Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale
A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia
Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Silvia Bernardi (artt. 7 e 10 Cedu) e Francesco Zacché (art. 6 Cedu).
In febbraio abbiamo selezionato pronunce relative a: equità processuale (art. 6 Cedu), con riferimento al mancato esame di un motivo di ricorso da parte della Cassazione, alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nonché all’imparzialità del giudice; successione di leggi penali nel tempo (art. 7 Cedu) con riferimento al principio di irretroattività della legge penale sfavorevole ed ai criteri di individuazione della lex mitior; limiti alla libertà di espressione in caso di discriminazione razziale (art. 10 Cedu)
ART. 6 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I, 6 febbraio 2020, Felloni c. Italia
Processo equo - procedimento di fronte alla Corte di cassazione - inammissibilità del ricorso - mancato esame di una questione in tema di successione nel tempo della legge penale - violazione
Il ricorrente viene condannato in primo e in secondo grado per guida in stato d’ebbrezza, nonostante egli negasse il fatto. Nel successivo ricorso per cassazione, l’imputato lamenta, fra l’altro, l’applicazione retroattiva della l. n. 125 del 2008, con cui era stato modificato l’art. 62-bis c.p. La Corte di cassazione, tuttavia, dichiara irricevibile il ricorso, nel presupposto che tutti i motivi d’impugnazione coinvolgessero questioni di fatto. Da qui, il conseguente ricorso di fronte alla Corte di Strasburgo, fondato sulla violazione dell’art. 6 Cedu: nel dichiarare inammissibile l’impugnazione, secondo il ricorrente, il giudice di legittimità italiano non avrebbe considerato la questione di diritto in tema di successione nel tempo delle leggi penali. La Corte europea condivide tale rilievo, aggiungendo che il provvedimento della Cassazione non fa alcuna menzione alla pena inflitta al ricorrente, né alle circostanze attenuanti, cosa che avrebbe permesso almeno indirettamente di rispondere ai suoi rilievi (§ 28). È dunque violata l’equità processuale (non invece il principio di irretroattività sfavorevole: v. infra, sub Art. 7 Cedu), poiché l’interessato non ha beneficiato d’un esame effettivo delle sue doglianze, né è stato posto nelle condizioni di comprendere le ragioni del loro rigetto (§ 31). (Francesco Zacchè)
C. eur. dir. uomo, sez. III, 25 febbraio 2019, Paixão Moreira Sá Fernandes c. Portogallo
Equità processuale – condanna per la prima volta in appello senza rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – carente motivazione della sentenza d’appello – imparzialità del giudici d’appello – violazione
Il ricorrente, un avvocato, registra di nascosto un cliente che gli propone un affare illecito. Divenuto agente infiltrato per conto della polizia, ottiene informazioni utili ai fini del processo contro l’ex cliente. Quest’ultimo, però, denuncia il ricorrente per la registrazione illecita. Il conseguente processo di primo grado si conclude con un’assoluzione, mentre, in secondo grado, la corte riconosce l’imputato responsabile del delitto contestato, ignorando completamente il ruolo giocato dal ricorrente nell’altro procedimento e, al contempo, rinviando al giudice di prime cure il compito di determinare la pena. La sanzione da quest’ultimo irrogata viene, quindi, impugnata di fronte alla corte d’appello dal ricorrente, nel cui collegio siedono due giudici che componevano anche la corte di secondo grado che lo aveva in precedenza giudicato colpevole. La Corte di Strasburgo ravvisa nella vicenda in oggetto tre violazioni dell’art. 6 comma 1 Cedu. Anzitutto, la condanna per la prima volta in appello è avvenuta senza la riapertura dell’istruttoria dibattimentale (§ 65). In secondo luogo, nel condannare l’imputato, la corte d’appello non ha motivato la sentenza in maniera sufficiente, spiegando la ragione per cui non si poteva escludere, o quantomeno attenuare, la responsabilità del ricorrente che aveva agito all’interno di un programma contro la corruzione (§ 78-79). Quanto all’appello sull’entità della pena, infine, due giudici su tre non erano in grado di assicurare la dovuta imparzialità: non solo era stata rigettata la loro richiesta di astensione, ma essi avevano in precedenza minacciato il ricorrente d’intraprendere un’azione disciplinare nei suoi confronti, senza dimenticare che l’imputato aveva rilasciato alla stampa dichiarazioni critiche su di loro (§ 90-91). (Francesco Zacchè)
Riferimenti bibliografici: H. Belluta, Overturning the acquittal in appello e giusto processo: la Corte europea esige la rinnovazione della prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 886 ss.; L. Pressacco, Imparzialità del giudice e responsabilità del magistrato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 1837 ss.
C. eur. dir. uomo, sez. V, 20 febbraio 2020, Krebs c. Germania
Presunzione d’innocenza - sospensione condizionale della pena - diniego fondato su affermazioni di colpevolezza per reati ancora sub iudice - violazione
Il ricorrente è accusato di aver commesso decine di truffe attraverso l’uso di internet. Rinviato a giudizio, viene condannato senza concessione della sospensione condizionale della pena, a causa dei suoi trascorsi criminali. Durante l’appello, viene aperto un ulteriore procedimento per un’altra serie di truffe, in relazione alle quali un ufficiale di polizia testimonia nel corso del dibattimento in corso. Anche il giudice di secondo grado conferma la condanna, negando il beneficio della sospensione della pena. Ma lo motiva riferendosi espressamente alla pericolosità del ricorrente, dovuta alla sua colpevolezza per i reati ancora sub iudice. È agevole qui per la Corte europea riscontrare la violazione della presunzione d’innocenza garantita dall’art. 6 comma 2 Cedu (§ 52-58). (Francesco Zacchè)
Riferimenti bibliografici: V. Vasta, Presunzione di innocenza e pubblicità extraprocessuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1061 ss.
ART. 7 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I, 6 febbraio 2020, Felloni c. Italia
Principio di irretroattività della legge penale – mancata concessione delle attenuanti generiche e applicazione retroattiva in malam partem dell’art. 62-bis comma 3 c.p. – non violazione
Il ricorrente, cittadino italiano, era stato condannato per il reato di guida in stato di ebrezza senza ottenere la concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis c.p. Costui ricorreva innanzi alla Corte eur. dir. uomo lamentando la violazione dell’art. 7 § 1 Cedu, sostenendo che la pena concretamente inflittagli fosse stata irrogata sulla base di una legge penale più severa rispetto a quella esistente al momento del fatto, in quanto nei suoi confronti era stato applicato retroattivamente l’art. 62-bis comma 3 c.p. (norma introdotta dalla legge n. 125 del 2008 che prevede che l’assenza di precedenti condanne non possa essere, da sola, posta a fondamento della concessione delle attenuanti generiche). La Corte europea, pur riconoscendo una violazione dell’art. 6 Cedu (v. supra), nega la sussistenza di una violazione dell’art. 7 Cedu, osservando che il diritto interno vigente al momento del fatto comunque non prevedeva che in caso di incensuratezza dell’imputato le attenuanti generiche fossero automaticamente applicabili; al contrario, l’assenza di precedenti penali era solo uno degli elementi che dovevano essere presi in considerazione dal giudice (§ 46). Nel caso del ricorrente, in effetti, i giudici di merito avevano escluso l’applicabilità delle attenuanti generiche tenendo conto di una pluralità di elementi, compreso il fatto che questi non avesse dimostrato alcun segno di pentimento nel corso del procedimento e, anzi, avesse nel frattempo commesso un ulteriore illecito del medesimo tipo. La mancata concessione delle attenuanti generiche, dunque, era stata l’esito non di un’applicazione retroattiva del neo introdotto art. 62-bis comma 3 c.p., ma di un bilanciamento di tutti gli elementi che acquisivano rilevanza già in base al diritto vigente al momento della condotta (§§ 48-51). (Silvia Bernardi)
C. eur. dir. uomo, sez. IV, 18 febbraio 2020, Jidic c. Romania
Principio di retroattività della legge penale favorevole – individuazione della lex mitior in concreto (anziché attraverso il confronto astratto tra norme incriminatrici) – non violazione
Ricorrente in questa vicenda è un cittadino romeno, autista di professione, condannato dai giudici interni per guida in stato di ebrezza. Mediante ricorso alla Corte eur. dir. uomo, costui lamentava che il giudice di ultima istanza al momento della condanna avesse omesso di applicare retroattivamente la legge penale più favorevole, sopravvenuta rispetto alla commissione del fatto in occasione di una riforma del codice penale nazionale, con ciò violando l’art. 7 Cedu (§ 62). La Corte europea ricorda anzitutto che, come chiarito dalla Grande Camera nella pronuncia Scoppola c. Italia del 17 settembre 2009, tra le garanzie di cui all’art. 7 Cedu deve ritenersi implicitamente ricompreso anche il principio di necessaria retroattività della legge penale più favorevole (§ 80); ciò nondimeno, nella vicenda di specie il ricorrente sosteneva che la lex mitior andasse determinata in astratto, considerando la pena edittale comminata dalla norma, mentre i giudici interni che avevano pronunciato la sentenza di condanna avevano invece tenuto conto della pena da irrogare in concreto, alla luce di tutte le circostanze del caso (§ 84). La Corte europea ritiene di non poter condividere gli argomenti del ricorrente: viene infatti messo in luce che l’individuazione della legge penale più favorevole ai fini dell’applicazione dell’art. 7 Cedu non dipende dal confronto in astratto tra le norme, ma ciò che rileva è se, all’esito della concreta valutazione della condotta contestata da parte del giudice, l’applicazione di una legge in luogo dell’altra abbia in concreto sfavorito l’imputato al momento della condanna (§ 85; in questo senso, in precedenza, anche la sentenza della Grande Camera Maktouf e Damjanovic c. Bosnia Erzegovina del 18 luglio 2013, §§ 69-70). Di conseguenza, benché il reato di guida in stato di ebrezza previsto dal nuovo codice penale rumeno comminasse la pena pecuniaria in alternativa a quella detentiva e invece la norma incriminatrice vigente al momento del fatto prevedesse la sola pena detentiva, dalla mancata applicazione della legge sopravvenuta non discendeva alcuna violazione delle garanzie di cui all’art. 7 Cedu, atteso che comunque i giudici di merito avevano in concreto irrogato la pena detentiva nel suo massimo edittale, considerandola adeguata rispetto alla gravità della condotta oggetto di giudizio (§§ 92-98). (Silvia Bernardi)
ART. 10 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. III, 11 febbraio 2020, Atamanchuk c. Russia
Libertà di espressione – crimini d’odio – discriminazione razziale – non violazione
Il caso sottoposto alla Corte europea concerneva un imprenditore e politico russo (oltre che fondatore di un giornale a livello locale) che, in un articolo a sfondo politico a sua firma, aveva utilizzato parole sprezzanti nei confronti delle minoranze etniche presenti nel Paese, accusandole di condotte criminali e di essere parte di un “complotto” finalizzato alla progressiva distruzione della nazione. A causa di ciò, costui era stato condannato al pagamento di una multa – con sanzione accessoria dell’interdizione dall’esercizio di ogni attività giornalistica o editoriale per il periodo di due anni – per incitamento all'odio e all'inimicizia e per aver degradato la dignità umana di un gruppo di persone a causa della loro etnia, lingua, origine o credenze religiose; egli, pertanto, ricorreva alla Corte eur. dir. uomo, sostenendo che la condanna subita integrasse una violazione dell’art. 10 Cedu, avendo leso la sua libertà di espressione (§ 31). Nell’esaminare il ricorso, la Corte rammenta che le interferenze con la libertà di espressione dell’individuo violano l’art. 10 Cedu qualora non ricorrano le condizioni richieste dal relativo § 2; in proposito, rilevato che l’esistenza di una base legale non era messa in discussione nel caso di specie, i giudici europei considerano che l’interferenza dello Stato russo nell’esercizio della libertà di espressione del ricorrente poteva ritenersi finalizzata al perseguimento di uno scopo legittimo, ossia la tutela dei diritti e della dignità delle minoranze oggetto di discriminazione per motivi razziali nell’articolo contestato (§§ 39-45). Nel vagliare poi se questa fosse altresì “necessaria in una società democratica”, la Corte osserva che le parole del ricorrente, pur non incitando apertamente all’odio o alla violenza, erano di per sé in grado di suscitare emozioni negative e pregiudizi contro la popolazione locale di etnia non russa: lo Stato russo aveva pertanto agito nei limiti del proprio margine di apprezzamento e, peraltro, la sua reazione, tenuto conto delle sanzioni applicate, appariva in concreto proporzionata rispetto alle circostanze del caso concreto (§§ 64-65). Per questo motivo, la Corte esclude l’esistenza di una violazione dell’art. 10 Cedu (§ 73); si segnala, sul punto, l’esistenza di un’opinione dissenziente, a firma del giudice Georgios A. Serghides. (Silvia Bernardi)
Riferimenti bibliografici: G. Spinelli, Secondo la Corte europea, il reato di vilipendio alla Corona non merita la pena detentiva: il caso Stern Taulats e Roura Capellera c. Spagna, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 3/2018, p. 1841; G. Spinelli, La tutela della pace religiosa interna può giustificare limitazioni alla libertà di espressione, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2019 p. 666.