Nel prossimo fine settimana, in parziale e casuale coincidenza, si terranno due congressi su grandi temi della giustizia: due appuntamenti certamente molto diversi ma accomunati dal medesimo nodo di fondo del ruolo oggi assunto dalla giurisdizione. Il primo è il 36° Congresso dell’ANM, che si terrà a Palermo, alla presenza del Capo dello Stato, sul tema “Magistratura e legge tra imparzialità e interpretazione”. L’altro avrà luogo a Firenze, promosso dalla locale Università insieme all’Avvocatura fiorentina col patrocinio della Corte d’Appello, sul tema “I giudizi discrezionali nell’evoluzione del sistema penale”.
Se quello dell’interpretazione e del cosiddetto “potere interpretativo” del magistrato è tema antico (un nervo sempre scoperto negli equilibri tra poteri pubblici), i giudizi discrezionali costituiscono un fenomeno in parte nuovo e realmente dirompente per l’attuale ruolo della giurisdizione. Se, infatti, l’interpretazione della legge è passaggio obbligato del rendere giustizia che nemmeno il più accorto legislatore e il più prono dei giudici possono evitare, i giudizi discrezionali sono vere e proprie brecce che lo stesso legislatore apre deliberatamente nella legge: e ciò fa sempre più frequentemente nella convinzione che solo una valutazione in concreto, di tutti i possibili elementi contestuali, possa consentire in quella data situazione una decisione adeguata agli scopi legislativi (se non proprio conforme a giustizia). Nella materia delle sanzioni penali, in nome di una individualizzazione e personalizzazione assurte ad imperativi costituzionali, i giudizi discrezionali hanno spazio e dignità che nessuno si sentirebbe oggi di contestare. E anche nel processo penale non possono che essere i giudizi discrezionali a governare snodi essenziali del meccanismo: dal ricorso alle misure cautelari ai vari passaggi di fase, fino all’avvio della stessa vicenda processuale semmai si arrivasse a erodere il mito dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Sono i giudizi discrezionali che oggi aprono gli scenari più complessi e anche inquietanti, imponendo così la ricerca di qualche contrappeso ancor più necessario di quanto possa reclamare il “potere interpretativo”, ineliminabile e antico compagno di viaggio della giurisdizione. E dinanzi a questa esigenza si aprono sostanzialmente due vie. Da un lato, l’impegno a calare i giudizi discrezionali e la loro pratica in una rete di razionalità di criteri e di metodi per renderli trasparenti e controllabili, a cominciare dalla formulazione delle relative norme per finire col controllo nomofilattico della Cassazione. Dall’altro lato, affrontare per così dire ab extrinseco (e forse più brutalmente) il punctum dolens agendo sull’assetto istituzionale e costituzionale della giurisdizione, riconducendo più o meno direttamente i suoi organi ad una responsabilità se non ad un indirizzo politico.
È pressoché certo che il Congresso di Palermo allargherà e vivacizzerà la discussione affrontando proprio le riforme anche costituzionali che si profilano all’orizzonte in questi giorni per modificare i rapporti tra politica e giurisdizione. È probabile che il convegno fiorentino privilegerà piuttosto la strada dei rimedi interni alla giurisdizione pur nella consapevolezza del crescente impatto prodotto dai giudizi discrezionali. Ma forse anche nella consapevolezza che gli scossoni costituzionali possono produrre conseguenze (volute o no) nefaste e talvolta devastanti per la delicata macchina della giustizia e del sistema politico-istituzionale.