Opinioni  
12 Marzo 2021


Arrivano i Re Magi. Alcuni problemi (anche) criminologici ai tempi della pandemia


Isabella Merzagora

1. Ci sono almeno due pregiudizi sull’oggetto della criminologia. Il primo – e più esiziale – è nell’idea che il criminologo sia colui che acchiappa o almeno individua i criminali; è una visione indotta dall’infausto connubio fra certi media e certi soi-disant criminologi dall’incerto pedigree.

Il secondo pregiudizio è quello secondo cui i criminologi, scienziati empirici, si devono occupare dei dati. Questo è solo un po’ riduttivo. A dispetto di quel che pensava un illustre positivista, i numeri non garantiscono la verità, ma dai numeri si può partire per porsi delle domande.

Tucidide, per la peste di Atene del 430 a.C., scriveva: “nella città, il morbo dette l’inizio a numerose infrazioni delle leggi […] Nessun timore degli dei o legge degli uomini li tratteneva, ché da un lato consideravano indifferente essere religiosi o no, nessuno si aspettava di vivere fino a dover rendere conto dei suoi misfatti e pagarne il fio”[1]. Lo ribadisce Lucrezio: “Né il culto, né la potenza degli dei erano tenuti più in gran considerazione: il dolore presente aveva il sopravvento. […] E l’urgenza ed il bisogno li spinsero a molte scelleratezze”[2].

Oggi questo non sembra essere accaduto? Perché?

Almeno una buona notizia in tempi di pandemia si può dare, e a farlo sono proprio i criminologi che di solito buone notizie non ne portano.

La buona notizia riguarda il calo di molti – non tutti – i reati. Un calo, com’è ovvio soprattutto dei cosiddetti street crimes, ma anche dell’omicidio.

Le limitazioni dei tempi pandemici hanno avuto conseguenze dirette sullo stile di vita delle persone provocando una contrazione significativa del numero di reati che presuppongono una certa libertà di movimento: nel mese di marzo 2020 i furti sono calati del 67% (è più difficile rubare nelle abitazioni occupate, così come è difficile uno scippo se in giro non c’è nessuno e siamo attenti stare vicini). Stesso dicasi, almeno per i primi mesi di lockdown, per i reati di sfruttamento della prostituzione e per quelli connessi agli stupefacenti[3]. Poi, si sa, la criminalità è versatile e si è attrezzata.

Quanto agli omicidi, sono decenni che gli omicidi in Italia sono in calo, ma così pochi non ne avevamo mai visti.

Durante il lockdown del 2020 abbiamo avuto 18 omicidi in marzo e 18 in aprile, e in tutto quell’anno siamo stati sotto la soglia dei 300: 275 omicidi[4].

Non sono cresciuti neppure gli omicidi di donne, come invece i criminologi temevano considerando che le donne sono nella stragrande maggioranza dei casi vittime di omicidio familiare – questo comunque anche ai tempi della pandemia – e immaginando le situazioni in cui la coppia eventualmente in conflitto si trova chiusa nell’abitazione, senza la mediazione del lavoro, degli svaghi, degli amici[5].

Come dicevo, però: non solo numeri.

La pandemia Covid-19 ha coinvolto la criminologia che come ben sappiamo si occupa anche della reazione sociale e della produzione delle norme. In questo caso si pensi anche solo al “vecchio” tema che vede non sempre facilmente conciliabili sicurezza e libertà.

Il tema, appunto, è antico, il confronto fra le due è stato inteso in accezioni diverse, lo stesso termine sicurezza è interpretato in sensi diversi. Per Hobbes la sicurezza era la garanzia che lo Stato o il Monarca fornivano per evitare la guerra di tutti contro tutti; il filosofo non era certo un vessillifero della democrazia, così chi si scaglia contro coloro che non indossano le mascherine o non vogliono vaccinarsi forse non dovrebbero trarre ispirazione dalla sua asserzione secondo cui “Bisogna quindi provvedere alla sicurezza non con i patti, ma con le pene”[6]. Bauman pensa alla sicurezza dal bisogno, dalla “oscenità del degrado umano”, e comunque ammonisce: “Eliminate la sicurezza, e la libertà sarà la prima vittima”[7].

Sempre a proposito delle norme imposte o proposte per limitare la pandemia, uno degli argomenti è quello del rispetto o meno delle regole e dei motivi di questo rispetto o della disobbedienza. Come dire: tutta la criminologia. Nell’attuale pandemia sono state fatte scelte sanzionatorie nei confronti delle quali una domanda che i criminologi non possono non farsi è se la minaccia delle sanzioni sia stata efficace e sia stata l’elemento che ha contribuito al rispetto delle restrizioni, se sia stata la paura dell’altro o il rispetto dell’altro[8] a far sì che, per esempio, dall’11 marzo al 17 aprile 2020, su più di 8 milioni di persone controllate, quelle denunciate per false attestazioni sono state 4.463, e quelle denunciate per altre infrazioni minori 316.277[9].

 

2. Fra i temi che interessano la criminologia vi è poi quello del rapporto della scienza con il potere. Per esempio, possiamo chiederci se è opportuno che sia la scienza a dettare le norme. Scrive senza mezzi termini Casati: “in questo preciso momento il mondo – tutto il pianeta – non è governato dalla classe politica né da giunte militari, ma dai medici”[10].

O, viceversa, il politico può prescindere dalla scienza quando legifera?

Questi sono temi che hanno riguardato la scienza politica, la filosofia e la filosofia della scienza, il diritto e altre discipline, siccome riguardano la reazione sociale sono anche temi dei criminologi.

Dorato sostiene un legame fra la democrazia rappresentativa – a favore della quale si schiera – e la scienza. La progressiva specializzazione delle conoscenze scientifiche rende impossibile esprimere consensi o dissensi senza la mediazione degli esperti: “la crescita esponenziale del sapere specialistico, sia nelle scienze naturali sia in quelle sociali […] ha generato una serie di competenze e conoscenze assai settoriali che non possono essere tutte contenute nella testa di un solo individuo. Ne segue che, in alcuni fondamentali aspetti, l’ideale dell’uguaglianza che è alla base della democrazia, e che nelle forme di democrazia diretta è ancora più accentuato […] entra in conflitto con l’indiscutibile fatto che, dal punto di vista della distribuzione delle conoscenze specialistiche, non siamo affatto tutti uguali. […] È assai difficile evitare la conclusione che cittadini inesperti non possono decidere direttamente attraverso la rete (cyber-agorà o e-democrazia) su problemi di questo tipo”[11].

Con parole profeticamente simili anche un certo Mario Draghi, nel suo discorso di commiato da governatore della Banca Centrale Europea, nel 2019, aveva sostenuto che le decisioni dei policy makers “dovrebbero essere fondate sulla conoscenza degli esperti […] La competenza fondata sulla conoscenza è essenziale per capire la complessità […] e per valutare di conseguenza l’effettiva necessità di una certa azione”[12].

Qualcuno è ancora più deciso e invoca l’epistemocrazia in luogo della democrazia, come Brennan che per cominciare ci ricorda che se a molti “tecnici”, dall’idraulico al medico, sono richieste competenze specifiche e talora pubblicamente riconosciute, non si vede perché non richiedere competenze a chi deve svolgere un compito tanto più socialmente importante, e asserisce che “per giustificare la democrazia abbiamo bisogno di spiegare perché è legittimo imporre su persone innocenti decisioni prese in modo incompetente”[13]; “quando alcuni cittadini sono moralmente irragionevoli, ignoranti o politicamente incompetenti, è lecito non consentire loro di esercitare autorità politica sugli altri. O impedendo loro di detenere il potere o riducendo il potere che hanno al fine di proteggere persone innocenti dalla loro incompetenza”[14].

Forse a maggior ragione quando ci sono in questione argomenti medici.

Quando taluni programmi televisivi mettono a confronto “un” esperto a favore dei vaccini e “un” antivaccinista non stanno operando in modo ugualitario, perché dietro all’esperto c’è un’intera comunità scientifica. Un bambino colpito da morbillo perché non è stato vaccinato non è democrazia[15]. “La mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza” ironizzava Isaac Asimov[16], e in generale se “uno vale uno” ognuno può mettere il becco in qualsiasi argomento, e se non ha alcuna preparazione, che importa? Alla peggio si possono invocare complotti ad opera dei non meglio precisati “poteri forti” (per inciso: perché un potere dovrebbe essere debole e imbelle?), delle lobbies, delle caste. “Non è semplice individuare il momento esatto in cui conoscenze e competenze sono diventati concetti associati negativamente a una casta di intellettuali, rappresentanti dei poteri forti o di qualche lobby. […] Ci hanno fatto credere che con l’ignoranza al potere si potesse trovare una scorciatoia e dare un colpo alla élite, agli intellettuali e ai poteri forti”[17].

Non bastasse, occorre saper scegliere quali sono veramente esperti e quali invece truffatori, cantastorie, fanfaroni ebbri di presenzialismo, come noi criminologi ben sappiamo esistere.

Non lo si può fare consultando acriticamente la rete, non lo si può fare per referendum.

Feyerbend proponeva “metodi decisionali democratici” anche nell'accettazione o nel ripudio delle idee scientifiche, e addirittura “il voto di tutte le persone interessate” per decidere “la verità di convinzioni di base come la teoria dell'evoluzione o la teoria quantistica”[18]. Eppure Feyerabend sapeva che non di rado le teorie scientifiche sono controintuitive e poco digeribili per i non esperti. Pensate ad Einstein, che già ebbe non poche difficoltà con i propri colleghi, e chissà quante ne avrebbe avute con un referendum o con i wèbeti.

Delle leggi scientifiche non devono decidere i politici, e non devono decidere i social: il controllo di una verità scientifica deve essere mediato da esperti, così come le decisioni politiche devono essere mediate dai rappresentanti eletti dai cittadini.

 

3. Rimangono però scoperti alcuni problemi, fra cui quello – non da poco – di non esagerare degenerando nella tecnocrazia, cioè un sistema politico in cui a decidere siano “solo i pochi che sanno” mentre “La democrazia si regge sull’ipotesi che tutti possano decidere di tutto. La tecnocrazia, al contrario, pretende che chiamati a decidere siano i pochi che se ne intendono”[19], un sistema in cui le decisioni siano delegate totalmente all’esperto, in cui è il tecnico ad assumere decisioni rispetto ai fini, non solo ai mezzi, dell’azione sociale[20].

Secondo alcuni, posizioni elitarie, tecnocratiche, epistemocratiche risalgono a Platone, il quale non può dirsi troppo incline alla democrazia nel senso in cui la intendiamo oggi. Molti gli esempi possibili, fra i quali, affinché non ci siano equivoci: “Dopo di che, vuoi che esponiamo perché la maggioranza è necessariamente perversa?”[21]. A parte ciò, Platone auspicava un governo dei filosofi – i “guardiani” li chiamerà – , che in realtà ci appaiono più simili ai politici (quelli bravi) che non ai tecnici e agli scienziati, posto che li immaginava sapienti sui valori, sui fini ampi, non su singole materie: “Poiché filosofi sono coloro che riescono ad arrivare a ciò che sempre permane invariabilmente costante, mentre coloro che non ci riescono, ma si perdono nella molteplicità del variabile non sono filosofi”[22]. D’altro canto: “E ti sembra giusto, feci io, che uno parli delle cose che non sa come se le sapesse? […] E non ti sei accorto, continuai, che le opinioni non accompagnate dalla scienza sono tutte brutte?”[23].

Dodici o tredici secoli più tardi, Ortega y Gasset metteva in guardia da una genia di uomini “che, abilissimi quando si muovevano nel loro ristretto ambito di competenza, apparivano affatto inadeguati e goffi quando dovevano fronteggiare problemi e temi di ordine generale”[24].

I politici devono (dovrebbero) occuparsi dei valori, delle questioni “di ordine generale”, del dove vogliamo andare e perché, delle politics, delle disposizioni sulla polis, delle decisioni politiche giustappunto; i tecnici, per esperti che siano, del come fare, delle policies.

Max Weber non a caso aveva distinto i due testi La politica come professione e La scienza come professione, oltre a tutto già adombrando nel 1917 i rischi uguali e contrari di tecnocrazia e demagogia, e affermava che compito dello scienziato è quello di fornirci una mappa che ci consenta di decidere come andare dove vogliamo andare[25].

Ho citato La Repubblica, ma più in generale è interessante che gli utopisti spesso auspichino sistemi politici di tipo “sofocratico” o “epistemocratico”[26]. Forse semplicemente portavano acqua al loro mulino, considerando che ai loro tempi i sapienti non potevano ambire al potere ma al più potevano essere cancellieri del potente di turno o suoi precettori.

Tommaso Campanella ne La Città del Sole tratteggia una società retta da un Principe Sacerdote chiamato Metafisico[27]; Francis Bacon ne auspica una governata da sapienti e non ha tentazioni democratiche: la Nuova Atlantide è fondata da un re di nome Solamone, l’istituzione più importante del regno ha come fine “la conoscenza delle Cause e dei segreti moti delle cose”[28]. Senza entrare nel merito, e pur con la distanza temporale e quindi culturale dall’oggi, si può riflettere sul fatto che le posizioni élitiste sono per ciò stesso non democratiche, indipendentemente da chi si proponga come élite.

Se Dorato ha voluto dimostrare che la democrazia rappresentativa deve avere connessione con la scienza, vale la pena di ricordare le parole di Mario Monti, a capo di un governo tecnico dal 2011 al 2013: “il miglior governo [è] quello senza voti […] i voti giovano ma mi fanno riflettere che quel governo che ha fatto riforme sempre rinviate è stato un governo nel quale nessuno aveva preso voti”[29]. Luigi Einaudi, invece, possiamo quasi dire che fosse più vicino a Platone, almeno nel senso di avere affermato che i tecnici “appunto perché singolarmente periti nelle loro arti specifiche, non perciò sono competenti in politica”[30].

Volpi, che cita queste frasi, indica le due posizioni della “a-politica tecnocratica” e della “antipolitica populista”, ricordando appunto che lo elitismo è proposto come alternativa ai movimenti di tipo populista che qualcuno ha persino chiamato “plebeista”[31]. Effettivamente nella tecnocrazia si possono individuare pericoli, ma non siamo tanto tranquilli neppure se l’Assessore alla Sanità di una delle regioni italiane più colpite dal Covid-19 ci spiega che un indice di contagio di 0,5 significa che devo incontrare due positivi per infettarmi. Anche la gaffe sul tunnel che ci collegava al Cern dell’allora Ministra dell’Istruzione Gelmini non era male, ma, salvo che in qualità di docenti universitari non siamo stati sue vittime, ci aveva fatto sorridere. L’ignoranza clamorosa sul contagio di chi deve prendere decisioni su come tutelarci invece preoccupa.

Se un popolo attende l’arrivo di una figura salvifica perché esperta è però un popolo pronto a consegnarsi se non allo “uomo forte” allo “uomo esperto”, anche se quasi costretto dal modesto livello che talora la classe dirigente ha dimostrato. Modesto livello scientifico, intendo, si capisce.

Nel 1923 Tullio Ascarelli scriveva su “La Rivoluzione Liberale” che: “dietro la venerazione dei competenti che fortunatamente rimarrà solo allo stato di amor platonico [sic], v’è nascosto qualcosa di caratteristicamente italiano: cioè il bisogno, che sembra tanto preoccupare questo nostro buon popolo, di rinunciare al proprio giudizio politico: il che val quanto dire rinunciare alla propria libertà politica”. Nel citare questo scritto, Emanuele Calò propone un onorevole, saggio e attuale compromesso: “Poiché è stato conferito l’incarico di formare il governo ad un competente, può essere l’occasione di ribadire la necessaria separazione fra tecnici e politici, la quale nulla toglie al bisogno che il politico sia preparato e alla constatazione che il competente sa di compiere scelte politiche. Per compiere scelte politiche, è bene essere competenti”[32]. In senso analogo: “L’unica soluzione al dilagare dell’incompetenza in politica, quindi, non è sostituire i politici incompetenti con i tecnici, ma con politici più preparati[33].

Comunque, se anche quella nei confronti della tecnocrazia amministrativa o economica non è invocazione scomparsa – come ben sappiamo –, il punto di cui oggi conviene occuparsi è l’affacciarsi delle “scienze dure” rappresentate da virologi, epidemiologi et similia in veste di decisori politici. I nuovi Magi, che erano re e astronomi, potenti e sapienti all’un tempo.

Qui non si tratta “solo” di economia ma di salute fisica, di “una questione di vita o di morte”, e nel caso della medicina si tratta di un sapere che viene percepito come un sapere oggettivo. Vero che proprio la situazione pandemica, con i suoi esperti che hanno detto tutto e il contrario di tutto, ha un po’ ossidato questa immagine, ma il prestigio di cui godono gli scienziati della salute è grande e le loro parole meno discutibili di quelle di altri e considerate “neutrali”.

Sono proprio le pretese di oggettività e neutralità a legittimare il potere degli esperti.

Non è facile prendere partito. Per esempio, uno scienziato mette in guardia dall’accedere ai seggi elettorali in epoca di pandemia per il pericolo del contagio. Questo scienziato fa il suo mestiere, avverte del pericolo che il suo sapere gli suggerisce o addirittura gli impone. Però non è improbabile che questo “avvertimento” influenzi le decisioni politiche dei cittadini, e in questo modo mescoli indebitamente scienza e politica. Anche questo potrebbe essere un guasto della pandemia.

 

4. Perché non si pensi che sono di parte – quando mai! –, richiamerò Gadda quando scrive del “dubbio che anche un professore, di quando in quando, possa dire delle scemenze”[34], e citerò questa volta contro la scienza, o almeno contro certa scienza, la presa in giro di Swift, un altro quasi-utopista: “Da otto anni si dedicava a un progetto per estrarre dai cetrioli i raggi del sole […]. Fui anche nella scuola di matematica, ove un maestro insegnava agli allievi secondo un metodo che noi in Europa non riusciremmo neppure a immaginare. Il problema e la dimostrazione matematica venivano scritti in bella grafia su un’ostia, con inchiostro fatto di tintura cefalica. Lo studente doveva ingoiare l’ostia a stomaco vuoto, e nei tre giorni seguenti non nutrirsi che di pane e acqua. Una volta digerita l’ostia, la tintura saliva al cervello, portando seco il teorema matematico. Tuttavia il successo di codesto metodo non era ancora garantito”[35].

Gulliver qui è nell’isola di Laputa, ne descrive i costumi e il rapporto fra gli studiosi –“progettisti politici”, definiti “professori completamente fuori di senno” – e il sarcasmo di Swift ci riporta al tema del rapporto fra scienza e potere e anche al tema della reazione sociale, della credibilità di un sistema politico, dell’obbedienza alle norme da esso imposte, della liceità o meno di talune imposizioni, e quindi di nuovo del rapporto fra sicurezza e libertà (penso ai vaccini, più che alle mascherine).

Ma c’è di più.

Se Dorato sostiene un legame fra la democrazia rappresentativa e la scienza, c’è invece chi, a contrario, nella tecnocrazia vede lo “sbriciolamento” della democrazia rappresentativa. I “competenti”, in effetti, non sono tali perché eletti. “Il principio aristocratico fondato sulla competenza si è espanso sempre più nei nostri sistemi politici, erodendo gli spazi della rappresentanza. […] Le élites tecnocratiche hanno così forgiato un rapporto ambiguo con la democrazia. Hanno rivendicato la propria superiorità”[36]. Secondo Castellani, di cui è la citazione, questo avrebbe portato ad una complementarietà fra populismo, dal basso, e tecnocrazia, dall’alto, con appunto le “due tendenze speculari: una che confida nella sapienza assoluta di un super organo tecnico-scientifico che sia in grado di tutto sapere e di tutto ordinare; l’altra che ritiene che se non si può conoscere nulla per intero, allora quello che ciascuno pensa è equivalente a quello che pensa chiunque altro”[37]. Nello stesso senso: “il cittadino democratico cui è stata promessa l’autodeterminazione integrale non ha la minima intenzione di vedersela limitare da un qualsivoglia esperto”[38].

Ma in senso uguale e contrario, la politica non può decidere la bontà di una teoria scientifica, o le derive potranno essere tremende. Tempi addietro – ma non molto addietro – si posero distinzioni fra una fisica tedesca e una fisica ebraica e persino una matematica ebraica, il che fece sì che “fattucchieri dilettanti”[39] godessero della massima reputazione, e fisici premi Nobel come Einstein e Max Planck liquidati come ciarlatani. Forse non fu un caso se il teosofo Hartmann già in epoca di Weimar denunciava la “malvagia pratica dei vaccini”[40] e che diede poi luogo in epoca nazista alla Nuova Medicina Germanica, anch’essa intesa alla promozione delle teorie antivacciniste, e – perché no? – della “astromedicina”.

Farò un esempio più recente: l’opinione espressa da Thabo Mbeki, tempo fa Presidente del Sudafrica, secondo cui gli esperti avevano torto a ritenere che l’Aids fosse causato da un virus, stando alle stime dei medici della Harvard School of Public Health costò oltre trecentomila vite umane e l’infezione alla nascita di circa trentacinquemila bambini[41]. Attualmente il Presidente negazionista della Tanzania propone rimedi a base di erbe contro il Covid; cosa costerà tale suggerimento in termini di vite umane?

E i criminologi? Vorrebbero una politica penale e penitenziaria fatta da loro? O se ne stanno nel più confortevole ruolo di grilli parlanti? Sempre ammesso che qualcuno si prenda la briga di ascoltarli e magari farli ministri.

 

5. Me ne stavo tranquilla e senza alcun sospetto, rifugiata in un Dipartimento dal nome “Scienze Biomediche per la Salute”, quindi al sicuro, convinta della scontata vittoria della scienza e della razionalità, dell’Illuminismo e financo del Positivismo, e non mi sono accorta che i tempi cambiavano, anzi, che erano cambiati.

Eppure avrei dovuto sapere che un conto è l’ossequio formale per la scienza e un altro la fiducia autentica; avrei dovuto sapere che la scienza può essere trattata alla stessa stregua della superstizione e che la razionalità non so se ha vinto il nemico ma certo non lo ha annientato. Avrei dovuto ricordarmi che dopo l’Illuminismo ci sarebbe stato il Terrore, che Lavoisier sarebbe stato ghigliottinato e le tricoteuses avrebbero sferruzzato durante le esecuzioni, che – come s’è detto – durante il nazismo la Nuova Medicina Germanica era intesa alla promozione delle teorie antivacciniste.

Pure oggi i tempi sono calamitosi (quando mai non lo sono stati?), e lo sono anche per la scienza. A cominciare dal discredito, addirittura dall’ostilità che colpisce gli “esperti”, considerati da alcuni una élite privilegiata e complottista.

Esistono persone che ritengono che la Terra sia piatta: i buontemponi ci sono sempre stati, ma in USA Robert Kennedy vinse la sua lotta contro il “complotto” dei vaccini, Trump sosteneva che gli allarmi degli scienziati relativamente al riscaldamento globale fossero manovrati dalla Cina per danneggiare l’economia statunitense, movimenti populisti anti-scienza si diffondono[42].

Narciso al posto di Prometeo[43], e allora conviene preoccuparsi.

In tempo di pandemia c’è un motivo di preoccupazione in materia di reati o comportamenti prodromici a reati: il prosperare dei “discorsi d’odio” online, con parole violente nei confronti di eventuali trasgressori delle direttive di isolamento sociale e, quel che è ancor peggio, attacchi di odio nei confronti di persone o gruppi considerati causa della pandemia. Non siamo all’attacco al Campidoglio, ma il complottismo si affaccia anche da noi.

La trasmissione attraverso il web ha caratteristiche che la rendono fruibile e vantaggiosa per gli hate speeches, fra queste il fatto che lo schermo del computer diviene schermo anche in senso metaforico favorendo la disinibizione[44]. A differenza di quel che accade in una conversazione vis à vis, nella comunicazione attraverso la rete l’altro non è presente, né come interlocutore né come vittima di eventuali attacchi, ciò può condurre a un distanziamento sia emotivo che etico (ma potrebbe anche significare che quello che troviamo nei social non è rappresentativo di quello che tutti pensano ma piuttosto di quello che i peggiori, gli “odiatori” pensano[45]). Il web inoltre si consuma in solitudine, non costituisce veramente una “esperienza comune” come in parte persino la televisione può essere, anche senza ricordare “Lascia o raddoppia” visto insieme al bar del paese come i meno giovani forse rammentano. “Ciò che in internet si scambia, infatti, è pur sempre una realtà personale che non diventa mai una realtà condivisa, perché lo scambio ha un andamento solipsistico, dove un numero infinito di eremiti di massa comunica le vedute del mondo quale appare dal loro eremo”[46]. La solitudine fa presto a diventare rancorosa.

In ogni caso qui si affacciano alcuni problemi: uno è la scelta fra la libertà di opinione e l’esigenza di evitare incitazioni alla violenza.

Il discorso sulla libertà di opinione e sul parere degli esperti o dei “per nulla esperti” si incontrano: nell’aprile 2020 il Governo ha istituito la “Unità di monitoraggio per il contrasto alla diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social networks, composto da esperti. Non sono mancate perplessità ed è stata anche fatta notare “l’accentuazione della tendenza a trattare diversamente, sul piano delle garanzie, l’informazione professionale e quella proveniente dal quisque de populo […] Questo concentrarsi dell’intervento regolatorio sulle notizie diffuse in rete pare conseguenza di una rappresentazione un poco stereotipata di un universo informativo ove si contrappongono una informazione autorevole, proveniente da professionisti, e un flusso indistinto di notizie di dubbia verificabilità e di ancor minore attendibilità”[47].

Ma non è solo il web. L’Autore testè citato riporta alcuni titoli di quotidiani: “Diamoci tutti una calmata. Virus, ora si esagera”[48], “Basta allarmismo”[49].

Dopo di che, le notizie sono state allarmanti, dovevano esserlo.

Questo però è discorso per costituzionalisti, e il criminologo, per non fare anche lui gaffes come chi si improvvisa esperto, fisico o virologo o altro, è meglio che torni a quello che sa o dovrebbe sapere.

Il discorso sulla paura, per esempio, che è il pane dei criminologi.

La paura, si sa, è pessima consigliera, per la democrazia e per il ricorso al crimine, e un altro problema che ci compete potrebbe essere se la paura del virus fa gioco come lo ha fatto la paura del crimine per promuovere ondate di panico morale, politiche securitarie e provvedimenti di stampo repressivo.

Si può cominciare con la costruzione del capro espiatorio, e questo è un tema di cui la criminologia si è sempre occupata[50].

Parlando del capro espiatorio potrei esordire ricordando Malaussène, il personaggio di Pennac assunto in una ditta appunto con il ruolo di capro espiatorio[51], ma non sarebbe accademicamente chic, così invece comincerò con la frase di Lévinas che da qualche anno mi gira in testa: “Cos’è l’Europa? È la Bibbia e i Greci”. Se si parla di capro espiatorio è difficile non pensare alla Bibbia e ai Greci.

Nella Bibbia, soprattutto nel Levitico, il riferimento al sacrificio espiatorio è frequente; un esempio fra i tanti: “Aronne poserà entrambe le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di esso tutte le colpe degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto”[52].

Ho scelto il meno cruento dei passi perché di solito il capro finisce peggio, così come stava finendo peggio Isacco.

L’episodio di Abramo comandato da Dio di sacrificare il figlio è uno degli episodi più sconcertanti e più discussi della Bibbia, Kierkegaard sostiene che influenzò tutta la sua Weltanschauung religiosa, ed è generalmente considerato la parabola dell’obbedienza, della messa alla prova della fede –Abramo che obbedisce a Dio fino ad accettare di sacrificargli il figlio – e della misericordia divina –Dio che all’ultimo momento fa sì che il sacrificio non debba essere compiuto.

L’episodio ha anche un momento di umorismo, perché, mentre vanno verso il luogo dell’olocausto, Isacco si guarda intorno e non gli tornano i conti, così chiede ad Abramo: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello?”[53].

Oltre a quelle citate – l’obbedienza al Signore e la misericordia divina –, ci sono altre interpretazioni dell’episodio, compresa quella in chiave storica che vuole che esso indichi la fine della pratica del sacrificio dei bambini in onore degli dei; all’ultimo momento infatti invece di Isacco viene sacrificato il solito povero capro, un ariete per la precisione, e qui arrivano i Greci, con Ifigenia.

La storia la conosciamo, secondo Euripide all’ultimo momento Ifigenia viene sostituita da una cerbiatta, per cui la spiegazione che Wiesel dà per Isacco potrebbe valere anche per i Greci.

Sia come sia, in queste due storie ad essere sacrificati sono i figli, ma poi, mano a mano, le cose cambiano radicalmente, il capro espiatorio diviene l’odiato, il diverso, e a sacrificarlo o a sacrificarli accorrono in molti.

Si tratta sempre di sacrificare qualcuno per avere in cambio qualcosa, la fine di un flagello, la purificazione, ma nel tempo molto muta, compreso l’inserirsi del complottismo e delle varie teorie cospiratorie.

Il nome che la letteratura ebraica assegna al racconto dell’episodio di Abramo comandato da Dio di sacrificare il figlio Isacco è ‘Aqedah, il legamento. Miriam Camerini sottolinea che è “una storia di legami che si rinsaldano e/o che si sciolgono”[54]. Wiesel scrive: “Esaminiamo un altro punto di vista. Dio mise alla prova Abramo per farlo diventare un simbolo […] Dio disse ad Abramo: ‘Ti farò diventare un nes la-goyim’. Nes vuol dire miracolo ma anche stendardo”[55]. Abramo, il primo ebreo, una questione anche di identità e appartenenza.

Identità/appartenenza probabilmente si irrobustiscono se fondati su una trascendenza e un assoluto, ma rischiano anche di irrigidirsi, di farsi più feroci e intolleranti, di esigere difese estreme soprattutto in momenti di crisi, di una pestilenza per esempio.

La rivendicazione di un’identità/appartenenza può portare al sacrificio degli altri, e in ogni caso serve a rafforzare la coesione. Girard dà una interpretazione più ampia e articolata del ruolo del capro espiatorio, ma ritorna spesso anche su questo concetto: “Siamo tutti della stessa famiglia, di un solo e identico gruppo perché abbiamo lo stesso capro espiatorio”[56].

Quindi anche da qui nasce una storia che poi si ripeterà, nasce in un qualche modo per così dire significante, sintattico, la suggeriscono gli ebrei che poi ne diventeranno le vittime più frequenti, ed è la storia del rafforzare la propria identità, del superare le crisi collettive attraverso l’individuazione complottista e la carneficina di nemici comuni sui quali far ricadere la colpa della crisi, e al massacro dei quali consegnare la possibilità di superamento e salvezza propri.

Con il Covid-19 la strategia del capro espiatorio però non pare aver preso piede. Nei primi tempi c’erano stati alcuni tentativi, con la vile aggressione a una ragazzina cinese su un mezzo pubblico e altre “goliardate” relativamente da poco. Poi si è tentato con gli stranieri, che sono sempre suitable enemies, ma anche qui l’idea non avuto successo. Si è dovuto amaramente concludere che il Covid è interetnico, e che non basta evitare di sgranocchiare pipistrelli crudi per essere al riparo.

Ci sarebbe da chiedersi perché in questa circostanza non si sono trovati capri espiatori, e sarebbe una bella domanda (anche) per i criminologi.

Fino a ieri il “potere”, qualsiasi cosa la parola voglia intendere e qualsiasi esso sia, si dava da fare per rafforzarsi attraverso la nostra insicurezza; oggi per conservarsi deve rassicurarci. Attraverso la paura dalla violenza le istituzioni si legittimavano, come argomenta Cornelli ricordando Hobbes[57], oggi dovrebbero farlo attraverso la rassicurazione dalla malattia. Ci hanno tentato: “le autorità hanno fatto ricorso a una comunicazione tesa spesso più a rassicurare che a far conoscere la realtà, dosando le informazioni e talvolta occultando gli scenari più cupi prospettati dalla scienza”[58], ma non ce l’hanno fatta né col tempo, col protrarsi e con l’aggravarsi della situazione era più possibile. Forse questa è una risposta.

Fatto sta che i telegiornali di prima serata nel marzo 2020 hanno dedicato fra il 91% e il 95% del tempo a notizie legate al contagio. Neppure il “delitto di Cogne” potè tanto. Non a caso c’è chi paventa che l’infodemia per il tramite del timore del Covid divenga infocrazia[59], tanto più in tempi, come quelli di lockdown o di zone variamente colorate, in cui scambi di informazione diversi da quelli mediatici sono più difficili.

Però potrebbe esserci un altro vantaggio di questa paura, e quindi un’altra risposta, quello di introdurre, o meglio irrobustire, il panpenalismo, abituandoci all’idea che in momenti eccezionali anche le restrizioni delle nostre libertà possano o debbano essere altrettanto eccezionali. “Per la gestione dell’emergenza pandemia sono state disposte (con decreti legge e atti normativi non aventi valore di legge: DCPM e altro) restrizioni di libertà particolarmente spinte, finalizzate al contenimento del contagio. Abbiamo accettato la sospensione dell’esercizio di diritti fondamentali di libertà, dei quali vive una società libera”[60]; “Un punto ci inquieta per il futuro. L’ideologia del controllo totale. L’allegra facilità nel rinunciare ad importanti libertà come prezzo da pagare al nuovo feticismo della sicurezza”[61]. Anche Gatta sostiene che “il diritto del coronavirus è un diritto dell’emergenza”, richiama il “diritto del terrorismo o della criminalità organizzata”, indica lacune, pericoli e possibili rimedi dal punto di vista giuridico anche alla luce delle scelte fatte in altri Paesi[62].

Sui problemi giuridici non entro nel merito, però quando si cominciano ad invocare eccezionalità ed emergenze pure i criminologi si allarmano (ognuno ha le proprie paure), e parlano delle politiche del “piano inclinato”, intendendo dire che se si cominciano a comprimere i diritti e le libertà per un qualche motivo di eccezionalità, poi di volta in volta di emergenze ne troveremo altre e intanto saremo scivolati in un sistema meno garantista. Qualsiasi sia il cavaliere dell’Apocalisse coinvolto: guerra, strage, carestia, morte, e appunto pestilenza.

 

 

[1] Tucidide, Storie, II, 50.

[2] Lucrezio, De rerum natura, VI, 1280.

[3] Travaini G., Caruso P., Merzagora I., Crime in Italy at the time of the pandemic, Acta Biomed 2020; Vol. 91, N. 2: 199-203.

[4] Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Direzione Centrale della Polizia Criminale, Omicidi volontari, Roma, febbraio 2021; EU.R.E.S. Ricerche Economiche e Sociali, Settimo rapporto sul femminicidio in Italia. Caratteristiche e tendenze del 2020, Roma, Novembre 2020.

[5] In compenso sembrano aumentati i casi di violenza non letale. Il Garante regionale vittime di reato della Lombardia ha affermato nel corso di un’audizione in Commissione femminicidio del Senato: “Le chiamate telefoniche al numero anti violenza 1522 nel periodo compreso tra marzo e ottobre 2020 sono notevolmente cresciute (+71,7%), passando da 13.424 a 23.071 e le richieste di aiuto tramite chat sono più che triplicate(da 829 a 3.347 messaggi), anche a causa della convivenza forzata e della difficoltà a uscire di casa” (Audizione del garante regionale vittime di reato, 20 gennaio 2021).

[6] In: Fisichella D., Alla ricerca della sovranità. Sicurezza e libertà in Thomas Hobbes, Carocci, Roma, 2008, p. 65.

[7] Bauman Z., Tester K., Società, etica, politica. Conversazioni con Zygmunt Bauman, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002.

[8] Pulitanò D., Lezioni dell’emergenza e riflessioni sul dopo. Su diritto e giustizia penale, in questa Rivista, 28 aprile 2020, p. 5.

[9] Ne Il foglio, 20 aprile 2020, citato in: Pulitanò D., Lezioni dell’emergenza e riflessioni sul dopo, cit., p. 4.

[10] Casati R., Quei dilemmi morali che toccano ai medici, Il Sole 24 ore, 19 aprile 2020, p. 9.

[11] Dorato M., Disinformazione scientifica e democrazia. La competenza dell’esperto e l’autonomia del cittadino, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2019, p. 65-66.

[12] In: Castellani L., L’ingranaggio del potere, Liberilibri, Macerata, 2020, pp. 14-15.

[13] Brennan J., Contro la democrazia, LUISS University Press, Roma, 2018, p. 48.

[14] Brennan J., Contro la democrazia, LUISS University Press, Roma, 2018, p. 56.

[15] Burioni R., La congiura dei somari. Perché la scienza non può essere democratica, Rizzoli, Milano, 2019.

[16] Asimov I., A Cult of Ignorance, Newsweek, 21 gennaio 1980, p. 19.

[17] Tinagli I., La grande ignoranza. Dall’uomo qualunque al ministro qualunque. L’ascesa dell’incompetenza e il declino dell’Italia, Rizzoli, Milano, 2019, pp. 7-8.

[18] Feyerabend P., Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 252..

[19] Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2011.

[20] Fisichella D., L’altro potere. Tecnocrazia e gruppi di pressione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Volpi M. (a cura), Governi tecnici e tecnici al governo, G. Giappichelli Editore, Torino, 2017.

[21] Platone, La Repubblica, VI, V, ed. Laterza, Bari, 1994, p. 203.

[22] Platone, La Repubblica, VI, I, ed. Laterza, Bari, 1994, p. 197.

[23] Platone, La Repubblica, VI, XVIII, ed. Laterza, Bari, 1994, p. 221.

[24] In: Castellani L., L’ingranaggio del potere, Liberilibri, Macerata, 2020, p. 29.

[25] Weber M., La scienza come professione. La politica come professione, Einaudi, Torino, 1917.

[26] Brennan J., Contro la democrazia, LUISS University Press, Roma, 2018. L’autore così definisce: “Un sistema politico è epistocratico nella misura in cui distribuisce il potere politico in proporzione alla conoscenza o alla competenza”, e aggiunge “Tale distribuzione dev’essere de iure, non meramente de facto” (p. 259).

[27] “Ha tre Principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà, Sapienza e Amore. […] Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dell’arti liberali e meccaniche, e tiene sotto di sé tanti offiziali quante sono le scienze: ci è l’Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il Loico, il Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il Morale” (Campanella T., La città del Sole, ed. Adelphi, Milano, 1995, p. 30).

[28] Bacon F., Nuova Atlantide, ed. Rizzoli, Milano, 2018, p. 83.

[29] In: Volpi M. (a cura), Governi tecnici e tecnici al governo, G. Giappichelli Editore, Torino, 2017, p. 21.

[30] In: Volpi M. (a cura), Governi tecnici e tecnici al governo, G. Giappichelli Editore, Torino, 2017, p. 44.

[31] In: Savinio A., Introduzione, Campanella T., La città del Sole, ed. Adelphi, Milano, 1995, nota 1, p. 18.

[32] Calò E., Competenti al governo, Moked. Il portale dell’ebraismo italiano, 09/02/2021.

[33] Tinagli I., La grande ignoranza. Dall’uomo qualunque al ministro qualunque. L’ascesa dell’incompetenza e il declino dell’Italia, Rizzoli, Milano, 2019, p. 205.

[34] Gadda C.E., Accoppiamenti giudiziosi, San Giorgio in casa Brocchi, Garzanti, Milano, ed. 1973, p. 90.

[35] Swift J., I viaggi di Gulliver, Feltrinelli, Milano, decima edizione, 2017, p. 173.

[36] Castellani L., L’ingranaggio del potere, Liberilibri, Macerata, 2020, p. 195.

[37] Castellani L., L’ingranaggio del potere, Liberilibri, Macerata, 2020, p. 204.

[38] Orsina G., La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica, Marsilio, Venezia, 2018, p. 90. L’Autore però continua ricordando che le opinioni dell’esperto “in un’epoca priva di oggettività, saranno con ogni probabilità demolite da altri esperti, altrettanto se non più prestigiosi e qualificati, un istante dopo che siano state pronunciate”.

[39] Kurlander E., I mostri di Hitler. La storia soprannaturale del Terzo Reich, Mondadori, Milano, 2018, p. 221.

[40] In: Kurlander, cit., 2018, p. 42.

[41] Nichols T., La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, LUISS University Press, Roma, 2017, pp. 17-18; Tinagli I., La grande ignoranza. Dall’uomo qualunque al ministro qualunque. L’ascesa dell’incompetenza e il declino dell’Italia, Rizzoli, Milano, 2019, pp. 17-18.

[42] Davies W., Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo, Einaudi, Torino, 2019.

[43] Vergani M., Responsabilità. Rispondere di sé, rispondere dell’altro, Raffaello Cortina, Milano, 2015.

[44] Ziccardi G., L’odio online. Violenza verbale e ossessione in rete, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016.

[45] Travaini G., Caruso P., Merzagora I., “Gli smemorati della Curva Nord. Sentiment analysis di un episodio antisemita in ambito calcistico”, Rassegna Italiana di Criminologia, n. 3, 2019, pp. 224-230.

[46] Galimberti U., Psiche e techne, in: Bianchetti R., La paura del crimine. Un’indagine criminologica in tema di mass media e politica criminale ai tempi dell’insicurezza, Giuffrè Editore, Milano, 2018, p. 265.

[47] Vigevani G.E., Sistema informativo e opinione pubblica nel tempo della pandemia, in Quaderni costituzionali, 4, pp. 779-795, dicembre 2020, p. 782.

[48] Libero, 27 febbraio 2020.

[49] Il Giornale, 28 febbraio 2020.

[50] Francia A. (a cura), Il capro espiatorio. Discipline a confronto, FrancoAngeli, Milano, 1995.

[51] Pennac D., Il paradiso degli orchi, Feltrinelli, Milano, 2012.

[52] Levitico 16, 21.

[53] Genesi 22, 7.

[54] Camerini M. (2017), Idee su Abramo e il “sacrificio” di Isacco, Conferenza tenuta all’Istituto Superiore di Scienze Religiose, Milano, 5 Aprile 2017.

[55] Wiesel E. (2004), Sei riflessioni sul Talmud, Bompiani, pp. 11.

[56] Girard R, (ed. 2020), Il capro espiatorio, Adelphi, Milano, p. 264. Almeno in nota qualcun’altra citazione: “Questa folla è il gruppo in fusione, la comunità che, alla lettera si dissolve e non può più rinsaldarsi se non a spese della sua vittima, del suo capro espiatorio” (id., p. 186); “Per conquistare l’appartenenza bisogna trasformare questo avversario in vittima” (id., p. 267); “con il principio dell’unificazione sociale, anch’esso mimetico, il principio del capro espiatorio” (id., p. 318).

[57] Cornelli R., Oltre la paura. Cinque riflessioni su criminalità, società e politica, Feltrinelli, Milano, 2013.

[58] Vigevani G.E., Sistema informativo e opinione pubblica nel tempo della pandemia, in Quaderni costituzionali, 4, pp. 779-795, dicembre 2020, p. 785.

[59] Vigevani G.E., Sistema informativo e opinione pubblica nel tempo della pandemia, in Quaderni costituzionali, 4, pp. 779-795, dicembre 2020, p. 788.

[60] Pulitanò D., Lezioni dell’emergenza e riflessioni sul dopo, cit., p. 3.

[61] Borgna P., 25 aprile e stato d’eccezione, in Pulitanò D., Lezioni dell’emergenza e riflessioni sul dopo, cit., p. 6.

[62] Gatta G.L., I diritti fondamentali alla prova del coronavirus, in questa Rivista, 2 aprile 2020.