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  Editoriale  
31 Ottobre 2022


Rinvio della riforma Cartabia: una scelta discutibile e di dubbia legittimità costituzionale. E l'Europa?

A proposito del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162



1. Con un decreto-legge approvato oggi dal Consiglio dei Ministri, la più ampia e trasversale riforma della giustizia penale approvata negli ultimi trent’anni viene rinviata al Parlamento un mese dopo l’approvazione e un giorno prima l’entrata in vigore. Non si era mai visto.

L’adozione dell’odierno decreto-legge (d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, art. 6) comporta il rinvio al Parlamento per la conversione in legge, entro sessanta giorni; un rinvio che apre alla possibilità di emendamenti sul testo dell’intero decreto legislativo, al quale viene aggiunto un articolo finale (99-bis). La scelta tecnico-normativa di intervenire direttamente sul testo del d.lgs. n. 150/2022 comporta la possibilità che siano presentati in sede di conversione emendamenti allo stesso testo normativo modificato. Emendamenti la cui ammissibilità dovrà certo essere vagliata al metro dei regolamenti parlamentari. Resta il fatto che il complesso cantiere della riforma della giustizia penale viene riaperto con un coup de theatre dal nuovo Governo, approfittando della circostanza che il pur breve termine di vacatio legis del d.lgs. n. 150/2022, che ha iniziato a decorrere prima dell’insediamento del nuovo governo, si compirebbe domani. Un'ora prima della mezzanotte è apparso nella Gazzetta Ufficiale il d.l. n. 162/2022, che all'art. 6 introduce nel d.lgs. n. 150/2022 un art. 99-bis dal seguente tenore: "il presente decreto entra in vigore il 30 dicembre 2022".

Si dirà che, formalmente, il blitz governativo non riapre il cantiere della riforma e si limita a differirne l’entrata in vigore di soli due mesi. E si potrà anche dire che il nuovo Parlamento è del tutto legittimato a riaprire il cantiere di una riforma varata nella precedente legislatura. Ciò è senz’altro vero in via di principio. Senonché si deve tener conto delle contingenze istituzionali e degli obblighi assunti in sede internazionale dal Paese. La riforma della giustizia penale è notoriamente tra gli obiettivi del PNRR da raggiungere entro la fine dell’anno. Non a caso il nuovo Governo non ne ha differito l’entrata in vigore di sei mesi o di un anno, ma solo di due mesi, entro cioè un termine – l’unico – compatibile con gli impegni assunti col PNRR. Si tratta di un differimento formalmente compatibile con gli obblighi internazionali. Il dubbio è che lo sia anche sostanzialmente.

Duplice è la ragione delle preoccupazioni. La prima riguarda l’affidabilità del Paese nel contesto internazionale: un dato fondamentale per l’economia, lo sviluppo e il benessere sociale. Dopo la crisi del Governo Draghi Bruxelles era stata rassicurata sulla realizzazione degli obiettivi del PNRR da parte del Governo dimissionario. La riforma della giustizia penale, assieme ad altre riforme, è stata puntualmente approvata dal Governo Draghi lo scorso 28 settembre. L’approvazione è stata comunicata dal Governo a Bruxelles e ha ricevuto il plauso del Commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders. Cambiato Governo si torna indietro, un giorno prima dell’entrata in vigore della riforma. Un ‘fermi tutti’ che non potrà non lasciare allibiti gli osservatori internazionali e sollevare molti dubbi sull’affidabilità italiana e sulla stabilità e continuità dell’azione di governo. Il Governo non avrà gioco facile a giustificare il rinvio della riforma. I differimenti e le ‘mille proroghe’ sono un (mal) costume italiano incomprensibile agli occhi degli osservatori internazionali dai quali dipendono i finanziamenti del PNRR e, con essi, il rilancio socioeconomico del Paese. Dal raggiungimento degli obiettivi PNRR in tema di giustizia – è bene ricordarlo – dipende il finanziamento dell’intero PNRR. La Ministra Cartabia lo ha ricordato in più occasioni.

La seconda preoccupazione riguarda quel che può accadere dopo la legge di conversione. Se il Parlamento si limiterà a convertire in legge il differimento, è un conto, come anche se si limiterà, in sede di conversione, a introdurre puntuali e circoscritte norme transitorie. Se invece differirà ulteriormente l’entrata in vigore della riforma della giustizia (come è accaduto per il decreto Orlando in tema di intercettazioni, oppure per il decreto sulla crisi d’impresa) l’obiettivo PNRR sarebbe mancato. Se, ancora, il Parlamento, ritenendoli ammissibili, approverà emendamenti – compresi quelli che verosimilmente saranno sollecitati dalla magistratura e dell’avvocatura – si tratterà di vedere se quegli emendamenti saranno conformi o meno agli obiettivi PNRR concordati con la Commissione Europea. Va infatti chiarito che l’Europa attende e si aspetta la riforma con i contenuti del d.lgs. n. 150/2022, illustrati e ‘negoziati’ con chi tiene i cordoni della borsa del PNRR: questa riforma che sarebbe entrata in vigore domani, non una qualsiasi altra riforma. Vi è un tema di contenuti, insomma, che non è per nulla secondario. Non è in discussione la possibilità e la legittimità di apportare correttivi a una riforma che, come ogni riforma, non è e non può essere perfetta. È e potrà essere in discussione il metodo seguito per apportare correttivi: prima con un decreto-legge adottato nel periodo di vacatio legis; poi, se sarà così, con la legge di conversione di quel decreto. Nel frattempo, Bruxelles aspetterà (?) a vedere cosa accadrà.

 

2. La scelta di differire di due mesi l’entrata in vigore della riforma è stata presa dal Ministro Nordio e dal Governo a fronte degli auspici dell’Associazione Nazionale Magistrati e dell’Assemblea dei Procuratori Generali italiani. Né l’ANM (comunicato del 19 ottobre) né i procuratori generali, con una lettera del 25 ottobre inviata al Ministro Nordio e al CSM, avevano peraltro auspicato un differimento dell’entrata in vigore della riforma, essendosi limitati a sottolineare, pur con decisione, la necessità di una disciplina transitoria e di interventi di supporto organizzativo e informatico limitatamente alle modifiche normative relative alle indagini preliminari e alla nuova udienza predibattimentale. Tuttavia, dopo la decisione del Governo l’ANM (agenzia Ansa di ieri) si è detta soddisfatta del rinvio, sottolineando di non aver posto un tema di contenuti della riforma ma solo di tempi tecnici di allineamento degli uffici alle novità, dovuti a necessità organizzative e ad accorgimenti informatici per le attività degli uffici. Non c’era tempo per adottare le limitate norme transitorie richieste e allora si è rinviata l’entrata in vigore dell’intera riforma in attesa, evidentemente, che quelle norme transitorie vengano introdotte dal Parlamento in sede di conversione.

Che una riforma così vasta e impattante comporti difficoltà per gli uffici giudiziari è comprensibile. Ogni riforma seria richiede di modificare procedure, abitudini lavorative e prassi. E ogni riforma deve essere supportata da interventi organizzativi e da investimenti sul personale. Lo sforzo cui è chiamata la magistratura è indubbio ed è testimoniato dalle tante iniziative già assunte nei diversi uffici giudiziari per riorganizzare il lavoro e le procedure, in linea con le novità. Se la magistratura, con forza e con l’autorevolezza dei suoi rappresentanti, manifesta difficoltà e auspica interventi di supporto nell’applicazione della riforma è doveroso darle ascolto, per il bene comune, rappresentato dall’efficienza della giustizia, dal giusto processo e dagli obiettivi del PNRR. La soluzione adottata dal Governo – il differimento dell’entrata in vigore dell’intera riforma, e non solo di alcune sue parti – va però ben oltre l’ascolto della voce dei magistrati, che corrono ora il rischio, nello scenario peggiore, di essere additati come responsabili del rinvio in blocco e persino delle sorti future della riforma e del PNRR.

Il rinvio in blocco non è stato chiesto né dai magistrati né dagli avvocati, che pure si sono dimostrati critici su alcune sue parti. Un comunicato dell’Unione delle Camere Penali Italiane, diffuso ieri, ha manifestato seria preoccupazione per il differimento in blocco dell’entrata in vigore della riforma: “non vi è alcuna ragione che giustifichi il differimento dell’entrata in vigore delle parti relative al sistema sanzionatorio e di esecuzione della pena, che non manifestano il benché minimo problema di natura organizzativa posto a fondamento delle ragioni d’urgenza del decreto”. Analoga preoccupazione è stata manifestata il 29 ottobre dal Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, dall’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale. Diversa, invece, va registrato, la posizione dell’Associazione degli Studiosi del Processo Penale (29.10.22), che, ricordando il termine annuale di vacatio legis del codice di procedura penale del 1988, ha auspicato un lungo rinvio dell’entrata in vigore della riforma, che “incoraggi futuri interventi normativi nell’ottica di meglio bilanciare il rapporto tra efficienza e garanzie, nel rispetto di tutti i principi del giusto processo”. Un auspicio, insomma, di riapertura del cantiere della riforma.

Riforme frutto di mediazione, con l’Europa e con la larga maggioranza del Governo Draghi, possono senz’altro non essere perfette e accontentare tutti. Sono però riforme necessarie entro tempi stabiliti, che non possono essere rinviate, se non a pregiudizio del Paese e del sistema giustizia. La scelta del rinvio in blocco della riforma non è condivisibile perché non era necessaria. Ed è una scelta che impedisce l’entrata in vigore, da domani, di norme che avrebbero da subito avuto un effetto benefico sul processo, come quelle sulla nuova regola di giudizio per l’archiviazione e il rinvio a giudizio, sui filtri in primo grado e in appello, sul processo in assenza, sui riti alternativi, sulla messa alla prova, sull’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, sulla remissione della querela, sulle pene sostitutive delle pene detentive brevi.

Non possiamo continuare a far finta –accademia, magistratura e avvocatura – che il Paese non abbia un serio e strutturale problema di irragionevole durata dei processi (maglia nera in Europa) e larghe sacche di inefficienza della giustizia penale (testimoniate ad esempio, in sede di esecuzione, dal deplorevole fenomeno dei liberi sospesi). Rinviare in blocco la riforma, comprensiva di molti strumenti capaci da domani di incidere positivamente sui tempi della giustizia e sulla vita degli imputati (penso alle pene sostitutive delle pene detentive brevi) è una scelta sbagliata e dannosa. Si sarebbe potuto agevolmente limitare il rinvio ad alcune parti, segnalate come problematiche in rapporto all’assenza di norme transitorie. Il rinvio integrale incide negativamente sugli obiettivi di efficienza del processo penale, a cominciare dai dati relativi al 2022, che l’Italia dovrà presto presentare a Bruxelles. L’effetto verosimile del rinvio, infatti, sarà la sistematica richiesta di rinvii delle udienze a data successiva all’entrata in vigore della riforma. Ad esempio, per patteggiare le pene accessorie o la confisca, per sostituire tre anni di reclusione col lavoro di pubblica utilità, e per beneficiare delle molte altre misure previste dalla riforma che molto deve al lavoro di centinaia di esperti, accademici, magistrati, compresi gli addetti all’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, e avvocati, coinvolti nei lavori preparatori dalla Ministra Cartabia.

Vi è da chiedersi perché, purtroppo, sia prevalsa una linea di conservazione e di ripulsa verso le novità, in parte non condivise o partecipate, piuttosto che l’impegno responsabile di tutti ad attuare le nuove previsioni testandole sul campo. Lo impone il bene comune, rappresentato dall’esigenza, indifferibile, di ridurre i tempi dei processi penali e di migliorare l’efficienza e la qualità della giustizia. La strada del rinvio è agevole e semplice. Ma ci lascia con i piedi nella melma nella quale, forse, non ci accorgiamo più nemmeno di essere. Senza una svolta culturale e una presa di consapevolezza reale dei problemi della giustizia, ciascuno continuerà a fare il suo, nel bene o nel male, a guardare ai propri interessi corporativi, senza contribuire al progresso e all’ammodernamento del sistema giustizia.

L’auspicio è che si tratti solo di una parentesi di due mesi, accompagnata da ragionevoli norme transitorie. Vedremo se sarà così.

 

3. Sul piano della valutazione strettamente giuridica, il differimento dell’entrata in vigore della riforma in blocco, anziché nelle sole parti ritenute bisognose di correttivi o interventi organizzativi urgenti, solleva sotto più di un profilo dubbi di legittimità costituzionale. Per un verso, appare problematico il ricorso allo strumento del decreto-legge. Per altro verso, suscita perplessità il differimento dell’entrata in vigore delle norme penali sostanziali più favorevoli previste nella parte della riforma relativa al sistema sanzionatorio penale; basti pensare solo all’introduzione delle nuove pene sostitutive delle pene detentive inflitte entro il limite di quattro anni e all’ampliamento dell’ambito di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. (particolare tenuità del fatto). Ad apparire dubbia è la legittimità di un intervento che, differendo l’entrata in vigore della lex mitior, ne impedisce l’applicazione.

 

3.1. Un primo profilo di quanto meno discutibile legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 76 e 77 Cost., sembra riguardare l’adozione di un decreto-legge per modificare un decreto legislativo un mese dopo la sua approvazione e un giorno prima della sua entrata in vigore, senza che si sia verificato alcun fatto nuovo giuridicamente valutabile quale fattore di sopravvenuta, straordinaria, necessità e urgenza.

Il decreto-legge, nella misura in cui interviene sul testo del d.lgs. n. 150/2022 inserendo un nuovo art. 99 bis, che differisce l’entrata in vigore del d.lgs. stesso a fine anno, apporta una modifica correttiva, che deroga all’ordinario periodo di vacatio legis di quindici giorni. L’art. 1, co. 4 della legge delega n. 134/2021 disciplina il procedimento di correzione del decreto attuativo conferendo al Governo un’ulteriore delega da esercitarsi entro due anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022. Lo strumento che il Governo è autorizzato dal Parlamento ad adottare per introdurre “disposizioni correttive o integrative” del d.lgs. n. 150/2022 è un altro decreto legislativo da adottarsi, ai sensi del citato art. 1, co. 4 l. n. 134/2021, con la stessa procedura di adozione del d.lgs. n. 150/2022, che prevede il concerto tra diversi Ministeri, il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni (relativamente alle disposizioni in tema di giustizia riparativa), il parere delle competenti commissioni parlamentari. Le disposizioni correttive o integrative, inoltre, devono essere adottate “nel rispetto dei principi e criteri direttivi” della legge delega n. 134/2021, che fin dal titolo reca l’obiettivo generale della “celere definizione dei procedimenti giudiziari”.

Può il Governo adottare disposizioni integrative o correttive ricorrendo alla decretazione d’urgenza, senza seguire la procedura indicata dal Parlamento con la legge delega? La domanda, da girare ai costituzionalisti, non sembra peregrina, tanto più che, differendo l’entrata in vigore del decreto legislativo (peraltro a una data successiva alla scadenza della delega legislativa), il Governo sposta in avanti il dies a quo del termine biennale della delega legislativa di cui al citato art. 1, co. 4 l. n. 134/2021 per l’adozione di disposizioni integrative o correttive.

Si potrà obiettare che il decreto d’urgenza, pur derogando la procedura delineata dalla legge delega, si giustifica per straordinarie ragioni di necessità e urgenza ai sensi dell’art. 77, co. 2 Cost. Nel caso di specie la modifica, riguardando un differimento dell’entrata in vigore del decreto legislativo, è di natura correttiva. Le premesse al decreto-legge, almeno nelle bozze circolate, fanno riferimento alla straordinaria necessità e urgenza di differire l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022 per consentire una più razionale programmazione degli interventi organizzativi di supporto alla riforma. La relazione illustrativa sembrerebbe aggiungere poco di più. Ebbene, sembra che la straordinaria necessità e urgenza, in rapporto al decreto-legge, debba essere valutata non solo secondo gli ordinari parametri, ma anche rispetto alla sostanziale deroga all’articolato procedimento di correzione del d.lgs. n. 150/2022 previsto dalla legge delega n. 134/2021. Le criticità, a riguardo, sono almeno cinque:

1) la genericità del riferimento alla programmazione di non meglio precisati interventi organizzativi di supporto alla riforma; genericità manifesta se si considera l’ampio raggio della riforma, che interessa materie, amministrazioni, e uffici diversi (tanto richiedere il concerto tra più ministeri);

2) l’assenza di un fatto nuovo, giuridicamente apprezzabile, che comporti esigenze organizzative nuove rispetto a quelle già valutate dal Governo con l’adozione del decreto legislativo, che è stato accompagnato, come di rito, da una relazione tecnica di analisi dell’impatto della regolazione (A.I.R.) approvata dal Consiglio dei Ministri. Ca va sans dire che il comunicato dei procuratori generali o le prese di posizione dell’Associazione Nazionale Magistrati, durante il periodo di vacatio legis, non possono evidentemente rappresentare un valido motivo per la decretazione d’urgenza, tanto che non sono richiamate nelle premesse del decreto-legge;

3) la mancata giustificazioni di quali e quanti interventi organizzativi di supporto alla riforma possano essere realizzati in meno di due mesi. La mera programmazione degli interventi stessi non sembra poter giustificare un differimento dell’entrata in vigore, atteso che essa è possibile da quando lo schema di decreto legislativo è stato approvato in esame preliminare, tre mesi fa, e comunque in esame definitivo, un mese fa;

4) l’assenza di ragionevoli motivi di differimento dell’entrata in vigore di disposizioni per le quali è già prevista una disciplina transitoria ad hoc e che sono destinate ad avere effetto non immediato (si pensi ad es. alla innovativa disciplina dell’esecuzione e conversione delle pene pecuniarie, limitata ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore del decreto, ovvero all’introduzione della disciplina organica della giustizia riparativa, che per entrare a regime richiede decreti ministeriali attuativi proprio sotto il profilo organizzativo);

5) l’assenza di ragionevoli motivi di differimento dell’entrata in vigore di disposizioni per le quali non sono necessari all’evidenza interventi di supporto organizzativo (es, la nuova disciplina dell’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p.), ovvero sono già stati realizzati dal Governo (è il caso, in rapporto alle nuove pene sostitutive, del raddoppio dell’organico dell’UEPE, incrementato di 1092 unità con il d.l. 30 aprile 2022, n. 36, fortemente voluto dalla Ministra Cartabia).

Se questi dubbi hanno ragion d’essere, la sussistenza dei requisiti che legittimano la decretazione d’urgenza, derogando al procedimento delineato dalla legge delega approvata dal Parlamento, appare quanto meno dubbia.

 

3.2. Un ulteriore profilo di dubbia legittimità costituzionale riguarda il differimento dell’entrata in vigore di disposizioni più favorevoli all’indagato/imputato o al condannato, disseminate nella parte della riforma relativa al sistema sanzionatorio. Si pensi a disposizioni di indubbia natura sostanziale quali quelle relative alla esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto e alle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi.

Il termine di vacatio legis ha notoriamente la funzione di rendere conoscibile il testo normativo prima della sua entrata in vigore. Nel caso di specie, non essendo diversamente stabilito, il termine è di quindici giorni (art. 73 Cost.) e si sarebbe compiuto domani.

Si pensi al caso di chi, da domani, avrebbe potuto beneficiare dell’applicazione di una norma più favorevole introdotta dalla riforma e che il giudice è inibito ad applicare fino al 30 dicembre. Poniamo, ad esempio, il caso di chi si sarebbe giovato dei più ampi confini applicativi dell’art. 131 bis c.p. o di una pena sostitutiva della reclusione o dell’arresto inflitta in misura superiore ai due anni e, pertanto, oggi non sostituibile né sospendibile condizionalmente.

La legittimità costituzionale di una norma, come quella odierna, che impedisce l’applicazione di norme penali favorevoli al reo deve essere valutata al metro del principio di uguaglianza/ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Non si tratta qui di derogare all’applicazione retroattiva della lex mitior, che ancora non è entrata in vigore e non può quindi avere un effetto retroattivo inibito. Si tratta di valutare se sia ragionevole inibire l’applicazione della lex mitior in materia penale, che ha uno statuto costituzionale e convenzionale particolarmente garantito. Il diritto all’applicazione della lex mitior – approvata dal (precedente) Parlamento e attuata dal (precedente) Governo – è sacrificato da un provvedimento del nuovo Governo (e, eventualmente, del nuovo Parlamento) che ne differisce l’entrata in vigore poche ore prima. Sarebbe stato allora necessario uno stringente scrutinio in termini di ragionevolezza, del quale il decreto-legge avrebbe dovuto farsi carico. Quale non meglio precisata esigenza organizzativa può ragionevolmente giustificare la mancata applicazione della lex mitior, in un bilanciamento di interessi contrapposti che coinvolge anche  la libertà personale? Sembrano dunque prospettabili questioni di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 Cost., 7 Cedu e 49 CDFUE.

 

3.3. È peraltro prospettabile, in alternativa alla questione di legittimità costituzionale, una soluzione interpretativa che porti a ritenere applicabili, anche nel periodo di prolungata vacatio legis, le leggi penali sostanziali più favorevoli previste dal d.lgs. n. 150/2022.

Il presupposto di questa soluzione è ritenere che, anche durante il periodo di vacatio legis, la norma penale produca effetti in bonam partem. A prima vista sembrerebbe un’interpretazione ardita. Senonché trova l’avallo della giurisprudenza della Corte di cassazione. Vanno segnalate in proposito due massime, che qui si riportano: Cass. Sez. I, 18.5.2017, n. 53602, Rv. 271639: “In tema di "abolitio criminis", è legittima la sentenza d'appello che non confermi la condanna per un reato che, al tempo della decisione, risulti abrogato, nonostante al momento della adozione della decisione non sia ancora interamente decorso il periodo di "vacatio legis" ai sensi dell'art. 10 delle preleggi e dell'art. 73, comma 3, Cost., in quanto la funzione di garanzia per i consociati, che è perseguita dalla previsione del suddetto termine volto a permettere la conoscenza della nuova norma, non comporta anche il perdurante dovere del giudice di applicare una disposizione penale ormai abrogata per effetto di una successiva norma già valida. (In motivazione la Corte ha escluso che, nel caso di specie, il giudice abbia solo l'alternativa di rinviare la decisione o di "ignorare" la norma abrogatrice, infliggendo una condanna che si palesa già inevitabilmente illegale)”. Cass., Sez. I, 14.5.2019, n. 39977, Rv. 276949: “In tema successione delle leggi nel tempo, gli effetti di uno "ius novum" più favorevole al reo (nel caso di specie, l'ampliamento della sfera scriminante di una causa di giustificazione) sono applicabili, in pendenza di giudizio, anche durante il periodo della "vacatio legis", in quanto la funzione di garanzia per i consociati, perseguita dagli artt. 73, comma 3, Cost e 10 delle preleggi, prevedendo un termine per consentire la conoscenza della nuova norma, non preclude al giudice di tener conto di quella che è già una novazione legislativa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto applicabile la legge 28 aprile 2019, n. 36, che ha modificato la norma sulla legittima difesa, nel giudizio di legittimità celebratosi durante la "vacatio legis")”.

Questa giurisprudenza della Cassazione, formatasi in tema di abolitio criminis e si ampliamento della sfera della legittima difesa, sembra fondarsi su un principio generale: la ratio di garanzia della conoscibilità della legge penale, connessa al termine di vacatio legis, è un indispensabile presupposto per l’applicazione di norme penali sfavorevoli; non anche di norme penali favorevoli all’agente. La tesi meriterebbe di essere sottoposta al vaglio di un costituzionalista (un commento a caldo come questo non lo consente) e potrà essere senz’altro approfondita e studiata, anche e proprio dopo l’odierno decreto-legge. Milita a suo favore un argomento sistematico, indubbiamente invocabile in rapporto all’art. 131 bis c.p.: le cause di esclusione della punibilità sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute (art. 59, co. 1 c.p.).  Se questa tesi fosse fondata e venisse accolta dalla giurisprudenza anche in rapporto al d.lgs. n. 150/2022, l’odierno differimento della riforma Cartabia risulterebbe di fatto inefficace rispetto alle disposizioni di diritto penale sostanziale più favorevoli all’agente.