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  Opinioni  
02 Maggio 2023


Surrogazione di maternità come "reato universale"? A proposito di tre proposte di legge all'esame del Parlamento


*Il presente contributo è pubblicato nel fascicolo 5/2023

 

Per il dossier del Servizio studi della Camera, clicca qui

 

1. In un contesto in cui l'agenda della politica in materia penale è dettata sempre più dal Governo, hanno attirato l'attenzione delle cronache, nelle scorse settimane, tre disegni di legge d'iniziativa parlamentare, attualmente in discussione alla Commissione Giustizia della Camera. I tre disegni di legge, dalla spiccata valenza politico-identitaria, mirano, pur con diverse formulazioni, a punire il c.d. turismo procreativo (benché di turismo via sia ben poco, anzi nulla) e, in particolare, la surrogazione di maternità realizzata da cittadini italiani all’estero. Se in Italia tale pratica è vietata e configurata come reato dal 2004 (art. 12, co. 6 l. 19 febbraio 2004, n. 40), in diversi paesi stranieri è invece lecita: o per fini commerciali (come ad esempio in Ucraina), o solo per fini altruistici, cioè senza scopo di lucro (come ad esempio in Canada, dove pagare una “surrogate mother” è reato). 

Le proposte di legge non mettono in discussione la scelta di incriminare la surrogazione di maternità, né prospettano inasprimenti sanzionatori. Si limitano, riprendendo alcune proposte di legge già presentate nella scorsa legislatura (C. 306 Meloni e C. 2599 Carfagna), criticamente commentate sulla nostra Rivista da Marco Pelissero, a intervenire sul solo profilo dell’applicabilità della legge penale italiana in rapporto ai fatti commessi all’estero. Si discute, in altri termini, di una estensione dell’incriminazione volta a evitare elusioni del divieto di surrogazione di maternità attraverso il c.d. turismo procreativo. Si vorrebbe istituire un "reato universale" in relazione a un fatto che non è universalmente reato, anzi. E già questa considerazione rende evidente il carattere problematico delle proposte.

 

2. Le tre proposte di legge sono diversamente formulate. Le proposte Candiani e Lupi interessano la sola surrogazione di maternità. La proposta Varchi, invece, riguarda anche la commercializzazione di gameti ed embrioni: un reato ulteriore e diverso, irragionevolmente accomunato quanto a trattamento sanzionatorio alla surrogazione di maternità. Non solo: le proposte Lupi e Candiani riguardano solo i fatti commessi dal cittadino italiano all’estero; la proposta Varchi estende invece la punibilità anche ai fatti commessi dallo straniero all’estero. Anticipo subito che, a mio parere, e a prescindere per il momento dal merito, sul piano tecnico la proposta meglio formulata è quella Lupi, che, a differenza della proposta Varchi, circoscrive l’estensione della punibilità alla sola surrogazione di maternità e ai soli fatti commessi dai cittadini all’estero. La proposta Candiani, nella sostanza sovrapponibile alla proposta Lupi, sembra però ridondante nell’indicare finalità e nel ribadire un divieto già previsto dalla legge, che si tratta solo di estendere ratione loci.

 

3. Venendo al merito, mi pare debba essere subito messo a fuoco un aspetto centrale, rispetto alle scelte che il Parlamento è chiamato a compiere. Chi pensa che le proposte in discussione mirano a rendere punibile per la prima volta il c.d turismo procreativo e la surrogazione di maternità all’estero si sbaglia. Le norme vigenti, almeno secondo la giurisprudenza della Cassazione, già consentono oggi di punire quei fatti.

L’art. 9, comma 2 del codice penale stabilisce infatti che i delitti comuni commessi dal cittadino all’estero, puniti con pena della reclusione inferiore nel minimo a tre anni – come nel caso della surrogazione di maternità, punita nel massimo con due anni di reclusione – sono punibili a richiesta del Ministro della giustizia. In forza dell’art. 9, comma 2 c.p., pertanto, la surrogazione di maternità realizzata interamente all’estero da cittadino italiano è già punibile secondo la legge italiana, purché vi sia una richiesta del Ministro della Giustizia. Lo ha affermato la Corte di cassazione nelle due sole sentenze in cui, a quanto mi consta, si è occupata ex professo del reato previsto dall’art. 12, comma 6 l. n. 40/2004.

In una sentenza del 2020 (cfr. Cass. Sez., III, 28 ottobre 2020, n. 5198) la Cassazione si è occupata di un caso che vedeva imputati due cittadini italiani che hanno realizzato una surrogazione di maternità in Ucraina. Il fatto è stato commesso interamente all’estero perché i due cittadini, prima di recarsi in Ucraina, dove sono nati due gemelli, si erano limitati, dall’Italia, a chiedere generiche informazioni a una struttura, inviando delle email. Queste condotte, secondo l’interessante principio di diritto affermato dalla Cassazione, ancora non integrano una “realizzazione” della surrogazione di maternità. Chiedere generiche informazioni a una clinica all’estero ancora non integra reato, in altri termini, e non è sufficiente a radicare la giurisdizione italiana, ai sensi dell’art. 6 c.p., che richiede come è noto che in Italia sia stata realizzata parte della condotta tipica, ovvero che si sia verificato l’evento.

Se poi, alle informazioni segue un viaggio all’estero e una pratica di surrogazione di maternità interamente svolta all’estero, il reato è già oggi configurabile e punibile secondo la legge italiana. Lo ha affermato proprio la citata sentenza della Cassazione, richiamando l’art. 9, comma 2 del codice penale. In altri termini, se anche il reato è commesso interamente all’estero, come nel caso oggetto della sentenza della Cassazione, già oggi si può applicare la legge penale italiana se il Ministro ne fa richiesta. Nel caso oggetto della sentenza della Cassazione, il Ministro non ha presentato richiesta di perseguire il reato e il procedimento è stato pertanto definito con una sentenza di non doversi procedere per mancanza della necessaria condizione di procedibilità. Per perseguire quel reato, interamente commesso all’estero, sarebbe stato sufficiente e necessario, per la Cassazione, un atto di impulso del Ministro della Giustizia; un atto che, secondo la Corte costituzionale (ord. n. 289/1989), “consegue ad una scelta…di politica criminale che…non può non appartenere ad un organo dell'esecutivo”.

In un’altra e precedente sentenza della Cassazione (Cass. Sez. V, 10.3.2016, n. 13525), relativa sempre a una surrogazione di maternità realizzata interamente all’estero (anche in quel caso in Ucraina), si dà conto invece di come fosse stata presentata, agli effetti dell’art. 9, comma 2 c.p., una richiesta del Ministro della Giustizia, validamente sottoscritta, a giudizio della Corte, da un Sottosegretario di Stato. Senonché anche in questo secondo caso la Cassazione ha confermato una sentenza di proscioglimento, fondata tra l’altro sul difetto della conoscibilità della legge penale italiana – cioè su uno scusabile errore sulla legge penale – da parte di cittadini che hanno realizzato un fatto lecito nel paese in cui si sono recati.

 

4. I cittadini avrebbero errato nell’interpretare l’art. 9 c.p., ritenendo, con la dottrina maggioritaria e parte della giurisprudenza, che tale disposizione consente di punire all’estero un reato comune del cittadino solo a condizione che il reato di cui si tratta sia previsto come tale sia in Italia sia nello Stato estero. E’ il principio della doppia incriminazione, che rappresenta la regola e informa i rapporti di cooperazione internazionale tra i diversi paesi, a partire dalla materia dell’estradizione. Se la doppia incriminazione è un requisito per l’applicabilità della legge penale italiana in rapporto ai fatti commessi dai cittadini all’estero, allora la surrogazione di maternità non è punibile se realizzata in uno Stato in cui è lecita. Ribadisco, non è la tesi fatta propria dalla Cassazione nelle due sole sentenze, ma è una tesi autorevolmente prospettata e prospettabile in dottrina e in giurisprudenza, con riferimento a materie diverse.

 

5. Fatta questa precisazione, le proposte di legge in esame assumono contorni più definiti: mirano a derogare alla disciplina dell’art. 9, comma 2 c.p. e a rendere incondizionatamente punibile il fatto commesso all’estero: indipendentemente dalla richiesta del Ministro e dalla doppia incriminazione. Esse mirano in altri termini a rendere applicabile, in luogo dell’art. 9, comma 2 c.p., l’art. 7 n. 5 c.p., secondo cui è punito secondo la legge italiana il cittadino (e anche lo straniero, nella proposta Varchi) che commette in territorio estero alcuni gravi reati a danno dello Stato o di interessi pubblici, ovvero altri reati per i quali speciali disposizioni di legge stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana. Il punto è questo, allora: escludere che sia necessaria la richiesta del Ministro, quale condizione di procedibilità e atto politico rilevante anche sul piano dei rapporti internazionali, ed escludere altresì che operi il principio della doppia incriminazione. E’ questo, a me pare, il nucleo delle proposte all'esame del Parlamento.

 

6. Ragioni di opportunità e di politica internazionale suggeriscono, a mio parere, di tenere ferma la necessità della richiesta del Ministro. La surrogazione di maternità è tematica dalle serie implicazioni etiche, affrontata in modo assai diverso dai diversi ordinamenti. Può essere opportuno rimettere alla politica, anziché all’obbligatorietà dell’azione penale da parte dell’autorità giudiziaria, la valutazione caso per caso sull’opportunità di procedere.

D’altra parte, se viene meno la necessità della richiesta del Ministro e si prescinde altresì dal requisito della doppia incriminazione, è serio il rischio di finire per affermare la punibilità solo in astratto, ma non in concreto, dei fatti commessi dai cittadini italiani all’estero. E’ fin troppo evidente, infatti, che l’autorità giudiziaria italiana non potrebbe punire in concreto quei fatti senza la cooperazione giudiziaria dello Stato estero, che ben difficilmente potrebbe essere offerta in relazione a un fatto lecito nel proprio ordinamento. Come si potrebbero in concreto provare quei fatti nel processo?

Rinunciare al principio della doppia incriminazione significa rinunciare a un cardine della cooperazione giudiziaria internazionale; significa finire per sbattere sul tavolo un pugno affermando la giurisdizione italiana solo simbolicamente, come espressione di un panpenalismo e di un paternalismo dello Stato, che segue il cittadino anche là dove è consentito ciò che in Italia è vietato.

 

7. Vi è poi un’ulteriore e forse decisiva considerazione che, a mio parere, solleva serie perplessità in rapporto alle proposte di legge in discussione: una considerazione già messa in evidenza da Marco Pelissero nel citato contributo pubblicato sulla nostra RivistaSi vorrebbe fare della surrogazione di maternità un “reato universale” nonostante si tratti di un reato molto meno grave di quelli per i quali è prevista l’incondizionata applicabilità della legge penale italiana. La pena detentiva, per il reato di cui parliamo, è solo della reclusione da tre mesi a due anni.

Siamo di fronte a un fenomeno indubbiamente serio e che scuote le coscienze, tanti e tali sono gli interessi contrapposti in gioco. Però si tratta, per scelta del legislatore, di un reato poco più che bagatellare, sotto il profilo della pena detentiva, che lo colloca, in una scala di gravità, su un gradino molto basso, non paragonabile a quelli sui poggiano altri “reati universali”, come quelli di terrorismo, violenza sessuale, mutilazioni genitali femminili, tratta di persone, traffico di organi umani, ecc. Sembra davvero irragionevoledi dubbia compatibilità con i principi costituzionaliequiparare la surrogazione di maternità a questi gravi reati, come anche al nuovo reato di “Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, introdotto dopo il naufragio di Cutro con il d.l. n. 20 del 2023.

Di fronte a crimini contro l’umanità o a gravissimi reati contro lo Stato o contro la persona può invocarsi, eccezionalmente, l’universalità della giurisdizione. Non altrettanto di fronte a un reato sproporzionatamente meno grave e non universalmente riconosciuto, considerata l’eterogeneità delle regolazioni giuridiche della surrogazione di maternità da parte anche di stati di diritto e democrazie liberali storicamente vicine alla nostra, per rapporti internazionali e tradizioni.

 

8. Non va poi taciuta una seria preoccupazione. Il ‘prodotto’ della surrogazione di maternità è rappresentato da esseri umani, da bambini che, nati da un reato o meno, devono essere tutelati e non penalizzati per il modo in cui sono venuti al mondo. In linea con le indicazioni della Corte costituzionale, della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di cassazione, il Parlamento deve, a mio avviso, tenere nella massima considerazione i possibili effetti negativi che, sul piano extrapenale, possono ripercuotersi sulle famiglie e sui nati da surrogazione di maternità, a partire dal riconoscimento del loro stato.

Un fenomeno così complesso e carico di implicazioni non può certo essere affrontato solo o tanto con le norme penali, come nei tre disegni di legge all'esame del Parlamento.