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03 Maggio 2024


Dall’Europa del populismo penale all’Europa dei diritti fondamentali: la riscoperta della funzione rieducativa come essenza riformatrice del sistema sanzionatorio per le persone e per gli enti

Presentazione e risultati del Progetto di ricerca EuriPen, Università di Catania



Pubblichiamo di seguito il testo della presentazione dei risultati del Progetto di ricerca EuriPen "Dall’Europa del populismo penale all’Europa dei diritti fondamentali: la riscoperta della funzione rieducativa come essenza riformatrice del sistema sanzionatorio per le persone e per gli enti", coordinato dalla prof.ssa Anna Maria Maugeri.

I risultati della ricerca - consultabili nel pdf allegato - riportano le interviste a Magistrati di sorveglianza e  Direttori di istituti penitenziari

 

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Il Progetto di ricerca “Dall’Europa del populismo penale all’Europa dei diritti fondamentali: la riscoperta della funzione rieducativa come essenza riformatrice del sistema sanzionatorio per le persone e per gli enti”, Università di Catania – Dipartimento di Giurisprudenza (finanziamento Piano di incentivi per la ricerca di Ateneo 2020/2022 (Pia.ce.ri.), linea 2”), si è svolto con la preziosa collaborazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in particolare nelle persone della Dottoressa Ciavarella e della Dottoressa Monica Panarello.

La ricerca parte dal riconoscimento da parte della Corte EDU della rieducazione come fondamentale funzione della pena negli Stati Europei (GC Vinters 2013) e del “diritto alla risocializzazione” del detenuto; non solo, infatti, lo Stato deve riconoscere e garantire la rieducazione come finalità della pena, ma deve anche intraprendere tutte le azioni positive volte a realizzare tale fine in base ad un obbligo positivo, come evidenziato in particolare nella sentenza Murray (Corte EDU, 26 aprile 2016, Murray c. Paesi Bassi (GC), nº. 10511/10), fondato sull’art. 3 CEDU e, quindi, sul rispetto della dignità umana, ossia un diritto assoluto e inderogabile.

La ricerca con metodo interdisciplinare e comparatistico ha perseguito un duplice obiettivo: ribaltare la visione populista spesso propagandata con riguardo all'Europa, ricostruendo il ruolo fondamentale della funzione rieducativa nella legislazione e giurisprudenza europea e la sua influenza sulla legislazione dei paesi membri in termini di umanizzazione della pena, verificando anche se si possa parlare di funzione rieducativa rispetto agli enti; cercare di comprendere come si declina nella prassi la funzione rieducativa all’interno dell’istituzione carceraria, con la precisa volontà di scoprire e mettere in evidenza, innanzitutto, le best practices e, poi, le criticità, per tentare di formulare proposte di riforma dell’apparato sanzionatorio per persone fisiche e persone giuridiche, nonché meccanismi processuali di diversion.

La parte più importante della ricerca si è svolta, allora, attraverso delle interviste a Direttori di istituti penitenziari e Magistrati di sorveglianza sulla base di un questionario – discusso con il DAP - incentrato sulla verifica delle problematiche connesse alla concreta implementazione della funzione rieducativa in carcere, con la precipua finalità di comprendere la reale situazione vissuta nelle carceri italiane.

Dopo le interviste sono stati organizzati tre focus su tematiche che meritano una particolare attenzione: “formazione e lavoro delle persone detenute - prospettive e sfide di una rieducazione possibile”; “verso una nuova dinamica relazione fra amministrazione penitenziaria e giurisdizione di sorveglianza? un focus alla luce delle emergenze normative dell’ultimo decennio”; “il trattamento e la promozione dell’affettività come strumenti di rieducazione”.

I focus sono stati realizzati con dei workshop online in cui attraverso alcune testimonianze più significative di selezionati direttori e magistrati, o altri esperti in materia, e il confronto tra le diverse esperienze si è cercato, da una parte, di valorizzare delle prassi virtuose – emerse nelle interviste - che possono rappresentare un valido modello da condividere, e, dall’altra parte, ragionare tutti insieme sui problemi e le possibili strategie per affrontarli; il focus, allora, ha rappresentato anche un momento di condivisione. pur nella consapevolezza che la pena, e la detenzione in particolare, rappresenta un mondo complesso, ben lontano da facili soluzioni, il progetto si è proposto con questa seconda fase della ricerca di fare ulteriori passi in avanti nella sua comprensione e nella messa a fuoco di modelli virtuosi e di questioni problematiche, al fine di meglio contribuire, nella successiva fase della diffusione all’esterno del lavoro svolto, alla reale conoscenza e comprensione di questo mondo, valorizzando l’impegno e il sacrificio di chi vi lavora, e, si spera, contribuendo alla sensibilizzazione e responsabilizzazione della società civile nel progetto rieducativo.

Tre momenti seminariali sono stati organizzati quali strumento di confronto e di elaborazione teorica:

La funzione rieducativa e il carcere: un ossimoro sostenibile?”, 5 marzo 2021 (presenta il progetto e presiede: Prof.ssa Anna Maria Maugeri (Principal Investigator); ne discutono: Prof. Giovanni Fiandaca,  Professore Emerito di Diritto Penale presso l’Università di Palermo; Dott. Fabio Gianfilippi, Magistrato presso il Tribunale di Sorveglianza di Perugia; Dott.ssa Giorgia Gruttadauria, Direttore della Casa Circondariale di Caltagirone; Avv. Riccardo Polidoro, Responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Italiane);

Dialogo tra le corti e diritto penale: stato dell’arte e prospettive”, 10 giugno 2021 (presiede e modera Prof. Giovanni Grasso, Introduzione Prof.ssa Rosaria Sicurella, le ‘vie’ del dialogo: rinvio pregiudiziale dinnanzi alla Corte UE e richiesta di parere alla CEDU a confronto - Prof. Rosario Sapienza , Il “dialogo” tra le Corti. una precisazione di metodo per una nozione apparentemente bonne à tout faire - Prof. Antonio Ruggeri, La corte di cassazione nel ‘dialogo’ tra le corti: il difficile ruolo del giudice tra vincoli sovranazionali e ‘resistenze’ della Corte costituzionale - Cons. Gaetano De Amicis, la funzione rieducatrice nel dialogo tra le corti - Prof.ssa Anna Maria Maugeri);

Rehabilitation function of punishment in comparative law”, 28 settembre 2021 (chair Prof. Rosaria Sicurella, speakers Prof. Dirk Van Zyl Smit, Emeritus Professor of Comparative and International Penal Law University of Nottingham; Prof. Carmen Juanatey, Profesora De Derecho Penal y Derecho Penitenciario Universidad de Alicante; Prof. Erol Pohlreich Lehrstuhl für strafrecht und strafprozessrecht Universität Hannover; Prof. Raphaële Parizot Centre de Droit Penal et de Criminologie Universite Paris Nanterre). altri seminari sono stati altresì organizzati per gli studenti, al fine di sensibilizzarli sul tema della tutela dei diritti fondamentali in carcere e formarli quali futuri operatori del diritto attenti al finalismo rieducativo della pena.

Nella prospettiva della condivisione dei risultati e di ulteriore riflessione e confronto si è svolto il 25-26 maggio del 2023 a Catania il convegno “Dall’Europa del populismo penale all’Europa dei diritti fondamentali: la riscoperta della funzione rieducativa come essenza riformatrice del sistema sanzionatorio”, a cui hanno contribuito come rappresentanti del Dap il Dott. Giovanni Russo – Capo del DAP - e la Dott.ssa Carla Ciavarella, oltre a direttori di istituti penitenziari, magistrati di sorveglianza e accademici.

In questa ricerca abbiamo scoperto, in particolare, la complessità del ruolo del Direttore di un istituto penitenziario, che per primo ha la responsabilità di realizzare nella prassi la funzione rieducativa, pur nella difficoltà di realtà spesso anche strutturalmente antiquate, con personale insufficiente - soprattutto educatori e psicologi - , in contesti istituzionali e sociali non sempre aperti e disponibili alla collaborazione; Direttori -  direi Direttrici, considerando che la maggior parte sono donne -, chiamati non solo a gestire l’istituzione carceraria, a offrire in condizioni di sicurezza istruzione e formazione, attività culturali e ricreative, a curare i rapporti con le istituzioni cittadine, ma anche a diventare imprenditori, cercando di offrire opportunità di lavoro dentro e fuori dal carcere, e tutto ciò per lo più da soli, senza un sufficiente supporto (a partire da un vice Direttore). Nonostante tutto ciò, tutte/i hanno manifestato, oltre a grande professionalità e competenza, una profonda e sincera dedizione al loro lavoro e una grande umanità.

Molte sono le best practices emerse, alcune dovrebbero rappresentare la normalità (ma non sempre è così) come: locali adeguati, senza sovraffollamento; l’offerta di un percorso di formazione scolastica,  anche universitaria e occasioni di incontro tra studenti universitari detenuti e non; corsi di formazione al lavoro (panettiere, scuola alberghiera, giardinaggio, informatica, meccanico, elettricista, etc.); efficiente mediazione culturale e interpretariato; normalizzazione dei video-colloqui e stabile uso della tecnologia informatica, anche nell’ambito del polo universitario penitenziario; applicazione proficua di un sistema di sorveglianza dinamica e di un sistema di videosorveglianza; personale di polizia penitenziaria formato e competente; relazioni significative con associazioni di volontariato; proficua collaborazione con gli enti presenti nel territorio, volta a sviluppare competenze lavorative che siano spendibili dai detenuti al di fuori del carcere, magari puntando sul settore trainante dell’economia locale (ad esempio nelle Marche, quello agroalimentare); buona attuazione del principio di territorialità della pena; organizzazione del personale per unità operative e creazione di un’unità trattamentale a garanzia della continuità dell’offerta rieducativa; garanzia delle pari opportunità e presenza di un’offerta trattamentale dedicata alla sezione femminile che gode dei propri servizi e di proprie opportunità di lavoro; trattamento mirato per detenuti responsabili di reati sessuali o di violenza di genere e centri ascolto per uomini maltrattanti, con buoni risultati; rapporto dialogico e collaborativo con la Magistratura di Sorveglianza; ottimo rapporto con l’UEPE e proficua collaborazione con gli assistenti sociali. Ma anche best practices meno scontate come: linee telefoniche dedicate con educatori; progetti volti al recupero della genitorialità dei detenuti uomini; l’apertura di uno sportello all’interno del carcere di un’agenzia del lavoro con competenza specifica sul mercato del lavoro nel territorio; offerta di opportunità lavorative all’interno del carcere da parte di aziende, creazioni di laboratori (falegnameria, sartoria, etc.; un’azienda agricola ben organizzata; servizio di lavanderia che serve tutti le carceri del distretto, offrendo possibilità lavorative concrete..) (anche se spesso per un numero limitato di detenuti); organizzazione di protocolli d’intesa con Assindustria per creare corsi di formazione mirati all’assunzione di figure professionali, qualificate e specializzate, difficili da reperire sul mercato del lavoro; adozione di strategie alternative all’art. 14-bis per gestire detenuti difficili e insofferenti al trattamento rieducativo; convenzione con psicologo per ex detenuti;  “forte impegno in un percorso di “rigenerazione urbanistica”, che mira a trasformare il carcere in un vero e proprio quartiere della città, aperto alla società civile (in questo senso si possono apprezzare alcune iniziative, come l’organizzazione presso il “giardino degli incontri” di spettacoli non riservati ai detenuti bensì aperti a tutti); progetti di accesso alla cultura, tramite mostre e spettacoli (“si tenta di lavorare al senso del bello”); l’ottimizzazione degli spazi, mediante rotazione temporale degli stessi per permettere lo svolgimento di diverse attività, e l’ottimizzazione dell’operato del personale, mediante incontri periodici dell’equipe con i responsabili di reparto; supporto psicologico “indiretto” mediante l’organizzazione di gruppi eterogeni di discussione per il personale penitenziario (un modo per ovviare allo scarso ricorso allo psicologo, messo a disposizione dall’istituto); il Comune mette a disposizione soluzioni abitative per detenute che non dispongono di una loro abitazione; possibilità di ricongiungersi con gli affetti familiari e per gli incontri la disponibilità di una piccola residenza chiamata "la casa delle mosche", separata dalla sezione, dove possono permanere per uno o due giorni (isola di Pianosa). In relazione agli stranieri, la celebrazione della preghiera musulmana in forma collettiva; la predisposizione di un servizio di aiuto per regolarizzare la posizione della persona sul territorio dello Stato; l’introduzione del mediatore culturale, a parte l’alfabetizzazione o, comunque, l’offerta di istruzione.

Ma non mancano le criticità: carenza di spazi adeguati, condizione di sovraffollamento e variegata tipologia di detenuti, che limita la conoscenza individuale della persona reclusa; assenza o insufficienza del servizio di supporto psicologico; pochissimi educatori, funzionari psico-pedagogici; mancanza di uno staff di supporto al direttore; alcuni direttori gestiscono contemporaneamente più strutture e non hanno tempo per programmare; assenza di percorsi di supporto psicologico strutturato per il personale dell’amministrazione penitenziaria; il legame dei detenuti con i clan locali; numerosi atti di molestie e di prevaricazione ai danni dei soggetti deboli; assenza di politiche sociali che garantiscano la presa in carico dei soggetti con disturbi psichiatrici e dei tossicodipendenti; presenza in carcere di soggetti con disturbi psichiatrici che dovrebbero andare nelle REMS, prive di posti sufficienti; elevato numero di soggetti disagiati con conseguente difficoltà di individuazione delle condotte manifestative di un reale rischio suicidario; difficoltà nell’assicurare il diritto alla salute, soprattutto rispetto ai servizi specialistici, quali quello psichiatrico, quello odontoiatrico, dermatologico e quello precipuamente indirizzato ai tossicodipendenti; l’impegno della società civile nei confronti del carcere rimane limitato e l’inserimento nel mondo del lavoro al termine del percorso carcerario risulta difficoltoso; carenza della rete di supporto esterna, che, nel momento in cui si giunge al fine pena, dovrebbe garantire sostegno agli ex detenuti, i quali sono spesso privi di riferimenti sociali e familiari significativi e, abbandonati a sé stessi, rischiano di ricadere nella commissione del reato; l’ordinamento penitenziario non tiene adeguatamente conto delle peculiarità della popolazione detenuta degli ultimi anni, essenzialmente costituita da cittadini stranieri o da soggetti di età piuttosto elevata rispetto al passato (40-50 anni), che hanno commesso svariati reati e il cui tessuto familiare, sociale e lavorativo esterno è totalmente disgregato, sono anche privi di riferimenti abitativi rendendo difficile l’accesso alle misure alternative e, più in generale, il percorso di risocializzazione spesso viene interrotto bruscamente nel momento in cui si esce dal carcere, perché senza la rete di supporto citata l’ex detenuto torna a delinquere; carenza di organico del personale penitenziario: vi sono pochissimi funzionari giuridico-pedagogici e mediatori culturali, ma anche talora carenza di polizia penitenziaria; popolazione carceraria in maggioranza straniera, e, in generale, non locale con conseguenti difficoltà nel garantire il diritto alla vicinanza alla famiglia ed il rapporto con i figli; le decisioni della Magistratura di Sorveglianza appaiono spesso disomogenee, dipendendo – in ultima analisi – dalla sensibilità del singolo magistrato e ciò determina disparità di trattamento e disorientamento nei detenuti; l’eccessivo turnover dei detenuti e del personale (che caratterizza, invero, quasi tutte le case circondariali d’Italia) rende impossibile assicurare la continuità delle attività trattamentali, frustando inevitabilmente la finalità rieducativa della pena; in alcuni casi la limitata collaborazione dei Funzionari UEPE; assenza di politiche sociali che garantiscano un’idonea assistenza ai soggetti in semilibertà e in art. 21.

La pubblicazione delle interviste e dei focus persegue questi obiettivi: condividere, aiutare a comprendere, sensibilizzare all’assunzione di un ruolo attivo.

Una pubblicazione scientifica, che raccoglie i contributi degli ospiti dei seminari e del convegno finale, sarà pubblicata prossimamente per contribuire ulteriormente ad accrescere la consapevolezza e il dibattito in materia, convinti che la rieducazione è l’unico strumento rispettoso della dignità umana che può garantire non solo l’umanizzazione e l’individualizzazione della pena, ma anche la sicurezza collettiva.

Questo progetto lo abbiamo pensato originariamente insieme alla professoressa Rosaria Sicurella, condiviso con il professore Giovanni Grasso e le professoresse Valeria Scalia e Grazia Maria Vagliasindi, nonché con i colleghi processualpenalisti Vania Patanè, Fabrizio Siracusano e Angelo Zappulla - con le loro specifiche competenze in materia di diritto penitenziario, processo e legislazione minorile, giustizia riparativa e mediazione – ed, infine, elaborato grazie alla collaborazione preziosa dei colleghi Vincenzo Tigano, Annalisa Lucifora, Amalia Orsina (che continua - anche - a presiedere alle incombenze burocratiche del progetto). Un grazie particolare ai nostri dottorandi che ci hanno assistito durante le interviste e svolto il paziente lavoro di trascrizione “intelligente” (Marta Giuca, Sandra Picicuto, Ugo Santoro, Marco Mazzullo, Gaspare Stallone, Valeria Licciardello, Francesco Laneri), nonchè al Dottore Mattia Giangreco (assegnista di ricerca) che mi ha particolarmente supportato – anche da un punto di vista informatico – durante tutto il progetto, e ha coordinato il lavoro di individuazione delle best practices e delle criticità segnalate nelle interviste, nonché dell’editing. Nella fase finale sono stati coinvolti nella rilettura delle interviste altri dottorandi, che pure ringrazio (Anna Poidomani, Geraldina Ester Di Natali, Carola Antoci, Charissa Volponi, Paolo Prestianni).

La prospettiva è quella di continuare ad organizzare dei focus, se il DAP continuerà a ritenerli utili anche per consentire ai suoi direttori di esprimere le loro opinioni e confrontarsi, ma anche di creare una sorta di osservatorio, o meglio di laboratorio permanente – se disponibile, insieme all’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (innanzitutto) - per promuovere delle iniziative di collaborazione tra le istituzioni penitenziarie e l’Università, contribuendo, si spera, alla sensibilizzazione e responsabilizzazione della società civile nel progetto rieducativo, a partire dal coinvolgimento di chi, come i professori delle materie penalistiche, più di altri dovrebbero avere questa consapevolezza e condividerla, trasmetterla all’esterno…trasformando, per quanto possibile e ci compete, il carcere in un’istituzione aperta.