Pubblichiamo il testo dell’intervento di apertura della Ministra della Giustizia, Prof.ssa Marta Cartabia, all’incontro con i capigruppo della Commissione Giustizia della Camera, svoltosi al Ministero della Giustizia, nella Sala Livatino, il 10 maggio 2021, in occasione della presentazione dei lavori della Commissione di studio (Pres. Lattanzi) sulla riforma del processo penale, della prescrizione del reato e del sistema sanzionatorio. La relazione finale della Commissione Lattanzi può leggersi in questa Rivista, unitamente all'articolato con le proposte degli emendamenti al disegno di legge A.C. 2435, attualmente all'esame della Commissione Giustizia della Camera.
1. Saluto e ringrazio il Presidente Giorgio Lattanzi e, per suo tramite, la Commissione, perché hanno fatto un lavoro intensissimo, impegnativo, qualitativamente molto alto e in un tempo molto breve, di poche settimane. Saluto il Presidente On.le Mario Perantoni e tutti i capigruppo della Commissione Giustizia della Camera. Saluto i sottosegretari presenti, On.le Francesco Paolo Sisto e On.le Anna Macina. Saluto il Ministro per i Rapporti col Parlamento On.le Federico d’Incà.
Questo incontro, analogo a quello che abbiamo svolto dieci giorni fa per il processo civile, è volto a favorire un primo scambio di opinioni sulle linee fondamentali delle proposte elaborate dalla Commissione di studio presieduta dal Presidente Lattanzi in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, e di prescrizione del reato.
Per me è importante assistere a questa esposizione – per la Commissione di studio parleranno, dopo il Presidente Lattanzi, la Dott.ssa Concetta Locurto (Vice Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero) e il Prof. Gian Luigi Gatta (Vice Presidente della Commissione) – ed è fondamentale ascoltare e prendere nota delle opinioni, delle considerazioni, delle criticità e del grado di condivisione che emergeranno dagli interventi dei capigruppo della Commissione giustizia.
Solo alla luce di questi elementi saranno messe a punto – nei prossimi giorni – le proposte di emendamenti che il Governo presenterà alla Camera.
Il mio compito oggi, dunque, è prevalentemente quello di ascoltare. Ma non posso esimermi dal condividere con voi alcune brevi considerazioni e riflessioni che a mio parere debbono rimanere sempre ben presenti nell’orizzonte del nostro lavoro.
2. Il grande problema – che domina i dibattiti della giustizia italiana – è quello della durata dei processi. Il fattore tempo è al centro delle preoccupazioni dei cittadini, delle istituzioni europee, degli attori economici. Il fattore tempo è e deve essere al centro delle proposte di riforma che stiamo intraprendendo.
Vorrei che riflettessimo sul fatto che l’eccessiva durata dei processi determina, non uno, ma due distinti ordini di disfunzioni, che costituiscono, allo stesso tempo, violazioni di principi costituzionali ed europei.
Il primo è quello dell’eccessivo numero di processi che si concludono con la prescrizione, più volte rimproverataci da molti organi internazionali di monitoraggio. Con la prescrizione, la domanda di giustizia da parte delle vittime rimane frustrata. Con la prescrizione dovuta a processi eccessivamente protratti nel tempo, lo Stato in fondo manca al suo compito di assicurare l’amministrazione della giustizia. Ma questo è solo un lato dei problemi determinati dai tempi della giustizia.
Il secondo è quello della violazione del fondamentale diritto degli imputati alla ragionevole durata del processo. Un diritto garantito dalla Costituzione – art. 24 e 111 – oltre che dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si tratta di un diritto che affonda le sue radici nell’esigenza di assicurare il rispetto effettivo della presunzione di innocenza (o di non colpevolezza come dice la Costituzione italiana), perché se è vero che per l’ordinamento giuridico la persona non può essere considerata colpevole fino alla sentenza definitiva di condanna, non è men vero che, sul piano dell’effettività, con l’apertura di un processo penale l’imputato – specie se il fatto è reso pubblico nel circuito mediatico – è esposto a un giudizio (o meglio a un pregiudizio) di colpevolezza sociale che può avere gravi ripercussioni sulla sua reputazione, sulle sue relazioni personali e sociali, sull’attività economica e su molti altri aspetti della vita della persona.
3. Giudizi lunghi recano un duplice danno alla giustizia: frustrano la domanda di giustizia e ledono le garanzie della giustizia. Le cose vanno di pari passo.
Occorre dunque intervenire sui tempi del processo penale per due, apparentemente opposte, ma concomitanti ragioni: per assicurare che giustizia sia fatta; per contenere i rischi che il processo, anziché luogo di garanzia, si trasformi in un anticipo di pena, quanto meno sul piano sociale.
Sapete quanto poco mi piacciano gli eccessi, ma volendo prendere a prestito i termini spesso eccessivi del dibattito che si è arroventato intorno alla giustizia penale negli ultimi decenni, dovremmo dire che – paradossalmente – sulla realizzazione di processi in tempi brevi dovrebbero convergere gli interessi, e l’impegno, tanto dei cosiddetti giustizialisti, quanto dei cosiddetti garantisti.
4. A queste ragioni ne aggiungo una ulteriore, niente affatto secondaria. Ed è un punto sul quale dovremmo veramente sempre mantenere alta la nostra consapevolezza. Negli ultimi giorni si sta meritoriamente accendendo l’attenzione sul fatto che sulla durata dei processi il Governo si gioca tutto il Recovery, non solo la parte legata alla giustizia. È proprio così. Quanto a investimenti, nel Recovery la giustizia vale l’1%. Ma se falliamo le riforme sulla giustizia è travolto il 100% del Recovery. Perché la Commissione europea ha imposto al governo italiano alcune condizioni per ottenere i 191,5 miliardi dei fondi NextgGeneration EU.
Per quanto riguarda la giustizia gli obiettivi sono chiari: in cinque anni dobbiamo ridurre del 40% i tempi dei giudizi civili e il 25% della durata dei giudizi penali. Sono obiettivi – lo sa chi opera nella giustizia – davvero ambiziosi.
Inoltre, entro la fine del 2021 devono essere approvate le leggi di delegazione per la riforma del processo civile, penale e del CSM.
Vorrei che fosse chiara la responsabilità che abbiamo anzitutto noi – esponenti del Governo e rappresentanti politici in Parlamento. Se non approveremo queste tre importanti leggi di delegazione entro la fine dell’anno (anzi prima della sessione di bilancio autunnale), mancheremo a un impegno assunto con la Commissione per ottenere le risorse europee. La posta in gioco sono le risorse del Recovery.
Vorrei che fosse anche chiara la responsabilità di tutti gli attori del mondo della giustizia – procuratori, giudici, avvocati – rispetto a questi obiettivi: se non accetteremo di cambiare le nostre abitudini, il nostro modo di svolgere i nostri compiti istituzionali e professionali, se opporremo resistenze ai cambiamenti, mancheremo gli obiettivi che la Commissione ci richiede quanto alla durata dei processi, e quindi l’Italia dovrà restituire quella imponente cifra che l’Europa sta per immettere nella vita economica e sociale del paese.
5. Le riforme della giustizia sono condizione perchè arrivino in Italia – attenzione: non i 2,3 mld del PNRR destinati alla giustizia, ma i 191,5 miliardi destinati a tutta la rinascita economica e sociale italiana. E soprattutto destinata ai giovani, alle nuove generazioni. Chi si sottrae al cambiamento si dovrà assumere la responsabilità di mancare una occasione così importante per tutti.
Mi rendo conto, e lo avverto sulle mie spalle, che l’impresa è titanica. Nessuno ce la può fare senza il contributo, l’impegno, l’entusiasmo, la disponibilità di tutti – tanto a livello politico quanto a livello giudiziario.
Rispetto a questo obiettivo non possiamo guardarci come avversari. Avremo idee diverse, ci confronteremo. Ma l’obiettivo è un’impresa corale che chiede la condivisione da parte di tutti. Siamo compagni di strada rispetto a questo obiettivo e dobbiamo farcela. Non solo per la giustizia ma per tutto il nostro paese e per le nuove generazioni.
Con questo negli occhi possiamo iniziare ad ascoltare i lavori della Commissione che davvero ringrazio enormemente. Ringrazio anche l’Ufficio legislativo del Ministero, sul quale si sta riversando un numero rilevante di riforme, oltre al lavoro ordinario.