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  Scheda  
16 Gennaio 2020


Art. 4-bis ord. penit., reati contro la p.a. e tempus regit actum: per la Cassazione la sospensione dell’ordine di carcerazione non è travolta dall’entrata in vigore della l. 3/2019

Cass., sez. I, ud. 20 settembre 2019, dep. 28 novembre 2019, n. 48499, Pres. Rocchi, Rel. Cairo



1. Secondo la sentenza in commento, l’estensione del regime ostativo di cui all’art. 4-bis ord. penit. ai reati contro la p.a., realizzata dalla l. n. 3/2019, non interessa i procedimenti per i quali, al momento dell’entrata in vigore della legge, era già stato emesso l’ordine di carcerazione e il relativo decreto di sospensione.

Nello specifico, la Prima Sezione della Cassazione afferma che, in base al principio tempus regit actum, è illegittima la revoca del decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena che era stata legittimamente disposta dal pubblico ministero a seguito dell’approvazione della l. n. 3/2019.

Com’è noto, la l. n. 3/2019 (c.d. legge spazza-corrotti) ha inserito nel catalogo dei reati di cui all’art. 4-bis della l. n. 354/1975 alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, precludendo dunque l’accesso ai benefici penitenziari ai condannati per tali reati, a meno che (ove possibile e rilevante) non collaborino con l’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art. 58-ter ord. penit. o dell’art. 323-bis, co. 2, c.p. Inoltre, per effetto del richiamo che l’art. 656, co. 9, lett. b) fa all’art. 4-bis ord. penit, il pubblico ministero, in relazione a tali delitti, non può più sospendere l’esecuzione della pena detentiva, che avrebbe consentito al condannato di chiedere una misura alternativa alla detenzione senza prima dover passare dal carcere.

La modifica dell’art. 4-bis ord. penit., tuttavia, non è stata accompagnata da un’apposita norma transitoria che regolasse il regime applicabile ai procedimenti in corso – in fase di cognizione o di esecuzione – al momento dell’entrata in vigore della legge: quei procedimenti sono dunque soggetti ai principi generali in materia di successione delle norme nel tempo e, in particolare, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, alla successione delle norme processuali penali.

Infatti,nonostante il tentativo della dottrina (vd. infra par. 4) di accreditare la tesi del carattere sostanziale delle norme che regolano le modalità di esecuzione della pena e, dunque, di assoggettarle al principio di irretroattività in malam partem espresso dall’art. 2 c.p. (nonché dall’art. 25, co. 2 Cost.), la giurisprudenza maggioritaria è ancora restia ad abbandonare, in questa materia, il principio del tempus regit actum, ritenendo che tali disposizioni abbiano natura penale processuale «siccome non riguardanti l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena»[1].

 

2. La pronuncia in commento, pur non mettendo in discussione l’applicabilità immediata delle modifiche che incidono su norme di esecuzione penale, giunge comunque ad affermare l’efficacia ultrattiva della disciplina precedente.

Il caso riguarda un imputato condannato alla pena di quattro anni di reclusione per il delitto di cui agli artt. 319, 321 e 110 c.p., per il quale la competente procura emetteva ordine di esecuzione della carcerazione e contestuale decreto di sospensione, con avviso al condannato della facoltà di proporre, entro trenta giorni, istanza di applicazione di misure alternative alla detenzione, secondo la disciplina prevista dall'art. 656, commi 5 ss., c.p.p. 

Una volta entrata in vigore la l. n. 3/2019, nonostante il condannato avesse già presentato l’istanza, il Pubblico Ministero provvedeva a revocare il decreto di sospensione, ritenendo che non vi fossero più le condizioni per la sua validità. Il G.I.P. presso il Tribunale di Napoli Nord, in funzione di giudice dell’esecuzione, annullava il provvedimento di revoca del decreto di sospensione, adducendo che il decreto era stato emesso prima che la l. 3/2019 entrasse in vigore e nel rispetto della normativa all’epoca vigente.

Avverso l’ordinanza il Procuratore della Repubblica promuoveva ricorso per Cassazione, deducendo il vizio di violazione di legge.

 

2.1. La Corte premette innanzitutto di aderire all’impostazione maggioritaria che vede nelle norme di esecuzione penitenziaria delle norme processuali e, come tali, immediatamente efficaci ai sensi dell’art. 11 disp. prel.

Le argomentazioni della Prima Sezione si sviluppano attorno alle categorie – tra loro connesse – di “fattispecie processuale complessa” e “forza espansiva ultrattiva”.

Quanto al primo aspetto, il decreto di sospensione – oggetto di ricorso – non è un atto unisussistente, ma è parte di una fattispecie processuale complessa, che si compone, in sequenza, dell’ordine di carcerazione e della contestuale sospensione dell’esecuzione, della proposizione dell’istanza di misura alternativa e della decisione su di essa del Tribunale di Sorveglianza. 

Si tratta di attività funzionalmente collegate, in una sequenza processuale «necessaria e inscindibile», che, una volta aperta, «produce poteri e facoltà nella sfera dell’esecutando che non possono essere unilateralmente modificati o sottratti attraverso interventi postumi, sia pur assunti in forza di quadri normativi sopravvenuti, ma privi di regole transitorie». Le suddette facoltà – qual è quella di presentare l’istanza di ammissione alle misure alternative – una volta acquisite, non sarebbero più ritrattabili, in ossequio al principio del giusto processo, tutelato dagli artt. 111 Cost. e 6 CEDU

Nell’ambito di ciascun segmento processuale omogeneo, l’interessato ha dunque un tendenziale diritto al mantenimento delle posizioni legittimanti acquisite: in questo caso, il diritto coincide con l’interesse ad ottenere ab initioun trattamento esecutivo alternativo alla restrizione carceraria.

In punto di ultrattività, la Corte stabilisce in seguito che l’inizio della pendenza del rapporto in executivis a carico del singolo – rappresentato dall’ordine di carcerazione e dal decreto di sospensione – indica lo statuto normativo applicabile fino alla conclusione del sub-procedimento (ossia fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza), indipendentemente dalle modifiche normative.

La legge sopravvenuta potrà dunque disciplinare soltanto gli effetti non esauriti di un atto processuale e le modifiche normative non potranno applicarsi ai rapporti esecutivi pendenti. Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ritiene che, ai fini della decisione circa il regime temporale applicabile, la ritualità formale dell’istanza di ammissione alle misure alternative sia da considerarsi effetto esaurito e soggetta, dunque, alla legge vigente al momento della sospensione dell’esecuzione (principio già espresso in Cass., Sez. I, 15 giugno 2010, n. 24831, Castaldi).

La Corte respinge dunque il ricorso, avvallando le posizioni espresse dal Tribunale e affermando che il provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell’art. 656 co. 5 c.p.p., non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui all’art. 4-bis l. 354/1975, qualora il condannato abbia già fatto richiesta di concessione delle misure alternative alla detenzione.

 

* * *

 

3. Le considerazioni svolte dalla Prima Sezione della Suprema Corte – riprendendo quanto già stabilito in Cass., Sez. I, 3 maggio 2019, n. 25212, Pullo, e Cass, Sez. I, 19 luglio 2019, n. 39609 – esprimono uno spiccato favor rei, pur non mettendo in discussione il sedimentato orientamento giurisprudenziale che attribuisce alle norme che regolano l’esecuzione penale natura processuale[2].

La teoria di riferimento è quella degli atti con “effetti non esauriti”, in base alla quale la nuova normativa non può travolgere la parte degli effetti già prodottasi, né può impedire o regolare diversamente gli effetti futuri: se ciò fosse possibile, infatti, ne risulterebbe modificato lo stesso atto generatore, in aperta contraddizione con il principio dell’efficacia immediata[3].

D’altra parte, attraverso il concetto di fattispecie complessa, la Corte non si è limitata ad esplicitare il significato più naturale del principio del tempus regit actum, ossia che l’efficacia immediata della legge processuale-penale esclude che un atto correttamente emanato secondo la legge vigente al momento della sua adozione possa essere revocato in base ad una legge successiva, ma si è spinta ad affermare che anche i successivi atti – facenti parte di un medesimo sub-procedimento – debbano essere valutati in base alla legge vigente al momento dell’inizio della fase esecutiva (in particolare, il riferimento è alla decisione del Tribunale di Sorveglianza).

Nel caso specifico, l’affermazione della sussistenza di un sub-procedimento è fondata su una considerazione di carattere funzionale, coerente con il fondamento razionale della sospensione, che ha come scopo proprio quello di consentire al condannato di presentare istanza di ammissione alle misure alternative.

 

3.1. La sentenza in commento, pur affrontando soltanto una delle ipotesi problematiche di diritto intertemporale venutesi a creare dopo l’approvazione della l. 3/2019 – ossia quella dei procedimenti per i quali l’ordine di esecuzione sia stato emesso e contestualmente sospeso e l’istanza di ammissione alle misure alternative sia pendente di fronte al Tribunale di Sorveglianza – dà indicazioni anche sulle altre situazioni problematiche che possono venire in rilievo nell’applicazione della legge 3/2019 ai processi in corso.

Se da una parte è evidente che – applicando il tempus regit actum – il nuovo comma 5 dell’art. 656 c.p.p. operi in tutti quei procedimenti che, al momento dell’entrata in vigore della l n. 3/2019, erano ancora in fase di cognizione, più incerto è il regime applicabile in relazione ai procedimenti che erano già conclusi con sentenza irrevocabile. Ci si riferisce in particolare a:

a) Procedimenti definiti, ma per i quali l’ordine di esecuzione non sia ancora stato emesso;

b) Procedimenti per i quali l’ordine di esecuzione sia stato emesso e contestualmente sospeso, ma il condannato non abbia ancora presentato istanza di ammissione alle misure alternative;

c) Condannato la cui istanza è stata accolta, sottoposto a misura alternativa.

Consideriamo le diverse ipotesi, alla luce dei principi espressi dalla sentenza in commento.

a) Con riferimento ai procedimenti definiti, ma per i quali l’ordine di esecuzione non sia ancora stato emesso, si pongono le questioni più ostiche da risolvere

Apparentemente, potrebbe ritenersi che l’ordine di esecuzione non ancora emesso debba sottostare alla nuova normativa, in ossequio al principio dell’immediata efficacia delle leggi processuali sopravvenute; con l’ordine si apre formalmente, infatti, una nuova fase del procedimento – quella, per l’appunto, esecutiva. La stessa sentenza in commento identifica l’inizio del sub-procedimento rilevante ai fini dell’individuazione della fattispecie processuale complessa nell’emissione dell’ordine di carcerazione e del relativo decreto di sospensione, con la conseguenza che la legge vigente ai tempi della sentenza irrevocabile non dovrebbe avere efficacia ultrattiva.

Tuttavia,la fotografia della prassi è impietosa e rivela che è tutt’altro che infrequente che tra il momento della pronuncia della sentenza definitiva e quello dell’emissione dell’ordine passino mesi, se non anni. Ancorare ad un fattore così variabile ed arbitrario l’applicazione del nuovo regime restrittivo significherebbe dare rilevanza ad un atto di impulso delle procure che è perlopiù affidato al caso (si è parlato, a tal proposito, di “cancelliere regit actum[4]).

S’impongono, oltretutto, considerazioni di equità. Si pensi a due sentenze definitive pronunciate nel medesimo giorno, ma i cui ordini di esecuzione siano emessi a giorni o mesi di distanza: sarebbe irragionevole che il condannato venisse penalizzato a causa dell’inefficienza delle cancellerie delle Procure nell’emettere l’ordine[5].

 

b) Veniamo poi al caso in cui la nuova legge entri in vigore dopo l’ordine di esecuzione e del contestuale decreto di sospensione, ma prima che il condannato abbia presentato istanza.

Si ritiene che anche in questo caso la legge applicabile sia quella precedente, dal momento che – come ha affermato la Corte di Cassazione nella già citata sentenza 39609/2019 – «una volta adottato il provvedimento di sospensione dell'esecuzione, con l'indicazione del termine di trenta giorni per la presentazione della domanda di benefici penitenziari  l'opzione ermeneutica, che facesse dipendere l'applicazione, o meno, della sopraggiunta normativa restrittiva dall'accidentale concatenazione temporale degli eventi alla sospensione posteriori, frustrerebbe la legittima aspettativa del condannato di usufruire, nella sua interezza, del termine a lui concesso».

 

c) Quanto, infine, ai condannati che stiano già espiando la pena in regime di misura alternativa, dottrina[6]e giurisprudenza[7]sono conformi nel ritenere vigente il principio di non regressione (o progressione) trattamentale, in base al quale le nuove restrizioni in materia di accesso ai benefici penitenziari non sono applicabili a chi – nel vigore della precedente normativa – abbia già dimostrato (ad es. per i permessi premi) o stia dimostrando (per la semilibertà) di partecipare proficuamente al percorso rieducativo e di risocializzazione.

Il principio – corollario della finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.) e del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) – è stato affermato per la prima volta dalla Corte Costituzionale con la sentenza 306/1993, che ha stabilito che non potevano essere revocate le misure alternative in corso di esecuzione al momento dell’entrata in vigore dell’art. 4 ord. penit., in assenza di condotte che denotassero una mancanza di meritevolezza[8].

La presunzione assoluta di pericolosità prevista dall’art. 4-bisord. penit. non sarebbe di fatto compatibile con condotte – in corso o passate – del reo che ne smentiscono la pericolosità stessa.

D’altra parte, anche considerazioni di applicabilità della legge processuale penale nel tempo – le stesse affrontate dalla sentenza – farebbero propendere per questa soluzione: il principio del tempus regit actum esclude il retroagire della nuova normativa e la rivalutazione dell’atto passato alla luce di nuovi criteri[9].

In definitiva, se si ritenesse di applicare il principio del tempus regit actum, l’interpretazione maggiormente coerente con il nostro sistema costituzionale sarebbe, a parere di chi scrive, quella che individuasse il tempus rilevante – nell’ambito del sub-procedimento esecutivo – nel giorno in cui è stata emessa la sentenza irrevocabile, in quanto unico parametro oggettivo al quale agganciare l’applicabilità della modifica normativa[10].

 

4. Le riflessioni svolte fino ad ora riguardano tuttavia soltanto una parte dei procedimenti interessati dalla modifica normativa. È invece nei confronti dei soggetti che, al momento dell’entrata in vigore della l. n. 3/2019, erano ancora imputati o indagati che si manifestano gli effetti più dirompenti dell’applicazione del principio del tempus regit actumIl termine actus, infatti, benché largamente inteso, non può giungere ad essere identificato con l’intero procedimento e nemmeno con una fase o grado di esso; altrimenti tutto il processo continuerebbe ad essere sempre regolato dalle norme vigenti nel momento della sua instaurazione, in palese contraddizione con il significato letterale dell’art. 11 disp. prel.[11].

È proprio quest’impossibilità di applicare il principio del tempus regit actum in un’ottica di favor rei che ha portato diversi autori ad interrogarsi circa l’opportunità di considerare sostanziali le norme di esecuzione penitenziaria, così da rendere operante anche con riferimento ad esse il principio di irretroattività in malam partem.

Il problema si è configurato ogniqualvolta l’art. 4-bis ord. penit. è stato ampliato con l’inclusione di nuove fattispecie[12], ma in questo caso il dibattito è stato particolarmente acceso.

La ratiodel principio di irretroattività in malam partem della legge penale è quella di consentire al cittadino di conoscere le conseguenze delle proprie azioni: non solo se dal suo comportamento possa derivare una responsabilità penale, ma anche in quali sanzioni egli possa incorrere. Il principio è condizione necessaria per garantire la libera autodeterminazione individuale, anche in termini di calcolabilità delle conseguenze giuridico-penali della condotta e di prevedibilità della pena[13] – sono dunque soggette al divieto di applicazione retroattiva tutte le modifiche alla misura e al genus della pena prevista per una determinata fattispecie penale.

Che dire, allora, di un soggetto che al momento della commissione del reato poteva ragionevolmente aspettarsi di espiare la pena in regime di misura alternativa e che, una volta condannato (o, addirittura, dopo aver patteggiato[14]), ne viene escluso in forza di una legge entrata in vigore successivamente? Non si pone anche in quest’ipotesi un problema di prevedibilità della sanzione? È evidente che l’esecuzione della pena in carcere invece che in libertà (pur in presenza di prescrizioni) costituisce una trasformazione ontologica della pena, non un semplice mutamento nelle modalità esecutive.

Al di là delle etichette, le misure alternative, modellando e attenuando il sistema delle sanzioni penali, sono assimilabili alle pene e, dunque, secondo autorevole dottrina[15], devono essere soggette al principio di irretroattività in malam partem previsto dall’art. 2 c.p. Tale orientamento è d’altronde conforme alla nozione sostanziale di materia penale adottata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Sul tema specifico, la Grande Camera nella sentenza Rio Prada c. Spagna (21 ottobre 2013) ha affermato che ai fini dell’applicazione del principio di irretroattività occorre far riferimento non solo alla pena irrogata ma anche alle sue modalità di esecuzione e ha riconosciuto una violazione dell’art. 7 CEDU nell’applicazione retroattiva di una modifica peggiorativa a un istituto assimilabile alla nostra liberazione anticipata. Anche se in quel caso il mutamento peggiorativo riguardava la durata della pena, si dovrebbe ritenere che il principio includa tutti i casi in cui da una modifica legislativa intervenuta nelle more del processo penale dipenda l’esecuzione della pena in carcere piuttosto che in regime extramurario.

La giurisprudenza si è finora assestata su posizioni coraggiose, sfidando il dogma formalistico e valorizzando la nozione convenzionale di “matière penale”, sia attraverso il meccanismo dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della l. 3/2019[16], sia sollevando questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 1, co. 6, lett. b), l. 3/2019, nella parte in cui non prevede una disciplina transitoria che escluda l’operatività della novella per fatti commessi prima della sua entrata in vigore[17].

La stessa Corte di Cassazione[18] ha manifestato un’apertura in questo senso, gettando le basi per un revirement giurisprudenziale, ritenendo che «non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l'avere il legislatore cambiato in itinere le ‘carte in tavola’ senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l'art. 7 CEDU e, quindi, con l'art. 117 Cost., là dove si traduce, per il [ricorrente], nel passaggio – ‘a sorpresa’ e dunque non prevedibile – da una sanzione patteggiata ‘senza assaggio di pena’ ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il già rilevato operare del combinato disposto degli artt. 656, comma 9 lett. a), cod. proc. pen. e 4-bis ord. penit.».

 

5. La parola passa ora alla Corte Costituzionale, che a febbraio esaminerà le questioni di legittimità costituzionale della l. 3/2019 sollevate dai giudici di merito[19]. In particolare, l’11 e il 12 febbraio sarà affrontato il tema del regime di diritto intertemporale della l. 3/2019: si auspica che possa essere l’occasione per chiarire una volta per tutte se alle norme in materia di esecuzione penitenziaria sia estensibile il principio di irretroattività in malam partem.

Il 25 e il 26 febbraio la Corte si pronuncerà invece sulla compatibilità dell’inserimento di alcuni delitti contro la p.a. nel catalogo di cui all’art. 4-bis della l. 354/1975 con il principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost.

 

 

[1] Vd. Cass., SS.UU., 17 luglio 2006, n. 24561, che ha confermato un principio già consolidato nella giurisprudenza dalla Suprema Corte, vd. Cass., Sez. I, 20 settembre 1995, n. 4421; Cass., Sez. I, 17 novembre 1996, n. 6297. Successivamente, vd. anche, ex multis, Cass., Sez. I, 3 febbraio 2016, n. 37578; Cass., Sez. I, 5 febbraio 2013, n. 11580; Cass., Sez. I, 9 dicembre 2009, n. 46924; Cass., Sez. I, 5 luglio 2006, n. 24767; Cass., Sez. I, 6 giugno 2006, n. 30792.

[2] La medesima impostazione era stata adottata anche dalla Corte di Appello di Napoli, Sez. II, con l’ordinanza 3 aprile 2019, Pres. Grassi, Rel. Grasso, vd. nota C. Cataneo, L’assenza di disciplina intertemporale della legge spazzacorrotti al vaglio della giurisprudenza di merito – commento a Corte App. Napoli, Sez. II, ord. 3 aprile 2019, Pres. Grassi, Rel. Grasso, inDir. Pen. Cont., 21 giugno 2019; nello stesso senso si esprimeva la Direttiva della Procura Generale di Reggio Calabria sui limiti temporali di applicazione ai condannati per delitti contro la p.a. dell'art. 4-bis o.p., come modificato dalla l. 3/2019, disponibile su Dir. pen. cont.

[3] O. Mazza, La legge processuale penale nel tempo, in Trattato di Procedura penale, diretto da G. Ubertis - G. P. Voena, I, Milano, Giuffrè, 1999, p. 129

[5] Per considerazioni simili si veda V. Alberta, L’introduzione dei reati contro la pubblica amministrazione nell’art. 4 bis, co. 1, OP: questioni di diritto intertemporale, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 2, p. 4; V. Manes, op. cit., p. 117.

[6] V. Alberta, op. cit., p. 5; C. Fiorio, Le disposizioni esecutive e penitenziarie, in Dir. Pen. Proc., 2006, n. 3, p. 320; V. Manes, op. cit., p. 117.

[7] Cass., sez. I, 27 giugno 2006, n.33634; Cass., sez. I, 19 dicembre 2006, n.37276; Cass., sez. I, ud. 08 maggio 2018, dep. 19 giugno 2018, n. 28390.

[8] La Corte Cost. ha successivamente ribadito il principio – e approfonditone le implicazioni – con le sentenze 504/1995, 445/1997, 137/1999, 257/2006, 79/2007, tutte in materia di rapporti tra benefici penitenziari e introduzione nell’art. 4-bis di nuove fattispecie di reato.

[9] O. Mazza, La carcerazione immediata dei corrotti: una forzatura di diritto intertemporale nel silenzio complice del legislatore, in Arch. pen. web, maggio-agosto 2019, n. 2, p. 4; F. Garofoli, L’efficacia della legge processuale nel tempo, in V. Garofoli (a cura di), Problematiche tradizionali e incaute innovazioni legislative, Giuffrè, 2006, p. 113.

[10] Nello stesso senso anche V. Alberta, op. cit., p. 4; C. Cataneo, op. cit.

[12] In materia di ampliamento del regime ostativo ai reati sessuali vd. F. Picozzi, L'ambito temporale di applicazione delle norme sui colloqui dei detenuti e degli internati, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1/2010, p. 59

[13] Vd. Corte Cost., 12 ottobre 2012, n. 230; nello stesso senso Corte Cost., 8 novembre 2006, n. 394; Corte Cost., 23 marzo 1988, n. 364.

[14] Vd. su un caso di patteggiamento Cass. Sez. VI, 14 marzo 2019, n. 12541, Ferraresi, con nota di G.L. Gatta, Estensione del regime ostativo ex art. 4 bis ord. penit. ai delitti contro la p.a.: la cassazione apre una breccia nell'orientamento consolidato, favorevole all'applicazione retroattiva , in Dir. pen. cont., 26 marzo 2019. 

[15] G.L. Gatta, op. cit., V. Manes, op. cit.; L. Baron, ‘Spazzacorrotti’, art. 4-bis ord. pen. e regime intertemporale, in Dir. pen. cont., 5/2019; D. Pulitanò, Tempeste sul penale. Spazzacorrotti e altro, in Dir. pen. cont., 26 marzo 2019; L. Masera, Le prime decisioni di merito in ordine alla disciplina intertemporale applicabile alle norme in materia di esecuzione della pena contenute nella cd. legge Spazzacorrotti– nota a Trib. Napoli, VII sez., 28 febbraio 2019 (dep. 1 marzo 2019); GIP Como, 8 marzo 2019, in Dir. Pen. Cont., 14 marzo 2019; O. Mazza, La carcerazione immediata dei corrotti: una forzatura di diritto intertemporale nel silenzio complice del legislatorecit.; V. Alberta, op. cit.; G. Trinti, op. cit.; M. Gambardella, Il grande assente nella nuova “legge spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen., 1/2019, doc. 1.5; C. Cataneo, op. cit.

[16] Vd. ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Como, 8 marzo 2019, disponibile su Dir. pen. cont., con nota di L. Masera, op. cit.

[17] Vd. ordinanze di rimessione alla Corte Cost. dell’art. 1, co. 6, lett. B) legge 3/2019, sollevate dal G.I.P. del Tribunale di Como, dal Tribunale di Napoli (ord. 2 aprile 2019, disponibile su Dir. Pen. Cont.), dalla Corte di Appello di Lecce (ord. 4 aprile 2019, disponibile su Dir. Pen. Cont.), dalla Corte di Appello di Reggio Calabria (ord. 10 aprile 2019, disponibile su Giur. Pen. Web), dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia (ord. 8 aprile 2019, disponibile su Dir. Pen. Cont.), dal Tribunale di Brindisi (ord. 30 aprile 2019, disponibile su Giur. Pen. Web) e, più recentemente, dalla Corte di Cassazione (Cass., sez. I, ord. 18 luglio 2019, ud. 18 giugno 2019, n. 31853).

[19] Vd. ord. 114/2019, ord. 115/2019, ord. 118/2019, ord. 119/2019, ord. 157/2019, ord. 160/2019, ord. 161/2019, ord. 193/2019, ord. 194/2019, ord. 210/2019, ord. 220/2019.