ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Recensione  
10 Giugno 2022


A. Nieto Martín, Global Criminal Law: Postnational Criminal Justice in the Twenty-First Century, Palgrave Macmillan, 2022


La proiezione del diritto penale oltre lo Stato e la sua sovranità territoriale è oggetto di opinioni divergenti nella dottrina. La maggior parte dei contributi accademici sul tema dei processi di europeizzazione e di internazionalizzazione (o globalizzazione) del diritto penale si concentra sull’analisi degli effetti che le fonti extra-nazionali producono nei sistemi giuridici domestici. Tuttavia, apertissimo è il dibattito sulle mutevoli caratteristiche e problematiche del diritto penale nella sua contemporanea dimensione multilivello.

Il recente saggio monografico di Adán Nieto Martín, Global Criminal Law: Postnational Criminal Justice in the Twenty-First Century (pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Palgrave Macmillan) si inserisce con note di indubbia originalità nel dibattito sulla progressiva de-statualizzazione della politica e della giustizia criminale, contestualizzandola non soltanto alla luce della realtà giuspenalistica del diritto delle convenzioni internazionali e dell’attribuzione di competenze normative in materia penale all’Unione europea, ma anche, soprattutto, di quella interdisciplinare, più dinamica e per certi versi oscura del global law. In sole 112 pagine, combinando nell’esposizione sia una notevole ricchezza di informazioni e riferimenti bibliografici sia una straordinaria capacità di sintesi, l’Autore ricostruisce le complesse trame di un diritto penale “postnazionale” i cui formanti risultano quanto mai lontani da quelli che hanno contribuito a formare le tradizioni giuridiche del diritto moderno.

Il saggio, suddiviso in cinque capitoli, mappa le dinamiche e le conseguenze dell’affermazione di una nuova forma post-statale di “global governance of crime” (p. 8).

Il primo capitolo analizza due fattori che hanno dato impulso allo sviluppo di “una forma di ius puniendi dove gli stati agiscono come meri regolatori addizionali” (p. 2): il mutamento genetico della sovranità (§ 2.1) e la centralità della sicurezza nella politica criminale contemporanea (§ 2.2). Il primo fattore postula l’elaborazione e l’implementazione di strategie di regolamentazione il più possibile condivise “con altri stati, con organizzazioni internazionali, e persino con portatori di interessi privati” (p. 6). La connotazione squisitamente statocentrica, pubblicistica e territorializzata della sovranità è stata profondamente alterata mediante la creazione di canali extra-parlamentari a composizione mista pubblico-privata. Il secondo fattore, che l’Autore contestualizza collegandolo alla transnazionalizzazione della criminalità e all’evoluzione tecnologica, ha determinato l’avanzamento di “una strategia di controllo della criminalità basato sugli strumenti classici dei servizi di intelligence: la raccolta e l’analisi di informazioni” (p. 8). Come manifestazioni paradigmatiche di tale strategia, che colloca al centro della politica criminale i paradigmi della precauzione e della pericolosità implementati attraverso lo scambio di informazioni per lo più secretate, l’Autore fa riferimento alle misure restrittive o smart sanctions, ai reati di terrorismo di pericolo presunto e alla confisca estesa o non basata su provvedimenti di condanna.

Il secondo capitolo esamina l’intricato labirinto istituzionale delle reti transgovernative (§ 1) e delle organizzazioni internazionali (§ 2) che contribuiscono a plasmare lo ius puniendi globale, analizzando la parziale de-statualizzazione dei processi decisionali e di normazione in materia penale, l’espansione del raggio d’azione di tali organizzazioni e “l’uso di nuovi strumenti regolatori, ad esempio il soft law, applicati alternativamente o cumulativamente alle convenzioni internazionali” (p. 24). L’Autore traccia le righe del poliedrico campo da gioco della sovranità relazionale, il quale è composto da tutta una serie di organismi e agenzie la cui missione principale è quella di influenzare l’andamento dei processi di regolamentazione e di law enforcement. Ciò avviene svolgendo attività settoriali di formazione e informazione che derivano la propria legittimazione dalle precipue competenze specialistiche dei membri di tali organismi e agenzie, nonché dalla loro capacità di instaurare rapporti dialogici e di mediazione tra stakeholders pubblici e privati. L’incremento qualitativo e quantitativo delle reti transgovernative modifica i percorsi di formazione ed implementazione delle normative extra-nazionali, favorendo l’affermazione del soft law come diritto complementare a quello legislativo (di cui non possiede la caratteristica essenziale della piena rappresentatività popolare)[1]. In questo capitolo, l’Autore si colloca agilmente all’interno del dibattito – di interesse non soltanto penalistico – sulla trasformazione della democrazia nell’era della globalizzazione, dimostrando una sensibilità marcata verso i profili costituzionali del processo di mondializzazione dello ius puniendi. L’intuizione più interessante e degna di nota concerne i rapporti tra soft e hard law. L’Autore sottolinea che

“le previsioni di soft e di hard law possono essere intercambiabili ed esiste tra loro una comunicazione o interoperabilità. Ciò che conta veramente non è il tipo di previsione, ma il supporto che essa ottiene” (p. 31; corsivo aggiunto).

Non mancano inoltre approfondimenti relativi a uno dei temi di attualità più caldi: le sanzioni o misure restrittive sovranazionali (§ 2.2) irrogabili dall’Unione europea (pp. 33-35), dalle Nazioni Unite (35-37) e dalla Banca Mondiale (pp. 37-40), il cui sguardo panoramico restituisce l’immagine di un “diritto amministrativo globale, volto a stabilire un quadro comune di garanzie” nell’ambito di un sistema che interseca sostanzialmente la materia penale. Ci si limita qui a segnalare altre due tra le più importanti intuizioni offerte dall’Autore:

  1. l’immagine del pentagono – i cui estremi sono rappresentati, dall’alto verso il basso, dalle organizzazioni internazionali, dai rispettivi Stati membri e dalle reti transgovernative, dalla società civile e dal settore privato – che l’Autore richiama per raffigurare la molteplicità di attori e il ruolo che ciascuno di essi svolge nella produzione multilivello del consenso previo all’attività di normazione (pp. 29-30);
  2. la segnalazione della tendenza al “policy laundering”, volta a “internazionalizzare scelte di politica criminale” per consolidare la posizione dello Stato nell’ambito delle relazioni commerciali internazionali, nonché per aggirare ostacoli e opposizioni che il legislatore verosimilmente incontrerebbe a livello nazionale nel tentativo di introdurre determinate normative[2].

Il terzo capitolo esamina la crescente privatizzazione dello ius puniendi. Sempre nel contesto della sovranità relazionale, l’Autore analizza l’affermazione di meccanismi di auto-regolamentazione privata con effetti pubblici – i quali sfumano la differenza tra law makers e law takers – illustrando il ruolo di global regulators svolto: dalle multinazionali (§ 1.1); dalle reti transgovernative che promuovono azioni collettive volte a indirizzare norme di natura tecnica a legislatori e imprese (§ 1.2)[3]; dalle organizzazioni non governative (§ 1.3); nonché da altri enti non-statali con funzioni regolatrici (§ 1.4) quali, solo per menzionare i più noti, l’International Organization for Standardization (ISO) e la World Trade Organization (WTO). Questo capitolo termina passando in rassegna i tratti salienti delle sanzioni disciplinari irrogabili da associazioni e federazioni sportive quali l’International Olympic Committee e la FIFA (§ 2), che l’Autore descrive come esempio emblematico di un diritto punitivo globale e dell’esercizio di un potere sovrano non ancorato a un territorio, nonché eterogeneo quanto agli standards di tutela dei diritti fondamentali.

La parziale rottura del legame tra ius puniendi e territorio rappresenta altresì il filo rosso del capitolo 4, incentrato sui profondi mutamenti della cooperazione giudiziaria connessi all’evoluzione del processo di integrazione europea in materia penale. Tale processo ha determinato il superamento del classico paradigma statocentrico di cooperazione (§ 2). L’Autore ha il merito di sviluppare alcune considerazioni cruciali sul ruolo della sicurezza collettiva nella conformazione della cooperazione internazionale contemporanea, sottolineando il potenziamento delle relazioni utilitaristiche tra polizia e servizi di intelligence nel prisma della giustizia penale preventiva (p. 75).

Nemmeno l’esistenza di “Stati canaglia”, che “non sono in grado di o non vogliono esercitare lo ius puniendi” (p. 76), sembra ostacolare il fermento del global law. Al contrario, in molti settori normativi (dalla pirateria alla pesca illegale, dal cybercrime alla criminalità organizzata di Stato), “il diritto internazionale si è concentrato sulla creazione di organismi di supporto che compensino le deficienze dei sistemi giuridici nazionali” (p. 79). Al riguardo, l’Autore rimarca ad esempio la differenza tra il sistema sanzionatorio anticorruzione della Banca Mondiale e gli interventi di assistenza nei Paesi sistematicamente inadempienti rispetto agli standards globali stabiliti dalle reti transgovernative: mentre il primo “non ha riguardo ai sistemi giuridici nazionali”, i secondi mirano a rafforzare la capacità di azione degli Stati (p. 81).

Dunque, il processo di de-territorializzazione e mondializzazione dello ius puniendi si manifesta non soltanto attraverso processi regolatori, ma altresì mediante interventi sanzionatori e di law enforcement legittimati sulla base del principio di personalità attiva. Il saggio non manca di analizzare le delicate questioni relative alla legittimità di uno ius puniendi sviluppato al di fuori dello Stato e delle prerogative democratico-parlamentari identificate con riferimento ai confini territoriali nazionali. A ciò è dedicato il capitolo 5 del saggio, che prende abbrivio dalla constatazione della proiezione sostanzialmente pubblicistica di sistemi sanzionatori privatizzati (§ 1). Nell’impossibilità anche solo di sintetizzare adeguatamente i contenuti di un dibattito estremamente complesso e nutrito, in questa sede ci si limita a segnalare la presa di posizione dell’Autore a favore di una diffusione degli standards UE di tutela dei principi e diritti fondamentali all’interno dei sistemi sanzionatori extra-nazionali. Per quanto riguarda i principi fondamentali, l’Autore attribuisce particolare importanza alla sussidiarietà, alla democraticità della produzione normativa e alla trasparenza (§ 2-2.3). Per quanto concerne invece i diritti fondamentali, la cui tutela risulta soggetta a oscillazioni nel contesto del costituzionalismo multilivello e del dialogo tra le Corti (§ 3), in via di estrema sintesi l’Autore ritiene essenziale:

  1. garantire la disponibilità di rimedi giudiziari effettivi e di momenti di revisione delle decisioni sanzionatorie assunte a livello extra-nazionale;
  2. stemperare la ricerca spasmodica dell’impunità zero attraverso la cooperazione giudiziaria in materia penale, aumentare gli standards di protezione dei dati personali (§ 4.1) e perfezionare la disciplina volta a prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione[4];
  3. razionalizzare e armonizzare la incerta giurisprudenza delle Corti europee in tema di ne bis in idem (§ 4.2).

Global Criminal Law: Postnational Criminal Justice in the Twenty-First Century ridisegna con esemplare efficacia e concretezza le tappe presenti e future di un “diritto penale senza Stato” tuttora in cerca di un’adeguata legittimazione e sistematizzazione e costituisce l’anello di congiunzione ideale alle ricerche pionieristiche che impegnano l’Autore nei vari fronti del diritto penale economico e dell’impresa[5]. L’affresco della molteplicità di attori esterni al circuito parlamentare e del policentrismo della potestà punitiva contemporanea che il saggio offre ha altresì il merito di rivisitare il quadro delle intersezioni tra sistemi sanzionatori formalmente amministrativi o disciplinari e lo ius criminale, includendo nell’analisi anche potestà punitive complementari a quella penale che hanno finora ricevuto minore attenzione dalla dottrina (ad esempio, quelle di cui sono titolari Federazioni Sportive come la già citata FIFA). Il saggio dimostra convincentemente quanto la globalizzazione abbia radicalmente mutato il volto della politica criminale, della normazione e della giustizia penale, sensibilizzando il lettore sulla necessità di cambiare le lenti attraverso le quali il giurista è storicamente avvezzo ad osservare il diritto penale. Global Criminal Law: Postnational Criminal Justice in the Twenty-First Century si propone dunque nel panorama scientifico come un punto di riferimento essenziale per le riflessioni sulle sfide, sui problemi e sulle prospettive del processo di mondializzazione del diritto e della giustizia penale. Il saggio tratteggia altresì nuovi itinerari di ricerca, suscitando riflessioni di segno critico sul tema dell’espansione delle organizzazioni extra-nazionali e dei rispettivi poteri: è possibile affermare che tale espansione è frutto di processi di migrazione, importazione o cross-fertilisation di standards costituzionali e migliori prassi operative su base comparatistica? Inoltre, di quali strumenti dispone lo Stato per restare al passo dell’internazionalizzazione o mondializzazione del diritto penale, adattandosi alle esigenze della contemporaneità senza essere relegato inesorabilmente nel ruolo di tigre di carta? Ricostruire in un’ottica critica e propositiva le complesse trame di tali processi è una sfida ineludibile per il giurista contemporaneo. In Global Criminal Law: Postnational Criminal Justice in the Twenty-First Century, l’Autore ha il merito di affrontare i temi in questione da una prospettiva sostanzialistica, istituzionale e multidisciplinare, elaborando spunti di riflessione di notevole interesse non solo per il penalista, ma altresì per i giuristi afferenti agli altri settori disciplinari interessati dal fenomeno del global law.

 

 

[1] … se di mero soft law si può ancora parlare! Sul processo di “hard-izzazione” indiretta del soft law (anche) in materia penale, cfr. già A. Bernardi, Sui rapporti tra diritto penale e soft law, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2/2011, pp. 536 ss. Per ulteriori approfondimenti in un’ottica multidisciplinare, si rinvia ad AA.VV., Soft law e hard law nelle società postmoderne, a cura di A. Somma, Torino, 2009.    

[2] Sul tema, cfr. altresì M. Muñoz de Morales Romero, Transposición dee obligaciones comunitarias o fuera de juego legislativo? Sobre los atajos fraudolentos para adoptar normas penales, in Delito, penal, política criminal y tecnologías de la información y la comunicación en las modernas Ciencias Penales, a cura di F. Pérez Álvarez, Salamanca, 2011.

[3] Reti, queste, composte principalmente da “rappresentanti dei paesi, membri delle multinazionali, e rappresentanti delle ONG”: p. 55 del saggio recensito.

[4] Per vero, l’Autore riconosce e argomenta efficacemente la maggiore complessità (e minore percorribilità) di questa proposta: v. pp. 99 ss. del saggio recensito.

[5] Mi riferisco, in particolare, a quelle incentrate sul tema della responsabilità penale delle multinazionali per violazioni dei diritti umani e degli obblighi di corporate due diligence, di cui l’Autore analizza molteplici settori: solo per menzionare i principali, si pensi all’ecocidio, alla tutela del clima come bene giuridico distinto da quello dell’ambiente e alla giustizia restaurativa nell’ambito della criminalità d’impresa. Tra i contributi più recenti, per una riflessione critica volta ad apportare spunti per una tutela adeguata del clima attraverso il diritto penale ma che si ricollega a tutti gli altri settori del tema della responsabilità delle multinazionali menzionate in questa nota, cfr. A. Nieto Martín, No mires arriba: las respuestas del Derecho penal a la crisis climática, in corso di pubblicazione.