1. Ritorniamo brevemente, per un aggiornamento, su una questione affrontata la settimana scorsa sulle pagine di questa Rivista: se sia possibile - prima ancora del deposito della sentenza della Corte costituzionale che ha sancito il divieto di applicazione retroattiva delle modifiche normative relative alle misure alternative alla detenzione, e sulla base del comunicato della Corte - ordinare la scarcerazione dei condannati che si trovino in carcere per avere commesso, prima della riforma dell’art. 4 bis ord. penit. da parte della legge Spazzacorrotti, uno dei delitti contro la pubblica amministrazione inseriti nel catalogo dei reati ostativi alla concessione di misure alternative alla detenzione e per i quali è vietata la sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, co. 5 c.p.p.
Nel nostro contributo avevamo sostenuto la tesi affermativa, sostenendo in breve che il comunicato della Corte, nel dichiarare illegittima l’interpretazione consolidata nel diritto vivente, favorevole all’applicazione retroattiva del riformulato art. 4 bis ord. penit., ha indicato ancor prima del deposito della sentenza la via di un’interpretazione conforme a Costituzione, possibile e doverosa, risultando del tutto irragionevole l’ulteriore sacrificio della libertà personale anche solo per il tempo necessario al deposito della sentenza.
Nello stesso contributo avevamo individuato, sul terreno procedurale, soluzioni alternative: quella della sospensione dell’ordine di esecuzione non sospeso, da parte del pubblico ministero, ovvero, sempre da parte dello stesso pubblico ministero, quella della revoca del precedente ordine e dell’emissione di un nuovo ordine, questa volta sospeso, ovvero ancora, infine, quella dell’incidente di esecuzione, volto alla revoca o all’annullamento dell’ordine medesimo, da parte del giudice dell’esecuzione.
2. Abbiamo appreso solo ora – e ne diamo notizia ai lettori – che già nei giorni immediatamente successivi alla diffusione del comunicato della Corte costituzionale, e ancor prima della pubblicazione del nostro contributo, è stata in diversi procedimenti effettivamente disposta la scarcerazione di condannati per fatti commessi prima della legge Spazzacorrotti; cioè di quanti, proprio per effetto dell’applicazione retroattiva della legge Spazzacorrotti, non hanno beneficiato della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva, volta a chiedere dalla libertà una misura alternativa alla detenzione. In alcuni casi si è trattato della revoca dell’ordine di esecuzione, disposta dal giudice dell’esecuzione; in altri casi si è invece trattato della revoca dell’ordine stesso, da parte del pubblico ministero, con contestuale emissione di un nuovo ordine di esecuzione, subito sospeso ex art. 656, co. 5 c.p.p.
3. Quanto ai giudici dell’esecuzione, abbiamo notizia dalla stampa di un provvedimento della Corte d’Appello di Roma, adottato sulla base del comunicato della Corte costituzionale, che ha comportato la scarcerazione di alcuni condannati nell’ambito del processo al “Mondo di mezzo”. Abbiamo altresì notizia di un provvedimento della Corte d’Appello di Palermo del 14 febbraio 2020 (Sez. I, Pres. Piras)– giudice a quo nel procedimento pendente davanti alla Corte costituzionale – che, su conforme richiesta del Procuratore Generale, ha disposto la revoca dell’ordine di esecuzione e la scarcerazione del condannato. Nella richiesta del P.G., Dott.ssa Giuseppina Motisi, si è sottolineato, tra l’altro, che “benché la sentenza [della Corte costituzionale] non sia stata ancora pubblicata, la decisione di cui si ha notizia rende fin d’ora possibile un’interpretazione nel senso della irretroattività della nuova disciplina”. Non solo, sempre nella richiesta del P.G. di Palermo si fa riferimento a una conforme direttiva del P.G, della Cassazione, in data 13 febbraio 2020.
4. Quanto agli uffici del Pubblico Ministero, pubblichiamo in allegato una direttiva della Procura della Repubblica di Milano, Ufficio esecuzione penale, a firma del Procuratore Aggiunto Dott. Maurizio Romanelli, data 13 febbraio 2020, con la quale si ritiene “necessario disporre la scarcerazione immediata dei detenuti in forza di norma la cui applicazione retroattiva è stata dichiarata incostituzionale, con revoca dell’ordine di esecuzione emesso e contestuale emissione di nuovo ordine di esecuzione con sospensione”. La premessa da cui muove la direttiva è che “il quadro precettivo della predetta sentenza [della Corte costituzionale] appare sufficientemente chiaro, pur in assenza delle motivazioni” e che “appare necessario assumere un orientamento omogeneo dell’Ufficio Esecuzione rispetto ai detenuti definitivi che non hanno beneficiato della sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656 comma 5 c.p.p. in forza della predetta applicazione retroattiva”. Di particolare interesse, sul piano procedurale, è la condivisibile, a nostro avviso, affermazione secondo cui “non risulta necessario da parte del P.M. promuovere incidente di esecuzione al fine di ottenere la revoca degli ordini di esecuzione emessi in forza della interpretazione oggi ritenuta non conforme a Costituzione, atteso che la efficacia dell’ordine rimane nella titolarità del P.M. della esecuzione che lo ha adottato”.
Sembra, da quanto risulta dalla stampa, che la stessa linea della Procura di Milano si sia stata seguita, ad esempio, dalla Procura Generale di Napoli e dalla Procura di Avellino.
5. Nel rinviare per ogni ulteriore considerazione al nostro contributo già pubblicato in questa Rivista, riteniamo opportuno sottolineare che:
a) è assai significativo che la prassi si sia orientata nel senso della scarcerazione immediata, senza attendere il deposito della sentenza della Corte costituzionale. Si tratta, lo ribadiamo, di una soluzione ragionevole, possibile sulla base di un’interpretazione conforme a Costituzione, indicata dalla Corte con il suo comunicato, e non preclusa da un quadro normativo che, dopo il deposito della sentenza stessa, non consentirà più l’interpretazione difforme ma consente già oggi quella conforme. A ben vedere, in situazioni come quella in esame, nelle quali è in gioco la libertà personale, in sfregio al principio di irretroattività della legge penale e alla correlata garanzia, è più che opportuno che la Corte costituzionale renda immediatamente nota la propria decisione (il “dispositivo”), consentendo l’immediata cessazione degli effetti conseguenti al vulnus inferto ai principi costituzionali;
b) la prassi ha subito affrontato e risolto un problema che potrà ancora porsi dopo il deposito della sentenza della Corte costituzionale, per quanti non abbiano già ottenuto la scarcerazione; si tratterà di valutare quale soluzione sul piano procedurale sia corretta, a partire dall’individuazione del soggetto competente (pubblico ministero o giudice dell’esecuzione) e si tratterà anche di valutare se e quali rimedi esistano per chi non ha potuto beneficiare della sospensione dell’ordine di esecuzione;
6. Last, but not least, sottolineiamo come non sia priva di significato la circostanza che uno dei provvedimenti di revoca dell’ordine di esecuzione della pena detentiva sia stato emesso proprio da uno dei giudici – la Corte d’Appello di Palermo – che hanno sollevato davanti alla Corte costituzionale l’ulteriore questione, che sarà decisa questa settimana dalla Corte stessa, relativa alla ragionevolezza dell’estensione del regime dell’art. 4 bis ord. penit. ai delitti contro la p.a. (v., in proposito, in questa Rivista, la scheda pubblicata oggi da Beatrice Fragasso). Il provvedimento del giudice a quo, infatti, sembrerebbe parlare nel senso della sopravvenuta irrilevanza della questione sollevata, per effetto della decisione, precedente, con la quale la Corte stessa ha impedito l’applicazione retroattiva del riformulato art. 4 bis ord. penit. Con quella decisione, ad oggi non ancora depositata ma annunciata attraverso il più volte citato comunicato, la Corte ha reso inapplicabile la norma censurata nel giudizio a quo e, pertanto, la questione relativa all’irragionevole estensione del regime ex art. 4 bis ord. penit. nei confronti dei delitti contro la p.a., per i fatti commessi prima della legge Spazzacorrotti, sembra aver perso rilevanza. Se così fosse, per ottenere una pronuncia da parte della Corte costituzionale occorrerà attendere che la questione sia nuovamente proposta, questa volta in rapporto a fatti commessi dopo la riforma.