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10 Aprile 2025


L’irrazionalità della pena e del potere punitivo: Intervista al prof. Eugenio Raúl Zaffaroni


Con l'autorizzazione della rivista Ante litteram della Camera penale di Catanzaro, in collaborazione con l’Istituto di studi penalistici “Alimena” dell’Università della Calabria, pubblichiamo l’intervista di Morena Gallo al Prof. Eugenio Raúl Zaffaroni, dal titolo: "L’irrazionalità della pena e del potere punitivo". Il Prof. Zaffaroni è professore emerito di diritto penale e criminologia nell’Università di Buenos Aires, è stato Ministro della Corte suprema Argentina e Giudice della Corte interamericana dei diritti umani. Ha ricevuto oltre 50 lauree honoris causa da Università di 15 Paesi, nonché, tra i tanti altri riconoscimenti, il Premio Jescheck dell’Asociación internacional de derecho penal, il titolo di Grande ufficiale dell’Ordine della Stella della solidarietà italiana, la Gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica federale tedesca, il titolo di Gran maestro dell’Ordine internazionale di criminologia del Ministero della Giustizia francese. L'intervista è a cura della dott.ssa Morena Gallo, dell’Università della Calabria, in contatto con il Prof. Zaffaroni per un periodo di ricerca nell’Università di Buenos Aires sotto la sua direzione.

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Domanda: Professore, grazie per l’opportunità di intervistarla. Innanzitutto, lei sorprende un po’ i penalisti europei sostenendo che la pena e il potere punitivo in generale non rispondono a nessuna delle funzioni che solitamente vengono assegnate. Alcuni dicono che la sua posizione è abolizionista.

Risposta: Non sono un abolizionista. Più di trent’anni fa ho scritto un saggio in amichevole discussione con gli abolizionisti, tradotto in italiano con il titolo «Alla ricerca delle pene perdute» e pubblicato nel 1994. L’abolizionismo postula un vero e proprio cambiamento di civiltà. Se ciò dovesse avvenire, non è una questione di dogmatica penale. Ho cercato di dimostrare solo che il modello punitivo non è un vero modello di risoluzione dei conflitti. Ho solo chiarito che, in questo modello, c’è sempre un po’ di irrazionalità, ma niente di più. Alcuni dogmatici idealisti, però, ritengono che, se nessuna delle funzioni assegnate alla punizione è vera, allora la punizione dovrebbe essere abolita. Ciò è bizzarro: il loro idealismo hegeliano porta loro a credere che tutto ciò che non è razionale non esista o debba scomparire. Il realismo più elementare ci mostra che il mondo è così com’è e che dobbiamo lavorare con il diritto penale nel mondo così com’è e non come vorremmo che fosse e, ancor meno, fingendo di ignorare la reale esistenza di poteri non del tutto razionali o legittimi. Il potere viene esercitato da chi ha il potere di esercitarlo; questo è ciò che la realtà quotidiana ci mostra, oggi più che mai.

 

D: Ma come si può legittimare il diritto penale se la pena non è mai del tutto razionale?

R: Non tutte le pene sono ugualmente irrazionali, c’è un grado di irrazionalità. Nessuno nega che chi uccide o chi rapina a mano armata debba essere messo in prigione, ma con questo non si esaurisce il potere punitivo, basta guardare l’inflazione di tipologie criminali del punitivismo populista dei nostri giorni per verificarne l’espansione. È arrivato a un punto tale che, se si imponesse meccanicamente una pena per ogni azione tipica, credo che dovremmo essere tutti imprigionati, o poco meno. Poiché questa distopia è fortunatamente irrealizzabile, si impone una selezione che, naturalmente, ricade sui più vulnerabili di ogni società.

 

D: Sì, ma questo forse delegittima il lavoro dei penalisti.

R: Quando sostengo che le funzioni assegnate alla pena non sono quelle che essa svolge realmente, ma quelle che ogni penalista vorrebbe che svolgesse, non sto delegittimando la pena, ma chiedo che i penalisti considerino la realtà e non inventino funzioni o modelli di Stato. Nella realtà del mondo, il potere punitivo è un fatto politico, un esercizio del potere politico, un factum politico, come diceva un secolo e mezzo fa il brasiliano Tobias Barreto. Diceva, giustamente, che la punizione è come la guerra: chi ha il potere lo esercita, e non secondo il ‘gusto’ dei penalisti, ma nella misura del suo potere e secondo la sua convenienza. Quando non c’è controllo legale e nessuno pone limiti, questo potere si espande senza limiti. Lo vediamo oggi con le guerre: non c’è nessuno che ponga limiti, gli organismi internazionali sono impotenti. Gli internazionalisti se ne sono resi conto e, con umiltà, hanno smesso di discutere quando la guerra è ‘giusta’ e hanno iniziato a limitarne gli orribili risultati con il diritto internazionale umanitario. I penalisti non hanno avuto questo gesto di umiltà, ma la verità è che quando non ci sono giudici a limitare l’esercizio del potere punitivo, questo si espande come potere puramente poliziesco. O stiamo dimenticando le SS, la Gestapo, il KGB, ecc.? Il compito dei dogmatici è quello di creare sistemi di interpretazione che consentano ai giudici di limitare razionalmente l’esercizio del potere punitivo. Ogni costruzione dogmatica è un vero e proprio programma politico e il contenimento del potere punitivo è ciò che impedisce il genocidio e il totalitarismo. L’indispensabile funzione di contenimento razionale del potere punitivo è ciò che più legittima il diritto penale: siamo la Croce Rossa del momento politico.

 

D: Ma allora qual è la funzione della pena?

R: Alcuni frettolosi difensori della dogmatica penale idealista dicono che io sostengo che la pena non ha alcuna funzione. Non c’è niente di più sbagliato di quello che sostengo. Proprio in quanto factum politico, il potere punitivo è così estremamente multifunzionale che è impossibile conoscerne tutte le funzioni. Nessuno potrebbe farlo, nemmeno i sociologi e i politologi più esperti e smaliziati. Il potere punitivo può modificare i premi assicurativi, il prezzo degli immobili in un quartiere, la preferenza per un modello di auto, il rating di un canale televisivo, la preferenza per un candidato al parlamento, e potrei continuare. Inoltre, la pena non potrà mai avere la stessa funzione in tutti i crimini. Non credo che qualcuno possa credere che il potere punitivo sia lo stesso quando viene esercitato contro uno stupratore seriale e contro un possibile evasore fiscale, che scappa e fa ammenda del suo errore dichiarando ciò che aveva omesso, tornando così a essere un buon cittadino.

 

D: Non conosciamo le funzioni della pena, ma conosciamo i pericoli del potere punitivo?

R: Esattamente, è come l’acqua, quali sono le funzioni dell’acqua? Ce ne sono troppe, ma in certe circostanze sappiamo che dobbiamo arginarla, altrimenti può affogare tutti. L’unica cosa che sappiamo del potere punitivo con assoluta certezza e per sfortunata esperienza storica, è che se non viene contenuto in modo legale e razionale, tracima e spazza via tutto

 

D: Su quali basi viene contenuto, su quale modello di società, e non si tratterebbe di ideologia nel senso negativo del termine?

R: Non sto facendo una ‘macrocritica’ sociale, non sto assumendo il marxismo di Francoforte o cose del genere. Osservo il mondo e vedo che il potere punitivo è ‘selettivo’, nella nostra America, in Europa, negli Stati Uniti, in Cina, ovunque, perché è inevitabile che sia così. Vedo che tende a tracimare, che se non lo contengo si traduce in detenzioni illegali, torture, esecuzioni senza processo, rapimenti, sparizioni forzate di persone, persecuzioni ideologiche, lawfare per squalificare i politici, incursioni nelle ambasciate e così via. Questa è la realtà, non c’è bisogno di essere un esperto criminologo per verificarla, tutti lo sanno. È solo che quando lo dico a qualche collega dogmatico idealista, lui mi dice che sono un ‘criminologo’ e non un penalista, è ovvio che vuole escludermi dalla dogmatica perché do fastidio.

 

D: Ma è vero che lei è un criminologo. Se non sbaglio, lei ha ricevuto il Premio di Stoccolma per la Criminologia, che è qualcosa di simile al Premio Nobel per la materia.

R: Sì, nel 2009. Ho una formazione criminologica e per molti anni sono stato professore di questa materia nella Facoltà di psicologia di Buenos Aires, ma non ho mai smesso di essere un penalista. Le mie pubblicazioni lo dimostrano. Inoltre, i dati che indico sono alla portata di qualsiasi cittadino, solo i penalisti idealisti non li vedono. Ma torno alla sua domanda precedente. I criteri per programmare i sistemi di interpretazione con questi fatti della realtà sono nel diritto positivo stesso: nelle costituzioni e nei trattati universali e regionali sui diritti umani. Non ho bisogno di cercarli nella speculazione filosofica o nella critica sociale. La ‘selettività’ punitiva danneggia l’uguaglianza costituzionale, la detenzione preventiva generalizzata danneggia il principio di presunzione d’innocenza, gli abusi danneggiano i diritti costituzionalmente protetti, ecc. Un diritto penale che limiti l’esercizio del potere punitivo è lo sforzo giuridico più importante per l’efficacia delle norme gerarchicamente più alte dei nostri rispettivi ordinamenti giuridici.

 

D: Ma la pena non ha anche una funzione preventiva, e questo non è previsto dalle stesse Costituzioni?

R: È la stessa funzione preventiva che svolge tutto il diritto. Paghiamo l’affitto per non essere sfrattati, paghiamo i debiti per non essere pignorati, e questo non ha nulla a che vedere con il potere punitivo. Ma credere nella pena come strumento di prevenzione significa creare un idolo onnipotente: metto nelle fattispecie penali tutto ciò che non mi piace e magicamente sparisce. Nei crimini più aberranti la minaccia della pena non ha alcuna funzione preventiva: si può credere che il pervertito che uccide la moglie consulti prima il codice penale per sapere quanti anni di carcere gli costerà il suo crimine? Tale prevenzione funziona in alcuni casi di calcolo costi-benefici, come i reati fiscali, ma non nei casi gravi. Ecco perché, non credendo in questo idolo, in questo falso Dio, chiamo la mia teoria della pena come factum politico ‘agnostica’, non so a cosa serva, né si può conoscere nella sua interezza, non credo nella sua onnipotenza. C’è solo un onnipotente e non è sulla terra.   

 

D: Alcuni ritengono che lei sia sensibilizzato dal modo in cui viene esercitato il potere punitivo in America Latina.

R: È vero che osservo un potere punitivo più dannoso per l’efficacia costituzionale che nell’emisfero settentrionale. Ma questo non mi rende più sensibile, mi dà solo una visione più cruda delle sue caratteristiche. Non cantate vittoria nell’emisfero settentrionale: non è forse vero che la maggioranza dei detenuti negli Stati Uniti è nera, e come se la passano gli africani e gli islamici in Europa?

 

D: La sua posizione è ancora critica nei confronti della dogmatica criminale, vero?

R: No, credo fermamente che non si debba abbandonare il metodo dogmatico. Farlo significherebbe cadere in un pericoloso ‘romanticismo’ e in una pura critica politica. L’unica cosa che critico è che la dogmatica è racchiusa in un idealismo che la porta a suicidarsi, a degradarsi in quella “schifosa scienza” di cui parlava Carrara riferendosi ai pratici. La dogmatica idealista neokantiana si è stancata di inventare funzioni legittimanti per la pena: prevenzione generale e speciale, positiva e negativa, in tutti i manuali possiamo vedere che ogni penalista ha scelto quella che gli piaceva di più e con quella ha eliminato la realtà del mondo. Poiché questo è troppo falso, oggi viene portato all’estremo, almeno da un settore della dogmatica: la pena serve solo a confermare l’efficacia della norma. Sì, della norma penale, e poco importa se allo stesso tempo conferma l’inefficacia della norma costituzionale e internazionale.

 

D: Intende il funzionalismo?

R: Beh, per chiamarlo così. In realtà, di un radicalismo hegeliano retrogrado che si avvicina pericolosamente a costruzioni di altri tempi. Dobbiamo tutti essere “fedeli al diritto”, tornare alla “Rechtstreue”. Tutti dobbiamo fedeltà al diritto e, quindi, ogni crimine è un atto di infedeltà, è un’omissione, omettiamo di rispettare la norma impostaci non solo dalla legge, ma anche dall’etica sociale improvvisamente incorporata nella legge, in ragione del fatto che frodiamo i “ruoli” (di buon vicino, di buon cittadino, ecc.). Ci può essere un crimine senza alcun danno al bene giuridico, perché l’importante è che omettendo di farlo violiamo la “Rechtstreue”. Con la punizione usiamo un essere umano per riaffermare l’efficacia della norma. Mi chiedo se la crocifissione di Gesù Cristo non abbia riaffermato l’efficacia di una norma del diritto romano. Come si vede, l’idealismo dogmatico raggiunge il suo apice, si chiude in sé stesso, crocifigge Gesù Cristo se necessario, dice ai giudici di non tenere conto di alcun dato della realtà sociale, dice loro che l’unica cosa che deve interessarli è ratificare l’efficacia della norma penale nel caso in cui il reo sia stato “infedele” al diritto. L’idealismo dogmatico propone di ignorare la complessità dell’esercizio reale del potere punitivo e di farsi custodi della “fedeltà” dei sudditi – non cittadini – alla legge. In questo modo mira a portarci al grado più radicale di solipsismo giuridico.

 

D: Professore, la ringraziamo per questa opportunità ed è stato veramente un piacere parlare con lei.

R: Sono io che ringrazio voi, l’Istituto di studi penalistici “Alimena” dell’Università della Calabria diretto da Mario Caterini, per le tante e interessanti iniziative che svolgete e che mi hanno visto coinvolto.