
Devo aggiungere che in seguito all’entrata in vigore del d. lgs. n. 150 del 2022 il quadro processuale rispetto all’iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p. è significativamente cambiato, infatti perché avvenga l’iscrizione la notizia di reato deve avere particolari caratteristiche prima non previste.
La legge n. 134 del 2021 aveva delegato il Governo a «precisare i presupposti per l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 del codice di procedura penale della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito, in modo da soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni» e il Governo aveva provveduto con l’art. 15 del d. lgs. n. 151 del 2022 modificando l’art. 335 c.p.p. e precisando la componente oggettiva e quella soggettiva della notizia da iscrivere.
La prima è costituita da «un fatto determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice» e la seconda dall’esistenza di indizi a carico della persona alla quale il reato è attribuito.
L’iscrizione nominativa, oltre ad essere garanzia del rispetto dei tempi processuali, è anche causa di pregiudizi di vario genere per l’indagato, sia morali, specie quando si tratta di persone note e la vicenda è trattata dai mezzi di comunicazione, sia anche materiali quando speciali disposizioni ricollegano effetti negativi all’iscrizione, e il legislatore ha voluto che non bastasse l’indicazione in una denuncia per iscrivere automaticamente il denunciato nel registro dell’art. 335 c.p.p., ma che occorressero anche indizi a suo carico. Sarà compito della giurisprudenza stabilire quale debba essere la consistenza di questi indizi ma è certo che dall’esistenza di indizi non si può prescindere. Non è allora arbitrario ritenere che sotto questo aspetto la modificazione normativa, conformemente alla volontà del legislatore, dovrà comportare in genere e in particolare per l’abuso di ufficio, destinato come si è visto per lo più all’archiviazione, una diminuzione del numero delle iscrizioni, perché verosimilmente le notizie pervenute al pubblico ministero non saranno assistite da adeguati indizi.
A un’analoga conclusione dovrebbe pervenirsi anche considerando la modificazione dell’art. 335 c.p.p. relativa alla componente oggettiva.
Nel 2020 la fattispecie dell’abuso di ufficio è stata in vario modo delimitata e sono stati ridotti correlativamente i casi in cui il reato è configurabile: occorre una «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità», oltre all’intenzionale produzione di un ingiusto vantaggio patrimoniale a sé o ad altri o di un danno ingiusto ad altri, e per l’iscrizione nel registro dell’art. 335 c.p. occorre che tutti questi elementi siano presenti. Perciò è prevedibile che anche sotto questo aspetto il numero delle iscrizioni delle notizie di abuso d’ufficio sia destinato a diminuire.
Inoltre, con lo scopo di attenuare gli effetti negativi per l’indagato dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato va ricordata l’introduzione, sempre da parte del d. lgs. n. 150 del 2022, dell’art. 335-bis c.p.p. il quale stabilisce che «La mera iscrizione nel registro di cui all’art. 335 non può, da sola determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito».
Per concludere ferme le considerazioni svolte sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio mi sembra che anche le giustificazioni addotte muovano da una situazione di fatto che sta mutando e che giustificherebbe un supplemento di riflessione, in attesa anche di una definizione del quadro internazionale.