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  Recensione  
25 Novembre 2022


P.F. Poli, La colpa grave. I gradi della colpa tra esigenze di extrema ratio ed effettività della tutela penale, Giuffrè, 2021


L’impatto dell’opera nel dibattito scientifico: la razionalizzazione di un tema finora affrontato perlopiù settorialmente. – La monografia di Pier Francesco Poli, «La colpa grave. I gradi della colpa tra esigenze di extrema ratio ed effettività della tutela penale», Giuffrè, 2021, si segnala innanzitutto per il contributo decisamente integrativo che apporta al dibattito scientifico, in cui mancava una trattazione organica e al contempo aggiornata sulla colpa grave.

In materia, tra i punti di riferimento degli studiosi italiani contemporanei, si richiama spesso, opportunamente, un documentatissimo e non meno acuto studio di Tullio Padovani del 1969[1]. Dopodiché, l’interesse per il grado della colpa si è intensificato soprattutto a partire da circa un decennio fa, con il d.l. “Balduzzi” (d.l. 13 settembre 2012, n. 158), per l’esattezza in occasione della conversione in legge n. 189 dell’8 novembre 2012, a cui si deve l’introduzione nell’ordinamento di una disciplina ad hoc sulla responsabilità penale per colpa dei sanitari, che l’Autore dell’opera in commento reputa «di sicuro il più importante banco di prova per la figura oggetto del presente elaborato» (p. 6).

Ampiamente conosciuta è la formulazione dell’art. 3, 1° c., del menzionato decreto, con cui si è affermata l’esclusione della punibilità per colpa lieve dei professionisti di area medica attenutisi a fonti comportamentali evidence-based quali linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Altrettanto nota è la repentina sostituzione di tale disposizione con quella dell’art. 590-sexies c.p., risalente alla riforma “Gelli-Bianco” (l. 8 marzo 2017, n. 24), che ha attirato l’attenzione, per ciò che qui interessa, prima in quanto non ha riproposto un riferimento esplicito al grado della colpa e poi perché un intervento nomofilattico delle Sezioni unite della Cassazione ha presto riassegnato comunque un ruolo decisivo a tale fattore ai fini dell’an della punibilità.

Anche in ragione degli scarsi – rectius: pressoché nulli – riscontri applicativi di tali discipline positive, a più riprese è stato recentemente rinverdito il classico appello alle potenzialità dell’art. 2236 c.c., ossia la norma sull’esclusione dell’obbligo risarcitorio (in caso di prestazione di speciale difficoltà tecnica non macchiata da dolo o colpa grave) del prestatore d’opera, evocata pure in sede penale, se non altro come «regola di esperienza» o «criterio di razionalità» nel valutare l’addebito colposo[2]. La norma civilistica, a ben vedere, aveva già aperto, soprattutto negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, una parentesi significativa del dibattito sul grado della colpa, non di rado in una prospettiva di complessiva armonia e coerenza dell’intero ordinamento, in base cioè al principio per cui sarebbe difficilmente accettabile che per il medesimo fatto, in particolare quello connotato da colpa soltanto lieve, sia esplicitamente esclusa la responsabilità civile ma rimanga ferma quella penale.

Doversi confrontare con rilievi del genere, di portata eccedente il campo delle professioni sanitarie, avrebbe potuto far sperare in uno sviluppo di trattazioni più generali sul grado della colpa. Invece, anche di recente, quando il tema è tornato di attualità, si è assistito a una produzione scientifica “alluvionale” incentrata pressoché esclusivamente sulla responsabilità dei sanitari e perlopiù di taglio saggistico, quindi con pubblicazione in riviste o in volumi collettanei. Alla punibilità del sanitario sono state anche dedicate alcune monografie degli ultimi anni[3], ma una simile trattazione di approfondimento interamente sulla colpa (penale) grave e non vincolata da confini settoriali non vi era ancora stata in epoca contemporanea, in particolare dopo uno studio del 2004[4], che però ha avuto limitata diffusione, ancorché rigorosamente impostato, come dimostra il fatto che l’opera ora in commento ne ricalca in parte la struttura.

L’Autore, già nelle pagine introduttive, si interroga sulle ragioni di questa carenza, osservando che «il tema ha fatto fatica ad essere analizzato da un punto di vista organico, complice probabilmente anche la scarsa rilevanza pratica della questione, essendo pochissime, perlomeno sino a poco tempo fa, le ipotesi di colpa grave previste a livello legislativo ed applicate dalla giurisprudenza, aventi un impatto di qualche rilievo nelle aule di giustizia» (pp. 2-3). La specificazione riguardo all’applicazione giurisprudenziale potrebbe forse suonare pleonastica, ma non lo è affatto; va presa alla lettera, prestando cioè attenzione alla congiunzione che la introduce, intendendosi denunciare apertamente una tradizionale «ritrosia» – così nel titolo di un paragrafo interamente dedicato alla questione (pp. 386 ss.) – dei giudicanti nell’assecondare quegli isolati propositi legislativi di contenimento della responsabilità colposa. Condivisibile è il cenno a una certa istintività della stessa dimensione in action, ove sembrano penetrare istanze “sociali” veicolate da un’opinione pubblica difficilmente incline a tollerare eventi avversi senza un responsabile.

 

La struttura dell’opera: un percorso sia diacronico che orizzontale fisiologicamente proiettato verso sviluppi futuri. – Prima di entrare nel merito delle singole questioni tematiche che articolano l’itinerario del libro, sembra opportuno dare conto di come, già a uno sguardo di superficie, di scorrimento dell’indice sommario, tale itinerario appaia pienamente in linea con un modello ormai consolidato di monografia, il quale a un’analisi critica del dato positivo affianca riferimenti storici e comparatistici nonché proposte de iure condendo.

Lo sviluppo segue innanzitutto una logica diacronica. La prima parte dell’indagine è infatti dedicata a una ricostruzione delle radici storiche della prospettiva dell’irrilevanza a fini punitivi di gradi minimi di colpa e mira a evidenziare la presenza di una lunga tradizione rispetto alla quale sarebbe il vigente codice Rocco a porsi in discontinuità. Il quarto e ultimo capitolo, coerentemente, è quello in cui emerge maggiormente l’impronta personale dell’Autore e in cui vengono quindi condensate delle proposte indirizzate al futuro legislatore.

Il corpo centrale dell’opera, particolarmente denso, è focalizzato sul presente o comunque sul passato più recente. Il secondo capitolo è quello dallo sviluppo più ampio e per certi versi eterogeneo, perché conduce l’Autore a calarsi in profondità nell’analisi dei differenti istituti che nel vigente ordinamento attribuiscono un ruolo al grado della colpa. Come accennato, il settore privilegiato è quello dell’esercizio delle attività sanitarie, in cui, effettivamente, sia sul piano giurisprudenziale che legislativo, sono stati condotti i più significativi esperimenti di contenimento della punibilità per colpa. Il terzo capitolo estende l’analisi – per così dire – in termini orizzontali, nel senso che ricerca spunti dall’esperienza recente di quegli ordinamenti che, nel vecchio continente, hanno finora più prestato attenzione a forme qualificate di colpevolezza alternative al dolo, dimostrando peraltro come si tratti di una sensibilità tutt’altro che confinata all’interno della tradizione di common law.

Questa sintetica mappatura, oltre a far subito emergere le scelte dell’Autore nell’individuazione dei blocchi tematici principali della trattazione, serve anche ad anticipare la scansione delle prossime pagine di questo focus sull’opera: pare infatti opportuno continuare a descrivere lo sviluppo del libro seguendone l’ordine espositivo, lasciando spazio ad alcune considerazioni dialogiche all’interno di ogni sezione di approfondimento, come se fossero delle glosse.

 

Una retrospettiva sul ruolo del grado della colpa. – Nella ricognizione storica iniziale[5] lo sguardo è rivolto a diversi livelli di passato. In questo senso, appare felice la scelta di prendere in prestito i tempi verbali, riferendosi così al trapassato remoto per indicare le epoche del diritto penale romano, poi l’esperienza barbarica e quella del diritto comune. Il passato remoto viene fatto corrispondere con le codificazioni preunitarie mentre quale elemento saliente del passato prossimo viene indicato il predecessore del codice penale vigente, cioè il codice Zanardelli del 1889.

Questo itinerario che attraversa decine di secoli consente alla trattazione di chiarire un aspetto fondamentale ma rimasto forse un po’ in ombra in epoca contemporanea ossia che la irrilevanza penale di forme minime di colpa non è affatto soltanto un orizzonte esotico che è indispensabile mettere a fuoco con le lenti del comparatista, ma, piuttosto, un principio ampiamente consolidato già nella nostra tradizione giuridica.

Nelle varie epoche romane fu senz’altro il diritto privato ad affinarsi maggiormente. Entro una dimensione sostanzialmente privatistica rimase a lungo la tutela prevista dall’ordinamento rispetto a danni commessi involontariamente. Soltanto in alcuni frangenti, perlopiù riconducibili all’epoca imperiale, si affermò un interesse pubblicistico alla repressione di fatti come l’omicidio colposo, qualificato in ogni caso da una colpa di grado elevato.

In merito al diritto penale barbarico, le poche pagine impiegate bastano per dar efficacemente conto di come si trattò di un sistema punitivo non particolarmente rappresentativo anche e soprattutto in quanto assai poco raffinato, cioè atto a sanzionare alcuni comportamenti dannosi in una prospettiva piuttosto oggettivistica, scarsamente sensibile a quei profili di dettaglio che oggi ricondurremmo alla colpevolezza. Soltanto con l’affermarsi del diritto comune e l’innalzamento della qualità dell’elaborazione giuridica riprese centralità l’idea di una irrilevanza a fini punitivi di forme minime di colpa.

La parte del libro dedicata ai codici preunitari fa ben emergere la sedimentazione di logiche di extrema ratio riguardo all’illecito colposo nella cultura giuridica del territorio che da lì a poco avrebbe formato l’Italia. Anche a fronte del silenzio dei corpi normativi, l’interpretazione della dottrina largamente prevalente (pur con eccezioni illustri, come quella del Filangieri) e di alcuni filoni della giurisprudenza fu nel senso di ritenere non punibile la colpa più lieve.

Quanto appena osservato vale nella sostanza anche riguardo al codice Zanardelli del 189. Una definizione della colpa assonante rispetto a quella dell’attuale art. 43 c.p. fu proposta non già in sede di parte generale ma direttamente nella disposizione incriminatrice sull’omicidio colposo (art. 371). In merito, al lettore viene offerto un passo della relazione dello stesso Ministro Zanardelli da cui desumere, quale dato implicito, la irrilevanza penale di gradi minimi di colpa: una conclusione poi rilanciata in termini ancora più espliciti soprattutto nelle parole di autorevoli esponenti della dottrina e propria, prima di loro, anche del Carrara.

Il libro dà opportunamente conto di come una tradizione culturale così consolidata abbia trovato significativo riscontro anche nei primi tempi di vigenza del codice Rocco del 1930, che pure viene spesso considerato oggi un corpo normativo incapace di giustificare un’esclusione della punibilità per la colpa più lieve. Al riguardo, si può osservare che una delle obiezioni più ricorrenti, oltre a quella del silenzio dell’art. 43 c.p., cioè quella per cui la tematizzazione del grado della colpa nell’art. 133 c.p. sarebbe la prova della sua rilevanza esclusivamente per il quantum di pena[6], non sembra decisiva, perché, a ben vedere, prova troppo: tale norma conserverebbe comunque una funzione del tutto analoga a quella attuale anche se una porzione “inferiore” di fatti colposi si considerasse espunta dal diritto penale, perché – come rileva anche la trattazione di cui ci si sta occupando (pp. 431 s.) – sarebbe comunque possibile apprezzare in concreto differenze, ad esempio, tra colpa grave e gravissima.

Quest’ultima considerazione riporta l’attenzione su un altro aspetto recentemente tornato d’attualità, cioè l’interrogativo circa il numero delle partizioni interne alla colpa in ragione del suo grado. L’opera in commento dà conto della diffusione storica di approcci quantomeno tripartiti, volti perlopiù – ma le differenze di accenti non sono poche – a concepire una colpa grave, una colpa lieve e una lievissima, escludendo la rilevanza penale specialmente di quest’ultima, anche per la sua più evidente prossimità al caso e quindi alla responsabilità oggettiva. L’esperienza normativa degli ultimi anni in campo sanitario, a cui ci si sta per dedicare, sembra invece indiziare un privilegio attuale per un approccio bipartito, che distingue semplicemente tra colpa lieve e grave.

Uno degli aspetti più interessanti evidenziati dall’indagine storica di Poli è il costante ricorrere di una tendenza a separare concettualmente la colpa capace di fondare il diritto al risarcimento del danno da quella punibile: non a caso, in questa prospettiva, una delle più compiute elaborazioni dottrinali contemporanee sulla punibilità delle condotte colpose è intitolata «la colpa penale»[7], proprio al fine di rimarcarne le peculiarità. Tali peculiarità riguarderebbero in particolare la dimensione di colpevolezza in senso stretto dell’illecito colposo, a cui la questione della selezione dei gradi di colpa punibile è in ogni caso collegata assai strettamente: se si punisse (soltanto) per colpe macroscopiche – si argomenta – difficilmente potrebbe residuare il dubbio che la responsabilità sia affermata pur in coincidenza di condotte scarsamente rimproverabili, in quanto comportamenti diversi da quelli marcatamente inosservanti sarebbero quasi sempre esigibili in concreto[8].

Nelle battute conclusive del capitolo vengono individuate tre principali ragioni alla base della prevalente riluttanza (salvo il periodo iniziale, come detto) a ritenere che il codice penale vigente legittimi, de iure condito, una generale limitazione della punibilità ad alcuni gradi di colpa soltanto. Il primo argomento richiamato è lo stesso a cui si è poc’anzi fatto cenno riflettendo sul ruolo dell’art. 133 c.p. e sul suo tenore, a ben vedere non necessariamente preclusivo di letture alternative. A ciò si aggiunge il progressivo affinamento della dogmatica della colpa, in particolare l’imporsi della figura dell’agente modello, la cui “genetica” virtuosa potrebbe aver giocato un ruolo nell’espansione del perimetro della punibilità[9], così come a tale esito si sarebbe arrivati anche a causa di una significativa evoluzione dei contesti in cui è prevalentemente immaginabile la responsabilità colposa; contesti sempre più dominati dalla complessità tecnologica e da un’immanenza del rischio, ingenerante aspettative di controllo capillare come unica risposta alla constatazione che, «al giorno d’oggi e differentemente dal passato, una colpa lievissima può avere delle conseguenze disastrose» (pp. 52-53).

 

Le discipline positive sensibili al grado della colpa: la colpa grave in ambito sanitario. – L’approfondimento del contesto sanitario è quello più corposo del libro, perché dà conto dei diversi momenti in cui il grado della colpa ha assunto effettivamente un ruolo di primo piano nella perimetrazione della responsabilità penale.

Come si è accennato, la norma chiave nel secolo scorso è stata quella dell’art. 2236 c.c., che ha trovato applicazione in sede penale in sostanziale corrispondenza del progressivo superamento della “consuetudine” per cui, in generale, la punibilità per colpa non riguarda le ipotesi più lievi. Si è infatti assistito a un inquadramento del tema al centro di queste riflessioni in una prospettiva sinottica, non limitata al diritto punitivo, nel quale la questione è però diventata di parte speciale.

Il recepimento della disciplina civilistica sembrava peraltro conciliarsi al meglio con la concezione paternalistica del rapporto medico-paziente, a lungo dominante: il rispetto collettivo nei confronti dei sanitari, ritenuti gli unici ad essere competenti in merito alle scelte sul trattamento dei pazienti, induceva a un’ampia tolleranza degli esiti avversi, considerati (ben più di oggi) in una certa misura fisiologici, persino a fronte del sospetto di errori professionali, purché non macroscopici[10].

L’opera ripercorre dettagliatamente le tappe della rottura dell’equilibrio descritto, soffermandosi opportunamente sulla nota pronuncia della Corte costituzionale del 1973[11], che, recependo l’autorevole punto di vista di Alberto Crespi[12], ha calato l’accento su alcuni requisiti, in parte non scritti nell’art. 2236 c.c., ritenuti capaci di ritagliarne una dimensione applicativa conforme a ragionevolezza. È così che, oltre a un richiamo al rigore sul carattere di difficoltà della prestazione, ci si è concentrati sull’imperizia (evidentemente concepita come distinguibile da negligenza e imprudenza)[13] quale unica forma di colpa meritevole di indulgenza nella prospettiva di non alimentare un privilegio ad professionem.

Per quanto sia la sentenza che l’impostazione dottrinale che l’ha ispirata avessero chiara la necessità di tenere indenne il sanitario da una costante minaccia di pena per il proprio operato, la concorrente preoccupazione di non legittimare regimi normativi ingiustificatamente di favore ha lasciato una pesante eredità con cui anche di recente ci si è dovuti confrontare. Nella «stagione delle riforme», inaugurata con la conversione in legge del d.l. “Balduzzi” del 2012, il grado della colpa è sì stato valorizzato, ma sempre in affiancamento a criteri ulteriori, che di fatto ne hanno depotenziato sensibilmente l’impatto. Vero è che quando, nell’ultima occasione (art. 3-bis, d.l. 1° aprile 2021, n. 44), il legislatore ha disciplinato la responsabilità dei sanitari alle prese con l’emergenza pandemica, la scomparsa di requisiti concorrenti rispetto al grado della colpa non ha incontrato significativa resistenza, ma ciò, assai probabilmente, è avvenuto per via della specialità del contesto regolamentato.

L’Autore si mostra sensibile ai profili di ragionevolezza, dedicando diverse pagine al riconoscimento della possibilità di intervento della Corte costituzionale in merito a norme come quelle che si sono recentemente succedute in tema di punibilità del sanitario nella misura in cui le stesse possano definirsi norme penali «di favore» (pp. 109 ss.). In questa prospettiva, viene considerata discutibile la sentenza “Mariotti” delle Sezioni unite[14], quanto al farsi carico direttamente di istanze di riequilibrio di una disciplina come quella introdotta dalla riforma “Gelli-Bianco” del 2017 (per la quale viene, piuttosto, auspicato uno scrutinio di costituzionalità), col risultato – si afferma – di aver offerto «una esegesi praeter legem contra reum», scadendo in «una vera e propria produzione normativa in contrasto con il tenore letterale dell’art. 590-sexies c.p. ed in spregio al principio di legalità ed al divieto di analogia in malam partem» (p. 160).

Non è questa la sede per tornare nel merito di questioni ampiamente dibattute in letteratura e sui cui sembra esserci spazio anche per letture divergenti, per le quali, in estrema sintesi, più che di una disciplina di privilegio, si potrebbe parlare di un trattamento compensativo di eccezionali difficoltà e rischi d’insuccesso della propria attività[15]. Certamente, può condividersi l’amara constatazione che, riguardo al regime ordinario di punibilità del sanitario, si dovrebbe ancora compiere uno sforzo nel senso di pervenire a norme maggiormente rispettose del principio di precisione così come gioverebbe – sarebbe invero la premessa più importante per tutto il resto – un cambiamento «culturale», cioè di prospettiva sull’efficacia dell’intervento del diritto penale in un settore che ha dimostrato di reagire alla pervasività dell’azione giudiziaria con i noti effetti collaterali (di medicina difensiva) che hanno ingigantito le criticità (p. 163). È del tutto “patologica” e va quindi accompagnata sul viale del tramonto l’idea che il procedimento penale, nonostante l’incombenza della prescrizione, rappresenti comunque uno strumento relativamente rapido, considerato il «malandato stato della giustizia italiana», per ottenere il risarcimento del danno e per porre a carico della collettività le spese di accertamento delle proprie presunte ragioni “contro” la classe medica (p. 87 ss.).

Se questi sono gli obiettivi, non sembra andare nella giusta direzione un’assai recente iniziativa parlamentare che ipotizza di abrogare l’art. 590-sexies c.p. in favore di un ritorno alle generali fattispecie di omicidio colposo e lesioni colpose, con l’implicazione – rectius: il proposito – di accantonare drasticamente l’esperimento sul grado della colpa, rievocando così gli spettri della punibilità per gli errori più lievi dei professionisti sanitari[16].

 

Le discipline positive sensibili al grado della colpa: (segue) Il grado della colpa negli altri ambiti penalistici e in quelli extrapenali. – Tra gli ulteriori settori nei quali il grado della colpa è riconosciuto normativamente, l’Autore richiama quello fallimentare, concentrandosi in particolare sulle ipotesi di bancarotta semplice ex art. 217 l.fall. (ora art. 323 codice della crisi d’impresa). Il quadro sull’esperienza applicativa, in particolare ai fini della messa a fuoco dei concetti più evocativi della colpa grave (come quello di «grave imprudenza»), si rivela piuttosto limitato. La spiegazione di ciò viene plausibilmente individuata nella peculiarità del contesto economico di riferimento, che induce, negli stessi casi in cui pure potrebbe trovare applicazione la bancarotta semplice, a contestare, piuttosto, la bancarotta fraudolenta, facendo leva su uno slittamento dell’imputazione colpevole verso il dolo: una tendenza ritenuta suscettibile di generalizzazione, praticamente una costante dello scarso successo in sede giurisprudenziale della limitazione della punibilità in ragione del grado della colpa.

Del resto, lo scivolamento verso il dolo eventuale stava iniziando a proporsi con particolare frequenza anche in ambito stradale prima che la l. 23 marzo 2016, n. 41 tipizzasse in termini esplicitamente colposi ipotesi perlopiù di grave imprudenza, come quelle (aggravanti) elencate nel 5° c. degli artt. 589-bis e 590-bis c.p.[17], a cui l’Autore riconosce la funzione di incidere non sull’an della punibilità ma sul quantum.

La riflessione si sofferma anche su altri istituti, la cui pluralità ed eterogeneità dimostra, ancora una volta, la possibilità di considerare il grado della colpa, a pieno titolo, quale concetto tutt’altro che marginale (ancorché dal potenziale spesso inespresso) nella nostra dimensione normativa contemporanea.

La panoramica tocca la previsione dell’art. 64 c.p.c., sulla punibilità del consulente tecnico per colpa grave nell’esecuzione degli atti richiesti, concludendo in termini assai interessanti sulla ratio di tale disciplina; disciplina che si giustificherebbe, in particolare, per la tendenziale difficoltà del compito da svolgere, nonché per la seria esigenza di non condizionare eccessivamente una professionalità che, stante la sua indispensabilità pubblica, rischierebbe di risultare «poco appetibile» o comunque di essere svolta con il peso costante della minaccia penale anche per gli errori più lievi: ciò che vale esattamente pure per i sanitari (p. 202).

Alcune pagine sono dedicate anche al (limitato) ricorso all’art. 2236 c.c. per prestatori d’opera diversi da quelli impegnati nella tutela della salute, all’abrogato art. 59, 6° c., d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, in materia ambientale e persino alla colpa grave quale fattore di esclusione di scriminanti configurabili in ambito sportivo.

La ricognizione relativa al sistema penale si conclude guardando alle ipotesi di colpa più lieve ai fini del riconoscimento dell’irrilevanza del fatto nel processo penale minorile e della valutazione di particolare tenuità del fatto, tanto davanti al giudice di pace quanto con riferimento alla disciplina più generale dell’art. 131-bis c.p., alla quale si “rimprovera” di limitare le proprie potenzialità deflative collegate al grado della colpa, per via del ricorso a un modello analitico, cioè richiedente che siano soddisfatti contemporaneamente tutti i requisiti di esiguità tipizzati, precludendo così una valutazione complessiva, che invece potrebbe dare esito diverso. Ad esempio, nei casi di omicidio colposo, non ci sarebbero nemmeno profili di radicale incompatibilità sul piano edittale – il massimo della fattispecie base dell’art. 589 c.p. raggiunge ma non supera la soglia dei cinque anni di reclusione – e, in presenza di una colpa particolarmente lieve, il fatto potrebbe effettivamente, nel complesso, valutarsi come di disvalore “relativo”; tuttavia, le possibilità di applicazione della disciplina dell’art. 131-bis c.p. sono comunque precluse in assoluto, alla luce dell’oggettiva non esiguità del danno per il bene giuridico, che finisce quindi per opporre, nella prospettiva del modello analitico criticato, un ostacolo insuperabile[18].

Guardando oltre l’ambito penale, la trattazione passa in rassegna cinque significative ipotesi di valorizzazione del grado della colpa, tra cui spicca quella relativa alla responsabilità disciplinare dei magistrati. L’Autore riscontra in materia una prassi decisoria effettivamente tesa a contenere le condanne e auspica che la giurisprudenza, in futuro, si “ricordi” di tale metro anche nell’interpretare disposizioni limitative della responsabilità penale per i gradi più bassi di colpa: «solo così potranno essere comprese appieno le difficoltà insite in altre professioni e le conseguenze negative, in tema di lesioni di quegli stessi diritti fondamentali che si vorrebbero proteggere, potenzialmente scaturenti da un indiscriminato intervento sanzionatorio» (pp. 276-277).

 

La valorizzazione degli spunti provenienti da altri ordinamenti. – La comparazione si concentra sull’esperienza di ordinamenti europei (compreso quello sovrannazionale basato sulle fonti eurounitarie) in cui il grado della colpa appare rilevante nel definire i contorni della punibilità.

Viene messo in primo piano il percorso dell’ordinamento spagnolo, il cui assetto, per ciò che qui interessa, è stato sensibilmente ridisegnato con una riforma del 2015 (ley orgánica n. 1), per effetto della quale non è più prevista la responsabilità penale per forme lievi di colpa («imprudencia leve»), sostituite con ipotesi che dovrebbero esigere una maggior pregnanza in termini di disvalore, ossia quelle di «imprudencia menos grave»[19].

La trattazione, oltre a soffermarsi sull’apprezzabile ratio di tale intervento normativo (volto a concretizzare il principio della intervención mínima) e sulle insidie che comunque implica il ricorso a una nozione inedita, cala opportunamente l’accento anche sulla contemporanea presenza di reati incentrati su condotte pericolose gravemente inosservanti di regole cautelari poste a presidio di beni giuridici di primaria importanza come la vita e l’incolumità delle persone. Apparentemente si tratta di previsioni in controtendenza rispetto all’ambizione deflativa appena evidenziata, ma l’Autore evidenzia, piuttosto, come possa essere guardata con favore l’anticipazione della tutela di valori primari e, soprattutto, la conseguente riduzione di quel tasso di casualità che inevitabilmente scontano ordinamenti come quello italiano i quali investono quasi esclusivamente sul reato colposo d’evento[20].

Significativa e non del tutto eterogenea appare anche l’esperienza francese, nella quale la punibilità per colpa, in generale, viene descritta come sempre più eccezionale e non mancano fattispecie (di «faute délibérée») incentrate su una deliberata e importante violazione di regole cautelari (positivizzate), anche a prescindere dalla verificazione di un evento dannoso. A tali fattispecie, in Francia come in Spagna, pur con alcune differenze dettagliatamente illustrate, l’Autore riconosce il merito di aver effettivamente “sdrammatizzato”[21] il dilemma dell’alternativa tra dolo e colpa, offrendo soluzioni percepite come appaganti anche in termini di proporzione sanzionatoria.

Più nota e di lunga data è l’eccezionalità della responsabilità colposa e in particolare per colpa lieve nella tradizione di common law, esaminata con particolare riferimento al diritto «anglogallese», in cui, al di fuori di alcune previsioni della statutory law, la rilevanza penale per fatti involontari dipende dalla sussistenza di una gross negligence[22]. Al riguardo, interessante è la constatazione finale per cui, a ben vedere, le distanze tra il sistema ora in considerazione e quelli “continentali” poc’anzi menzionati sarebbero decisamente da ridimensionare rispetto ad alcune narrazioni diffuse in passato, essendovi oggi in comune il deciso contenimento della punibilità per una colpa che non sia “qualificata” e il ricorso a figure “intermedie” capaci di disciplinare con adeguata severità casi limite tra il dolo e la colpa. Del resto, è proprio dall’esperienza della recklessness[23], infatti, che traggono evidentemente ispirazione i sistemi spagnolo e francese.

L’itinerario comparatistico si conclude dando conto di come non solo l’impronta di importanti ordinamenti nazionali europei sia nel senso di rinunciare alla punizione di fatti lievemente colposi, ma anche la produzione normativa eurounitaria degli ultimi decenni consenta di registrare un costante privilegio per l’esclusiva (ovviamente al di là della colpevolezza dolosa) rilevanza penale di forme sostanzialmente di colpa grave. Si tratta di un segnale importante lungo il cammino impervio della più profonda attuazione del principio nulla poena sine culpa, perché pare poter sollecitare implicitamente, a margine delle singole operazioni di armonizzazione legislativa settoriale, la formazione di una sensibilità europea sulla stessa questione generale della (più o meno indiscriminata) punibilità per colpa.

 

Le proposte del libro. – Nel capitolo finale del libro si perviene innanzitutto a un bilancio (ma in termini immediatamente funzionali alla formulazione di proposte rivolte al futuro) di carattere generale sulle difficoltà applicative della colpa grave, ritornando su quella menzionata «ritrosia» della giurisprudenza a riconoscerne il ruolo anche nei casi in cui il legislatore si è espresso apertamente in tal senso. Si è parimenti già fatto riferimento a una delle motivazioni principali di tale riluttanza, dall’Autore individuata nella tendenza a ravvisare nella notevole discrepanza tra la condotta concreta e quella ideale doverosa non già un fattore identitario della colpa grave, ma, piuttosto, un indicatore del dolo eventuale, come si legge anche nell’autorevole sentenza ThyssenKrupp delle Sezioni unite[24], che pure invita a una considerazione congiunta, d’insieme degli indici sintomatici del dolo eventuale.

Arrivando al cuore della pars construens dell’opera, si incontra un importante sforzo nel senso di colmare quella che viene in più punti indicata come una lacuna del sistema attuale: la mancanza di una definizione univoca di colpa grave. Nel cimentarsi con tale “impresa”, viene opportunamente considerato subito il rapporto ambiguo con le figure (spesso assimilate nella nostra tradizione recente, al contrario di ciò che avviene altrove) della colpa con previsione dell’evento e della colpa cosciente.

Riguardo, in particolare, alla prima di queste due figure, come già evidenziato da tempo in dottrina[25], è discutibile il drastico automatismo dell’art. 61, n. 3, c.p., per cui la previsione dell’evento meriterebbe sempre un aggravamento di pena. Si pensi al sanitario che si trovi a rappresentarsi la possibilità di verificazione dell’evento in ragione della sua preparazione e del suo scrupolo. La produzione dell’evento in casi di questo tipo non è necessariamente più grave rispetto a quella del collega che fronteggi lo stesso caso con superficialità o scarsa preparazione e non si ponga nemmeno il problema del possibile decorso infausto per il paziente.

Un aspetto da non sottovalutare – sia consentito aggiungere questa riflessione, che solo apparentemente rappresenta una mera digressione – è che proprio nell’ambio sanitario, che è storicamente il terreno di elezione di questioni sul grado della colpa nel nostro ordinamento, l’agente è titolare di una posizione di garanzia. Ciò implica che quello spazio di libertà, che è rappresentato dalla possibile astensione dal comportamento in caso di dubbio sul da farsi a fronte della previsione dell’evento, qui sia più ridotto, perché anch’esso presenta un possibile costo in termini di responsabilità penale. Il sanitario il quale abbia timore a eseguire una determinata prestazione delicata non è paragonabile al guidatore che rinunci a passare l’incrocio col giallo semaforico. Nel primo caso, la rinuncia all’intervento potrebbe avere ripercussioni per il paziente, che finisce per non beneficiare della prestazione necessaria: la rinuncia alla prestazione potrebbe essa stessa fondare una responsabilità colposa in caso di mancato miglioramento o di peggioramento del paziente. Nel caso del guidatore, che ritarda di un minuto l’arrivo a destinazione, difficilmente si può pensare che la rinuncia all’azione pericolosa con rappresentazione dell’evento possa avere implicazioni penali.

In definitiva, valorizzare la colpa grave implica valutare anche eventuali questioni sulla previsione dell’evento, ma in modo più libero rispetto a oggi, cioè distinguendo tra previsione come fattore maggiormente riprovevole oppure come fattore neutro o addirittura apprezzabile.

Nella prospettiva dell’Autore, più che la previsione dell’evento, è la misura della prevedibilità del risultato stesso a contare realmente per la messa a fuoco della definizione di colpa grave, la quale si dovrebbe basare, ancor prima, sulla divergenza tra la condotta tenuta dall’agente concreto e quella conforme alla regola cautelare. La proposta non si limita a indicazioni programmatiche, ma si traduce in una vera e propria ipotesi di norma definitoria, ispirata dal precedente del Progetto “Pisapia” del 2007 (art. 16, lett. f)[26] e da alcune sentenze di legittimità, come la “Cantore” sulla responsabilità medica[27]: «La colpa è grave quando nel caso concreto si riscontrino, congiuntamente, una grave violazione della regola cautelare e a) nei reati di evento, la prevedibilità dello stesso in grado elevato, b) nei reati di mera condotta, la rappresentabilità in grado elevato della verificazione del fatto di reato» (p. 414).

Quanto al ruolo dell’esigibilità, è noto come le sensibilità in dottrina siano differenti. L’Autore sembra dare credito all’opinione per cui la valutazione sull’esigibilità del comportamento conforme a cautela potrebbe essere assorbita in maniera soddisfacente nella messa a punto dell’agente modello: in tal senso – si argomenta a fini dimostrativi – la condotta dello specialista che non diagnostichi una patologia di sua competenza sarebbe da considerarsi più grave della stessa omessa (o errata) diagnosi da parte di un medico generico. La soluzione del caso è senz’altro corretta, ma sembra rimanere aperto il problema quando non si tratti di calibrare l’agente modello, richiedendosi piuttosto di giudicare il grado della colpa alla luce di fattori meramente “situazionali” e magari pure occasionali, transitori, come quelli su cui la giurisprudenza ha posto più volte l’accento, in particolare con riferimento ai sanitari. Si pensi alle condizioni di carenza di risorse nel contesto concreto – su cui si rinvia anche al menzionato art. 3-bis d.l. 1° aprile 2021, n. 44, che considera esplicitamente la «scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare» – oppure a condizioni di improvvisa stanchezza: in casi del genere, la violazione della regola di condotta preventiva (e la conseguente prevedibilità dell’evento) può anche assumere un’entità significativa, ma sembra congruo ridimensionare il giudizio definitivo sul grado della colpa se il soggetto aveva scarse possibilità di soddisfare l’aspettativa cautelare[28].

Prima di arrivare alle conclusioni vere e proprie, il libro si sofferma su alcune prospettive de lege ferenda, mettendo in primo piano l’auspicio più ambizioso: la «generalizzata esclusione della rilevanza penale della colpa lieve» (p. 416), la cui plausibilità è argomentata più che altro evidenziando le controindicazioni dell’impostazione attuale, che ancora consente la punibilità per colpa lieve. Non è evidentemente pleonastico continuare a insistere nel sottolineare il maggiore allineamento del diritto penale al principio di ultima ratio e a quello di colpevolezza che si otterrebbe, riducendo così le ipotesi di responsabilità oggettiva occulta e arginando anche il ruolo decisivo della casualità nella punibilità del fatto colposo. Interessante è anche il cenno a un probabile, ancorché non automatico – in questo senso, l’Autore si mostra, poco più avanti, scettico sull’opportunità di accreditare una vera e propria «modifica qualitativa» della nozione di colpa grave (p. 453) – allineamento della colpa punibile alla colpa cosciente, «in senso conforme alla logica esperienziale per cui più un errore è grave maggiore è la probabilità per un soggetto di accorgersi del suo compimento» (p. 438).

Quanto al rispetto del principio di ragionevolezza, riemerge il punto di vista di Poli sulla minor problematicità di una soluzione erga omnes rispetto a una che riguardi alcuni settori soltanto. Lo scenario considerato in subordine è proprio quello di una limitazione più selettiva delle ipotesi punibili soltanto per colpa grave. Dovendo immaginare dei contesti da cui partire, le indicazioni del libro sono in favore di quello sanitario, quello d’impresa e quello della circolazione stradale, su cui, come visto, il legislatore è invece recentemente intervenuto nella direzione di prevedere delle aggravanti per ipotesi sostanzialmente di colpa grave. L’Autore si mostra consapevole che è proprio ciò che potrebbe succedere – cioè si potrebbe assistere a un ritocco sanzionatorio esclusivamente al rialzo – se si rinunciasse alle prospettive più ambiziose appena considerate[29].

In termini di appendice e, in un certo senso, compensatori rispetto a una depenalizzazione della colpa lieve, l’opera ipotizza due interventi, come l’introduzione (ispirata soprattutto al sistema francese) di fattispecie dolose di pericolo concreto che incriminino la messa in pericolo di terzi in conseguenza della violazione dolosa della regola cautelare nonché una più generalizzata responsabilizzazione degli enti per fatti (anche solo lievemente) colposi, così da attenuare la tradizionale “caccia” al “capro espiatorio” tra le persone fisiche.

Nell’affrontare ulteriori possibili scenari evolutivi, la trattazione si sofferma di nuovo sugli avvertiti limiti dell’art. 131-bis c.p., che potrebbe essere riformato in modo da rendere esplicito, analogamente a quanto ipotizzato nei lavori preparatori, il ruolo del grado della colpevolezza (quindi anche del grado della colpa) ai fini dell’operatività della disciplina deflativa in termini ritenuti maggiormente soddisfacenti e ragionevoli.

L’opera si dimostra ancora una volta al passo coi tempi confrontandosi con un interrogativo ineludibile per il giurista contemporaneo, ossia se l’auspicata esclusione della punibilità in coincidenza di forme lievi di colpa possa considerarsi compatibile con il diritto sovrannazionale, in particolare quello della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il cui art. 2 riconosce una speciale protezione al diritto alla vita ed è stato declinato dalla giurisprudenza di Strasburgo nel senso di considerare accettabili anche presidi protettivi extrapenali, a condizione, però, di prevedere a carico degli organi statuali quegli oneri di accertamento che, qualora accollati ai privati (come tendenzialmente prevede il diritto civile), finirebbero per rendere significativamente meno effettiva la tutela imposta ai Paesi membri[30]. Rispetto all’ambizione deflativa più volte esplicitata, quindi, l’Autore intravede più che altro un ostacolo «di metodo e non di merito e di tipo esclusivamente procedurale e non sostanziale» (p. 468), ipotizzando quali possibili soluzioni per l’ordinamento italiano, da un lato, il consolidamento di una responsabilità dell’ente (anche) per ipotesi di colpa lieve dell’individuo in esso incardinato e, dall’altro lato, l’introduzione nel processo civile (che diverrebbe la sede privilegiata per tutelare interessi lesi da forme di colpa lieve) una disciplina volta a porre l’accertamento tecnico sul fatto a spese dello Stato.

Arrivati in fondo, può forse non passare inosservata la mancanza di un diffuso approfondimento del grado della colpa nei contesti illeciti. Al riguardo, si può ricordare che nell’esperienza dei Paesi di lingua tedesca il terreno di elezione della colpa grave sono i reati qualificati dall’evento[31]. Si tratta, peraltro, di un capitolo tutt’altro che confinato nel passato, come dimostrano alcune monografie relativamente recenti sull’illecito preterintenzionale[32]. Considerato il punto di partenza dell’ordinamento italiano, è però comprensibile e soprattutto conforme a pragmatismo il privilegio “iniziale” per i contesti leciti, dovendosi peraltro auspicare, insieme all’Autore, che si compia gradualmente quell’opera di «orientamento culturale» – a cui il libro di Poli robustamente contribuisce – indispensabile per una effettiva limitazione della punibilità per colpa. Indubbiamente, non bastano (pur necessari) interventi legislativi puntuali, essendo fondamentale «un vero e proprio mutamento di prospettiva da parte degli interpreti, tale per cui vengano comprese le ragioni per le quali, a certe condizioni, l’intervento penale in materia di responsabilità colposa può essere non solo inutile ma addirittura dannoso per la società» (p. 469).

 

 

[1] T. Padovani, Il grado della colpa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1969, pp. 819 ss.

[2] Si tratta di un indirizzo di cui si trova traccia già in una pronuncia del 1995 (Cass. pen., Sez. IV, 23 marzo 1995, n. 5278, in Cass. pen., 1996, pp. 1835 ss., in particolare p. 1836, in cui si può leggere che «la invocata disposizione civilistica può trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico quando il caso specifico sottoposto al suo esame imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice possa attenersi nel valutare l’addebito di imperizia»), ma che era rimasto decisamente isolato fino alla sua riproposizione da parte della sentenza “Buggè” del 2007 (Cass. pen., Sez. IV, 21 giugno 2007, n. 39592, in DeJure), per poi trovare terreno fertile nella IV Sezione penale, in particolare nelle pronunce redatte dal Consigliere Rocco M. Blaiotta, come la sentenza “Montalto” (Cass. pen., Sez. IV, 5 aprile 2011, n. 16328, in Riv. it. med. leg., 2012, pp. 369 ss.), per cui l’art. 2236 c.c. potrebbe farsi largo nello strumentario del giudice penale in veste di «criterio di razionalità del giudizio», peraltro non soltanto a fronte della necessità di dare soluzione a problemi tecnici di speciale difficoltà, ma – si è affermato con lungimiranza – “anche” «quando si versi in una situazione emergenziale».

[3] Estendendo lo sguardo all’ultimo decennio, si possono esemplificativamente richiamare A. Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale. Tra teoria e prassi giurisprudenziale, Giuffrè, 2012; L. Risicato, L’attività medica di équipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco. L’obbligo di vigilare come regola cautelare, Giappichelli, 2013; A. Manna, Medicina difensiva e diritto penale. Tra legalità e tutela della salute, Pisa University Press, 2014; A. Palma, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva: tra principio di affidamento e dovere di controllo, Jovene, 2016; M. Caputo, Colpa penale del medico e sicurezza delle cure, Giappichelli, 2017; D. Micheletti, Attività medica e colpa penale. Dalla prevedibilità all’esperienza, Edizioni Scientifiche Italiane, 2021. Anche chi scrive, volendo, può essere aggiunto all’elenco, con una trattazione ancor più incentrata sul grado della colpa, ma comunque entro la stessa dimensione settoriale dei contributi appena richiamati: M.L. Mattheudakis, La punibilità del sanitario per colpa grave. Argomentazioni intorno a una tesi, Aracne, 2021.

[4] Ci si riferisce a S. Delsignore, La colpa grave. Un’indagine sui limiti di incriminazione dei fatti colposi, 2004, stampata in proprio dall’Autore presso Copy & Press.

[5] Per la maggior parte delle citazioni che il testo sollecita, in particolare della dottrina non contemporanea, si rinvia direttamente alle note del capitolo I del libro: pp. 11 ss.

[6] In tal senso, ad esempio, N. Mazzacuva, L’apparente prossimità della colpa penale a garantismo e ultima ratio, in M. Donini, R. Orlandi (a cura di), Reato colposo e modelli di responsabilità. Le forme attuali di un paradigma classico, Bononia University Press, 2013, p. 44.

[7] D. Castronuovo, La colpa penale, Giuffrè, 2009, in particolare pp. 471 ss.

[8] Ad esempio, D. Castronuovo, La colpa penale, cit., pp. 544 ss.; M. Donini, L’elemento soggettivo della colpa. Garanzie e sistematica, in M. Donini, R. Orlandi (a cura di), Reato colposo e modelli di responsabilità, cit., pp. 268 ss.

[9] Sono note, in tal senso, le serrate critiche di F. Giunta, I tormentati rapporti fra colpa e regola cautelare, in Dir. pen. proc., 1999, pp. 1295-1297, per cui sarebbe preferibile fondare la colpa generica sugli «usi»; di recente, su posizioni analoghe, D. Micheletti, Attività medica e colpa penale, cit., pp. 38 ss., con specifico riferimento al contesto sanitario.

[10] Si veda, ad esempio, il quadro tracciato da F. Basile, Un itinerario giurisprudenziale sulla responsabilità medica colposa tra art. 2236 cod. civ. e legge Balduzzi (aspettando la riforma della riforma), in Dir. pen. cont., n. 2, 2017, pp. 160 s.; G.M. Caletti, Il percorso di depenalizzazione dell’errore medico. Tra riforme “incompiute”, aperture giurisprudenziali e nuovi orizzonti per la colpa grave, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., n. 4, 2019, pp. 2 ss.

[11] Corte cost., 22 novembre 1973, n. 166, in Giur. cost., 1973, pp. 1795 ss.

[12] A. Crespi, La responsabilità penale nel trattamento medico-chirurgico con esito infausto, Priulla, 1955, in particolare p. 102.

[13] Si tratta di una lettura ormai piuttosto diffusa, ancorché quasi sempre non seguita da un reale sforzo di definizione di questa sorta di imperizia in senso stretto, che non coinciderebbe con la più ampia declinazione tecnico-professionale delle regole cautelari, come invece ha tradizionalmente sostenuto la dottrina, tra cui, per fare un esempio nella manualistica, S. Canestrari, L. Cornacchia, G. De Simone, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2a ed., il Mulino, 2017, p. 479. Diffusamente in argomento, di recente, V. Badalamenti, L’imperizia quale tallone d’Achille della disciplina penale della medical malpractice, in www.penaledp.it, 7 dicembre 2021.

[14] Cass. pen., Sez. un., 21 dicembre 2017, n. 8770, ad esempio in www.penalecontemporaneo.it, 1° marzo 2018, con commento di C. Cupelli, L’art. 590-sexies c.p. nelle motivazioni delle Sezioni Unite: un’interpretazione ‘costituzionalmente conforme’ dell’imperizia medica (ancora) punibile. Tra le numerose analisi dell’autorevole pronuncia, volendo, vi è anche quella di chi scrive: G.M. Caletti, M.L. Mattheudakis, La fisionomia dell’art. 590-sexies c.p. dopo le Sezioni Unite tra “nuovi” spazi di graduazione dell’imperizia e “antiche” incertezze, in Dir. pen. cont., n. 4, 2018, pp. 25 ss.

[15] Impregiudicato ogni ragionamento su una più generalizzata depenalizzazione della colpa lieve, sia consentito fare rinvio a M.L. Mattheudakis, La punibilità del sanitario per colpa grave, cit., in particolare pp. 179 ss., ove una rassegna dettagliata dei fattori di specialità dell’attività sanitaria, con tanto di richiami bibliografici di posizioni affini. Da ultimo, P. Veneziani, La colpa penale nel contesto dell’emergenza Covid-19, in Sist. pen., 28 aprile 2022, p. 17, si mostra favorevole al mantenimento del criterio della colpa grave per il sanitario anche oltre il contesto emergenziale pandemico, confermando nemmeno troppo implicitamente di ravvisare analoghi profili di peculiarità dell’attività medica.

[16] Si veda il d.d.l. A.C. 1321, in documenti.camera.it, su cui si vedano le condivisibili considerazioni critiche di C. Cupelli, Di chi è la colpa? È il momento di ripensare la responsabilità medica, in www.ilfoglio.it, 5 luglio 2022.

[17] Si veda, ad esempio, E.M. Ambrosetti, Il nuovo delitto di omicidio stradale, in Resp. civ. prev., 2016, pp. 1789 ss., il quale, con riferimento alla riforma del 2016, giudica positiva la presa di posizione legislativa nel senso di ricondurre piuttosto esplicitamente all’ambito applicativo della colpa ipotesi che la giurisprudenza aveva iniziato a qualificare in termini di dolo eventuale, concepito dallo stesso Autore come una soluzione oggi eccezionale, da riservarsi, ad esempio, a casi di ripetute e gravi violazioni stradali.

[18] Non ritiene affatto obbligata (e, in definitiva, non preferibile, proprio per i risultati talvolta poco razionali che implica) la riconduzione della disciplina in esame al modello della esiguità analitica, di recente, M.E. Florio, Tenuità del fatto e grado della colpa, in A. Gullo, V. Militello, T. Rafaraci (a cura di), Giustizia penale, ripresa economica e recovery fund. Verso la riforma del processo penale e del sistema sanzionatorio, Giuffrè, 2022, in particolare pp. 193 ss.

[19] Per un’accurata ricostruzione del quadro, nonché per una traduzione italiana delle norme chiave, si veda anche un altro contributo dello stesso P.F. Poli, La rilevanza del grado della colpa in funzione incriminatrice nel sistema penale spagnolo: un modello da imitare?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, pp. 903 ss.; inoltre C. Valbonesi, La colpa grave come limite di tipicità: un dialogo fra l’ordinamento italiano e spagnolo alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio del rimprovero colposo, in Ind. pen., 2021, in particolare pp. 224 ss.; da ultimo, A. Cappellini, voce Imprudencia grave, in M. Donini (a cura di), Enciclopedia del diritto. Reato colposo, Giuffrè, 2021, pp. 656 ss. Con specifico riferimento al settore sanitario, A. Perin, La redefinición de la culpa (imprudencia) penal médica ante el fenómeno de la medicina defensiva. Bases desde una perspectiva comparada, in Política Criminal, 2018, p. 858 ss.

[20] La riflessione problematica intorno all’ineliminabile tasso di casualità nell’“innesco” della responsabilità penale colposa d’evento è notoriamente da tempo al centro delle attenzioni della dottrina. Pur con diversità di accenti, ad esempio, N. Mazzacuva, L’apparente prossimità della colpa penale a garantismo e ultima ratio, cit., pp. 40 ss.; L. Eusebi, La prevenzione dell’evento non voluto. Elementi per una rivisitazione dogmatica dell’illecito colposo e del dolo eventuale, in M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti (a cura di), Studi in onore di Mario Romano, II, Jovene, 2011, pp. 963 ss.; M. Mantovani, «Diritto penale del caso» e prospettive «de lege ferenda», ibidem, pp. 1080 ss.; D. Castronuovo, La colpa penale, cit., pp. 105 ss.

[21] Per il ricorso a questa stessa espressione, si veda già M. Donini, Il dolo eventuale: fatto-illecito e colpevolezza. Un bilancio del dibattito più recente, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., n. 1, 2014, p. 75.

[22] Tra i contributi più recenti della dottrina italiana, A. Di Landro, voce Negligence, in M. Donini (a cura di), Enciclopedia del diritto. Reato colposo, cit., in particolare pp. 801 ss.

[23] Sempre limitandosi alla dottrina italiana più recente, G.M. Caletti, voce Recklessness, in M. Donini (a cura di), Enciclopedia del diritto. Reato colposo, cit., pp. 1047 ss.

[24] Si rinvia, specialmente, al punto 51.2 del «Considerato in diritto» (ove si considera rilevante, «negli ambiti governati da discipline cautelari, la lontananza della condotta standard») di Cass. pen., Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343, (ad esempio) in Cass. pen., 2015, pp. 426 ss., con commento di K. Summerer, La pronuncia delle Sezioni unite sul caso Thyssen Krupp. Profili di tipicità e colpevolezza al confine tra dolo e colpa, pp. 490 ss.

[25] Si veda già T. Padovani, Il grado della colpa, cit., pp. 848 ss.

[26] Lo schema di legge delega è consultabile in www.giustizia.it. Sui profili di responsabilità colposa, ampi riferimenti in D. Castronuovo, La colpa penale, cit., pp. 269 ss., in particolare pp. 271 ss.

[27] Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237, in Cass. pen., 2013, pp. 2984 ss., con commento di C. Cupelli, I limiti di una codificazione terapeutica. Linee guida, buone pratiche e colpa grave al vaglio della Cassazione, pp. 2999 ss.; nonché in Dir. pen. proc., 2013, pp. 692 ss., con commento (dedicato contestualmente alla sentenza “Pagano”) di L. Risicato, Linee guida e imperizia “lieve” del medico dopo la l. 189/2012: i primi orientamenti della Cassazione, pp. 696 ss. Di questa importante pronuncia si veda anche il commento di A. Roiati, Il ruolo del sapere scientifico e l’individuazione della colpa lieve nel cono d’ombra della prescrizione, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., n. 4, 2013, pp. 99 ss.

[28] Per un più compiuto sviluppo del ragionamento critico abbozzato nel testo sia consentito rinviare a M.L. Mattheudakis, La punibilità del sanitario per colpa grave, cit., pp. 195 ss. Per varie esemplificazioni di ipotesi di carenza della misura soggettiva della colpa, considerando esplicitamente anche le relazioni col grado della colpa, D. Castronuovo, La colpa “penale”. Misura soggettiva e colpa grave, in M. Donini, R. Orlandi (a cura di), Reato colposo e modelli di responsabilità, cit., pp. 183 ss.

[29] Queste considerazioni trovano spazio nella «seconda prospettiva de lege ferenda» («la previsione della colpa grave quale fattore di aggravamento della pena»), in cui si aggiunge che, in una prospettiva «maggiormente “riformista”», si potrebbe pensare di limitare il ricorso alla pena detentiva quasi solo alle ipotesi di colpa grave, privilegiando per quelle di colpa lieve perlopiù sanzioni pecuniarie e interdittive (in particolare p. 446).

[30] Sul punto, ad esempio, V. Manes, M. Caianiello, Introduzione al diritto penale europeo. Fonti, metodi, istituti, casi, Giappichelli, 2020, pp. 196 s.

[31] Lo testimonia, ad esempio, la ricca indagine di F. Basile, La colpa in attività illecita. Un’indagine di diritto comparato sul superamento della responsabilità oggettiva, Giuffrè, 2005, in particolare pp. 556 ss., 650 ss. e 792 ss., che, altrettanto (rispetto a Poli), attribuisce un’importanza fondamentale alla «prevedibilità in grado elevato» nella definizione della colpa grave.

[32] Nel senso di valorizzare gradi elevati di colpa in contesti illeciti già ai fini dell’an della punibilità, L. Staffler, Präterintentionalität und Zurechnungsdogmatik. Zur Auslegung der Körperverletzung mit Todesfolge im Rechtsvergleich Deutschland und Italien, Duncker & Humblot, 2015, pp. 290 ss.; V. Plantamura, L’omicidio preterintenzionale. Pure come species del genus “omicidio improvviso”, Pisa University Press, 2016, pp. 271 ss.