1. “Una seria riflessione sul sistema sanzionatorio”. Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi si avviano a compiere quarant’anni nel prossimo novembre[1]. Quarant’anni: tempo di bilanci, un tempo giusto per individuare eventuali errori e per impostare correzioni di rotta, anche radicali.
L’impulso ad un ripensamento dell’attuale disciplina è venuto da Marta Cartabia, che sin dai primi giorni dalla costituzione del Governo Draghi ha individuato nell’esigenza di riformare il sistema sanzionatorio, e in particolare nell’esigenza di superare il primato del carcere, una priorità nel proprio programma al vertice del Ministero della Giustizia. In Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, Marta Cartabia ha infatti affermato: “Penso sia opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio” che ci orienti “verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato. La certezza della pena non è la certezza del carcere”. La detenzione in carcere “per gli effetti desocializzanti che comporta, deve essere invocata come extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere”[2].
In questa direzione si orienta dunque la riforma ora all’esame del Parlamento, come delineata nel d.d.l. AS 2353, intitolato “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”[3]. Strutturata come un catalogo di emendamenti al d.d.l. Bonafede AC 2435, la riforma coinvolge temi ulteriori, di diritto processuale e di diritto sostanziale, rispetto all’originario disegno di legge: tra i temi di diritto sostanziale, come si è detto, quello delle sanzioni sostitutive, al quale il d.d.l. AS 2353 dedica l’art. 1 co. 17.
Il ridimensionamento del ruolo della pena detentiva è un obiettivo perseguito già dalla Commissione Lattanzi[4], istituita a marzo 2021 con il compito, fra l’altro, di “elaborare proposte di riforma in materia… di sistema sanzionatorio penale”: un compito che la Commissione ha soddisfatto attraverso proposte che riguardano largamente le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (art. 9 bis)[5].
2. Le sanzioni sostitutive nella prassi, alla vigilia della riforma. Come si legge nella Relazione Lattanzi, le sanzioni sostitutive della l. n. 689/1981 hanno fallito: “per ragioni diverse, in buona parte riferibili all’evoluzione del sistema sanzionatorio e al mancato coordinamento con altre misure – in primis, la sospensione condizionale della pena, applicabile come la sostituzione fino a due anni –”[6]. Segnala in effetti la Relazione che al 15 aprile 2021 in semidetenzione si trovavano soltanto 2 persone, 104 in libertà controllata (presente nell’ordinamento anche come sanzione da conversione della pena pecuniaria ex art. 102 l. 689/1981): “numeri insignificanti rispetto al dato, complessivo, delle misure che prevedono l’esecuzione penale esterna (cd. di comunità) – oltre 64.000, a quella data”[7].
A proposito della pena pecuniaria sostitutiva non disponiamo di dati statistici ufficiali. Va comunque sottolineato che questa pena, modellata secondo lo schema delle quote giornaliere (ex artt. 53 co. 2 l. 689/1981, nella versione della l. n. 134/2003, e art. 135 c.p.), con la riforma dell’art. 135 c.p. realizzata nel 2009 è diventata una sorta di “privilegio per i soli condannati abbienti”[8]. La sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria risulta dunque sostanzialmente preclusa per chi non disponga di apprezzabili risorse economiche: un effetto che si è prodotto (o quanto meno si è accentuato) allorché il valore della quota giornaliera è stato portato a una forbice compresa fra 250 e 2500 euro, e in particolare il valore minimo della quota è salito da 38 a 250 euro.
Un quadro desolante, sul quale la Riforma Cartabia interviene in varia forma: porta da due a quattro anni il limite massimo entro il quale la pena detentiva potrà essere sostituita dal giudice; abolisce le sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata; fa spazio tra le pene sostitutive – accanto alla pena pecuniaria – alla detenzione domiciliare e alla semilibertà (a due, dunque, fra quelle che attualmente sono previste come “misure alternative alla detenzione”), nonché al lavoro di pubblica utilità[9].
Segnalo, inoltre, che, accogliendo un’indicazione della dottrina pressoché unanime, la riforma Cartabia esclude l’applicabilità della sospensione condizionale della pena alle sanzioni sostitutive della pena detentiva (art. 1 co. 17, lett. h): un passo indispensabile al fine di garantire effettività all’intero sistema delle pene sostitutive, evitando che le pene sostitutive vengano ‘fagocitate’ dalla sospensione condizionale[10].
Queste, in definitiva, le sanzioni sostitutive previste dal d.d.l. AS 2353 (art. 1 co. 17 lett. b): la detenzione domiciliare, la semilibertà, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria.
3. La detenzione domiciliare e la semilibertà. Nella Riforma Cartabia, la fascia più alta nella gamma delle sanzioni sostitutive è occupata dalla semilibertà e dalla detenzione domiciliare: l’art. 1 co. 17 lett. e d.d.l. AS 2353 delega infatti il Governo a prevedere che il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna o la sentenza di patteggiamento, “quando ritenga di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, possa sostituire tale pena con quelle della semilibertà o della detenzione domiciliare”. Le nuove pene sostitutive – come tali designate espressamente dal d.d.l.[11] – saranno assoggettate alla disciplina sostanziale e processuale, in quanto compatibile, prevista dalla legge sull’ordinamento penitenziario per le omonime misure alternative alla detenzione. Quanto alle sanzioni per la mancata esecuzione della pena sostitutiva o per l’inosservanza delle prescrizioni, l’art. 17 co. 1 lett. m e lett. n prevede un regime più flessibile di quello attualmente previsto per la semidetenzione e per la libertà controllata all’art. 66 l. 689/1981: la revoca avrà luogo solo in caso di mancata esecuzione o di inosservanza grave o reiterata delle prescrizioni e la conversione del residuo potrà avvenire, oltre che in pena detentiva, anche in altra pena sostitutiva (dalla detenzione domiciliare si potrà dunque passare alla semilibertà).
La scelta di ‘sdoppiare’ le attuali misure alternative alla detenzione, prevedendo nuove pene sostitutive, applicabili dal giudice di cognizione, di contenuto identico a quello delle misure alternative, è coerente con le Proposte della Commissione Lattanzi (art. 9 bis co. 1).
Gli elementi di diversità tra il d.d.l. governativo e le Proposte della Commissione sono però molteplici. Quelli, a mio avviso, più rilevanti riguardano: a) l’eliminazione dell’affidamento in prova al servizio sociale, al quale la Commissione attribuiva lo stesso duplice ruolo conferito alla semilibertà e alla detenzione domiciliare (art. 9 bis co. 1 lett. b); b) la previsione su scala generale della possibilità di applicare le nuove pene sostitutive da parte del giudice di cognizione nella sentenza di condanna, possibilità che la Commissione Lattanzi riservava invece a specifiche figure di reato, da individuarsi espressamente ad opera del legislatore (art. 9 bis co. 1 lett. e): la sostituzione su scala generale era invece prevista in sede di patteggiamento (art. 9 bis co. 1 lett. d); c) l’eliminazione del divieto di disporre la sostituzione più di una volta (art. 9 bis co. 1 lett. d n. 1).
La scelta di mettere a disposizione del giudice di cognizione sanzioni che riproducono nei contenuti le attuali misure alternative merita, a mio avviso, pieno apprezzamento[12]: non solo scongiura il passaggio del condannato attraverso il carcere, ma promette anche di ridimensionare il fenomeno patologico dei c.d. liberi sospesi (condannati cioè che, secondo il disposto dell’art. 656 co. 5 c.p.p., attendono in libertà la decisione del Tribunale di sorveglianza sull’istanza di ammissione a una misura alternativa). Il carico di lavoro che grava sugli Uffici di sorveglianza ben difficilmente si concilia, oggi, con il termine di quarantacinque giorni previsto dall’art. 4 d.lgs. 123/2018: con la conseguenza di lunghi periodi di attesa fra la presentazione dell’istanza e la pronuncia del giudice, con effetti spesso gravemente dannosi per il condannato, al di là degli evidenti costi sul piano della celerità del processo[13].
Altrettanto apprezzabili, a mio avviso, le scelte in merito alla sostituzione della pena detentiva all’esito del giudizio ordinario e in merito alla possibilità di reiterare l’applicazione di una pena sostitutiva. Le due previsioni tendono infatti ad attribuire un ruolo più ampio alle pene sostitutive, a scapito evidentemente, della pena detentiva: o, almeno, a scapito della ‘pena carceraria’.
Il punto più delicato, e problematico, della Riforma Cartabia in tema di pene sostitutive riguarda la tipologia delle nuove pene ricalcate sulle misure alternative alla detenzione. La Commissione Lattanzi, come già ho ricordato, proponeva di collocare tra le sanzioni sostitutive anche l’affidamento in prova al servizio sociale: e proprio il limite massimo di pena concreta a cui è sottoposta applicabilità di tale misura alternativa (art. 47 co. 3 bis ord. penit.) viene ora riproposto per la sostituzione ad opera del giudice di cognizione con ciascuna delle misure alternative ‘riconvertite’ in pene sostitutive.
Quali le ragioni che stanno alla base del cambiamento di rotta del d.d.l. governativo in tema di affidamento in prova? Si possono avanzare almeno due ipotesi. Potrebbe aver pesato la considerazione che l’affidamento in prova, già oggi applicato su larga scala, in caso di ulteriore dilatazione della sua area applicativa rischiava di assumere i connotati sempre più evidenti di una sospensione condizionale mascherata[14]: una sanzione vuota di contenuti, sempre meno idonea a prendere il posto di pene detentive di medio ammontare, come previsto dalla riforma. Una seconda ipotesi è suggerita dal rilievo che tra le misure alternative alla detenzione soltanto l’affidamento in prova non comporta alcuna privazione della libertà personale. La detenzione domiciliare priva il condannato della libertà personale, sia pure in un contesto non carcerario[15]. La semilibertà è nella sostanza una forma aperta di esecuzione della pena detentiva, comportando un’ampia componente di permanenza di carcere, addirittura più ampia di quella prevista per la semidetenzione[16]. La riforma elimina la semidetenzione, ma introduce al suo posto una pena che ne riproduce in forma accentuata i connotati ‘para-carcerari’. Affiora l’idea – insuperata – che la pena debba consistere in una privazione di libertà: preferibilmente, forse, in una privazione di libertà che abbia a che fare con il carcere.
4. Il lavoro di pubblica utilità. Come ho anticipato, il d.d.l. AS 2353 annovera il lavoro di pubblica utilità tra le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (art. 1 co. 17 lett. b). La sostituzione con il lavoro di pubblica utilità potrà avvenire anche d’ufficio, con sentenza di condanna o con sentenza di patteggiamento, a condizione che il giudice ritenga di determinare la pena detentiva entro il limite di tre anni e il condannato non vi si opponga (art. 1 co. 17 lett. e)[17]. La sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità potrà essere disposta anche con decreto penale di condanna, sempre a condizione che il condannato non vi si opponga. In caso di decreto penale di condanna o di patteggiamento il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, se accompagnato dal risarcimento del danno o dalla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ove possibili, comporterà la revoca della confisca che sia stata eventualmente disposta, purché non si tratti di confisca obbligatoria (art. 1 co. 17 lett. i). La disciplina del lavoro di pubblica utilità dovrà essere mutuata, in quanto compatibile, da quella dettata dal d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 per l’omonima pena applicabile dal giudice di pace (art. 1 co. 17 lett. f): quanto alla durata, il d.d.l. governativo vincola espressamente il legislatore delegato a prevedere che la durata sia pari a quella della pena detentiva sostituita.
Su quest’ultimo punto va segnalata una significativa divergenza del d.d.l. AS 2353 rispetto alle Proposte della Commissione Lattanzi, che all’art. 9 bis co. 1 lett. f prevedevano una disciplina differenziata a seconda che la sostituzione avvenisse all’esito del giudizio ordinario, con sentenza di patteggiamento o con decreto penale di condanna: nel primo caso il lavoro di pubblica utilità doveva avere una durata pari a quella della pena detentiva sostituita, mentre negli altri due casi la durata doveva essere pari alla metà di quella della pena detentiva. Evidentemente, si mirava, anche su questo piano, ad incentivare il ricorso ai riti speciali e dunque a conseguire effetti di deflazione processuale: una strada che il Governo non ha invece ritenuto di percorrere.
La complessa storia del lavoro di pubblica utilità nel nostro ordinamento si accinge dunque a conoscere una nuova fase, dopo lunghi anni in cui la pena-lavoro ha latitato nella prassi. Il legislatore italiano non ha però abbandonato l’idea di quella pena, riproponendola in contesti diversi[18]. La svolta a livello prasseologico è avvenuta con la previsione del lavoro di pubblica utilità come pena sostitutiva (sia della pena detentiva, sia della pena pecuniaria) in materia di circolazione stradale e in materia di stupefacenti: per le contravvenzioni di guida in stato di ebbrezza e di guida sotto l’azione di sostanze stupefacenti, allorché non si sia verificato alcun incidente stradale (art. 186 co. 9 bis e art. 187 co. 8 bis cod. strada) e, inoltre, per reati di droga “di lieve entità”, allorché la condanna — alla reclusione e alla multa — sia pronunciata nei confronti di persona tossicodipendente o di assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73 co. 5 bis T.u. stup.). In questa sfera, e soprattutto in materia di circolazione stradale, il lavoro di pubblica utilità ha dato buona prova, trovando ampia applicazione, in continuo incremento[19], a conferma che la mancata attuazione quale pena da conversione della pena pecuniaria e quale pena principale del giudice di pace non derivava da ostacoli insormontabili. Quell’esperienza positiva, tuttora in atto, ha dunque indotto il legislatore, in sede di riforma, a prevedere il lavoro di pubblica utilità come sanzione sostituiva a largo spettro, su una linea di valorizzazione dell’istituto intrapresa già nel 2014 con la messa alla prova (art. 168 bis co. 2 c.p.) e successivamente ribadita dal d.lgs. 124/2018 che ha incluso il lavoro di pubblica utilità, da svolgersi all’interno o all’esterno del carcere, tra gli elementi del trattamento rieducativo (artt. 15 e 20 ter ord. penit.).
Quella che era parsa una sanzione nata-morta[20], è risultata, alla lunga, viva e vitale: uscita dall’unità di terapia intensiva neonatale, promette di trovare spazi sempre più ampi nell’ordinamento.
5. La pena pecuniaria. Tra le sanzioni sostitutive previste dalla l. n. 689/1981, la pena pecuniaria è l’unica destinata a rimanere dopo la riforma: è però interessata da alcune, importanti novità, in parte comuni a tutte le forme di pena pecuniaria, in parte relative alla sola pena pecuniaria sostituiva.
Le novità di portata generale riguardano l’esecuzione e la conversione in caso di insolvibilità, il cui assetto attuale notoriamente compromette l’effettività di multa e ammenda[21]. Le previsioni relative all’esecuzione e alla conversione sono contenute nell’art. 1 co. 16 del d.d.l. AS 2353: al legislatore delegato si chiede di “razionalizzare e semplificare il procedimento di esecuzione delle pene pecuniarie; rivedere, secondo criteri di equità, efficienza ed effettività, i meccanismi e la procedura di conversione della pena pecuniaria in caso di mancato pagamento per insolvenza o insolvibilità del condannato; prevedere procedure amministrative efficaci, che assicurino l’effettiva riscossione della pena pecuniaria e la sua conversione in caso di mancato pagamento”. È appena in caso, peraltro, di sottolineare la genericità di questa formulazione: la disposizione non va oltre la segnalazione di un problema, la cui soluzione viene sostanzialmente rimessa al legislatore delegato.
Al di là di questo pur rilevantissimo aspetto, l’attenzione del legislatore nell’ambito della riforma Cartabia si è soprattutto concentrata sulla pena pecuniaria sostitutiva.
Questi i compiti che il d.d.l. AS 2353 affida al legislatore delegato.
L’ammontare massimo di pena detentiva per la sostituzione con pena pecuniaria dovrà essere portato ad un anno (art. 1 co. 17 lett. e): l’attuale limite di sei mesi verrà dunque raddoppiato.
Quanto al valore della quota giornaliera (art. 1 co. 17 lett. l), l’ammontare massimo dovrà essere fissato “in misura non eccedente 2500 euro”: il legislatore delegato potrebbe dunque conservare il massimo attuale, ma potrebbe anche optare per un ammontare inferiore. Un valore massimo nettamente ridotto rispetto a quello ordinario dovrà essere previsto, come già oggi, per il caso in cui la sostituzione avvenga con decreto penale di condanna: in tal caso il valore della quota non potrà eccedere 250 euro (a fronte dell’attuale massimo di 225 euro, previsto all’art. 459 co. 1bis c.p.p.).
Soprattutto rileva, peraltro, la rideterminazione dell’ammontare minimo della quota: la delega non individua il valore minimo in termini numerici, ma esplicita che dovrà essere indipendente dalla somma indicata nell’art. 135 c.p. (250 euro) e dovrà essere “tale da evitare che la sostituzione della pena risulti eccessivamente onerosa in rapporto alle condizioni economiche del condannato e del suo nucleo familiare”[22].
Anche per la pena pecuniaria sostitutiva, come per ogni altra sanzione sostitutiva della pena detentiva breve, dovrà essere esclusa, infine, l’applicazione della sospensione condizionale della pena (art. 1 co. 17 lett. h).
Da un confronto fra il d.d.l. governativo e le proposte della Commissione Lattanzi, emergono soprattutto due elementi di diversità.
Il primo riguarda la struttura della pena pecuniaria comminata ex lege. All’art. 9 dell’articolato si prevedeva che nel codice penale, per le comminatorie della multa e dell’ammenda, venisse adottato “il sistema delle quote giornaliere, in numero non inferiore a 5 e, di norma, non superiore a 360”. Tale previsione poteva preludere ad una significativa valorizzazione della pena pecuniaria comminata ex lege[23], tale da avvicinare, tra l’altro, il rapporto tra condanne a pena detentiva e condanne a pena pecuniaria a quello riscontrato in altri Paesi europei prossimi al nostro[24]. La previsione è però scomparsa nel d.d.l. AS 2353: anche una volta realizzata la riforma, il modello delle quote giornaliere è dunque destinato a rimanere per la sola pena pecuniaria sostitutiva[25]. La pena pecuniaria comminata ex lege rimarrà fedele al tradizionale modello della somma complessiva, solo apparentemente “orientato alla capacità economica del condannato”: come in altri ordinamenti, in primis nell’ordinamento tedesco, disposizioni quali quella dell’art. 133 bis c.p. sono da sempre lettera morta, e producono l’unico effetto di tacitare la cattiva coscienza del legislatore[26]. Ciò, tra l’altro, rende altamente problematico dar vita ad una razionale disciplina della conversione, che presuppone la visibilità del ruolo esercitato dalle condizioni economiche del condannato nella commisurazione della pena pecuniaria, così da scongiurare qualsiasi incidenza delle condizioni economiche sull’ammontare della pena da conversione[27].
Un secondo elemento di diversità tra il d.d.l. governativo e le Proposte della Commissione Lattanzi riguarda il regime della pena pecuniaria sostitutiva nel quadro dei riti speciali, e in particolare nel quadro del ‘patteggiamento’ (art. 444 c.p.p.). L’art. 9 bis lett. g delle Proposte prevedeva infatti che nel caso in cui la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria avvenisse in sede di patteggiamento il valore della quota giornaliera fosse compreso tra 1 e 1.000 euro. Il valore della quota giornaliera, già fortemente ridotto quando si trattasse di pena pecuniaria sostituiva (il massimo passava da 30.000 euro a 3.000), veniva dunque ulteriormente abbassato quando alla sostituzione si perveniva in una sentenza di ‘patteggiamento’ (nonché attraverso il procedimento per decreto): la riduzione interessava soprattutto il valore massimo della quota, che scendeva da 3.000 euro a 1.000 euro.
Si poteva dubitare della razionalità di un sistema nel quale il valore massimo della quota giornaliera venisse fissato a livelli così fortemente divaricati, a seconda che si trattasse della pena pecuniaria comminata ex lege, della pena pecuniaria sostitutiva applicata all’esito del giudizio ordinario o della pena pecuniaria sostitutiva applicata nell’ambito di un rito speciale[28]. Tuttavia, è evidente che la soluzione prefigurata dalla Commissione Lattanzi prometteva risultati importanti sia sul piano del ridimensionamento del ruolo della pena detentiva a favore della pena pecuniaria, sia sul piano dell’economia processuale: come ha rilevato Francesco Palazzo, “l’ampia possibilità di degradare la risposta sanzionatoria dal carcere a pene non carcerarie” era la ‘contropartita’ che le Proposte Lattanzi offrivano “in cambio di una rinuncia alla piena giurisdizione”[29].
I diversi attori della giustizia penale – dal legislatore nelle comminatorie di pena all’imputato nella scelta del rito – venivano dunque incentivati ad optare per la pena pecuniaria. Il Governo non ha però aderito alle proposte della Commissione Lattanzi: ne guadagnerà l’equilibrio complessivo della disciplina della pena pecuniaria, ma se ne pagherà, temo, un prezzo non irrisorio in termini di economia processuale.
[1] Sulla legge che ha introdotto nell’ordinamento le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, può vedersi E. Dolcini, A. Giarda, F. Mucciarelli, C.E. Paliero, E. Riva Crugnola, Commentario delle “Modifiche al sistema penale” (l. 24 novembre 1981, n. 689), 1981: in particolare, sulla disciplina originaria delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi cfr. C.E. Paliero, sub artt. 53 ss.
[2] Cfr. E. Novi, Cartabia, una “rivoluzione costituzionale”, Il Dubbio, 16 marzo 2021.
[3] Per il testo del d.d.l., cfr. questa Rivista, 5 agosto 2021. In dottrina, cfr. G.A. De Francesco, Brevi appunti sul disegno di riforma della giustizia, in Legisl. pen., 2021, il quale sottolinea come “il nucleo ispiratore della riforma – sostanzialmente limitato alla prospettiva sanzionatoria – si esprima nel legittimare un più ampio ricorso alle misure alternative al carcere, mediante, se del caso, una valorizzazione dei poteri del giudice, e non di rado accompagnato da meccanismi di semplificazione dell’iter procedimentale” (p. 2).
[4] Commissione di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello, Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. AC 2435, 24 maggio 2021, in questa Rivista, 25 maggio 2021.
[5] Proposte di rilievo erano venute della Commissione Lattanzi anche in relazione alla pena pecuniaria comminata ex lege (art. 9): a commento, cfr. E. Dolcini, Verso una pena pecuniaria finalmente viva e vitale? Le proposte della Commissione Lattanzi, in questa Rivista, 4 giugno 2021. Solo una parte di quelle proposte ha però trovato spazio nel d.d.l. AS 2353: cfr. infra, 5.
[6] Così Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. AC 2435, cit., p. 64.
[7] Ibidem, p. 64 s.
[8] Così Corte cost. 11 febbraio 2020, n. 15.
[9] Un ulteriore importante profilo della riforma delle sanzioni sostitutive riguarda la disciplina del potere discrezionale del giudice in ordine all’an e al quomodo della sostituzione (art. 1 co. 17 lett. c del d.d.l. AS 2353). In proposito, rinvio alla fine analisi di G.A. De Francesco, Brevi appunti sul disegno di riforma della giustizia, cit., p. 4 ss.
[10] Sui problematici rapporti tra sanzioni sostitutive e sospensione condizionale della pena, cfr., fra molti, F. Palazzo, Le pene sostitutive: nuove sanzioni autonome o benefici con contenuto sanzionatorio?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, p. 819 ss., in particolare p. 834 ss.; E. Dolcini, C.E. Paliero, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell’esperienza europea, 1989, p. 275 ss.; da ultimo, G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, pt. gen., X ed., 2021, p. 750 s.
[11] Lo sottolinea G.L. Gatta, Prescrizione del reato e riforma della giustizia penale: gli emendamenti approvati dal Governo su proposta della Ministra Cartabia, in questa Rivista, 10 luglio 2021.
[12] A questa conclusione perviene anche, sostanzialmente, G.A. De Francesco, Brevi appunti sul disegno di riforma della giustizia, cit., p. 6.
[13] Sull’esperienza del Tribunale di sorveglianza di Milano, cfr. G. Di Rosa, Le misure sospensivo-probatorie nell’esperienza milanese: l’affidamento in prova e la liberazione condizionale, in E. Dolcini, A. Della Bella (a cura di), Le misure sospensivo-probatorie. Itinerari verso una riforma, 2020, p. 297.
[14] Sullo svuotamento di contenuti che le misure alternative, e in particolare l’affidamento in prova, hanno conosciuto nella prassi, cfr., fra gli altri, E. Dolcini, Le misure alternative oggi: alternative alla detenzione o alternative alla pena?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 857 ss.; M. Venturoli, Verso il riconoscimento di nuove pene principali non carcerarie: la pena domiciliare tra deflazione penitenziaria e umanizzazione del sistema penale, in Cass. pen., 2015, p. 1664 ss.
[15] Cfr. D. Petrini, L’introduzione di due nuove pene principali denominate “reclusione domiciliare” e “arresto domiciliare”, in Linee di riforma in tema di pene alternative edittali (marzo 2021), p. 11 ss., www.aipdp.it. L’A., a sostegno della proposta di introdurre nuove ‘pene domiciliari’, mette l’accento sull’esigenza di ridurre “il drammatico, desocializzante, criminogeno ed inutile (con riferimento alla criminalità bassa, e medio bassa) contatto la realtà detentiva”. In relazione alla l. 28 aprile 2014, n. 67, che delegava il Governo all’introduzione della reclusione e dell’arresto domiciliare, cfr. D. Brunelli, Diritto penale domiciliare e tenuità dell’offesa nella delega 2014, in Legisl. pen., 2014, p. 427 ss.; G.A. De Francesco, Brevi appunti sul disegno di riforma della giustizia, cit., p. 2; M. Pelissero, La detenzione domiciliare: i vantaggi in chiave deflattiva e il problema dell’offerta trattamentale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, p. 735 ss.; M. Venturoli, Verso il riconoscimento di nuove pene principali non carcerarie, cit., p. 1664 ss.
[16] Come è noto, il condannato in semilibertà trascorre la maggior parte della giornata all’interno di un apposito istituto penitenziario, salvo uscirne il tempo necessario “per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale” (art. 48 ord. penit.), mentre la semidetenzione comporta la presenza del condannato in istituto per (almeno) dieci ore al giorno (art. 55 l. n. 689/1981): per il resto della giornata il semidetenuto si trova in stato di libertà, sia pure sottoposto ad alcune restrizioni (tra le quali la sospensione della patente di guida e il ritiro del passaporto).
[17] L’imputato o il condannato non dovranno dunque fare richiesta del lavoro di pubblica utilità, a differenza di quanto previsto nell’art. 102 l. n. 689/1981 per la pena da conversione della multa o dell’ammenda, nell’art. 54 d.lgs. n. 274/2000 per la pena principale disposta dal giudice di pace e nell’art. 73 co. 5 bis T.u. stup. in relazione ai reati di droga di lieve entità. Richiedendo che l’imputato non si opponga all’applicazione del lavoro di pubblica utilità, il d.d.l. governativo ricalca sostanzialmente il disposto degli artt. 186 co. 9 bis e 187 co. 8 bis cod. strada in materia di guida in stato di ebbrezza e di guida sotto l’azione di sostanze stupefacenti.
[18] Per il relativo quadro nel diritto vigente, cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, cit., p. 747.
[19] Ibidem, p. 750 s.
[20] Così C.E. Paliero, Metodologie de lege ferenda: per una riforma non improbabile del sistema sanzionatorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, p. 536.
[21] Cfr. Commissione Lattanzi, Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. AC 2435, cit., p. 62. In dottrina, fra molti, cfr. E. Dolcini, Superare il primato del carcere: il possibile contributo della pena pecuniaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 422 ss.
[22] In dottrina, sottolinea la “totale irragionevolezza dell’attuale disciplina italiana, con particolare riferimento all’ammontare minimo del tasso giornaliero”, richiamando fra l’altro le ben diverse soluzioni adottate in alcuni ordinamenti stranieri, E. Dolcini, Superare il primato del carcere, cit., p. 421 s.
[23] Di recente, a proposito dell’adozione del sistema ‘per tassi’ quale chiave di volta di una riforma volta a conferire alla pena pecuniaria “un ruolo quasi concorrente con quella detentiva rispetto ad un’area consistente della criminalità di media gravità, attraverso la sua comminatoria di regola alternativa”, cfr. F. Palazzo, Nota introduttiva, in Linee di riforma in tema di pene alternative edittali (marzo 2021), cit., p. 9 s.
[24] Può vedersi in proposito E. Dolcini, Superare il primato del carcere, cit., p. 401 s. e p. 407 ss.
[25] “Dalle esperienze straniere (tra le altre, l’esperienza spagnola, ma anche quella francese) emerge inequivocabilmente… che, laddove i due sistemi convivono, la pena pecuniaria è destinata al fallimento”: così L. Goisis, Pene pecuniarie: una proposta de iure condendo, in Linee di riforma in tema di pene alternative edittali (marzo 2021), cit., p. 57.
[26] Cfr., fra gli altri, C.E. Paliero, Metodologie de lege ferenda, cit., p. 536, il quale rileva come il modello di pena pecuniaria delineato dagli artt. 133 bis e 133 ter c.p. sia “irrintracciabile nella prassi”.
[27] Limpidamente sul punto L. Goisis, La pena pecuniaria. Un’indagine storica e comparata, 2008, p. 369 ss. In questo senso, può vedersi già E. Dolcini, Le pene pecuniarie come alternativa alle pene detentive brevi, in Jus, 1974, p. 538 ss.
[28] Cfr. E. Dolcini, Verso una pena pecuniaria finalmente viva e vitale?, cit., n. 3.
[29] Così F. Palazzo, Pena e processo nelle proposte della “Commissione Lattanzi”, in Legisl. pen., 7 luglio 2021, p. 3. Sull’opportunità di “avvalersi delle risorse del processo per ridurre… gli spazi della coercizione”, cfr. G.A. De Francesco, Brevi appunti sul disegno di riforma della giustizia, cit., p. 5.