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15 Settembre 2021


Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella risponde alle domande di alcuni ragazzi dell'Istituto penale per i minorenni di Nisida


Pubblichiamo di seguito le risposte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alle domande di alcuni ragazzi in occasione della visita all'Istituto penale minorile di Nisida (NA), lo scorso 11 settembre, insieme alla Ministra della Giustizia Marta Cartabia, il cui intervento – richiamato dal Presidente della Repubblica – può essere letto qui

 

Domanda: Buongiorno Signor Presidente. Perché è venuto a far visita ai ragazzi di Nisida?

Presidente: Siete, in grande parte, cittadine e cittadini italiani. Qualcuno fra voi è di altra nazionalità ma vive in Italia. Con la gran parte quindi siamo concittadini, ma anche gli altri sono nel nostro Paese.

Io sono il Presidente della Repubblica. Sono anche il vostro Presidente, rappresento anche voi.

Non è sufficiente che io senta di rappresentare voi, come i vostri coetanei al di fuori di quest’isola. Io ho il compito, il dovere – l'interesse anche – e l'attenzione di occuparmi e preoccuparmi della vostra condizione, come di quella dei vostri coetanei che sono – ripeto – fuori da questa isola. E di occuparmi e preoccuparmi anche del vostro futuro.

Vedete, ciascuno di noi – lo ricordava poc'anzi la Ministra Cartabia, che ringrazio – è titolare di un’esperienza umana unica e non ripetibile. Ciascuno di noi ha un percorso umano assolutamente irripetibile. E quindi prezioso. Prezioso non soltanto per ciascuno, per se stessi, ma prezioso per la comunità, per il contributo che si può recare alla comunità, che si deve recare alla comunità.

Per questo, qui c'è una grande e intensa attività che cerca di orientare verso attività che contribuiscono alla vita sociale.

Ecco, il mio compito è questo: preoccuparmi della vostra condizione e del vostro futuro, così come di quello dei coetanei che sono altrove, in qualunque parte del nostro Paese. E far capire che mi occupo e mi preoccupo anche della vostra condizione.

Questo è il motivo, è molto semplice.

 

Domanda: Presidente, quando l'Italia ha segnato che emozione ha provato? Quando poi, alla fine della partita, i calciatori inglesi si sono tolti la maglia e la medaglia lei si è dispiaciuto?

Presidente: Il goal è stato una liberazione. Sapete, lo stadio di Londra, Wembley, è uno stadio particolare. Era stracolmo, comprensibilmente, di tifosi inglesi che aspettavano la vittoria della loro squadra, con un tifo assordante, perché non hanno fatto che cantare e gridare per sostenere i loro calciatori dall'inizio alla fine, non c'è stato un istante in cui ci fosse un po' di silenzio, c’era un frastuono, un rumore costante, e il goal dell’Italia è arrivato dopo un'ora di attesa.

Io ho apprezzato molto quello che facevano i nostri calciatori perché dopo il contraccolpo, lo shock del colpo subito a freddo all'inizio, hanno cominciato a giocare bene, non si sono dedicati a commettere falli, ad essere scorretti, ad aggredire gli avversari, hanno cercato di giocare bene e lo hanno fatto.

Accanto a me c'era il Presidente della Federazione Giuoco Calcio che mi ha detto, a un certo punto, durante il primo tempo: ‘Presidente, i nostri stanno giocando meglio degli inglesi; se facciamo un goal e pareggiamo, vinceremo la partita’. E aveva ragione.

Quindi quel goal è stato una liberazione, è stato coinvolgente anche per me, ma è stato anche una sottolineatura dello sport, proprio perché i nostri calciatori hanno giocato correttamente impegnandosi. E giocando bene hanno in questo modo reso onore allo sport.

Anche per questo mi ha colpito quella scelta di alcuni calciatori inglesi di togliersi la medaglia d'argento dal collo. Non tutti, alcuni fra loro l’hanno mantenuta, due o tre l’hanno mantenuta.

Capisco la delusione: erano convinti di vincere giocando nella loro città, nella loro capitale. Dopo il primo rigore sbagliato dall'Italia erano convinti di vincere, probabilmente, quindi la delusione era forte. Ma nessuna delusione, nessun rammarico può superare il senso della sportività. Per questo ho apprezzato quelli tra gli inglesi che hanno mantenuto la medaglia, ma non tanto per rispetto alla squadra italiana che con la medaglia d’oro al collo non aveva questo problema, ma per rispetto alle altre squadre che avevano partecipato e avrebbero potuto anche meritare di essere in finale.

Qualcuno di voi forse ricorderà che la Spagna e la Danimarca nella semifinale avevano giocato bene, meritavano di essere finale anche loro. Togliersi, come sottovalutando, la medaglia del secondo posto è stato anche una mancanza di riguardo nei confronti delle altre squadre.

Però nel nervosismo della partita questo si può perdonare, non bisogna sottolinearlo troppo, l’importante è stata nel complesso l'affermazione dello sport che è venuta fuori da quella giornata.

Per questo sono stato contento del goal, perché l’Italia pareggiava, si avviava a vincere, ma lo sport stava veramente affermandosi. Grazie.

 

Domanda: Buongiorno Signor Presidente, come mai i detenuti devono essere etichettati a vita anche se hanno dato prova concreta di adesione al programma di riabilitazione prevista dall'articolo 27 della Costituzione?

Presidente: Questa è una bella domanda, ed è particolarmente impegnativa.

Parto da una cosa che avete sentito certamente altre volte: in qualunque comunità inclusiva vi sono delle regole. Anche nel gioco del calcio, se un calciatore sgambetta un avversario a metà campo c'è una punizione, se lo fa vicino alla porta c'è un rigore.

Ogni comunità in cui si vive insieme ha delle regole. Nel nostro Paese, come in tutti gli Stati queste regole sono le leggi.

Le leggi un tempo erano decise dal sovrano, dal re o dai nobili nel loro territorio. Adesso decide il Parlamento eletto dai cittadini e quindi sono regole scelte dalla maggioranza dei cittadini.

La violazione di queste regole crea una rottura nel patto sociale di osservare le regole per vivere insieme, e la collettività reagisce in maniera graduata a seconda del tipo di violazione, della gravità della violazione.

È vero che la detenzione rimane come traccia nel casellario giudiziario, non nei documenti, nel casellario. Però questo non va sopravvalutato e non può diventare in alcun caso una sorta di marchio che rimane, preclude o fa emarginare.

Faccio un esempio un po' banale. Quella frattura, quella violazione di regole, è un po' come quando ci si ferisce: l'organismo reagisce per chiudere una ferita.

Quasi tutti abbiamo delle cicatrici; io ne ho una qui. Avevo tre anni, sono caduto dalle scale. Ricordo ancora il dolore dell'intervento che mi hanno fatto per mettere dei punti e a distanza di tanti decenni non ci faccio più caso e nessuno ci fa caso, anche perché col tempo la cicatrice va scomparendo.

Ecco, questo è la detenzione: una cicatrice che nel corso del tempo scompare non va considerata più perché non è la caratteristica della persona.

Per questo è importante, al di là della permanenza nel casellario giudiziario della traccia della detenzione, che questo non sia in alcun caso motivo di emarginazione, di accantonamento, di preclusione.

Vi sono tante persone che hanno avuto esperienze di detenzione e sono pienamente inserite con successo anche nella vita; non è soltanto nei film che questo avviene, avviene nella realtà anche nel nostro Paese.

Quello che è importante – ed è il dovere dello Stato, e sono qui per riaffermarlo – che questo non si tramuti in alcun caso in una sorta di macchia indelebile, perché non è così, è una cicatrice che scompare, perché lo Stato ha il dovere di agevolare il reinserimento, il protagonismo nella vita sociale. Ciascuno di noi, ciascuno di voi, ha un'esperienza umana non ripetibile che può contribuire in maniera preziosa, importante nella vita di tutti.

Questa prospettiva va garantita, e va garantita però non a parole, va garantita nei comportamenti dell'ordinamento con i suoi interventi, le sue regole, le sue procedure, le sue iniziative, e con il comportamento sociale delle altre persone, con la fiducia – poc'anzi la Ministra parlava di speranza – ripeto anch'io con la speranza e la fiducia che occorre avere e sviluppare in maniera particolarmente forte.

Questo mi sento di rispondere a questa domanda così interessante, partendo – ripeto – dal valore di ciascuna persona. Grazie per avermela fatta.

Quel che ho detto non può limitarsi naturalmente alle parole del Presidente della Repubblica, deve essere tradotto in concreta realtà, in comportamenti reali nella vita sociale.

Poc'anzi ho visto, insieme alla Ministra, alcuni laboratori in cui siete impegnati. Sono rimasto ammirato dalla qualità dei risultati che consente una proiezione di ottimismo, di fiducia per il protagonismo sociale nel futuro.

Io mi permetto di incoraggiarvi a sviluppare molto questo, per garantirvi un futuro che sia costruttivo e protagonista nella vita sociale.

Ho visto alcuni disegni, sulle mura, di gabbiani che volano liberi sopra il mare; sono tutte immagini che ho ritrovato anche in qualche disegno di ceramica, che sono il vostro futuro in cui spiegare le vostre capacità di protagonismo sociale dell'avvenire.

Vi faccio per questo molti auguri ragazzi, molti davvero, ripetendovi l'apprezzamento per quello che ho visto nell'impegno che spiegate nei laboratori.

Auguri ragazzi, davvero con molta intensità e con grande fiducia nei vostri confronti.