Corte cost., sent. 11 febbraio 2020 (c.c. 16 gennaio 2020), n. 15, Pres. Cartabia, Red. Viganò
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Diamo immediata notizia del deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 15 del 2020, che, nonostante il dispositivo di inammissibilità, si segnala per l’ambito cui afferisce la questione in esame – la disciplina delle pene pecuniarie – e, soprattutto, per il monito rivolto al legislatore circa l’opportunità di intervenire con una disciplina che razionalizzi la materia e le restituisca effettività.
L’intervento della Corte costituzionale era stato sollecitato dal Tribunale di Firenze, investito di una richiesta di patteggiamento con sostituzione (ex art. 53 co. 2 l. 689/81) della pena della reclusione con quella della multa, che l’imputato chiedeva di calcolare secondo il tasso di conversione stabilito dall’art. 459 comma 1-bis c.p.p. (75 euro per ogni giorno di pena detentiva, aumentabile fino al triplo tenuto conto delle condizioni economiche individuali e del nucleo familiare).
Il Tribunale di Firenze, rilevato che tale criterio può operare soltanto nel procedimento per decreto penale di condanna, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 135 c.p., censurando che la previsione ivi contenuta di un diverso criterio con ambito di applicazione generale (250 euro per ogni giorno di pena detentiva) comporti una violazione dell’art. 3 Cost. – facendo dipendere il tasso di conversione da un scelta discrezionale del p.m. circa le modalità di esercizio dell’azione penale – nonché dell’art. 27 Cost. – consentendo potenzialmente l’irrogazione di pene sproporzionate rispetto alla gravità dei fatti.
La Corte costituzionale ha dichiarato le questioni inammissibili, precisando però che quello implicitamente denunciato dal ricorrente è un “problema reale”.
Nelle motivazioni si ricostruisce anzitutto l’evoluzione che ha interessato il criterio di conversione ordinario e, in particolare, la modifica normativa (l. 94/2009) che ha innalzato il tasso a 250 euro giornalieri: questa ha reso particolarmente oneroso il risultato economico della sostituzione (alla reclusione minima di 15 giorni corrisponderebbe una multa minima di 3.750 euro) e, di conseguenza, ridotto significativamente nella prassi le richieste di sostituzione – frustrando, nota la Corte la Corte, la ratio sottostante il meccanismo sostitutivo, peraltro divenuto accessibile ai soli detenuti abbienti.
Poste tali premesse, tuttavia, la questione di legittimità sconta un vizio di “aberratio ictus”.
Vero infatti, che il criterio ordinario di ragguaglio è quello stabilito dall’art. 135 c.p., su cui si appuntano le censure del rimettente, ma non può trascurarsi – osserva la Corte – che l’art. 53 l. 689/91, nel prevedere in generale il meccanismo sostitutivo e nel rinviare all’art. 135, prevede esso stesso una disciplina speciale: in particolare, la norma viene in rilievo nella parte in cui consente che la somma fissata dal codice possa essere aumentata sino a dieci volte, in considerazione della della condizione economica dell’imputato o del suo nucleo familiare.
Una questione di legittimità concernente, come quella in esame, il solo art. 135 c.p., risulta pertanto mal direzionata sotto un duplice aspetto: da un lato, mira a modificare un criterio di ragguaglio che svolge nell’ordinamento penale una pluralità di funzioni ulteriori rispetto alla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, dall’altro omette di censurare la norma (il citato art. 53) la cui disciplina speciale sarebbe applicabile nel caso di specie.
Dichiarata quindi l’inammissibilità della questione, come anticipato la sentenza si chiude con un monito che si ritiene opportuno riportare integralmente:
«Le considerazioni poc’anzi svolte inducono, comunque, questa Corte a formulare l’auspicio che il legislatore intervenga a porre rimedio alle incongruenze evidenziate [...] nel quadro di un complessivo intervento – la cui stringente opportunità è stata anche di recente segnalata (sentenza n. 279 del 2019) – volto a restituire effettività alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata e di conversione in pene limitative della libertà personale. E ciò nella consapevolezza che soltanto una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravità del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi l’effettiva riscossione, può costituire una seria alternativa alla pena detentiva, così come di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei».