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16 Maggio 2020


Osservatorio Corte EDU: aprile 2020

Selezione di pronunce rilevanti sul sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Beatrice Fragasso (artt. 2 e 3 Cedu) e Violette Sirello (artt. 8 Cedu e art. 1 Prot. Add. Cedu).

In aprile abbiamo selezionato pronunce relative a: utilizzo della forza letale da parte delle autorità per sedare una sommossa in carcere (art. 2); limite della proporzionalità nell’utilizzo della forza per eseguire un arresto (art. 3); prelievo di campione biologico ai fini dell’accertamento del DNA (art. 8); tutela del terzo proprietario di immobile soggetto a sequestro conservativo (art. 1 Prot. Add.).

 

 

ART. 2 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 2 aprile 2020, Kukhalashvili e altri c. Georgia

Utilizzo della forza letale da parte delle autorità – repressione di rivolta all’interno di un carcere –  requisito della “assoluta necessità” – violazione

Efficacia, tempestività ed imparzialità delle indagini – violazione

I ricorrenti, tre cittadini georgiani, lamentano la violazione dell’art. 2 Cedu, nei suoi profili sostanziali e processuali, in relazione alla morte di due membri delle loro famiglie, uccisi da colpi di arma da fuoco, nel corso di un’operazione di polizia volta a sedare una violenta rivolta nel carcere dove essi erano detenuti. La Corte accoglie il ricorso, ravvisando innanzitutto una violazione dell’art. 2 Cedu nel suo aspetto processuale, che obbliga gli stati a condurre indagini efficaci, imparziali e tempestive, nell’ipotesi in cui vi sia un sospetto di omicidio (§129-131). Nel caso di specie, le indagini furono aperte tardivamente e, almeno all’inizio, furono condotte in via amministrativa dallo stesso organo che aveva autorizzato l’operazione repressiva (§132); ai ricorrenti, inoltre, non fu consentita la costituzione di parte civile nel processo (§134). Quanto ai profili sostanziali, la Corte richiama la sua giurisprudenza in base alla quale l’uso della forza letale da parte delle forze dell’ordine è giustificato solo se proporzionato rispetto agli scopi menzionati nell’art. 2 § 2 (§ 144). Nel caso di specie – benché la difesa contro la violenza illegale e la repressione di una sommossa rientrino tra gli scopi legittimi indicati dall’art. 2 § 2 (a) e (c) Cedu (§ 150) – il requisito della assoluta necessità non può considerarsi soddisfatto. L’operazione fu infatti condotta in maniera incontrollata e indiscriminata, senza che fossero adottate precauzioni per minimizzare il rischio di vittime e feriti (§ 153). Inoltre, non furono presi in considerazione strumenti di repressione non letali (gas lacrimogeni o cannoni ad acqua) o modalità non aggressive di risoluzione della crisi, quali tentativi di negoziazione con i detenuti insorti (§ 154). Sedata la rivolta, le autorità omisero di fornire un’adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e alcuni di essi subirono ulteriori violenze, nonostante avessero cessato di porre resistenza (§ 155). (Beatrice Fragasso)

Riferimenti bibliografici: T. Trinchera, La Corte europea di fronte alla minaccia di attentati terroristici: tra obblighi di prevenzione e limiti imposti all’uso della “forza letale”, in Riv. it. dir. pen. proc., 2017, p. 1200 ss.; C. Mostardini, Sull’uso letale della forza da parte degli agenti statali: tra obblighi convenzionali e prospettive nazionali, in Riv. it. dir. pen. proc., 2017, p. 1567 ss.

 

ART. 3 CEDU

Corte eur. dir. uomo, sez. V, 30 aprile 2020, Castellani c. Francia

Trattamenti inumani e degradanti – arresto effettuato da unità speciali di polizia – uso di forza fisica non necessaria – presenza di familiari al momento dell’arresto – violazione

Il ricorrente, un cittadino francese, era stato arrestato nel corso di un’operazione condotta da un nucleo speciale di polizia; gli agenti erano irrotti nella sua abitazione e, davanti alla compagna e alla figlia, lo avevano immobilizzato con la forza, percuotendolo a più riprese. Il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 3 Cedu, sostenendo, in primo luogo, che l’utilizzo delle unità speciali per il contrasto a terrorismo e criminalità organizzata non era proporzionato né necessario nei suoi confronti, che era indagato per subornazione. Inoltre, l’uso della forza da parte degli agenti era stato sproporzionato e non necessario, atteso che, come i certificati medici attestano, la violenza era stata esercitata anche successivamente all’immobilizzazione. La Corte accoglie il ricorso, richiamando la sua giurisprudenza in base alla quale viola la dignità umana ogni violenza esercitata dalle forze dell’ordine che non sia motivata da un comportamento pericoloso dei consociati (§53). Nel caso di specie, l’intervento dei nuclei speciali non era giustificato dalla pericolosità del ricorrente e non era nemmeno avvenuto sotto stretto controllo dell’autorità giudiziaria, come previsto dalla normativa nazionale (§59-60). La Corte ritiene, inoltre, che, quando ricorrono ai nuclei speciali, le autorità debbano sempre verificare preventivamente se vi possano essere membri della famiglia presenti al momento dell’arresto, indagine di cui nel caso di specie non vi è traccia (§62). Complessivamente, l’operazione non era stata pianificata né eseguita in modo tale da garantire che l’uso della forza fosse proporzionato rispetto al suo scopo (§63). Infine, le condotte degli agenti – intervenuti in gran numero e dotati di caschi e scudi – erano state molto violente e non giustificate dalla resistenza opposta del ricorrente (§65). (Beatrice Fragasso)

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 14 aprile 2020, Dragan Petrovic c. Serbia

Diritto alla privatezza – perquisizione nel domicilio dell’indagato in presenza di testimoni ad acta e del difensore – modalità di svolgimento idonee a scongiurare rischi di arbitrio da parte della polizia – non violazione – prelievo di saliva dell’indagato ai fini dell’accertamento del DNA – interferenza priva di base legale – violazione

Il ricorrente lamenta una duplice violazione dell’art. 8 Cedu sotto il profilo delle modalità, da un lato, di svolgimento di una perquisizione domiciliare effettuata dalle autorità di polizia (§ 59-61); dall’altro, del prelievo di campioni di saliva nel corso della medesima perquisizione (§ 62-64). Nell’esaminare entrambe le doglianze, la Corte di Strasburgo richiama i propri principi consolidati in materia di tutela del diritto al rispetto della vita privata (§ 69-73). Quanto alla prima, ravvisa la non violazione del canone convenzionale (§ 78), poiché le modalità e le garanzie della perquisizione domiciliare sono chiaramente previste dalla legge nazionale (§ 74) e l’atto soddisfa il fine legittimo della repressione dei reati (§ 75). Inoltre, il provvedimento autorizzativo del giudice è dotato di un sufficiente grado di precisione e l’attività della polizia giudiziaria si è posta nel rispetto dell’autorizzazione medesima (§ 76). Quanto alle garanzie procedimentali, la presenza di testimoni ad acta, del ricorrente e del suo difensore allo svolgimento dell’atto è idonea a scongiurare il rischio di arbitrio da parte della polizia (§ 77). Quanto alla seconda, la Corte europea ravvisa, per contro, la violazione dell’art. 8 Cedu (§ 84). Premesso che il prelievo di saliva costituisce un’interferenza nel diritto alla vita privata e che il consenso dell’interessato al compimento dell’atto è irrilevante, potendo comunque l’autorità procedervi coattivamente ( § 79), la Corte di Strasburgo si sofferma sull’esigenza che l’atto d’indagine abbia base legale e che ne siano prevedibili le conseguenze (§ 80). In particolare, l’ordine che autorizzava la polizia a prelevare un campione di saliva non trova fondamento in alcuna previsione specifica di legge, stante la genericità dei casi e delle relative modalità di compimento (§ 81 e 83). In aggiunta, difetta qualsivoglia documentazione dell’attività investigativa (§ 82). In forza di tali assorbenti argomenti, la Corte europea ritiene non necessario verificare se il prelievo soddisfi uno scopo legittimo e richieda un’interferenza nel diritto fondamentale alla privatezza, proporzionata in una società democratica (§ 84) (Violette Sirello).

Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Perquisizione domiciliare e ricorso effettivo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1749.

 

ART. 1 PROT. ADD.

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 7 aprile 2020, OOO Avrora Maloetazhnoe Stroitelstvo c. Russia

Protezione della proprietà – sequestro conservativo di beni immobili appartenenti al terzo – durata – proporzionalità – automatismi nella rinnovazione della misura – difetto di bilanciamento tra esigenze repressive e tutela degli interessi del terzo proprietario di buona fede – ingerenza eccessiva – violazione

La ricorrente, società d’intermediazione immobiliare, lamenta la violazione dell’art. 1 prot. 1 Cedu in ordine alla durata e alla proroga automatica del sequestro conservativo di particelle di terreno di sua proprietà, effettuato nell’ambito di un procedimento penale a carico di soggetti terzi e ad essa estranei. La misura cautelare, prevista dal codice di procedura penale russo, era stata disposta in quanto ritenuta necessaria dall’autorità nazionale, per soddisfare scopi repressivi nella sede penale e per tutelare le pretese civilistiche dei danneggiati dal reato (§ 12). La ricorrente contesta, anzitutto, che le parcelle immobiliari in sequestro non avevano alcun legame con i delitti ascritti agli indagati, con i quali non intratteneva rapporti. Deduce, quindi, che l’ingerenza nel godimento del proprio diritto di proprietà fosse eccessivamente gravosa. Ripetutamente prolungata per le esigenze del procedimento penale, la misura cautelare si sarebbe tradotta in un sequestro illimitato nel tempo, circostanza che, avendole impedito di esercitare l’attività d’impresa, aveva condotto la società al fallimento (§ 52-56). La Corte di Strasburgo, nel rammentare che l’art. 1 prot. 1 Cedu consente l’emissione di sequestri nell’ambito di procedimenti penali, evidenzia nel contempo come tali misure debbano essere previste dalla legge nazionale, nonché perseguire obiettivi legittimi e proporzionati (§ 60). In particolare, sotto il profilo della legalità e legittimità dell’ingerenza, la Corte ritiene che la sola apertura di una procedura fallimentare a carico della società, terza al procedimento penale, che subisce il sequestro di beni non è di per sé sufficiente a rendere la misura cautelare priva di base legale ai sensi dell’art. 1 prot. 1 Cedu (§ 63). Sul versante della proporzionalità, per contro, la Corte evidenzia che la durata del sequestro non rappresenta il criterio unico e assoluto per valutare l’ingerenza nel diritto di proprietà. Altri fattori devono necessariamente venire in gioco: richiamando i propri precedenti in materia, sono menzionati, a titolo esemplificativo, le esigenze investigative, gli effetti della misura nella sfera giuridica dell’interessato, i mezzi impiegati dalle autorità statuali nell’esercizio della potestà repressiva, l’operatività di garanzie procedurali, anche sul piano delle impugnazioni (§ 69). La previsione interna di controlli periodici e in contraddittorio sul prolungamento del sequestro «sembra» in astratto conforme all’esigenza convenzionale di garantire «un ricorso e una protezione giudiziaria effettiva» ai proprietari terzi rispetto al procedimento penale, i cui beni siano stati colpiti da una misura, nella sostanza, già ablatoria (§ 72). Ciononostante, la Corte rimarca come ogni rinnovazione della cautela reale sia di fatto automatica rispetto a ogni proroga delle indagini, senza che i provvedimenti giudiziari neppure adducano nuovi e specifici motivi che giustifichino il mantenimento del sequestro (§ 73). La valutazione circa la proporzionalità della misura implica, infine, che l’autorità giudiziaria debba tenere conto di ulteriori elementi, quali la buona fede – nel caso di specie, incontestata – della società terza ricorrente. Più precisamente, rileva la mancanza di prova circa la negligenza nell’acquisto delle particelle immobiliari, la connivenza con gli indagati o la conoscenza dell’origine illecita dei beni. Ne segue che il sequestro in parola impone un sacrificio eccessivo al titolare del diritto di proprietà, che abbia subito, a causa della misura, una compromissione irreversibile della propria attività principale (§ 74-76). Per concludere, la Corte di Strasburgo ravvisa la violazione dell’art. 1 prot. 1 Cedu, non avendo le autorità nazionali adottato un «giusto equilibrio» tra le esigenze d’interesse generale e la protezione del diritto fondamentale alla protezione della proprietà (§77) (Violette Sirello).