Corte cost., ord. 11 marzo 2020, Pres. Cartabia, Red. Viganò
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Segnaliamo ai lettori il deposito dell’ordinanza n. 49/2020 della Corte costituzionale, con cui viene disposta la restituzione degli atti ai giudici rimettenti che avevano sollevato questioni di legittimità della l. 3/2019 (c.d. spazzacorrotti) tese a censurare, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., l’inserimento dei principali delitti contro la pubblica amministrazione nel catalogo dei c.d. reati ostativi di cui all’art. 4-bis ord. penit.
Come già segnalato in questa Rivista, i giudici a quibus – la Corte di Cassazione e la Corte d’appello di Caltanissetta in relazione a fatti di peculato, la Corte d’Appello di Palermo in relazione al delitto di induzione indebita – avevano ritenuto che per decidere i ricorsi di cui erano stati investiti dovessero trovare applicazione, in materia di accesso alle misure alternative alla detenzione e di sospensione dell’ordine di esecuzione, le modifiche previste dalla l. 3/2019: ciò sul presupposto che, andando a incidere su norme processuali, in base al principio tempus regit actum la nuova disciplina (sebbene peggiorativa) potesse regolare l’esecuzione di condanne per reati commessi prima dell’entrata in vigore della stessa legge “spazzacorrotti”.
Tuttavia, nella prospettiva sostanzialmente comune dei rimettenti, l’applicazione del regime di cui all’art. 4-bis alle figure di reato considerate avrebbe integrato la violazione di parametri costituzionali sotto un duplice profilo.
Da un lato, la condotta tipica sarebbe carente, alla luce delle evidenze empiriche, dei connotati che in forza di una consolidata giurisprudenza costituzionale consentono di legittimare, ex art. 3 Cost., quella presunzione di pericolosità sociale che sta alla base delle preclusioni riconnesse ai c.d. reati ostativi.
Dall’altro lato, l’operare di tale presunzione avrebbe l’effetto di comprimere la discrezionalità giudiziaria oltre la misura necessaria per garantire, ex art. 27 Cost., il rispetto dei principi di individualizzazione e di finalità rieducativa della pena – sacrificata interamente, quest’ultima, a favore di una esclusiva funzione general-preventiva.
Come annunciato nel comunicato stampa, la Corte costituzionale non ha affrontato nel merito le questioni sollevate, limitandosi a prendere atto della sopravvenienza rappresentata dalla sent. n. 32/2020.
Come noto, quest’ultima sentenza – anch’essa preceduta da un comunicato ma altresì depositata prima della decisione in esame (per l’esattezza, lo stesso giorno ma qualche ora in anticipo) – si connota invece per un esito di accoglimento: riconosciuto che la ratio del principio di irretroattività sfavorevole ne comporta l’operatività in tutti i casi in cui l’intervento del legislatore determini una trasformazione qualitativa della natura della pena, comprese dunque le modifiche alle norme in materia di misure alternative alla detenzione (e di liberazione condizionale), la Corte ha dichiarato illegittima l’applicazione della disciplina in malam introdotta dalla “spazzacorrotti” ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
Nell’ordinanza in esame, la Corte evidenzia come tutte le ordinanze di rimessione siano state emesse «nell’ambito di incidenti di esecuzione promossi da condannati per delitti […] commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019».
Alla luce di tale dato, l’evidente interferenza della sopravvenienza costituita dalla sent. 32/2020 rende inevitabile per la Corte restituire gli atti ai giudici rimettenti, affinché possano svolgere una nuova valutazione «in concreto […] sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento alla non manifesta infondatezza» delle questioni sollevate.
In attesa di ospitare più approfonditi commenti e di osservare gli sviluppi della vicenda, pare comunque di immediata evidenza che l’invito della Corte sia da riferire in particolare al requisito della rilevanza, posto che – come visto – i rimettenti avevano ritenuto di essere vincolati all’applicazione del nuovo regime (con i relativi profili di contrasto con i parametri suesposti) sul presupposto di un criterio intertemporale poi confutato proprio dalla sent. 32/2020, alla luce della quale, invece, la disciplina di cui alla l. 3/2019 non sarebbe invocabile per decidere le tre controversie concrete.
Ciò naturalmente non impedisce che analoghe questioni di legittimità possano essere riproposte una volta entrata pienamente “a regime” la nuova disciplina e che, anche con riferimento ai fatti pregressi, possano già adesso soddisfare il requisito della rilevanza in relazione a quelle modifiche, attinenti «mere […] modalità esecutive della pena», per le quali non potrebbe tuttora valere il divieto di retroattività sfavorevole, pur nella sua accresciuta portata sancita nella sent. 32/2020.