Recensione  
28 Settembre 2020


L. Masera, Immunità della politica e diritti fondamentali. I limiti all’irresponsabilità penale dei ministri, Giappichelli, 2020, pp. 201


Gian Luigi Gatta

1. Il libro di Luca Masera – Professore di Diritto penale nell’Università di Brescia – rappresenta un esempio, ammirevole, di come la dottrina possa adempiere a uno dei suoi compiti principali: quello di contribuire al dibattito scientifico e allo sviluppo dell’elaborazione giurisprudenziale mettendo a tema problemi nuovi, che emergono dall’osservazione della realtà contemporanea. Con approfondimento e taglio monografico, il lavoro trae spunto dal recente caso Diciotti (e dai casi gemelli Gregoretti e Open Arms) per interrogarsi sui limiti all’irresponsabilità penale dei ministri, nel quadro dell’immunità loro accordata dall’art. 96 Cost. e dalla l. cost. n. 1/1989; immunità che, notoriamente, consegue al diniego dell’autorizzazione a procedere qualora il Parlamento, con valutazione insindacabile, ritenga che il ministro “abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”.

 

2. Il profilo indagato è in particolare quello del novero dei reati per il quale il Parlamento può decidere di negare l’autorizzazione a procedere. Sollecitato dal caso Diciotti – relativo al sequestro di persona contestato all’allora Ministro dell’Interno Salvini per avere ostacolato, nell’ambito della politica dei ‘porti sicuri’, lo sbarco di migranti soccorsi in acque internazionali – Masera si domanda se la gravità del reato per il quale si procede possa rappresentare un limite, costituzionalmente e convenzionalmente imposto, al diniego dell’immunità; ovvero se essa possa davvero, in uno stato di diritto, essere concessa anche per reati gravi o gravissimi, come l’omicidio, la tortura o, appunto, il sequestro di persona.

Nella storia del nostro Paese il problema sino al caso Diciotti non si era posto, essendo la categoria del reato ministeriale tradizionalmente e per prassi correlata a vicende corruttive (si pensi al caso Lockheed) o comunque ad interessi privati perseguiti da questo o quel ministro nell’esercizio delle funzioni.

La vicenda Diciotti apre uno scenario nuovo, che la monografia di Masera ha il merito di esplorare. Non si tratta peraltro di un libro sul caso Diciotti: è un lavoro che apporta un contributo di riflessione e approfondimento sul ‘reato ministeriale’ e che, con ampia prospettiva e altrettanto ampio respiro, guarda alla categoria dell’immunità, in rapporto alla politica, con le lenti dei diritti fondamentali. Ne risulta una riflessione insolita – in un Paese civile come il nostro, fortunatamente non abituato a confrontarsi con omicidi di Stato commessi dai governanti – nondimeno stimolante e indubbiamente legata all’attualità.

 

3. Venendo alla struttura del libro, il primo capitolo è dedicato all’analisi del caso Diciotti, dove, come si è detto, per la prima volta si è posto il problema dei limiti entro cui è ammissibile una delibera parlamentare che neghi l’autorizzazione a procedere per un reato ministeriale lesivo dei diritti fondamentali della persona offesa. La relazione di maggioranza della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato aveva sostenuto la tesi per cui l’omicidio e gli altri reati che “offendono in maniera irreversibile diritti fondamentali incomprimibili” non potrebbero essere qualificati come reati ministeriali, e dunque rispetto ad essi la magistratura potrebbe procedere secondo le vie ordinarie, mentre al di fuori di tali ipotesi non vi sarebbero limiti alla facoltà del Parlamento di negare l’autorizzazione a procedere. Masera prende in esame le reazioni suscitate da tale soluzione nel dibattito parlamentare e in dottrina e giunge, sulla base di tale analisi, a individuare tre questioni cui il lavoro intende fornire una risposta:

1) se vi sono e quali sono i reati per i quali alla magistratura non può comunque essere impedito di procedere;

2) se la gravità del reato commesso dal ministro può incidere sulla qualifica di ministerialità;

3) se la delibera parlamentare che neghi l’autorizzazione a procedere per un reato ministeriale di particolare gravità possa essere oggetto di conflitto di attribuzioni di fronte alla Corte costituzionale.

 

4. Così chiarito lo scopo dell’indagine, il secondo capitolo si sofferma su alcuni snodi chiave della disciplina dei reati ministeriali, il cui chiarimento risulta fondamentale per rispondere alle domande oggetto del lavoro. Masera passa così in rassegna le opinioni dottrinali e i precedenti giurisprudenziali relativi alla questione dei criteri alla cui stregua un reato può essere definito come ministeriale ai sensi dell’art. 96 Cost., al tema dei presupposti e della natura giuridica dell’esimente ministeriale di cui all’art. 9 l. cost. n. 1/1989, e ai limiti entro cui la delibera parlamentare, che la legge costituzionale del 1989 definisce come “insindacabile”, possa comunque essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale.

 

5. Il terzo capitolo è invece dedicato all’analisi di tre contesti normativi, estranei alla normativa in materia di reati ministeriali, da cui secondo l’Autore possono ricavarsi indicazioni preziose nella prospettiva dell’indagine. Il lavoro si sofferma allora sull’art. 27 dello Statuto della Corte penale internazionale, che afferma il principio dell’inopponibilità delle immunità di diritto interno ed internazionale nelle ipotesi di commissione di crimini di competenza della Corte; sulla giurisprudenza della Corte EDU in materia di obblighi di tutela penale di fronte a reati che offendono diritti di particolare rilievo; sulla disciplina delle garanzie funzionali per gli agenti dei servizi segreti (art. 17 l. n. 124/2017), ove è previsto un elenco di reati la cui commissione non può in nessun caso essere autorizzata.

 

6. Il quarto capitolo è infine dedicato alle conclusioni. Masera ritiene in primo luogo non condivisibile la tesi, sostenuta dalla Giunta del Senato nel caso Diciotti, per cui la particolare gravità di taluni reati potrebbe condurre a negarne il carattere di ministerialità: in adesione alla tesi funzionale del reato ministeriale adottata dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, l’Autore argomenta nel senso che qualsiasi reato (anche l’omicidio o la tortura) può essere qualificato come ministeriale, se compiuto dal ministro nell’esercizio delle proprie funzioni.

Il riferimento alle fonti internazionali viene poi per fissare dei limiti invalicabili al potere discrezionale del Parlamento di negare l’autorizzazione a procedere, che secondo l’Autore – è questa la tesi principale del lavorodeve sempre essere concessa quando la richiesta abbia ad oggetto la commissione di crimini internazionali o di reati che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, rientrano negli obblighi di tutela penale incombenti sugli Stati aderenti al Consiglio d’Europa. Perché, infine, tale dovere di concedere l’autorizzazione non risulti un mero flatus vocis, Masera ritiene essenziale affermare la sindacabilità di fronte alla Corte costituzionale della delibera parlamentare che impedisca alla magistratura di procedere nei confronti del ministro in relazione a reati il cui perseguimento è oggetto di obblighi internazionali assunti dallo Stato.

 

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7. Il lavoro sottolinea in ultima analisi la capacità dei diritti fondamentali di rappresentare un limite all’immunità dal diritto penale; un limite in assenza del quale forte è il rischio di concedere “una delega in bianco al potere politico per la creazione di aree di impunità sottratte a qualsiasi controllo di legittimità”. La tutela dei diritti fondamentali – e della stessa tenuta democratica dell’ordinamento, in periodi di crisi che sempre possono presentarsi, come la storia insegna, impone di limitare la leva dell’immunità politica. Il libro di Masera ha il merito di suscitare questa riflessione.