Art. 23 d.l. 30 marzo 2023, n. 34 (c.d. decreto bollette)
Come già segnalato sulla nostra Rivista con una scheda di Sara Prandi, l'art. 23 del c.d. decreto bollette (d.l. n. 34/2023) ha introdotto una causa di non punibilità di alcuni reati tributari, speciale rispetto a quella delineata dall'art. 13 d.lgs. n. 74/2000 (i testi a fronte delle due cause di non punibilità sono disponibili in allegato alla scheda di S. Prandi; in allegato al presente contributo può inoltre leggersi l'estratto del dossier del Servizio studi della Camera dei Deputati). Pubblichiamo di seguito alcune osservazioni del prof. Gian luigi Gatta, che riproducono un intervento svolto l'11 aprile 2023 in sede di audizione davanti alle Commissioni riunite Finanze e Affari sociali della Camera, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 1060, di conversione del suddetto decreto-legge.
1. L'art. 23 del decreto-legge n. 34/2023 espressamente qualifica la nuova causa di non punibilità come “speciale”. E' noto, infatti, come dal 2015 è presente nell’art. 13 d,lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e non viene ora interessata dalla modifica normativa, una causa di non punibilità per pagamento del debito tributario rispetto alla quale la nuova disposizione presenta alcuni elementi comuni ed alcuni elementi diversi.
Quanto agli elementi comuni, entrambe le cause di non punibilità riguardano esattamente gli stessi reati tributari: l’omesso versamento di ritenute certificate (art. 10 bis d.lgs. n. 74/2000), l’omesso versamento dell’IVA (art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000), l’indebita compensazione (art. 10 quater, co. 1 d.lgs. n. 74/2000). Entrambe le cause di non punibilità, inoltre, operano sul medesimo presupposto dell’integrale versamento degli importi dovuti dal contribuente, che deve intervenire entro un certo termine individuato in rapporto al procedimento penale. Si tratta di importi significativi: i tre reati tributari interessati dalla causa di non punibilità sono integrati solo in caso di superamento di soglie fissate dalla legge, rispettivamente, in 150.000 (art. 10 bis), 250.000 (art. 10 ter) e 50.000 euro (art. 10 quater, co. 1).
Quanto agli elementi differenziali, spicca su tutti il termine ultimo entro il quale va effettuato il pagamento del debito tributario: prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, nell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, prima della pronuncia della sentenza di appello, nell’art. 23 d.l. n. 34/2023. La nuova causa di non punibilità sposta dunque molto in avanti il termine per il pagamento del debito tributario: dalle fasi iniziali del giudizio di primo grado alla fase finale del giudizio di secondo grado.
Un secondo elemento differenziale è rappresentato poi dall’indicazione di particolari modalità e termini per la definizione delle violazioni tributarie e per il pagamento del debito. Mentre l’art. 13 d.lgs. n. 74/2000 opera un generico riferimento alle “procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”, nonché al “ravvedimento operoso”, l’art. 23 d.l. n. 34/2023 aggancia la causa speciale di non punibilità alla definizione delle violazioni e al versamento dei contributi “secondo le modalità e nei termini previsti dall'articolo 1, commi da 153 a158 e da 166 a 252, della legge 29 dicembre 2022, n. 197”, cioè secondo l’articolata disciplina della c.d. tregua fiscale disciplinata dall'ultima legge di bilancio, che trova ora un importante pendant e volano penalistico.
Un terzo elemento differenziale è poi rappresentato dall’espresso riferimento, nell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, alla necessità del pagamento di sanzioni amministrative e interessi; riferimento che non compare nell’art. 23 d.l. n. 34/2023 e che deve ritenersi assorbito nella disciplina tributaristica richiamata: sanzioni e interessi sono dovuti se e nella misura in cui la disciplina richiamata ne prevede il pagamento. Anche in questo caso il maggior favore della nuova disciplina sembra evidente, anche solo considerando come sia prevista, in alcuni casi, il pagamento delle sanzioni amministrative nella misura di un diciottesimo.
Un quarto elemento differenziale è rappresentato dal tempo a disposizione del contribuente per effettuare il pagamento del debito tributario mediante rateizzazione: nell’art. 13, co. 3 d.lgs. n. 74/2000 si prevede un termine di tre mesi prorogabile una sola volta dal giudice per non oltre tre mesi. L’art. 23, co. 3 del d.l. n. 34/2023 fa un generico riferimento a una sospensione del processo penale, senza indicare un termine massimo né disciplinare un meccanismo di proroghe analogo a quello dell’art. 13, co. 3 d.lgs. n. 74/2000. Se ne desume che la rateizzazione, secondo la disciplina di diritto tributario richiamata, potrà comportare la sospensione del processo penale per periodi ben più lunghi di tre o sei mesi: fino a cinque anni (venti rate trimestrali), nel caso della definizione degli atti del procedimento di accertamento (art. 1, commi 179-185 l. n. 197/2022).
Un quinto elemento differenziale è rappresentato infine dalla previsione espressa, nell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, della sospensione del termine di prescrizione del reato, durante il periodo concesso per il pagamento del debito tributario (di massimo sei mesi, come si è detto). L’art. 23 d.l. n. 34/2023 non fa invece alcun riferimento alla sospensione del termine di prescrizione del reato e nemmeno fa riferimento, pur consentendo l’operatività della causa di non punibilità nel giudizio di appello, alla sospensione del termine di improcedibilità dell’azione penale per superamento della durata massima del giudizio di impugnazione, di cui all’art. 344 bis c.p.p., inserito dalla riforma Cartabia. È vero che disponendo l’art. 23, co. 3 d.l. n. 34/2023 una sospensione obbligatoria del processo penale sembra doversi ritenere che, in base all’art. 159, comma 1 c.p., richiamato dall’art. 344 bis, comma 6 c.p.p., durante tale sospensione siano sospesi anche i termini di prescrizione del reato e di improcedibilità dell’azione penale. Sarebbe tuttavia opportuno esplicitarlo, per evitare possibili dubbi interpretativi.
2. Vengo ora ad alcuni rilievi sulla tecnica normativa, che a mio parere non soddisfa i requisiti di precisione che devono essere propri della legge penale. La nuova causa di non punibilità richiama novantadue commi di un’altra legge (la legge di bilancio 2023), che a loro volta richiamano ulteriori articoli e commi. L’intellegibilità della causa di non punibilità è a forte rischio, con possibili ripercussioni negative: dubbi interpretativi possono alimentare il contenzioso e le impugnazioni.
L’art. 13 d.lgs. n. 74/2000 è scritto invece con una tecnica diversa, che fa riferimento all’integrale pagamento degli importi dovuti “anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché al ravvedimento operoso”. Tale clausola è talmente ampia che mi pare riferibile anche alle procedure richiamate ora dai novantadue commi della legge di bilancio. Le novantadue disposizioni richiamate disciplinano molteplici procedure, tra loro diverse, volte a prevenire le liti e a definire vertenze tra il contribuente e il Fisco; procedure che, nel complesso, coprono tutte le fasi del procedimento tributario.
3. Il legislatore ha richiamato espressamente una pluralità di procedure – tra loro diverse – senza farsi carico di circoscrivere il rinvio alle sole procedure che possono risultare temporalmente allineate con il procedimento penale. Sarebbe opportuno farlo, in sede di conversione del decreto-legge, per esigenze di precisione e per evitare possibili dubbi interpretativi.
Non solo, tra le procedure richiamate ve ne sono alcune che non sembrano rilevanti ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, in quanto non sono direttamente collegate alla potenziale commissione dei reati di omesso versamento e indebita compensazione. E’ il caso della procedura di regolarizzazione di irregolarità formali, prevista dai commi 166-173 dell’art. 1 l. n. 197/2022, la quale consente di sanare le irregolarità, le infrazioni e le inosservanze di obblighi o adempimenti non rilevanti né per la determinazione della base imponibile delle imposte dirette, dell’IVA, dell’IRAP, né per il pagamento di tali tributi.
Ancora, tra le procedure richiamate ve ne sono alcune rispetto alle quali sembra irragionevole prevedere la causa di non punibilità. È il caso della estinzione del debito nella fase della riscossione mediante la procedura di rottamazione dei ruoli (commi 231-252 dell’art. 1 l. n. 197/2022).
4. Altro aspetto di dubbia interpretazione è se la causa speciale di non punibilità sia riferibile solo a determinati periodi d’imposta o meno. Sul punto a me pare che la normativa richiamata abbia una portata decisamente ampia, tanto da poter ricomprendere potenzialmente tutti i periodi di imposta e ogni fase del contenzioso tributario e della riscossione. Uno sforzo di maggiore precisione sarebbe stato tuttavia opportuno. Come sarebbe opportuno precisare nel testo dell’art. 23 il limite temporale di applicazione della causa di non punibilità, senza costringere l’interprete alla ricerca di quel limite nei novantadue commi richiamati. La causa di non punibilità opera per chi si è avvalso/si avvale della c.d. tregua fiscale. I limiti temporali entro i quali il contribuente potrà beneficiare della causa di non punibilità dipendono dai termini entro i quali può accedere alla tregua fiscale, termini diversi a seconda delle procedure richiamate e che, per alcune di esse, sono prorogati dallo stesso decreto-legge n. 34/2023 al 30 settembre e al 31 ottobre 2023.
5. Vengo alle conclusioni. La nuova causa speciale di non punibilità si presenta per molti profili più vantaggiosa rispetto a quella prevista dall’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, che verosimilmente è destinata di fatto a non trovare più applicazione almeno fino a quando sarà possibile accedere alla c.d. tregua fiscale.
Al di là del deficit di precisione e degli aspetti tecnici che ho segnalato – e che potrebbero suggerire a mio avviso interventi in sede di conversione –lascia perplessi la scelta di consentire all’imputato di rimandare – sebbene nei limiti temporali previsti dalle procedure fiscali – la decisione circa l’estinzione del debito tributario sino alla conclusione del giudizio di appello. L’imputato può ancorare la propria decisione a ragioni di mera opportunità, legate ad esempio all’andamento del giudizio di appello e alla prognosi di una eventuale conferma della condanna. Detto in altri termini, concedere di pagare il debito tributario fino all’appello significa consentire calcoli strumentali all’imputato; significa disincentivare il patteggiamento o altre forme di definizione anticipata del procedimento perché l’imputato potrà difendersi nel merito in primo grado (e magari anche confidare nella prescrizione del reato) e, se condannato, potrà accedere alle procedure tributarie e avvalersi della causa di non punibilità fino al giorno prima dell'udienza conclusiva dell'appello
L’effetto deflativo sul primo grado di giudizio, ancorato all’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, viene sterilizzato. Si incentivano di fatto gli appelli e si consente di sospendere i procedimenti penali per lunghi tempi (fino a cinque anni), in primo grado e in appello, con impatto negativo sui tempi medi di definizione. Questa soluzione tecnica, a mio parere, dovrebbe essere rivista, in sede di conversione in legge, perché produce effetti negativi sui tempi del processo, in contrasto con gli obiettivi del PNRR che prevedono come è noto, entro il 2026, la riduzione del 25% dei tempi medi dei processi penali nei diversi gradi di giudizio. Proprio il profilo di contrasto con gli obiettivi del PNRR dovrebbe suggerire, a mio avviso, una soluzione diversa: allineare il limite temporale per il pagamento del debito tributario all’apertura del dibattimento di primo grado, come nell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, oppure prevedere, come nei condoni fiscali o edilizi, un termine ultimo per il pagamento del debito, anche a seguito di rateizzazione (ad es., il 31 dicembre 2024).