* Il presente contributo è stato pubblicato nel volume collettaneo curato da G. Dodaro, M. Dova, C. Pecorella e C. Ruga Riva, Riflessioni sulla giustizia penale. Studi in onore di Domenico Pulitanò, Giappichelli, 2022, pp. 185-198. L’autore ringrazia l’editore e i curatori per averne autorizzato la pubblicazione originale – oggetto di modesti aggiornamenti bibliografici –, in questa Rivista.
1. Premessa. – La legge costituzionale n. 1 dell’11 febbraio 2022 ha modificato due articoli della Costituzione.
Da un lato, e per la prima volta, il legislatore è intervenuto sui principi fondamentali, integrando l’art. 9 con un secondo comma, nel quale promette di tutelare “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, nonché, attraverso legge dello Stato, di disciplinare modi e forme della tutela degli animali; dall’altro, ha modificato l’art. 41 Cost., commi 2 e 3, aggiungendo l’ambiente e la salute a fianco degli originari limiti alla iniziativa economica privata e affiancando i fini ambientali a quelli sociali cui indirizzare e coordinare l’attività economica pubblica e privata.
In questo scritto – dedicato al Maestro che ebbi la fortuna di conoscere ancora laureando – intendo discutere dell’eventuale impatto della riforma costituzionale su vari temi che interessano il penalista.
Si pensi al peso da attribuire all’ambiente nel bilanciamento[1] tra interessi contrapposti, oggetto di storiche sentenze della Corte costituzionale a partire dalla n. 127/1990 sulle migliori tecnologie disponibili da adottare per abbassare i livelli di inquinamento atmosferico[2], fino alla più recente sentenza “Ilva” n. 85/2013[3] sui limiti al sequestro per gli stabilimenti di interesse strategico nazionale e sui rapporti tra poteri dello Stato (legislativo/esecutivo/giudiziario) nella prevenzione dei reati.
O ancora agli obblighi di incriminazione; alla prospettiva della tutela delle future generazioni in rapporto ai reati di pericolo; al peso dell’ambiente (per come evocato negli artt. 9 e 41 Cost.) nella perimetrazione del rischio consentito, nell’eventuale riempimento di regole cautelari e di posizioni di garanzia, o in rapporta alla clausola “abusivamente” tipica di vari ecodelitti.
2. Il dibattito tra costituzionalisti. – Prima di approfondire l’impatto sul diritto penale, è opportuno riportare in estrema sintesi l’acceso dibattito che ha coinvolto i costituzionalisti circa il significato e la portata della riforma “ambientalista”.
Molto schematizzando possono individuarsi tre posizioni.
Secondo un primo orientamento[4] la riforma sarebbe criticabile: sia nel metodo e nella tecnica normativa, poiché espressiva di una legislazione “iconica”, che mette in vetrina “valori”, a mo’ di slogan[5], senza spiegarne e specificarne adeguatamente il contenuto; sia nel merito, rischiando di sacrificare il paesaggio a vantaggio irragionevole dell’ambiente e della transizione ecologica (si fa l’esempio della legittimazione alla costruzione di parchi eolici che deturperebbero il paesaggio a fini di produzione di energia “verde”).
Un secondo orientamento[6] sottolinea, in sostanza e con varie sfumature, la superfluità della riforma, posto che la giurisprudenza costituzionale avrebbe già, da decenni, riconosciuto l’ambiente come valore, pur in assenza – fino al 2001 – della sua espressa menzione in Costituzione.
I rinnovati artt. 9 e 41 Cost non farebbero niente altro che cristallizzare approdi giurisprudenziali ormai consolidati, facendo proprio il diritto vivente.
Del resto, può aggiungersi, le due citate sentenze della Corte costituzionale (rispettivamente sul rapporto tra abbassamento dei valori di emissione nell’aria e migliori tecnologie disponibili, e su "Ilva") hanno considerato l’ambiente (anche come limite alla iniziativa economica) nel bilanciamento tra beni e valori contrapposti, ben prima della riforma in commento.
Un terzo filone dottrinale ritiene viceversa che la riforma valorizzi l’ambiente sotto almeno due profili: attribuendo valenza costituzionale allo sviluppo sostenibile, attraverso il riferimento all’”interesse delle “future generazioni”; legittimando, attraverso la riforma dell’art. 41 Cost., politiche economiche “verdi”[7].
D’altro canto si offrirebbe stabilità e certezza ad un valore che non può essere lasciato a mutevoli e instabili orientamenti giurisprudenziali[8].
Non vi è spazio in questa sede per approfondire adeguatamente un tema tanto controverso tra i costituzionalisti.
Ai nostri fini basti considerare che il secondo orientamento dottrinale – quello della superfluità della riforma – confligge con il canone interpretativo del principio di conservazione degli atti giuridici (legge compresa), alla cui stregua è opportuno attribuire alle nuove disposizioni normative un qualche significato, tanto più, verrebbe da dire, se si tratta di disposizioni costituzionali.
In secondo luogo, sembra innegabile che la prospettiva della tutela delle future generazioni rappresenti una novità, essendo ad oggi comparsa solo timidamente nella giurisprudenza costituzionale, perlopiù in relazione alle esigenze di equilibrio intergenerazionale di bilancio dello Stato in coerenza con il riformulato art. 81 Cost.[9].
Ancora, l’innesto “verde” dell’art. 41, esplicitando l’ambiente come limite alla iniziativa economica e come scopo delle politiche economiche, sembra quanto meno spingere verso una rimeditazione dei tradizionali punti di equilibrio tra valori contrapposti fin qui cristallizzati dalla giurisprudenza costituzionale.
In terzo luogo, quand’anche gli articoli 9 e 41 Cost. oggetto di restyling non venissero interpretati come innovativi, a ben vedere garantirebbero per legge costituzionale ciò che ad oggi si è raggiunto (solo e precariamente) attraverso il lavorio giurisprudenziale, sicché quanto meno a livello di formante (e di prospettiva di stabilità) la riforma esprime un autonomo significato.
Last but non least, i temi che verranno analizzati meritano comunque di essere trattati dal penalista, perché al centro di un dibattito, prevalentemente giurisprudenziale, che l’accresciuta sensibilità per le tematiche “verdi” rende oggi quanto mai attuale e, c’è da scommetterci, foriero di ulteriori contese giurisprudenziali e dispute dottrinali.
3. L’ambiente come limite: due pronunce storiche e uno sguardo sul futuro. – La sentenza n. 127/1990 della Corte costituzionale appare di perdurante interesse, perché affronta per la prima volta un tema di particolare complessità e delicatezza: quale è il punto di equilibrio tra iniziativa economica e salute/ambiente?
In dettaglio, la Corte era stata chiamata a sindacare la legittimità di una normativa in materia di inquinamento atmosferico, che sembrava subordinare l’adozione delle migliori tecniche disponibili per abbattere le emissioni a “costi non eccessivi” per l’impresa; nel caso di specie i periti individuarono una tecnica (la c.d. postcombustione) idonea ad abbassare il livello di emissione, ma a costi particolarmente elevati per l’azienda, che infatti optò per una tecnica meno costosa (e meno efficiente); il mancato abbassamento, pur tecnicamente possibile, costò al legale rappresentante dell’impresa il rinvio a giudizio per violazione dell’art. 674 c.p., sul presupposto che quel livello di emissioni non fosse consentito.
La Corte con sentenza interpretativa rigettò la questione, specificando che la normativa sospettata di illegittimità[10] (per contrasto con l’art. 32 Cost. e dunque con il diritto all’ambiente salubre, e con l’art. 41 Cost., che subordina la libera iniziativa economica alla utilità sociale) andava interpretata nel senso che “il condizionamento al costo non eccessivo dell’uso della migliore tecnologia disponibile va riferito al raggiungimento di livelli inferiori a quelli compatibili con la tutela della salute umana…il limite del costo eccessivo viene in causa soltanto quando quel limite ultimo sia stato rispettato: nel senso, cioè, che l’autorità non potrebbe imporre nuove tecnologie disponibili, capaci di ridurre ulteriormente il livello di inquinamento, se queste risultino eccessivamente costose per la categoria cui l’impresa appartiene” (non per la singola azienda in questione).
In sintesi, vi sarebbe una determinata soglia di tutela della salute e dell’ambiente, un nucleo minimo intangibile (il Wesengehalt) prevalente su altri valori e interessi contrapposti; solo sotto quella soglia verrebbero in considerazione i costi, rapportati al comparto di appartenenza della singola azienda; in tale ultimo caso, di regola, le spese per investimenti tecnologici dovrebbero seguire il principio di gradualità[11].
Sul punto la pronuncia appare condivisibile, pur nella innegabile vaghezza della individuazione del valore soglia “minimo”.
Ciò che appare discutibile non è tanto l’individuazione del “quantum” della tutela minima, quanto il soggetto preposto a tale operazione.
Qui la Corte premette “che il giudice presume, in linea generale, che i limiti massimi di emissione fissati dall’autorità siano rispettosi della tollerabilità per la salute dell’uomo e per l’ambiente. In ipotesi, però, che seri dubbi sorgano, particolarmente in relazione al verificarsi nella zona di manifestazioni morbose, attribuibili all’inquinamento atmosferico, egli ben può disporre indagini scientifiche atte a stabilire la compatibilità del limite massimo delle emissioni con la loro tollerabilità, traendone le conseguenze giuridiche del caso. Nessuna norma, infatti, può sottrarsi all’ossequio della legge fondamentale, sicché è in tal caso che va interpretato l’inciso “nei casi consentiti dalla legge” di cui all’art. 674 c.p.”.
Insomma, la Consulta ammette che il giudice, ex post e a date condizioni, possa sindacare la “tenuta” dei valori soglia fissati dalla p.a. (o dal legislatore); quali conseguenze giuridiche debba trarne è facilmente immaginabile: disapplicazione del provvedimento amministrativo, o comunque interpretazioni della legge che pretendano standard più cautelativi.
La Corte apre così il varco (o meglio non lo chiude) a quegli orientamenti giurisprudenziali che considerano insufficiente il rispetto dei valori soglia fissati dall’Autorità competente o dal legislatore, laddove il livello di inquinamento sia comunque ulteriormente abbassabile dall’imprenditore-modello[12].
Tema delicato che coinvolge il rischio consentito e la colpa, e che verrà approfondito oltre (cfr. infra, 6).
L’altra pronuncia della Corte degna di approfondimento è la n. 85/2013 sul caso Ilva.
Due gli aspetti di particolare interesse ai nostri fini.
In primo luogo l’affermazione della inesistenza di diritti “tiranni”, cioè a dire l’esigenza di bilanciare valori e diritti contrapposti, compresi salute e ambiente, in modo tale, per quanto possibile, di farli coesistere.
In secondo luogo il riconoscimento al legislatore e alla p.a. di ampi spazi discrezionali nella composizione degli interessi in gioco, con simmetrica restrizione di campo per l’intervento della magistratura penale; di qui la ritenuta legittimità della normativa che consentiva, per gli stabilimenti di interesse strategico nazionale, la prosecuzione dell’attività industriale pur in pendenza del provvedimento di sequestro giudiziario, se e in quanto rispettosa dell’AIA soggetta a riesame, la quale prevedeva un graduale miglioramento dell’impatto ambientale dello stabilimento, sotto monitoraggio e controllo della p.a.
Dal raffronto tra le due citate pronunce emergono un elemento di continuità ed uno di discontinuità.
Il primo consiste nell’esigenza di bilanciare interessi contrapposti salvaguardandone un loro nucleo minimo; nel caso di specie la prosecuzione dell’attività industriale, da un lato, e il miglioramento progressivo del relativo impatto ambientale, dall’altro.
Il secondo concerne il soggetto (il potere dello Stato) preposto alla individuazione del punto di equilibrio.
Su questo secondo punto la Corte costituzionale sembra avere virato – condivisibilmente[13] – con la sentenza “Ilva”, sulla preminenza del potere legislativo ed esecutivo, con il potere giudiziario in funzione meramente supplente, a sindacare eventuali irragionevolezze del bilanciamento che, in prima battuta, compete al potere politico-amministrativo.
Irragionevolezza assente – secondo la Corte – nella prima normativa ad Ilvam su ambiente e salute, e viceversa presente in diversa normativa, sempre concernente Ilva, in materia di sicurezza sul lavoro[14].
Le modifiche costituzionali in commento “aprono” ad un diverso bilanciamento degli interessi confliggenti? Peserà di più il piatto della bilancia rappresentato dall’ambiente?
Sicuramente, sul piano delle politiche economiche (nuovo art. 41 co. 3 Cost.), l’ambiente avrà un peso maggiore che in passato, come già oggi dimostra il PNRR.
La modifica del co. 2 dell’art. 41 Cost. appare più ambigua: da un lato menziona l’ambiente, prima ricavato per via giurisprudenziale come species del genus “utilità sociale”; dall’altro ambiente e utilità sociale sono ora disgiunti, come a dire che la tutela dell’ambiente è cosa diversa dall’utilità per l’uomo, verosimilmente meritevole di tutela anche a prescindere (o contro?) gli interessi umani.
Fare previsioni è difficile; forse può immaginarsi che la promozione dell’ambiente come principio fondamentale, come obbiettivo di politica economica e come limite espresso alla iniziativa economica porterà ad una sua maggiore considerazione nel giudizio di bilanciamento anche ove scollegato alla salute.
Detto più chiaramente: il riconosciuto valore fondamentale dell’ambiente come bene meritevole di tutela in sé, e la sua emancipazione dall’art. 32 Cost., spingeranno verosimilmente per una sua tutela rafforzata; leggi o provvedimenti amministrativi che non garantissero adeguata tutela all’ambiente, in prospettiva ecocentrica, sarebbero più difficilmente di oggi al riparo da censure.
Il portato penalistico di questa potenziale torsione “verde” consisterà, forse, in uno scrutinio più severo di normative penali che si distaccassero da elevati livelli di tutela ambientale (tipicamente nel caso di norme di favore), così come in una – discutibile – pretesa giudiziale di maggior tutela, nel senso di esigere dall’imprenditore livelli di emissione più bassi ove tecnicamente possibile rispetto a quelli fissati per legge (o prescritti dalla p.a.).
4. Obblighi di incriminazione? – L’inserimento espresso in Costituzione evoca un altro tema caro al Maestro che onoriamo: quello degli obblighi di incriminazione.
La questione è stata in Italia risolta, proprio a partire dal celebre articolo di Pulitanò del 1983[15], nel senso della inesistenza di obblighi di incriminazione, rimanendo nella discrezionalità del legislatore la scelta del se e come punire.
Tuttavia, è altrettanto noto che, proprio in tema di ambiente (Direttiva CE 2088/99)[16], l’Unione Europea ha iniziato a pretendere dagli Stati membri vari espliciti obblighi di incriminazione, oggi disseminati in vari settori.
Sul punto la riforma costituzionale non cambia le cose: vari obblighi di tutela penale dell’ambiente discendono ieri come oggi dalla fonte europea, per il tramite dell’art. 117 co. 1 Cost.
Piuttosto, sotto un diverso punto di vista, un allargamento della “copertura” costituzionale può forse intravedersi rispetto all’art. 452-septies c.p.: nel momento in cui “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali” (nuovo art. 41 co. 3 Cost.), è conseguente fornire adeguata tutela agli organi della p.a. preposti ai controlli ambientali.
Non si tratta evidentemente di un obbligo di incriminazione, ma certo l’opzione penalistica a tutela della effettività dei controlli ambientali può ritenersi una delle (diverse) scelte possibili sul piano politico criminale.
5. Tutela intergenerazionale e reati di pericolo. – L’inserimento in Costituzione della tutela ambientale in prospettiva intergenerazionale (art. 9 Cost.) pone un interrogativo di non facile risposta.
Può incidere tale riforma sulla legittimazione dei reati di pericolo (e ancor prima degli illeciti di rischio ispirati al principio di precauzione), o comunque sulla loro interpretazione?
La tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, “anche nell’interesse delle future generazioni” sposta nel tempo la prospettiva di tutela? Giustifica l’impiego da parte del legislatore di tali tipologie di reato? Pretende dal giudice una scala temporale diversa (più lunga) nell’apprezzamento del pericolo (o del rischio)?
Ovviamente il diritto penale guarda al futuro, in funzione preventiva, ed è noto che i reati di pericolo anticipano la tutela rispetto a temuti danni futuri.
Non ci sembra che, ad oggi, la dottrina si sia interrogata sull’arco temporale rispetto al quale vada apprezzato il pericolo.
Come osserva Pulitanò nel suo Manuale, “Le norme penali si riferiscono talora a un pericolo corso, puntualizzato nel tempo; talora a situazioni di pericolo che si protraggono nel tempo, o a pericoli di danni futuri, in un arco temporale più o meno ampio”[17].
Nella misura in cui la tutela sia pensata anche sulle future generazioni, è evidente che i criteri di legittimazione dei reati di pericolo, così come degli illeciti di rischio fondati sul principio di precauzione, rinvieranno a conoscenze scientifiche (e relative prognosi) spostate in là nel tempo di decenni.
Esemplificando: l’incriminazione di emissioni in atmosfera oltre certe soglie potrà e dovrà essere valutata alla luce di effetti cumulativi e seriali pensati non solo sul medio periodo (quello di vita dei già nati), ma anche sul lungo periodo (quello dei figli dei già viventi); del pari, l’eventuale – e problematica[18] – incriminazione di condotte sulla cui pericolosità per l’ambiente la scienza nutre seri dubbi dovrà essere parametrata su ipotizzati rischi futuri, anche lontani nel tempo.
Certo lo spostamento in là della scala temporale presenta problemi: è verosimile che, in linea generale, le prognosi sul lontano futuro si facciano meno affidabili, che subentrino vari fattori difficilmente governabili dalle previsioni scientifiche, con il rischio che, in sostanza, al sapere scientifico inidoneo a dare certezze si sostituisca la logica precauzionale, ancorata al paradigma assai più facile del “non può escludersi che…”.
Si tratterebbe di una deriva non accettabile sul piano politico-criminale; in presenza di scenari di danni futuri scientificamente poco affidabili la priorità di intervento dovrebbe essere affidata a strumenti extrapenali di gestione del rischio.
6. Rischio (ancor meno) consentito? – Si è già visto il ruolo dell’ambiente nel giudizio di bilanciamento (supra, par. 3) operato dalla Corte costituzionale rispetto al confliggente valore della libertà di iniziativa economica.
Il tema viene qui ripreso sul presupposto che “alla radice, i confini del rischio permesso dipendono da un bilanciamento d’interessi”[19].
Da sempre controverso e dai confini sfuggenti, “conteso tra tipicità, antigiuridicità e colpevolezza”[20], il concetto di rischio consentito è stato variamente invocato in dottrina per delimitare la responsabilità di chi, pur osservando determinate cautele, abbia attraverso la condotta autorizzata causato pericoli o danni all’incolumità pubblica, alla integrità fisica o all’ambiente.
In particolare, nei casi di attività industriali, l’impatto negativo sull’ambiente è sempre prevedibile e in qualche modo evitabile (abbassando le emissioni/immissioni sotto i valori soglia di legge, ove tecnicamente possibile, o al limite astenendosi dall’esercizio dell’attività), ma cionondimeno l’imputazione, in tali casi, risulterebbe ingiusta e non conforme al principio di colpevolezza e, più in radice, a quello di separazione dei poteri[21], che in linea di massima attribuisce al potere legislativo e a quello esecutivo il compito – delicato e tutto politico – di trovare un punto di equilibrio tra interessi contrapposti.
In sostanza il rischio consentito – conformato in materia ambientale da valori soglia e regole di condotta contenute in particolare nel T.U.A. e nelle autorizzazioni, dotate di apposite prescrizioni – dovrebbe costituire, salvo eccezioni, un limite alla colpa generica[22].
Le eccezioni dovrebbero valere in due ipotesi: a) in presenza di circostanze di fatto anomale; b) in presenza di difetti intrinseci alla regola cautelare, in entrambi i casi riconoscibili dall’agente modello o conosciuti dall’agente in carne e ossa[23].
Su questa linea si è mosso il Progetto Grosso, nel quale si legge che “il rispetto di regole cautelari specifiche esclude la colpa relativamente agli aspetti disciplinati da dette regole, salvo che il progresso scientifico e tecnologico, nel periodo successivo alla loro emanazione, non le abbia rese palesemente inadeguate”.
7. Regole cautelari e posizioni di garanzia. – Può il riferimento costituzionale all’ambiente, anche come limite alla iniziativa economica, porsi a fondamento di regole cautelari e di posizioni di garanzia?
Cominciamo dagli obblighi di impedimento.
L’art. 40 cpv. non può e non deve essere riempito da riferimenti del tutto vaghi e indeterminati.
Il mero riferimento all’ambiente, pur nelle articolazioni specificate nell’art. 9 Cost., non dice nulla circa i doveri di protezione ambientale e i soggetti tenuti ad adempierli.
Va infatti considerato che l’ambiente, a dispetto della sua materialità – i quattro elementi cari ai filosofi presocratici e a molte cosmogonie – è concetto eminentemente normativo, e che dunque la sua delimitazione è tutta rimessa al legislatore, chiamato a regolamentare con precisione procedure, obblighi e divieti, a individuare i soggetti destinatari delle norme ecc.
Ma vi è di più.
L’art. 9, co. 3 precisa che sarà la legge dello Stato (non le leggi regionali) ad approntare tutela agli animali; l’art. 41 co. 3 rinvia alla legge per la determinazione di programmi e controlli ambientali.
Saranno dunque le leggi (e non i giudici) a stabilire eventuali obblighi di impedimento, attribuendo correlati poteri di intervento a determinati soggetti.
Valgono, insomma, le stesse argomentazioni spese sull’art. 3-ter del d.lgs n. 152/2006, secondo il quale “La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente…”[24].
È pur vero, d’altra parte, che in passato la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di ricavare posizioni di garanzia (in capo al proprietario di un fondo) rispetto al mancato impedimento di reati altrui in materia di rifiuti proprio dagli artt. 41 e 42 Cost.[25], invocando i limiti sociali alla proprietà privata[26].
Ma tali pronunce sono criticabili, e sono state superate dalla stessa giurisprudenza successiva, appunto perché ricavavano obblighi di impedimento da disposizioni costituzionali del tutto vaghe, incapace di fissare regole di condotta specifiche.
A conclusioni analoghe deve giungersi riguardo il secondo quesito: se regole cautelari siano derivabili dalla promozione dell’ambiente a valore costituzionale, anche in rapporto all’iniziativa economica.
La regola cautelare sottende giudizi prognostici circa nessi di rischio tra determinate condotte e determinati eventi, e conoscenze circa l’idoneità di determinate cautele a sventarli o diminuirli; informazioni tutte non ricavabili dalla ritenuta (vaga) esigenza di tutelare di più e meglio l’ambiente.
8. “Abusivamente”. – La l. n. 68/2015, introducendo nel codice penale il nuovo titolo VI-bis, ha inserito l’avverbio “abusivamente” in molti dei nuovi eco-delitti.
Subito una voce storica della magistratura inquirente, e della dottrina penal-ambientalista, ha ipotizzato che il giudice penale possa fare diretta applicazione del combinato disposto dei novellati artt. 9 e 41 Cost., nel senso che disastri e inquinamenti contrari all’ambiente sarebbe punibili in quanto abusivi[27].
L’Autore citato sembra spingersi più in là, se bene intendiamo, nel senso che la Corte costituzionale dovrebbe o dichiarare l’illegittimità costituzionale dei delitti di inquinamento e disastro ambientali, nella parte in cui subordinano la punibilità di quei fatti al loro carattere “abusivo”, o darne una interpretazione conforme agli artt. 9 e 41 Cost., nel senso sopra sintetizzato[28].
L’opinione riportata non persuade.
Proprio la natura eminentemente normativa dell’ambiente, e la conseguente necessità politica di contemperare il valore ambientale con altri confliggenti, rende assolutamente opportuno che l’inevitabile inquinamento connesso alle attività umane, e specialmente industriali, sia ex ante ancorato a determinati parametri (valori-soglia, autorizzazioni, prescrizioni, norme tecniche ecc.), affidati a poteri a ciò preposti (legislativo ed esecutivo), per investitura democratica o per competenze tecniche.
Il legislatore e la p.a. (non il giudice, tanto meno quello penale) sono i soggetti cui in via di principio è demandato il compito di fissare i punti di equilibrio tra interessi e valori contrapposti.
Sul punto si rimanda a quanto argomentato in tema di rischio consentito (cfr. supra, 6), anche per le residue eccezioni (il fallimento noto o prevedibile della regola cautelare; l’irragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore).
Qui si aggiunge solo che la formula “abusivamente” evoca un contrasto con il diritto che deve concretizzarsi, per poter orientare la condotta dei consociati, in regole precise e conoscibili ex ante[29]; tale evidentemente non sarebbe il riferimento alla necessità di tutelare l’ambiente, scopo del legislatore costituzionale che nulla dice al cittadino, vincolato viceversa alle leggi ambientali vigenti al momento della condotta.
9. Conclusioni. – In questo viaggio alla ricerca dell’impatto della riforma costituzionale sul diritto penale abbiamo toccato vari punti.
In sintesi, i novellati artt. 9 e 41 della Cost., promuovendo la tutela dell’ambiente anche in prospettiva intergenerazionale e ponendola come vincolo espresso alla iniziativa economica, dovrebbero condizionare il legislatore ordinario alla tutela dell’ambiente, più di quanto non sia già oggi accaduto con le sentenze n. 127/1990 e n. 85/2013 della Corte costituzionale, anche in materia penale.
Del pari, è da attendersi che il legislatore, nella conformazione dei reati di pericolo (così come degli illeciti di rischio) tenga conto di un orizzonte temporale più lungo (quello delle future generazioni); tale diversa scala temporale potrebbe essere apprezzata anche dal giudice penale nella valutazione del pericolo, nei limiti in cui siano possibili attendibili previsioni scientifiche anche di lungo raggio.
Al contrario, nessun effetto penale dovrebbe prodursi rispetto alla interpretazione giudiziale di elementi del reato (colpa, posizioni di garanzia, “abusivamente”), che per loro natura e funzione esigono disposizioni normative precise, a garanzia del cittadino, e non vasti e vaghi programmi costituzionali che in ogni caso necessitano di interpositio legislatoris.
Il condizionale, però, è d’obbligo: la storia insegna come la giurisprudenza, specie nelle materie ove si sente maggiormente investita di poteri-doveri di supplenza, non esiti a sostituirsi al legislatore e alla p.a. nella (ri-) determinazione delle regole del gioco.
Si pensi a quegli orientamenti che – prima della riforma del 2020 – individuavano la violazione di legge di cui all’art. 323 c.p. in condotte genericamente contrarie al buon andamento della p.a., e dunque all’art. 97 Cost.[30]; o, come visto (supra, 7) alle interpretazioni che ricavano posizioni di garanzia rilevanti in materia ambientale dai (generici) limiti alla proprietà privata ex art. 42 Cost. o, ancora, che sostengono l’irrilevanza del rispetto dei valori-soglia prescritti dalla legge, ove comunque ulteriormente abbassabili dall’agente modello con tecnologie disponibili sul mercato.
È facilmente immaginabile che il rinforzato valore costituzionale dell’ambiente tenderà a penetrare nella giurisprudenza, a tutela della effettività della risposta penalistica e a detrimento dei principi garantistici.
Il tempo dirà se a prevalere, in caso di conflitto, saranno i principi penal-garantisti o le istanze di effettività della tutela ambientale di matrice eurounitaria e ideologica ambientalista, di per sé, beninteso, pienamente condivisibili.
Non si tratta, come ci insegna il Maestro che onoriamo con questo scritto, di sottovalutare le istanze di protezione dei beni giuridici (nel nostro caso l’ambiente), che sono urgenti e sotto gli occhi di tutti; si tratta piuttosto di coniugarle con il rispetto dei principi penalistici, e, soprattutto, di tenere fermo il principio fondante della separazione dei poteri.
[1] Sul tema, oltre all’ormai classico R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992, si vedano anche A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali (con interessante ricostruzione delle due radici culturali, statunitense e tedesca, poste a fondamento del concetto, e con ampi riferimenti alla giurisprudenza costituzionale dei rispetti Paesi) e A. Morrone, Teoria e prassi delle tecniche di giudizio nei conflitti tra diritti e interessi costituzionali, Torino, 2014.
[2] La sentenza, citata come paradigmatica del rapporto tra doveri di sicurezza e costo economico da D. Pulitanò, Diritto penale, IX ed., Torino, 2021, 289 s., è pubblicata tra l’altro in Giur cost. 1990, I, 727 ss., con nota di L. Violini, Protezione della salute e dell’ambiente “ad ogni costo”, e in Le Regioni, n. 2/1991, 525 ss., con nota di B. Caravita, Il bilanciamento tra costi economici e costi ambientali in una sentenza interpretativa della Corte costituzionale,
[3] Sulla sentenza n. 85/2013 della Corte cost. v. i numerosi contributi ospitati in Diritto Penale Contemporaneo. Rivista trimestrale, n. 1/2013, tra i quali vedi anche D. Pulitanò, Fra giustizia penale e gestione amministrativa: riflessioni a margine del caso Ilva, 44 ss.
[4] G. Severini-P. Carpentieri, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’art. 9 della Costituzione, Questione Giustizia, 22.9.2021; in questo come in altri casi verranno citati Autori che si sono pronunciati su disegni di legge antecedenti ma sostanzialmente assimilabili al testo poi approvato in via definitiva; critico anche T.E. Frosini, La Costituzione in senso ambientale. Una critica, in Federalismi. it- paper, 23.6.2021, secondo cui la riforma di un principio fondamentale costituisce un precedente pericoloso per il futuro, rispetto a ulteriori modifiche; inoltre, secondo l’Autore, nozioni come quelle di “ecosistema” e “biodiversità” sarebbero ambigue, e, infine, il bilanciamento sarebbe opportuno lasciarlo alla giurisprudenza costituzionale.
[5] Sul valore simbolico-comunicativo della riforma v. G. Santini, Costituzione e ambiente: la riforma degli artt. 9 e 41 Cost., Forum di Quaderni costituzionali, 2/201, 480.
[6] Si vedano tra i molti R. Montaldo, La tutela costituzionale dell’ambiente nella modifica degli articoli 9 e 41 Cost.: una riforma opportuna e necessaria? Federalismi.it, n. 13/2022, specie 209 ss.; C. De Fiores, Le insidie di una revisione pleonastica. Brevi note su ambiente e Costituzione, Costituzionalismi.it, specie 149 ss.
[7] M. Cecchetti, La riforma degli articoli 9 e 41 Cost.: un’occasione mancata per il futuro delle politiche ambientali? Quaderni costituzionali, fasc. 2/2022, 352 ss. il quale pur apprezzando le novità della riforma sottolinea che sarebbe stato opportuno prevedere una più analitica disciplina di rango costituzionale; D. Porena, “Anche nell’interesse delle generazioni future”. Il problema dei rapporti intergenerazionali all’indomani della revisione dell’art. 9 della Costituzione, Federalismi.it, n. 15/2022, specie 125 ss. Sottolinea inoltre l’importanza della collocazione dell’ambiente nell’art. 9 Cost., sganciato così dal diritto ad un ambiente salubre storicamente ricavato dall’art. 32 Cost, M. D’Amico, Commissione Affari Costituzionali, Senato della Repubblica Audizione sui Disegni di legge costituzionale nn. 83 e connessi (14 novembre 2019), Osservatorio AIC, 2019 fasc. VI, 94 ss.
[8] In questo senso ad es. D. Porena, “Anche nell’interesse delle generazioni future”, cit., 124 s.
[9] Sul tema v. M. Francaviglia, Le ricadute costituzionali del principio di sostenibilità a dieci anni dal Trattato di Lisbona. Spunti ricostruttivi alla luce della giurisprudenza europea e costituzionale, in www.federalismi.it, n. 19/2020, specie p. 66 ss., anche per citazioni delle sentenze della Corte costituzionale che hanno valorizzato tale principio.
[10] Si trattava dell’art. 2 n. 7 del D.P.R. n. 203/1988, in combinato disposto con l’art. 674 c.p.
[11] Sul principio di gradualità nell’adozione delle nuove tecnologie disponibili, e sulle sue eccezioni, v. L. Violini, Protezione della salute e dell’ambiente, cit., 732.
[12] Paradigmatici di questo orientamento sono i casi Tirreno Power e Ilva, sui quale vedi, rispettivamente, S. Zirulia, Fumi di ciminiere e fumus commissi delicti: sequestrati gli impianti tirreno power per disastro "sanitario" e ambientale, Dir.pen. cont 8.5.2014; C. Ruga Riva, Il caso Ilva: avvelenamento e disastro dolosi, in L. Foffani-D. Castronuovo, Casi di diritto penale dell’economia, II, Bologna, 2015, 149 ss.; analoga versione, dal titolo Il caso Ilva. Profili penali-ambientali, è consultabile anche in www.lexambiente.it, 17.10.2014.
[13] In questo senso v. ad es. V. Onida, Un conflitto fra poteri sotto la veste di questione di costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente. Nota a Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 2013, in AIC n. 3/2013, specie p. 4.
[14] Si tratta della sentenza n. 58/2015, sulla quale v., tra gli altri, D. Pulitanò, Una nuova “sentenza Ilva”: continuità o svolta?, Giur. Cost., 2018, p. 604 ss. nonché, S. Zirulia, Sequestro preventivo e sicurezza sul lavoro: illegittimo il decreto “salva-Ilva n. 92 del 2015, in Riv. it. dir. proc. pen., p. 947 ss.
[15] D. Pulitanò, Obblighi costituzionali di tutela penale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, p. 484 ss. Per una più recente rimeditazione del tema v. C. Paonessa, Gli obblighi di tutela penale. La discrezionalità legislativa nella cornice dei vincoli costituzionali e comunitari, Pisa, 2009.
[16] Sulla quale vedi M. Benozzo, La direttiva sulla tutela penale dell’ambiente tra intenzionalità, grave negligenza e responsabilità delle persone giuridiche, in Dir. e giur. agr., alim. e dell’ambiente, 2009, n. 5, p. 301; E. Lo Monte, La direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente: una (a dir poco) problematica attuazione, in Dir. e giur. agr., alim. e dell’ambiente, 2009, 236; C. Paonessa, Gli obblighi di tutela penale, Pisa, 2009, 232; L. Siracusa, L’attuazione della direttiva sulla tutela dell’ambiente tramite il diritto penale, in www.penalecontemporaneo.it, 2; G.M. Vagliasindi, La direttiva 2008/99 CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano, Dir. comm. intern., 2010, 458 ss.; A.L. Vergine, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale, in Ambiente@Sviluppo, 2009, n., 1. 10. Sul recepimento da parte del legislatore italiano delle due direttive europee (l’una sui reati ambientali, l’altra sul contrasto all’inquinamento da navi) contenenti obblighi di incriminazione v. C. Ruga Riva, Il recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela penale dell’ambiente, DPC, 29.4.2011.
[17] D. Pulitanò, Diritto penale, IX ed., Torino, 2021, 177. Anche nelle opere che più analiticamente hanno studiato il pericolo (F. Angioni, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale. La struttura oggettiva, II ed., Milano, 1994; M. Parodi Giusino, I reati di pericolo tra dogmatica e politica criminale, Milano, 1990; F. D’Alessandro, Pericolo astratto e limiti soglia. Le promesse non mantenute del diritto penale, Milano, 2012; C. Perini, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, Milano, 2010, 367 ss., non si trovano, salvo miei errori, riflessioni sull’arco temporale entro il quale valutare il pericolo; circostanza del tutto comprensibile se si pensa che lo sviluppo sostenibile e la tutela delle future generazioni sono concetti recenti e in ogni caso non ancora analizzati in chiave penalistica. In giurisprudenza, per la diversa nozione di irreversibilità (o difficile reversibilità) di un ecosistema, ritenuta sussistente anche rispetto ad archi temporali di 70-80 anni, v. Trib. Pisa Sez. Penale, n. 1356 del 17 settembre 2021, in Lexambiente. RTDPA, n. 4/2022, 98 ss., con nota di C. Ruga Riva, La prima sentenza di merito sul disastro ambientale. Un inaspettato caso di incendio disastroso per l'ambiente, 62 ss.
[18] Sul carattere problematico di incriminazioni fondate sul principio di precauzione, e sulla preferenza da attribuire a sanzioni non penali v. D. Pulitanò, Diritto penale, cit., 185.
[19] D. Pulitanò, Diritto penale, cit., 288.
[20] S. Zirulia, Esposizione a sostanze tossiche e responsabilità penale, Milano, 2018, 338
[21] C. Ruga Riva, Il caso Ilva: avvelenamento e disastro dolosi, cit.,168; ID. Il caso Ilva. Profili penali-ambientali, cit., par. 4.
[22] Per una rassegna su potenzialità e limiti del rischio consentito in ambito ambientale v. S. Zirulia, Il ruolo delle Best Available Techniques (BAT) e dei valori limite nella definizione del rischio consentito per i reati ambientali, in Lexambiente. RTDPA, n. 4/2019, specie 3 ss.
[23] Così S. Zirulia, Esposizione a sostanze tossiche, cit. 380.
[24] Sulla necessità di una interpositio legislatoris v. C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, IV ed., Torino, 2021, 37 s.
[25] Cass., Sez. III, 4 aprile 2019, n. 27911, in Ambiente&Sviluppo, 2019, p. 655; Cass sez. III, 19 dicembre 2012, n. 9213, in Ius Explorer.
[26] Per una rassegna v. C. Ruga Riva, L’obbligo di impedire il reato ambientale altrui. Osservazioni sulla asserita posizione di garanzia del proprietario, in F. Vinciguerra-S. Dassano (a cura di), Scritti in memoria di Giuliano Marini, Napoli, 2020, 859 ss.; R. Germano, La responsabilità per omesso impedimento di reati in materia edilizia e ambientale: un contributo allo studio delle posizioni di garanzia nella giurisprudenza, Lexamb. Riv. trim. dir. pen. amb, 2020, n. 2, 16 ss. In giurisprudenza conforme al citato orientamento dottrinale v. Cass. sez. III, 19 novembre 2019, n. 847, in Ius Explorer.
[27] G. Amendola, L’ambiente in Costituzione. Primi appunti, in www.osservatorioagromafie.it/lambiente-in-costituzione-primi-appunti/, p. 4: “…E, sempre non a caso, è esattamente quello che, proprio a proposito del disastro ambientale, ha fatto la Cassazione, la quale ha sostanzialmente sterilizzato la portata dell’avverbio «abusivamente» fornendone una interpretazione talmente ampia da farci rientrare praticamente di tutto (contrasto con norme penali, norme extrapenali, norme tecniche, norme di condotta, norme di prudenza, norme di principio, princìpi di derivazione comunitaria ecc.), e che oggi, per ritenere una condotta «abusiva», potrà limitarsi a richiamare il sicuro contrasto con le nuove disposizioni costituzionali”.
[28] G. Amendola, L’ambiente in Costituzione, cit. 4.
[29] Sul tema v. per tutti G. Rotolo, “Riconoscibilità” del precetto penale e modelli innovativi di tutela. Analisi critica del diritto penale dell’ambiente, Torino, 2018. Sul rapporto problematico tra BAT non recepite nell’AIA e principio di colpevolezza v. N. Pisani, Best Available Techniques (BAT) e abusività della condotta nel traffico illecito di rifiuti, Lexambiente. RTDPA, n. 2/2002, 76 s.
[30] Per una rassegna giurisprudenziale e dottrinale v. C. Benussi, in Dolcini-Gatta (diretto da), Codice penale commentato, sub art. 323, Milano, Tomo II, V ed., 934 ss.