Sui d.d.l. AC 246 Marrocco, AC 293 Cirielli, AC 316 Orfini, AC 332 Bof, AC 566 Bisa, AC 935 Foti e AC 1022 D’Orso attualmente all’esame della Commissione in sede referente
I testi dei d.d.l. sono consultabili qui: AC 246 (Marrocco); AC 293 (Cirielli); AC 316 (Orfini); AC 332 (Bof); AC 566 (Bisa); AC 935 (Foti); AC 1022 (D’Orso).
1. Premessa. – Presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati è in corso l’esame abbinato di vari disegni di legge in materia di occupazione abusiva di immobili[1]. I diversi scenari di riforma prefigurati, con una sola eccezione, sono accumunati dalla scelta preliminare di ‘fare perno’ attorno alla proposta di introdurre una fattispecie incriminatrice ad hoc e mostrano comunque chiaramente di privilegiare una chiave di lettura essenzialmente ‘criminale’ della variegata fenomenologia che collochiamo sotto la ellittica etichetta delle occupazioni abusive di immobili.
Ed è proprio alla questione della enucleazione di un ‘tipo’ penale da destinare al contrasto dei fatti consistenti nella occupazione arbitraria di immobili che saranno essenzialmente dedicate alcune brevi osservazioni di commento, le sole praticabili a fronte di una legislazione ancora largamente in fieri. Il circoscritto obiettivo è, infatti, quello di offrire alla futura discussione qualche utile riferimento relativamente ad alcuni rilevanti profili penalistici coinvolti nella progettazione della nuova incriminazione, anche dal punto di vista del drafting normativo.
Non si procederà dunque all’analisi dettagliata delle singole proposte di legge all’esame della Commissione, nelle quali peraltro, in molti casi, vengono anche prospettate modifiche normative che integrano gli strumenti penali x oggetto esclusivo di queste note – con interventi di tipo extrapenale[2], che resteranno invece ad esse estranei.
Nonostante la maggior parte delle proposte, come accennato, appaia riconducibile ad una comune radice, la disomogeneità contenutistica non consente al momento di pronosticare con sufficiente attendibilità, – nel caso in cui l’intervento novellistico venga portato a compimento – quale potrà essere, al termine dell’iter approvativo, l’assetto complessivo del modello integrato d’intervento. Pertanto, la sola questione che appare sensato affrontare, in questa sede, è quella relativa alla vera costante presente in tutte le proposte[3], vale a dire la intenzione (non certo originale come strategia legislativa) di arricchire il panorama codicistico con la introduzione di una nuova incriminazione.
Le proposte di legge all’esame della Commissione, prendendo in alcuni casi spunto da episodi di cronaca[4] – sui quali addirittura vengono calibrate alcune proposte o parti di esse – si pongono come obiettivo l’adeguamento della legislazione penale, al fine di rendere più efficienti le azioni di contrasto rivolte al fenomeno delle occupazioni abusive di immobili, che invero, anche per ragioni che trovano origine nel disagio sociale indotto da condizioni di precarietà economica, ha obiettivamente assunto dimensioni ragguardevoli e forme di manifestazione a volte preoccupanti. In particolare si sottolinea come spesso la questione non sia riducibile alla limitata, per quanto importante, prospettiva della tutela del patrimonio, ma sia suscettibile di investire molteplici profili di interesse, di tipo sia individuale che collettivo.
Come viene ricordato in tutte le proposte, il problema non è la rilevanza penale delle occupazioni abusive, già potenzialmente dotate di plurima rilevanza, ma riuscire a cogliere il peculiare significato criminologico di determinate tipologie di occupazione, ritenute particolarmente gravi e allarmanti.
Sotto l’ombrello terminologico delle occupazioni abusive di immobili è infatti possibile collocare fenomeni molto diversi tra di loro e gli strumenti di prevenzione, reazione e contrasto per essere non solo ‘giusti’ ma anche efficaci devono tenere conto di queste diversità. Bisogna cioè evitare di creare, soprattutto quando ad essere chiamato in causa è il diritto penale, contenitori indistinti ad ampio spettro applicativo nei quali riporre alla rinfusa comportamenti predatori di carattere schiettamente criminale e tipologie di occupazione altrimenti connotate. Il rischio, molto concreto e a tratti emergente dalle proposte, è quello di omogeneizzare il trattamento (repressivo) di fatti espressivi di disvalori differenziati.
Al netto della comune fuoriuscita dall’area della legalità, i cc.dd. squatters[5], comunque la si pensi, non posso essere trattati alla stregua dal clan camorristico che ‘rileva’ e gestisce interi fabbricati a beneficio dei nuclei familiari di riferimento; così come una caserma in disuso e un alloggio popolare vuoto in attesa di assegnazione o addirittura già assegnato [nella prospettiva qui considerata] sono oggetti (anche di tutela) diversi. Si potrebbe continuare a distinguere, anche sulla base empirica offerta da noti esempi di cronaca, ma quel che è certo è che se la legislazione penale deve farsi guidare anche dall’empiria, non può invece rincorrere la casistica. La legalità va senza dubbio ristabilita in tutti i casi, ma solo in alcuni di questi si tratta di una questione esclusivamente o prevalentemente di politica criminale, che diventa al contrario marginale in altri casi, dove la politica criminale deve lasciare il campo ad ‘altre’ politiche (in questo caso in particolare ‘politiche abitative’, come parte di più ampie politiche sociali).
D’altra parte, stime prudenziali consentono di ritenere che gli alloggi occupati senza titolo legittimo nel nostro paese sono decine e decine (se non centinaia) di migliaia e i contesti dai quali si origina il fenomeno e all’interno dei quali esso si manifesta sono molto diversi e spesso neppure comparabili.
Quantità, complessità, implicazioni, possibili ‘effetti collaterali’ pongono dunque la soluzione del problema, nel suo complesso, molto al di fuori della portata del diritto penale e rendono velleitario ogni approccio che, declinato in termini di mero ordine pubblico[6], avrebbe solo l’effetto (e forse, c’è da temere, lo scopo) di spostare l’attenzione dalle vere questioni che poi restano irrisolte.
D’altronde, dal punto di vista penalistico, quello della ‘indistinzione’ è proprio il difetto più evidente della normativa vigente, nella quale tutta la complessità del reale poggia in maniera pressoché esclusiva sulle esili e stanche spalle dell’art. 633 c.p.
Questo significa che l’attivazione di un sottosistema di tutela penale degli interessi sottesi alle proposte di legge in discussione richiede preliminarmente di ritagliare con precisione e con altrettanta precisione descrivere la tipologia di fatti ai quali si intende dare una specifica e differenziale rilevanza, adottando a tal fine la tecnica normativa più appropriata.
2. La fattispecie ‘base’ – Diverse sono le opzioni da questo punto di vista rinvenibili nelle proposte di legge all’esame della Commissione, ma la maggior parte di esse appare orientata a innestare le novità normative sul tronco del vigente delitto di invasione di terreni ed edifici (art. 633 c.p.)[7].
Pur con le precisazioni di cui subito si dirà, l’art. 633 c.p., tutto sommato, sembra in grado di offrire una base idonea per il lavoro di specificazione/specializzazione necessario alla selezione del ‘tipo’ che interessa individuare. L’adozione di una soluzione ‘interna’ all’art. 633 c.p. favorirebbe inoltre la fissazione di una gradualità offensiva del fatto a partire da una ipotesi base, da rispecchiare poi in una progressione sanzionatoria, in corrispondenza degli incrementi di gravità collegati agli elementi selettivi specifici, rendendo così più agevole il controllo di razionalità sulla entità della pena, sia quella edittale astratta, che quella concretamente irrogata.
Si potrebbe anzi approfittare della occasione per liberarsi della sovradimensione semantica rappresentata dall’utilizzo del termine invasione, facendo finalmente coincidere la descrizione della condotta (e ovviamente la rubrica dell’articolo) con la sua reale area applicativa.
Il termine «invasione», certamente legato in origine a forme di comportamento collettivo e violento (irruzioni tumultuose) è invero da tempo interpretato dalla giurisprudenza come identificativo semplicemente di una introduzione non autorizzata (abusiva, arbitraria) in terreni o edifici, qualificata (nella norma vigente) dal fine che l’invasore o gli invasori perseguono.
La fattispecie base, variata rispetto a quella vigente solo nella descrizione della condotta (ingresso abusivo o arbitrario invece di invasione), sarebbe dunque comprensiva del riferimento, alternativo e generico, a terreni ed edifici non ulteriormente qualificati e continuerebbe ad essere indirizzata verso tutte le forme di occupazione abusiva non connotate da elementi di disvalore diverso e ulteriore da quello che coincide – cito giurisprudenza pacifica – con un «apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del terreno o dell’edificio da parte del titolare dello ius excludendi, secondo quella che è la destinazione economico-sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal dominus»[8].
Al dolo specifico di occupazione spetterebbe, come già oggi avviene, il compito di tenere distinte queste ipotesi da quelle nelle quali assume rilevanza il ‘mero ingresso’ (come nel desueto art. 637 c.p. che punisce l’ingresso abusivo al fondo altrui), ma il fatto non presenta ulteriori connotati oggettivi espressivi di una finalità di spoglio, di intensa turbativa del possesso, etc.
Il mantenimento per queste ipotesi della pena a livelli corrispondenti a quelli attuali consentirebbe attraverso la fattispecie base di gestire in maniera ragionevole fatti che concretamente possono presentare anche connotati poco più che bagatellari, commessi da autori spesso non particolarmente pericolosi.
La presenza nell’area di potenziale rilevanza penale delle condotte di occupazione di questa fattispecie generale in grado di accogliere i fatti meno gravi, limiterebbe il rischio che le incriminazioni più severe, che si intende introdurre per il contrasto di fatti connotati da maggiore e speciale gravità, nei futuri scenari applicativi si espandano oltre i limiti del loro reale e più specifico target criminologico.
3. La norma speciale e le connesse questioni di tecnica normativa. – A questa fattispecie generale potrebbe essere affiancata, all’interno della stessa norma, un’autonoma e speciale figura di reato, con pena più elevata, alla quale affidare la selezione di fatti connotati da un disvalore quantitativamente maggiore e qualitativamente distinto, in ragione della natura e della destinazione dell’immobile occupato e dunque degli effetti dannosi più vasti e profondi che l’occupazione è in grado di produrre a carico della vittima.
Sul piano della tecnica normativa, sarebbe decisamente preferibile concentrare gli elementi selettivi all’interno della struttura del fatto, evitando cioè di affidarsi a circostanze speciali, che sommandosi all’ipertrofico compendio di quelle comuni, finirebbero per appesantire e complicare il momento commisurativo.
D’altra parte, se poi si intende prevedere, come anche viene proposto, la blindatura delle circostanze aggravanti per evitare la loro neutralizzazione in sede di bilanciamento con le attenuanti, è molto più lineare e funzionale individuare un limitato novero di elementi costitutivi, tratti da un’affidabile base empirica, utili a delineare il tipo di fatto che rappresenta il target specifico della incriminazione.
Questa ipotesi si potrebbe quindi configurare (le definizioni naturalmente possono e debbono essere migliorate) quando il fatto riguarda immobili, di proprietà pubblica o privata, adibiti o destinati ad uso di abitazione e dalla loro occupazione sia derivata la estromissione del proprietario o di chi vanta altro legittimo titolo dal godimento o comunque risulti impedito l’utilizzo dell’immobile da parte di chi può legittimamente disporne.
La espressa previsione di un effetto di estromissione ‘fisica’ o ‘funzionale’ del proprietario o di chi vanta altro legittimo titolo di godimento, serve a identificare il profilo offensivo che qualifica e distingue queste ipotesi rispetto a tutte le altre, offrendo fondamento e giustificazione non solo ad un regime sanzionatorio più severo, ma eventualmente anche all’attivazione di altri strumenti (penali ed extra penali) di contrasto del fenomeno e ripristino della legalità, che si intendesse introdurre a completamento del sotto-sistema di tutela.
4. La natura permanente del reato. – L’esplicito riferimento in una eventuale, futura incriminazione, alla ‘occupazione’ come esito e non solo come finalità dell’ingresso abusivo, risulta poi funzionale ad una ulteriore esigenza, variamente valorizzata in quasi tutti i disegni di legge.
Una proposta ricorrente nei disegni di legge all’esame della Commissione, è infatti quella di inserire la nuova incriminazione tra le ipotesi per le quali, ex art. 380 c.p.p., è obbligatorio procedere all’arresto in flagranza.
Se sul piano politico criminale questa scelta conferma il privilegio accordato ad un approccio in termini di ordine pubblico, sul versante delle scelte di diritto penale sostanziale pone uno specifico problema di natura tecnica, quello cioè della natura permanente o meno del (futuro) reato destinato a incriminare le occupazioni abusive di immobili.
Allo stato è infatti controverso, nelle interpretazioni della giurisprudenza, se il delitto di cui all’art. 633 c.p. abbia o meno natura di reato permanente[9] oppure di reato istantaneo ad effetti permanenti[10].
Nel caso in cui la scelta relativa all’arresto obbligatorio trovasse conferma nella futura disciplina, sarebbe senz’altro opportuno disporre di una formulazione della fattispecie che renda inequivoca la natura permanente del (nuovo) reato, per consentire appunto l’arresto in flagranza degli autori di una occupazione ‘in corso’.
In verità, anche allo stato e nonostante una formula descrittiva[11] che indubbiamente, come accennato, è suscettibile di interpretazioni divergenti, appare a mio avviso corretto ritenere che il reato di cui all’art. 633 c.p. abbia natura permanente. Nella struttura del fatto è invero rilevabile la caratteristica propria dei reati permanenti, vale a dire una situazione di perdurante ‘compressione’ del bene giuridico tutelato, la cui mancata riespansione dipende dalla volontà del soggetto agente che tale situazione ha instaurato.
In ogni caso, l’adozione di una formula descrittiva che contiene la esplicitazione dell’elemento fattuale sul quale converge il più inteso disvalore del fatto, vale a dire l’occupazione, consente certamente di eliminare ogni dubbio, offrendo un contributo di precisione, anche a prescindere dalle decisioni che il futuro legislatore assumerà a proposito dell’arresto in flagranza.
5. Le circostanze. – Per quel che riguarda le circostanze, riportandomi all’accennata premessa di tendenziale sfavore per l’adozione di una tecnica di selezione del disvalore affidata ad elementi circostanziali, una volta delineato il fatto nei termini sopra suggeriti, si potrebbe prevedere una sola circostanza aggravante, comune a tutte le ipotesi, nel caso in cui il fatto sia commesso con violenza alla persona o con minaccia, nonché, volendo mantenere la circostanza già esistente, da più di cinque persone o da persona palesemente armata.
Più di qualche dubbio si può esprimere sulla opportunità di introdurre una circostanza aggravante specifica per il caso di occupazione abusiva di immobili ad uso abitativo nel caso la persona offesa abbia un’età superiore a sessantacinque anni (o altra soglia che venisse fissata).
Come noto, il codice penale vigente già prevede al nr. 5 dell’art. 61, la circostanza aggravante della ‘minorata difesa’ che si configura quando il colpevole ha «profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa». La circostanza richiede una valutazione in concreto: bisogna cioè dimostrare che una particolare condizione oggettiva (tempo, luogo, etc.) o soggettiva (età, malattia, etc.) ha determinato nel caso specifico una situazione di minorata difesa della quale il colpevole ha potuto approfittare. L’aggravamento, d’altronde, si fonda proprio su questo specifico nesso concreto e dunque una ipotetica aggravante riferita in maniera ‘secca’ ad esempio ad una determinata soglia di età della vittima dovrebbe invece fondarsi su di una presunzione assoluta di minorata difesa o di maggiore intensità dell’offesa, legittima solo a condizione che la sua base empirica sia ragionevole.
Una soluzione del genere è stata ad esempio adottata per il delitto di rapina, aggravato se «commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne» (art. 628 co. 3 n. 3 quinques, c.p.). In quest’ultimo caso, trattandosi di un reato a ‘base violenta’ la presunzione di minorata difesa riferita ad una vittima anziana appare ragionevole. Meno fondata sarebbe una presunzione assoluta basata esclusivamente sull’età nel caso di occupazione abusiva di un immobile: basterebbe pensare all’ipotesi in cui sia abusivamente occupata la seconda o terza casa di vacanza di un facoltoso imprenditore ultrasessantacinquenne.
La presunzione normativa che l’occupazione comporti danni maggiori appare invece più ragionevole se riferita alla condizione di disabilità o grave patologia di cui soffre la vittima, in quanto si tratta di condizioni che, tra le altre cose, normalmente comportano l’adozione di particolari adattamenti strutturali proprio dell’abitazione, ad esempio per il superamento di barriere architettoniche.
Non mi sembra infine possa assumere rilevanza in termini aggravatori, salvo che il dato non sia riconducibile, appunto, alla minorata difesa, la circostanza che il fatto sia avvenuto durante l’assenza del proprietario, che invero integra una mera modalità esecutiva del fatto e tra l’altro esclude l’esercizio di violenza nei confronti del soggetto.
6. La misura delle sanzioni. – Premesso che non esiste una tabella delle equivalenze afflittive e che la fissazione del disvalore in un sistema ‘impazzito’ e sostanzialmente schizofrenico come quello penale vigente richiede una difficile operazione di razionalizzazione, la cosa più sbagliata sarebbe quella di assumere come parametro comparativo i livelli sanzionatori ‘dopati’ da scelte di tipo simbolico (quando non da intenti propagandistici), che hanno prodotto per alcune fattispecie limitrofe esiti (teoricamente) draconiani, alterando le gerarchie di valore e generando contraddizioni, che andrebbero però sanate e non certo alimentate[12].
Risulta poi un po’ sconcertante rilevare come in alcune delle proposte sia sottolineata la preoccupazione che il possibile utilizzo degli strumenti di deflazione carceraria e di alternativa alla esecuzione detentiva si possano risolvere in un indebolimento della efficacia della risposta penale, che viene evidentemente (mal)intesa in un senso, antistorico e contrario alla direzione intrapresa in maniera ancor più decisa di recente nel nostro ordinamento, che la vede orientata alla mera deterrenza.
Una pena edittale tra i 2 e i 5 anni di reclusione potrebbe offrire una base più che adeguata, tenuto conto anche del possibile effetto delle circostanze aggravanti, a garantire risposte effettive e proporzionate. Non si dimentichi, ancora una volta, che all’interno di questa comunque più limitata area di incriminazione possono rientrare fatti tra loro molto diversi, che richiedono dunque un’adeguata flessibilità sanzionatoria.
Alcune delle proposte di legge sono invero caratterizzate a mio avviso da sanzioni con una dimensione obiettivamente ‘fuori scala’, in alcuni casi funzionali essenzialmente a rendere più appetibile la premialità collegata a condotte susseguenti di tipo ‘collaborativo’.
La valorizzazione in senso premiale di condotte susseguenti al reato, antagoniste e ripristinatore (in particolare il rilascio spontaneo dell’immobile) è una opzione comprensibile e anche plausibile nello specifico contesto, al fine di favorire soluzioni meno ‘conflittuali‘ e più ‘negoziate’ di ripristino in tempi rapidi della legalità. Tuttavia, i meccanismi premiali (di cui francamente recentemente si è forse abusato o dei quali, quanto meno, si è fatto a volte un uso poco ragionato) hanno mostrato di essere più efficaci se inseriti in un contesto di ragionevole dosimetria sanzionatoria e non invece quando vengono utilizzati come un rudimentale contraltare della deterrenza estrema.
Neppure, infine, porrei come obiettivo la elevazione dei livelli sanzionatori in ragione della presenza di determinate soglie di pena ‘processualmente’ significative.
Per le immaginate ipotesi più gravi la progressione sanzionatoria consentirebbe certamente di accedere alle misure cautelari anche personali, mentre quelle reali sono sempre possibili e peraltro sono le più efficaci soprattutto nel caso di occupazioni abusive di alloggi popolari o edifici pubblici.
Quanto alle soglie di pena previste per le intercettazioni telefoniche, mi sembra che queste ultime non siano uno strumento particolarmente congruo sul piano investigativo se riferito alle ipotesi in parola.
7. L’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. – E a proposito di soglie di pena, vale la pena di considerare l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p.
Se ovviamente l’applicabilità della causa di non punibilità per la tenuità del fatto può contribuire a regolare in concreto i casi meno gravi, il contenimento del minimo edittale entro i due anni anche per la ipotizzata fattispecie speciale di occupazione abusiva di immobile, consentirebbe l’applicazione di questa peculiare causa di non punibilità anche alle ipotesi in astratto più gravi. Se infatti i criteri del 131 bis c.p. tendenzialmente impediranno di applicarlo nella stragrande maggioranza dei casi riconducibili all’ipotesi speciale, in ragione dei caratteri normalmente assunti dal fatto, neppure si può escludere che si manifestino casi concreti nei quali le modalità esecutive della condotta, le sue motivazioni, la misura delle effettive conseguenze che ne sono derivate (si pensi alla occupazione di un’abitazione, di fatto, poco e per niente utilizzata), il periodo di tempo (magari molto breve), il contesto in cui il fatto si colloca, la rilevanza attribuibile alle condotte susseguenti al reato (rilevanti dopo l’ultima modifica dell’art. 131 bis), possono indurre il giudice a ritenere il fatto tenue in concreto.
8. Il falso problema dell’art. 54 c.p. – Un cenno finale merita di essere fatto alla preoccupazione manifestata in alcune proposte rispetto alla eventualità che l’esimente dello stato di necessità, fondato sul bisogno abitativo, possa essere utilizzata per ‘neutralizzare’ la concreta efficacia degli inasprimenti di disciplina che si intende introdurre.
Una tale preoccupazione si è addirittura tradotta, in una delle proposte[13], nella singolare idea di escludere espressamente l’applicabilità dello stato di necessità a questi reati: l’applicazione dell’art. 54 c.p. a fatti ben più gravi dell’occupazione abusiva di immobili è un rilievo sufficiente a respingere questo bizzarro modo di intendere il rapporto tra norme incriminatrici e scriminanti di portata generale come lo stato di necessità.
La giurisprudenza ha da tempo offerto una lettura dell’art. 54 c.p. che disattiva la possibilità che lo stato di bisogno abitativo possa automaticamente tradursi in uno stato di necessità scriminante. Pur riconoscendo che lo stato di necessità può derivare anche dal bisogno abitativo, la giurisprudenza è infatti concorde nel ritenere che gli elementi costitutivi della scriminante devono ricorrere per tutto il tempo dell’illecita occupazione: «[…]ne consegue che la stessa può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa[14]».
[1] I disegni di legge all’esame della Commissione, in sede referente, sono: AC 246 Marrocco, AC 293 Cirielli, AC 316 Orfini, AC 332 Bof, AC 566 Bisa, AC 935 Foti e AC 1022 D’Orso recanti “Modifiche all’articolo 633 del codice penale e all’articolo 5 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, in materia di occupazione arbitraria di immobili ».
[2] Come ad esempio nella proposta 1022 (D’Orso e altri), dove vengono prospettati interventi novellistici del codice di procedura civile, mediante la introduzione di un art. 703 bis, rubricato “Domande di reintegrazione nel possesso di immobili adibiti ad abitazione”.
[3] Con l’eccezione del disegno di legge AC 316 a firma dell’on. Orfini, che, con approccio diametralmente opposto propone l’abrogazione dell'articolo 5 del decreto-legge 28 marzo 2014, n.47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n.80, che prevede che chi occupa abusivamente un immobile senza titolo non possa chiedere la residenza, né l’allacciamento ai pubblici servizi per il medesimo immobile e rende nulli tutti gli atti emessi in violazione di questa norma; prevede, inoltre, che i soggetti che occupano abusivamente alloggi di edilizia residenziale pubblica non possano partecipare alle procedure di assegnazione di alloggi della stessa natura per i cinque anni successivi all’accertamento dell’occupazione abusiva.
[4] Particolare risalto viene dato, in sede di illustrazione di alcune delle proposte presentate alla vicenda, ritenuta emblematica, di un anziano signore romano, il quale dopo essere stato dimesso dall’ospedale aveva trovato la propria casa occupata con la serratura della porta di ingresso sostituita e solo dopo numerosi giorni e molte difficoltà era riuscito a rientrare nel possesso del proprio alloggio. L’episodio è certamente grave e inquietante (evocativo di una esperienza quasi distopica, si potrebbe dire), ma per quanto non del tutto isolato, non mi sento di ritenere che sia rappresentativo del fenomeno generale al quale si riferiscono i disegni di legge.
[5] Il termine ‘squatter’ indica chi contesta i modelli ufficiali di pratica abitativa e di convivenza sociale, occupando abusivamente edifici abbandonati (situati specialmente nelle periferie dei grandi centri urbani) per istituirvi centri sociali e comunità alternative.
[6] Questo genere di approccio (anche culturale, si potrebbe dire) al tema delle occupazioni abusive, emerge con particolare enfasi nella proposta AC 566 a firma Bisa e altri. Nel disegno di legge si propone infatti di affidare alla Polizia ampi e penetranti poteri di iniziativa autonoma, introducendo una procedura di accertamento sommario e di intervento coattivo, sottoposti ad una successiva convalida da parte della magistratura. Previsioni non dissimili sono contenute anche nel disegno di legge AC 293, Cirielli.
[7] La proposta che si discosta più nettamente da questa opzione è quella citata alla nota precedente (AC 566 Bisa e altri), nella quale si propone di introdurre un art. 624 ter c.p., rubricato «Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui». L’aggancio sistematico all’area del furto sembra tuttavia essere abbastanza fuori luogo, soprattutto se, come appare dalla lettura di tutti i disegni di legge, l’intento è quello di valorizzare un’attitudine offensiva dei fatti di occupazione arbitraria di immobili non limitata alla sola sfera patrimoniale.
[8] Cass. Pen. Sez. II, 22 maggio 2017, n. 25438; Cass. Pen. Sez. II, 6 agosto 2012, n. 31811.
[9] Cass., Sez. II, 27 marzo 2019, n. 29657, Cc., (dep. 08/07/2019), Rv. 277019.
«Nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 cod. pen. la nozione di "invasione" non si riferisce all'aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce "arbitrariamente", ossia "contra ius" in quanto privo del diritto d'accesso, cosicchéé la conseguente "occupazione" costituisce l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l'abusiva invasione; nel caso in cui l'occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l'allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell'invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell'occupazione».
[10] Cass., Sez. II, 20 gennaio 2017 (Ud.), n. 7911, (dep. 17/02/2017), Rv. 269575.
«Il reato di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 cod. pen. si consuma nel momento in cui l'occupazione ha inizio, in quanto trattasi di reato istantaneo, pur con effetti permanenti, che deduce ad oggetto della sanzione la condotta di chi, abusivamente, con violenza e senza l'autorizzazione del titolare, invade edifici o terreni al fine di occuparli, senza aver riguardo anche alla condotta successiva di protrazione dell'occupazione. (Nella specie, concernente l'occupazione di un'area demaniale mediante inerti, contestata in relazione ad un periodo successivo a quello per il quale era già intervenuto giudicato di condanna per il medesimo titolo, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata sul presupposto che, onde escludere la preclusione del "ne bis in idem", dovesse accertarsi se vi fosse stata una nuova occupazione con immissione di altro materiale)».
[11] Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto […].
[12] Il parallelo, non a caso istituito in diverse proposte, con le elevatissime pene previste per il reato di furto in abitazione (fino a dieci anni di reclusione) viene ad esempio utilizzato per sottolineare quella che appare o comunque viene mostrata come una irragionevolezza, essendo le pene previste per questo delitto estremamente più elevate di quelle oggi astrattamente applicabili a chi non si ‘limita’ a sottrarre beni dall’abitazione, ma addirittura si impossessa dell’abitazione stessa. Il punto è, però che, con ogni evidenza, ad essere irragionevole è il metro sanzionatorio utilizzato per la comparazione, che unisce una cieca deterrenza ad un velleitario simbolismo.
[13] Si tratta del disegno di legge AC 293, Cirielli («Nell’ipotesi di cui al terzo comma, lettera a), del presente articolo lo stato di necessità di cui all’articolo 54 non si applica nei confronti dell’occupante illegittimo, qualora dalla sua condotta sia derivata l’estromissione dall’alloggio del legittimo assegnatario»).
[14] Cass., Sez. II, 30 ottobre 2019 (Ud.), n. 10694, (dep. 27/03/2020 ), Rv. 278520.