Recensione  
22 Novembre 2024


Punizione. In dialogo con Giovanni Fiandaca


Domenico Pulitanò

Recensione a G. Fiandaca, Punizione, Il Mulino, 2024


1. Prologo nell’inferno.

Le riflessioni che qui propongo[1] si confrontano con un recente libro di Giovanni Fiandaca, il cui titolo – Punizione – porta l’attenzione sul punire come pratica concreta.

Prologo nell’inferno: le reazioni di Dante a taluni incontri con persone dannate.

Nel girone (il primo: Inferno, V) dei peccator carnali, trascinati dalla bufera infernal che mai non resta, al vedere e sentir nominare le donne antiche e i cavalieri pietà mi giunse e fui quasi smarrito (v. 72). La pietà è il sentimento che segna l’incontro con Francesca. Alla fine, “di pietade / Io venni men così com’io morisse; / E caddi come corpo morto cade”.

La pietà di Dante è per noi moderni un sentimento ben giustificato, di fronte alle pene per comportamenti che riteniamo non debbano essere puniti.

Qui vive la pietà quand’è ben morta, rimprovera in Malebolge Virgilio a Dante quando piange al vedere la pena degli indovini, distorsione della figura umana Inf. XIX, v. 21s.).

L’ultimo contatto ravvicinato di Dante viator con un dannato è nella ghiacciaia di Cocito, con un traditore responsabile della morte di altri (Inf. XXXIII). Lo pianto stesso lì pianger non lascia… le lagrime prima fanno groppo…. Riempion sotto ‘l ciglio tutto il coppo. Uno chiede d’essere aiutato: Levatemi dal viso i duri veli, / sì ch’io sfoghi ‘l dolor che ‘l cor m’imprenta, / un poco, pria che ‘l pianto mi raggeli (v. 112-115). Dante gli chiede chi è, con una rassicurazione ambigua: “e s’io non ti disbrigo / al fondo della ghiaccia ir mi convegna! (v. 116-117). Dante stava andando al fondo della ghiaccia. Il dannato racconta, e chiede sollievo: “distendi oggimai in qua la mano; / Aprimi li occhi; ed io non li l’apersi. / E cortesia fu lui esser villano (Inf. XXXIII, v. 150).

Qui siamo nell’ultimo girone infernale. La punizione per il tradimento di chi si fida – peccato di gravità massima – è distruzione dell’integrità della persona. Tosto che l’anima trade vi viene gettata, e il corpo l’è tolto / da un demonio che poscia il governa / mentre che ‘l tempo suo tutto sia volto (v. 129-132). L’esser villano di Dante esprime in modo crudele e disumano la valutazione morale più negativa, con una spietatezza unica in tutto l’Inferno: “è venuto qui a mancare l’oggetto stesso cui può rivolgersi la pietà, cioè la persona umana” [3].

Quale rilievo possono avere per il legislatore e per i giudici di democrazie liberali i sentimenti dei consociati di fronte al delitto, ambigui tra giustizia e vendetta, tra pietà e spietatezza?

Nell’orizzonte sociocriminologico preso in considerazione da Fiandaca (p. 48 s.) rientra un novero ristretto di delitti gravissimi, connotati da un disvalore etico-religioso, la cui commissione continua a provocare un forte turbamento morale ed emotivo nelle vittime anche indiretta e/o nel contesto sociale di riferimento (p. 52). L’omicidio doloso è il delitto per eccellenza. Marcire in prigione, chiede il lessico populista per gli autori di delitti anche non gravissimi. Sentimento e lessico populista possono essere accostati al lessico (cortesia d’esser villano) usato da Dante con riguardo ai traditori omicidi.

 

2. Principi sulla pena.

2.1. I problemi della pena (minaccia legale, applicazione giudiziale, esecuzione) presuppongono la dimensione precettiva del diritto criminale. L’inosservanza colpevole di precetti importanti giustifica una risposta sanzionatoria. Principio portante del diritto criminale/penale è il principio responsabilità.

Nella pena retributiva il delinquente è onorato come essere razionale, dice la famosa (e discussa) formula di Hegel [4]. Il liberalismo politico di Rawls vede nelle sanzioni penali un meccanismo stabilizzatore nell’interesse della libertà, che può essere limitata solo in nome della libertà [5].

In un ordinamento decente (anche non liberale) si pone l’esigenza di irrogare nei casi concreti una pena giusta, cioè quanto più possibile adeguata e proporzionata [6] al livello di gravità dell’illecito (p. 75). Fiandaca pone in rilievo i nessi fra l’idea di proporzione e l’idea retributiva, e il riemergere di approcci neoretribuzionistici che finiscono con l’assimilare la retribuzione alla prevenzione generale positiva (p. 82). In ottica liberale, proporzione e retribuzione interessano fondamentalmente come limiti [7] della potestà punitiva.

Fiandaca chiude la prima parte del suo libro (sguardo d’insieme sui problemi del punire) riprendendo dal criminologo David Garland la caratterizzazione della pena come istituzione sociale complessa, così densa di significati da apparire necessariamente polidimensionale (p. 62).

Luigi Ferrajoli, appassionato teorico del garantismo penale, ritiene il garantismo incompatibile con l’idea dell’abolizione della pena, che sarebbe consacrazione della legge del più forte [8].

 

2.2. Nella Costituzione italiana i principi sulla pena (art. 27) presuppongono un diritto criminale liberale, formalmente strutturato dal principio di legalità (art. 25), coerente con l’insieme dei principi costituzionali, capace di svolgere una funzione di guida dei comportamenti (di prevenzione generale) sostenuta dalla minaccia legale di pene per inosservanze colpevoli. Per la giustizia del punire, una ragionevole dimensione precettiva e ragionevoli criteri di attribuzione di responsabilità sono un presupposto necessario. Ma non di per sé sufficiente: i principi relativi alla pena pongono ulteriori condizioni.

Il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità è il minimo che debba essere assicurato in una società decente (anche non liberale). Riguarda sia la costruzione normativa del sistema sanzionatorio, sia le modalità di attuazione.

L’ideale rieducativo va inteso (Fiandaca, p. 91-93) come coerente proiezione della ispirazione personalistico-solidaristica che connota l’intero sistema costituzionale, da ricollegare al principio di uguaglianza materiale di cui al secondo comma dell’art. 3 Cost.: funzione rieducativa come un’offerta statale di ausilio in chiave solidaristica diretta a rimuovere i deficit di socializzazione primaria che si riscontrano nella stragrande maggioranza degli autori di reato che frequentano le prigioni. Obiettivo della pena ‘rieducativa’ è il rispetto della legalità esteriore (p. 95): un obiettivo tendenziale affidato alla accettazione volontaria del condannato (p. 98).

Senso d’umanità e paradigma rieducativo sono “logicamente in funzione l’uno dell’altro” (Corte cost. n. 279 del 2013). Il ’rispondere’ per il reato commesso deve poter essere significativo per il condannato, nel rispetto della dignità personale e della libertà di coscienza.

Fiandaca parla di polivalente problematicità dell’idea rieducativa, anche per la complessa e talora confliggente interazione fra teoria e prassi (p. 103). Come pone in rilievo una bella riflessione sul libro di Fiandaca,” la rieducazione come progetto, come occasione di riscatto per il condannato, richiede uno sforzo e un investimento costante da parte degli apparati statuali [9].

 

3. Pena detentiva.

3.1. La pena detentiva si è affermata nel mondo moderno come alternativa alla pena di morte, che pure è tuttora prevista e applicata in Stati importanti. Conosciamo “gli inconvenienti della prigione, e come sia pericolosa. E tuttavia non ‘vediamo’ con quale altra cosa sostituirla[10]. L’idea di abolire il carcere [11], della quale Fiandaca espone ragioni e difficoltà, non è realistica, e di ciò i suoi sostenitori sono consapevoli. “Il carcere è verosimilmente destinato a continuare ad apparire utile, per fronteggiare la criminalità, finché non riusciremo a inventarci dispositivi più intelligenti e più umani” (p. 58).

Un programma liberale è la moderazione nel punire. Per la pena carceraria si pongono problemi relativi all’ambito di applicazione, alla misura, alle modalità di esecuzione).

 

3.2. Particolare rilevanza, anche per la comunicazione politica, ha la questione della pena massima per i massimi delitti. Fiandaca richiama (p. 89) le pronunce della Corte costituzionale che hanno inciso sulla disciplina dell’ergastolo c.d. ostativo. Al di là dei problemi di legittimità costituzionale, resta il problema di politica penale: in democrazie liberali ha senso mantenere la previsione di una pena edittale a vita, aperta a una possibile liberazione anticipata?  

Una proposta di sostituire l’ergastolo con una lunga pena detentiva venne approvata da un ramo del Parlamento negli anni ’90. È stata sostenuta (anche col mio consenso) nel Progetto di riforma presentato dalla Commissione Grosso nel 2000; è ripresa nel Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo, dell’Unione Camere penali. Su forme e criticità del fine pena mai vi è un forte impegno culturale [12].

Mia valutazione attuale, ovviamente discutibile: nell’orizzonte del principio responsabilità, la previsione legislativa della pena a vita (come massimo di una cornice edittale?) può avere un senso etico-politico, non per efficacia preventiva, ma per valenza comunicativa: affermazione del massimo grado di responsabilità per i massimi crimini contro la vita delle persone: stragi e omicidi premeditati, commessi per finalità di terrorismo, o nell’attività di organizzazioni criminali, o con finalità o modalità (fredda premeditazione, sevizie crudeli) di particolare  gravità.

La finalità rieducativa esige la previsione di percorsi che possano arrivare ad un fine pena. Il superamento dell’ergastolo c.d. ostativo è l’indicazione chiaramente data (a condizioni ragionevolmente cautelative) dalla giurisprudenza costituzionale.  Compete al legislatore trovare un ragionevole equilibrio fra esigenze diverse.

Riterrei un segno di civiltà l’accettare che anche un efferato capomafia condannato all’ergastolo possa morire nel suo letto, fuori del carcere.

 

3.3. Tenere sotto osservazione il sistema delle pene detentive (nelle norme e nella realtà fattuale) è un problema da riconoscere sempre aperto. Il senso di umanità e il profilo rieducativo dovrebbero essere assicurati, per qualsiasi pena detentiva, dalle modalità di esecuzione.

Ha a che fare sia con il senso di umanità sia con la funzione rieducativa – e ha perciò rilevanza costituzionale – la dimensione materiale delle pratiche punitive: gli ambienti carcerari, i trattamenti in carcere e fuori.

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma dell’ordinamento penitenziario (art. 18) relativa ai colloqui, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a colloqui con il coniuge, il partner dell’unione civile o persona stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando non sussistano ragioni ostative. La sentenza n. 10 del 2024 addita doveri - non solo del legislatore - relativi alla realtà fattuale del carcere e delle condizioni di vita in carcere.

Questi problemi sono finora rimasti al margine delle riflessioni dei giuristi. La Corte costituzionale ne ha evidenziato la rilevanza costituzionale, oltre che di civiltà.

La realtà fattuale è ben diversa [13]. Le pagine dedicate da Fiandaca alla sua esperienza di garante dei diritti dei detenuti in Sicilia (p. 170 s.) completano le riflessioni teoriche, additando problemi gravi che, se non affrontati seriamente, porterebbero a un ulteriore degrado del livello di inciviltà penitenziaria e della garanzia dei diritti delle persone.

 

4. Riparazione e premio.

4.1. Nel capitolo intitolato Punizione e riparazione, Fiandaca prende atto che sociologi e antropologi considerano la riparazione una costante antropologica fra le possibili modalità di risposta ad azioni illecite (p. 126). L’importanza della riparazione prestazionale, per un ordinamento giuridico ragionevole, è di tutta evidenza. L’ordinamento italiano prevede la rilevanza attenuante della riparazione/risarcimento, e alcuni casi di non punibilità a seguito di condotte riparatorie.

Il lessico della premialità è entrato in uso quando sono state introdotte (in leggi speciali, a partire dal 1979) forti attenuazioni di pena per l’imputato che abbia reso dichiarazioni utili per il contrasto al terrorismo politico e alla mafia. È una strada su cui vi è stata discussione. Un’obiezione radicale contro le attenuanti premiali per i ‘pentiti’ aveva ravvisato un “paradossale capovolgimento di un classico principio garantista: quello della proporzionalità della pena alla gravità del reato e al grado di colpevolezza” [14]. Giusto al contrario, è tale obiezione un paradossale capovolgimento dell’invocata funzione garantista della proporzione fra pena e colpa, che è ‘principio garantista’ in quanto si ponga come criterio od istanza di delimitazione verso l’alto della coercizione statuale, opponendosi a pene sproporzionate per eccesso.

L’utilità di discipline premiali per il contrasto alla criminalità organizzata può ritenersi ampiamente verificata nell’esperienza italiana, insieme a rischi non irrilevanti.

Hanno valenza ‘premiale’ anche istituti di parte generale (ravvedimento operoso ex art. 56, ultimo comma, e circostanze attenuanti come l’art. 62, n. 6).

Hanno valenza premiale (in senso allargato) le diminuzioni di pena connesse a riti alternativi, funzionali a esigenze di deflazione della macchina giudiziaria. Criticare il patteggiamento come procedura non garantista [15] è espressione di un astratto esprit de geometrie, non è una valutazione realistica. Il patteggiamento non è un istituto autoritario; è un istituto gestibile dalla difesa, può essere scelto come la via d’uscita meno gravosa.

 

4.2. Quanto alla giustizia riparativa introdotta dalla riforma Cartabia, Fiandaca ravvisa una verosimile matrice religioso-comunitarista (p. 150); segnala rischi di varia natura, fra i quali una torsione in chiave moralizzatrice (p. 156) e una connaturata ambiguità ideologica (p. 158). Esprime il dubbio (a p. 166) sulla possibilità di far convivere proficuamente giustizia punitiva e giustizia riparativa.

L’idea di una restorative justice, costruita nell’incontro fra offensore e persona offesa, è una strada sostenuta con ragioni morali serie, poste in rilievo anche da voci autorevoli della dottrina penalistica [16]. È un’idea che suona appagante, ricca di suggestioni: la ricerca di una giustizia senza la spada [17], non centrata sulla severità punitiva.

I bisogni cui la giustizia dell’incontro dà rilievo, di grande spessore etico-sociale, in un ordinamento liberale non possono fondare doveri del reo. La persona offesa ha ovviamente diritto al risarcimento del danno (riparazione prestazionale); non può accampare alcuna pretesa giuridica a comportamenti moralmente significativi del reo; men che meno potrebbe essere giuridicamente obbligata, o indotta dall’autorità, a comportamenti moralmente significativi nei confronti del reo.

Un faccia a faccia fra vittime e perpetratori è questione di libertà per entrambe le parti: sia per l’’offensore – che pure è in debito verso l’offeso e verso la società – sia per l’offeso, che ha il diritto di scegliere liberamente se cercare o accettare o rifiutare un contatto ravvicinato con l’offensore. In un orizzonte liberale è diritto fondamentale, per entrambe le parti, la libertà di rifiutare l’incontro.

Comunque la si valuti, la benintenzionata prospettiva di una riparazione interpersonale (riconciliazione, dice il lessico che più ne sottolinea la valenza morale) non può essere un paradigma generale delle risposte al reato.

La caratterizzazione rieducativa delle pene, richiesta dalla Costituzione, non s’identifica con i programmi di giustizia riparativa della riforma Cartabia”: lo pone in rilievo Luciano Eusebi, uno studioso fra i più impegnati per nuove prospettive di riforma del sistema sanzionatorio [18].

Guardo alla giustizia dell’incontro con scettico rispetto e con laico distacco, anche alla luce della mia personale esperienza di persona offesa da reati non bagatellari consumati e tentati [19]. Se e quale appeal la nuova procedura speciale avrà per imputati e persone offese, lo dirà l’esperienza.

 

5. Studiare, non legittimare il diritto penale così com’é.

Nell’epilogo del libro sulla punizione, Fiandaca confessa una certa insoddisfazione, “che è verosimile derivi innanzi tutto dalla maturata consapevolezza dell’irriducibile problematicità del fenomeno punitivo” (p. 165). Consapevolezza di problemi irrisolti, per es. sulla possibilità di un proficuo rapporto fra giustizia punitiva e giustizia riparativa. Soprattutto “mi inquieta il dubbio che chi studia e insegna diritto penale positivo finisca, per ciò solo e sia pure senza intenzione, col legittimare in qualche modo e misura il sistema dei reati e delle pene così com’é (p. 169).

Chi studia il diritto penale dal punto di vista interno lo legittima almeno un po’: sono parole di Massimo Donini, in una relazione di dieci anni fa [20]. Il problema della legittimazione del diritto (del nostro diritto) ha a che fare con il senso del nostro lavoro di giuristi, compreso l’insegnamento.

 

5.1. Stiamo vivendo tempi difficili. Siamo circondati da Leviatani scatenati, da regimi orwelliani come quello che ha riportato la guerra in Europa, da fondamentalismi violenti. Il nostro Leviatano liberaldemocratico non è immune da problemi e da sovraccarichi talora illiberali.

Gli studiosi cui è stato assegnato quest’anno 2024 il premio Nobel per l’economia hanno mostrato, alla luce di esempi storici, che le società che hanno avuto maggiore successo sono governate da un Leviatano forte, incatenato da solide garanzie [21].Abbiamo bisogno di uno Stato forte che abbia la capacità di far rispettare le leggi, tenere sotto controllo la violenza, risolvere i conflitti e fornire i servizi pubblici, ma che al tempo stesso sia tenuto a bada da una società assertiva e ben organizzata”. “Per mantenere il Leviatano sotto controllo, abbiamo bisogno che la società continui a correre, per espandere la sua autonomia, fondamentale non solo per risolvere le controversie e applicare le leggi in modo imparziale, ma anche per abbattere la gabbia di norme” propria di società non liberali [22]. Dobbiamo correre per non scivolare indietro (come la Regina Rossa nella favola di Alice).

Sia la forza, sia l’incatenamento del Leviatano dipendono (anche) dal diritto criminale/penale. La vita di democrazie liberali richiede la tenuta del principio responsabilità: l’etica della responsabilità di Max Weber, l’impegno personale per una politica decente, analizzato da Michael Walzer [23].

Il problema della ragionevolezza e giustizia delle pratiche punitive resta sempre aperto. Il garantismo liberale non è una concezione irenica, È un garantismo severo, come Franco Bricola ha definito il programma di Francesco Carrara nella presentazione della riedizione da lui curata. Mi sembra una formula appropriata per definire l’approccio liberale ai problemi del diritto criminale/penale, arma a doppio taglio, strumento di difesa di beni giuridici mediante compressione di beni giuridici [24].

Il garantismo liberale è una concezione del potere, contrapposta ad altre, pensata per una società di persone libere, eguali in dignità e in diritti, capaci di assumersi responsabilità per sé e per gli altri.           

 

5.2. Al giovane che si reca nello studio di Faust per chiedere un orientamento per i suoi studi, e dice di non essere propenso a scegliere la facoltà giuridica, Mefistofele che finge d’essere Faust dice che non può dargli torto. Le leggi si susseguono come una eterna malattia, in esse Vernunft wird Unsinn, Wohltat Plage (la ragione diviene assurdo, il bene tormento). Sul diritto che nasce dentro di noi, nelle facoltà giuridiche ist, leider!, nicht die Frage (possiamo tradurre: purtroppo non ci si interessa).

Principi che per Goethe erano diritto naturale sono entrati nel diritto positivo di democrazie liberali, anche al livello di norme costituzionali. Il nostro lavoro di giuristi in Italia ha ad oggetto un ordinamento nei cui principi fondamentali possiamo ragionevolmente riconoscerci.

Come studiosi di ordinamenti positivi, usiamo il linguaggio del giuspositivismo, il più idoneo a tematizzare i problemi del potere del Leviatano, fra i quali il problema che inquieta Fiandaca. La distinzione concettuale fra diritto e giustizia esprime il “rifiuto di ogni visione pangiuridica della realtà sociale, di ogni identificazione di questa con la forma giuridica, di ogni sopravalutazione del compito che spetta al diritto tra i fattori cui è affidato il progresso umano[25].

Leggi che si accumulano come un’eterna malattia sono un aspetto del populismo penale, del punire come passione contemporanea [26] o “religione di massa che salva e condannaalternativa simbolica alla soluzione dei problemiun po’ oppio del popolo, un po’ instrumentum regni” [27]. Sul piano precettivo, estensione dell’area del diritto criminale. Sul piano sanzionatorio, maggiore severità proclamata, spesso travestita come pena edittale di nuove figure speciali di reato.

Abbiamo la responsabilità intellettuale e morale di evitare che lo studio e l’insegnamento di ordinamenti positivi sia inteso come legittimazione dell’esistente, quale che sia. In tempi inquieti, essere inquieti ed inquietanti è un aspetto significativo del nostro lavoro di giuristi.

 

 

 

 

[1] Rielaborazione di una relazione nel convegno su Il diritto penale tra punizione, riparazione e premio, Università di Palermo, 25 ottobre 2024.

[3] Così il commento di A.M. Chiavacci Leonardi al canto XXXIII dell’Inferno.

[4] Lineamenti di filosofia del diritto, §. 100.

[5] J. Rawls, Una teoria della giustizia, Milano 2008 (traduzione italiana della revisione del 1999), p. 231, 239, 241,

[6] F. Viganò, La proporzionalità della pena, Torino, 2022.

[7]La tutela della dignità del condannato non sta nella definizione di un teorico argine estrinseco di tipo retributivo, che è del tutto funzionale alle modalità della prevenzione generale negativa di tipo intimidativo e neutralizzativo”: L. Eusebi, Rieducazione e prospettiva di riforma del sistema sanzionatorio penale dopo il d. lgs n. 180/2022, in Sistema penale, 10 aprile 2024, p. 8.

[8] L. Ferrajoli, Giustizia e politica, Bari-Roma 2024, p. 288

[9] V. Mongillo, Forme e scopi della pena legale: crisi o palingernesi? Riflessioni su Giovanni Fiandaca, Punizione, in Arch. Pen. web,2024., p. 6.

[10]  M. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino 2014, 252.

[11] L. Manconi, S. Anastasia, V. Calderone, F. Resta, Abolire il carcere, Milano 2015.

[12] Un recentissimo studio: C, Danusso, E. Dolcini, D. Galliani, F. Palazzo, A. Pugiotto, M. Ruotolo, Ergastolo e diritto alla speranza, Torino 2024..

[13] Sull’esigenza di dar seguito alla sentenza della Corte costituzionale è intervenuto il Comitato di coordinamento dei magistrati di sorveglianza, con un comunicato dell’ottobre 2024. La persistente inadempienza è segnalata da L. Ferrarella, Quando le sentenze dalla Consulta sono un optional, in Corriere della sera, 11 novembre 2024.

[14] L. Ferrajoli, Ravvedimento processuale e inquisizione penale, in Questione giustizia, 1982, p. 217.

[15] L. Ferrajoli, Giustizia cit., p. 215

[16] G. L. Gatta, La giustizia riparativa: una sfida del nostro tempo; F. Viganò, Verità e giustizia riparativa, in Sistema penale, ottobre 2024

[17] È il titolo di uno studio pionieristico (in Italia): G. Mannozzi, La giustizia senza la spada”, Milano, 2003.  Un insieme di voci della dottrina italiana in Giustizia riparativa, a cura di G. Mannozzi e G.A. Lodigiani, Bologna 2015. Una riflessione recentissima: M. Bouchard, Il senso della mediazione dei conflitti. Tra diritto, filosofia e teologia, in Questione giustizia, 2024.

[18] L. Eusebi, Rieducazione e prospettiva di riforma del sistema sanzionatorio penale dopo il d.lgs n. 180/2022, in Sistema penale, 10 aprile 2024 (citazione da p. 10).

[19] Ricordo vissuti anche di paura, in un’aggressione neofascista (1971) ad un circolo culturale della periferia di Milano, una sera in cui era prevista – ed è stata impedita – una discussione sulla strage del 12 dicembre 1969. Nel 2010, in una spiaggia deserta della Tanzania, sono stato gettato per terra da un robusto giovane che chiedeva ‘money, money’. ho gridato ‘I have no money’ – non era vero – e il ragazzo è scappato. Ricordo il disagio cagionato dal furto di denaro e dei passaporti lasciati in una stanza d’albergo della città santa dell’Etiopia, due giorni prima del volo di ritorno in Italia (2012),

[20] M. Donini, Scienza penale e potere politico, In AA.VV., Il diritto penale tra scienza e politica, Bologna 1015, p. 85.

[21] D. Acemoglu e J.A. Robinson, The narrow corridor, in traduzione italiana, La strettoia, Milano 2020. Citazione da p.14.

[22] The narrow corridor, 2019; traduzione italiana La strettoia. Come le nazioni possono essere libere. Citazioni da p. 49 e 69)

[23] M. Walzer, “The struggle for a decent Politics. On liberal as an Adjective”: In traduzione italiana: M. Walzer, Che cosa significa essere liberale, Milano 2023.

[24] F. von Liszt, La teoria dello scopo nel diritto penale, Milano 1962.

[25] A. Baratta, Positivismo giuridico e scienza del diritto penale, Milano 1966, p. 20.

[26] D. Fassin, Punire. Una passione contemporanea, Milano 2018.

[27] M. Donini, Il penale come religione di massa e l’ennesima riforma della giustizia, in Sistema penale, 18 luglio 2023, p. 3 s. Di sopravvalutazione simbolica del diritto penale parla G.P. Demuro, Uguali ma diversi: Sul reato di omicidio stradale o nautico, in Sistema penale, 21 settembre 2023, p.13.