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28 Marzo 2024


Per la Consulta non esiste un vincolo costituzionale che imponga di dare rilievo alla “pena naturale”: infondate le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze

Corte cost. sent. 6 marzo 2024 (dep. 25 marzo 2024), n. 48, pres. Barbera, rel. Petitti



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Diamo notizia ai lettori del deposito della sentenza n. 48 del 2024 con la quale la Corte costituzionale si è pronunciata in merito alle questioni di legittimità, sollevate dal Tribunale di Firenze con riferimento agli artt. 3, 13 e 27, terzo comma Cost., dell’art. 529 c.p.p., «nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso» (qui, pubblicata in questa Rivista, una scheda di commento all'ordinanza di rimessione a firma di A. Aimi).

La Corte, nel dichiarare non fondate tali questioni, si sofferma sulla teorica della “pena naturale” evocata dal rimettente, evidenziando come «l’ordinanza esponga un petitum talmente ampio da risultare incompatibile con la tesi della sussistenza di un corrispondente vincolo costituzionale» che imponga di offrire rilievo nel nostro ordinamento all’istituto della poena naturalis.

Di seguito riportiamo il testo del Comunicato stampa.

«Con la sentenza n. 48, depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze nei confronti dell’art. 529 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un’ipotesi di non procedibilità riguardo all’omicidio colposo del prossimo congiunto.

Chiamato a giudicare dell’imputazione per omicidio colposo con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ascritta ad uno zio per la morte del nipote suo dipendente, il Tribunale aveva denunciato la violazione dei principi costituzionali di necessità, proporzionalità e umanità della pena, non prevedendo la norma censurata che il giudice possa emettere sentenza di non doversi procedere quando l’autore del reato abbia patito, per la morte del familiare da lui stesso causata, una sofferenza, una pena naturale appunto, tale da rendere inutile ogni ulteriore sanzione. Dopo aver sottolineato che l’istituto della pena naturale, pur noto in alcuni ordinamenti europei, non appartiene alla tradizione normativa italiana, la Corte ha escluso la sussistenza di un vincolo costituzionale che ne esiga l’introduzione in conformità alla richiesta del Tribunale di Firenze. Infatti, questa si rivela eccessivamente ampia «sotto tre distinti aspetti, ognuno dei quali sufficiente ad inficiarne la fondatezza».

In primo luogo, nel riferimento generico alla colpa, senza alcuna distinzione tra le sue varie declinazioni, che «possono viceversa corrispondere a ipotesi molto diverse tra loro sotto il profilo criminologico e della protezione dei beni».

Inoltre, per il rimando alla troppo larga nozione di prossimo congiunto, che, secondo la definizione dell’art. 307 del codice penale, «si estende ben oltre la famiglia nucleare».

Infine, per l’oggetto stesso dell’addizione, poiché «non vi sono ragioni costituzionali in base alle quali la pena naturale da omicidio colposo del prossimo congiunto debba integrare una causa di non procedibilità, anziché, in thesi, un’esimente di carattere sostanziale, ovvero ancora una circostanza attenuante soggettiva».