C. eur. dir. uomo, Sez. I, Giuliano Germano c. Italia, n. 10794/12, 22 giugno 2023
*Contributo pubblicato nel facicolo n. 7-8/2023.
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) del ricorrente, destinatario di un ammonimento del questore ex art. 8 d.l. n. 11/2009, misura di prevenzione amministrativa finalizzata a contrastare il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. (“stalking”). In particolare, secondo i giudici di Strasburgo la misura applicata nel caso di specie non poteva considerarsi “necessaria in una società democratica”.
Sebbene le ragioni che hanno portato alla condanna del nostro Stato derivino dalle specificità della concreta vicenda procedimentale, gli snodi motivazionali della sentenza contengono delle importanti riflessioni di carattere generale, inevitabilmente destinate ad avere un significativo impatto sull’interpretazione giurisprudenziale della disciplina vigente. Al riguardo, meritano di essere subito segnalati due principali profili. Da un lato, si afferma che l’autorità amministrativa deve assicurare all’interessato il diritto di essere ascoltato prima dell’adozione del provvedimento sfavorevole, potendosi derogare a tale diritto soltanto laddove sussistano specifiche ragioni di urgenza, di cui deve darsi conto nel caso concreto (infra, §4.3.1). Dall’altro lato, la Corte sembra affermare la necessità di meccanismi che rendano temporanea, e non perpetua, l’ammonizione stessa (rectius, i suoi effetti; infra, §4.3.3).
Tali prese di posizione, di respiro garantista, potrebbero dare adito ai rilievi critici di una parte degli operatori del diritto, data la delicatezza del fenomeno che fa da sfondo all’istituto in questione. È prova di ciò la severa concurring opinion del giudice italiano Raffaele Sabato, secondo cui, con questa sentenza, il diritto convenzionale avrebbe oggi compiuto “molti passi indietro nella protezione dei diritti umani nel contesto della violenza di genere”[1].
2. Poche brevi battute sulla vicenda procedimentale, prima di ripercorrere i principali snodi motivazionali della pronuncia.
Nel maggio del 2009, al culmine di una crisi coniugale, la sig.ra C.S. lasciava la casa familiare dove aveva fino ad allora vissuto con il sig. G.G. Pochi mesi dopo, la stessa presentava al questore di Savona una richiesta di ammonimento ex art. 8 d.l. n. 11/2009 nei confronti del marito, descrivendo una lunga serie di episodi di violenza fisica e verbale, nonché ulteriori comportamenti di carattere persecutorio[2]. A fronte di tale richiesta, la questura aveva provveduto a sentire diciassette persone informate sui fatti (art. 8, co. 2, d.l. n. 11/2009), tre delle quali avevano confermato alcuni degli episodi denunciati dalla presunta vittima. Ritenendo fondata la richiesta, il questore aveva quindi ammonito il sig. G.G.
Quest’ultimo proponeva ricorso al T.a.r. Liguria per ottenere l’annullamento del provvedimento amministrativo, considerato illegittimo per diverse ragioni, tra cui la mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, imposta in via generale dall’art. 7 l. n. 241/1990. Accogliendo tale motivo di ricorso, i giudici amministrativi avevano annullato l’ammonimento. Poiché tale misura di prevenzione determina un significativo pregiudizio per la reputazione, secondo il Tar il ricorrente avrebbe dovuto essere messo nelle condizioni di essere ascoltato. A tale regola generale si sarebbe potuto derogare – come previsto dallo stesso art. 7, co. 1, l. n. 241/1990 – solo in presenza di «particolari esigenze di celerità del procedimento», le quali però avrebbero dovuto trovare specifico riscontro nel provvedimento.
La sentenza del T.ar. Liguria veniva a sua volta impugnata dal Ministero dell’Interno e annullata dal Consiglio di Stato. Secondo i giudici di Palazzo Spada, il procedimento amministrativo in questione, essendo finalizzato a prevenire condotte di stalking, impone, per sua stessa natura, una risposta celere e immediata (onde evitare un’escalation di episodi violenti), lasciandosi così ricondurre nell’eccezione prevista in via generale dall’art. 7, co. 1, l. n. 241/90. Inoltre, la prerogativa del destinatario dell’ammonimento di far valere le proprie ragioni non poteva dirsi irrimediabilmente pregiudicata: egli avrebbe infatti potuto chiedere al questore di riesaminare l’ammonimento in autotutela, ovvero optare per un ricorso gerarchico davanti al prefetto (art. 1 ss. d.p.r. 1199/1971).
A fronte della conferma dell’ammonimento in sede di giustizia amministrativa, il sig. G.G. adiva la Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU)[3].
3. Prima di interrogarsi sulla sussistenza di una violazione dell’art. 8 CEDU, i giudici si soffermano anzitutto sulla riconducibilità dell’ammonimento del questore ex art. 8 d.l. n. 11/2009 tra le “ingerenze” nell’esercizio del diritto alla vita privata e familiare.
La sussunzione si rivela invero piuttosto agevole, complice la particolare ampiezza del concetto di “vita privata”, che, abbracciando aspetti come lo sviluppo dell’identità e delle relazioni con gli altri, non si lascia imbrigliare in precise definizioni[4].
A tal riguardo, due sono gli aspetti principalmente valorizzati dalla Corte. In primo luogo, si osserva che, presupponendo l’accertamento – sia pure in via soltanto indiziaria – di condotte penalmente rilevanti[5], l’ammonimento produce un effetto stigmatizzante e compromette la reputazione del destinatario, con possibili effetti negativi anche sulla sua vita professionale[6]. In secondo luogo, si pone l’accento sul possibile «chilling effect» che la misura di prevenzione può determinare sull’esercizio dei diritti protetti dall’art. 8 CEDU[7]. Nel caso di specie, l’invito rivolto al sig. G.G. di non tenere più condotte analoghe a quelle che avevano dato luogo all’ammonimento avrebbe infatti potuto dar luogo a un “raggelamento” dei suoi rapporti con la figlia, che coabitava con la sig.ra C.S., nonché con alcuni amici in comune[8].
Chiarito che l’ingerenza portata alla sua attenzione rientra nel perimetro applicativo dell’art. 8 CEDU, la Corte procede a vagliarne la legittimità alla stregua del consueto test condotto in questa materia, che impone di accertare: i) l’esistenza e il rispetto di una idonea base legale, che deve risultare appropriata (“quality of the law”); ii) la legittimità della finalità perseguita; iii) la necessità della misura in una società democratica[9].
4. L’indagine sul primo dei summenzionati parametri – i. e. l’esistenza e il rispetto di un’appropriata base legale – viene sviluppata analizzando separatamente tre diversi aspetti: i) il grado di delimitazione, da parte della legge domestica, del potere discrezionale demandato al questore nell’adozione della misura; ii) la precisione degli obblighi imposti al destinatario dell’ammonimento; iii) l’esistenza di meccanismi di tutela contro interferenze arbitrarie.
4.1. Il primo nodo viene sciolto osservando che, per ammonire un determinato soggetto ex art. 8 d.l. n. 11/2009, il questore deve pur sempre ricostruire – sebbene in via soltanto indiziaria – una condotta suscettibile di essere qualificata come “atti persecutori” ex art. 612-bis c.p. Invero, la fattispecie che giustifica l’ammonizione si distingue da quella che legittima l’irrogazione della pena soltanto sotto due profili: la non necessità della querela e il più basso “standard” probatorio[10]. Nessun disallineamento, invece, si avrebbe sul piano della condotta rilevante[11]. Così, considerato anche che il ricorrente non contestava la precisione della formulazione dell’art. 612-bis c.p., la Corte conclude che l’art. 8 d.l. n. 11/2009 delimiti in maniera sufficientemente chiara la discrezionalità conferita al questore[12].
4.2. Quanto al secondo profilo, i riflettori vengono puntati sul secondo comma dell’art. 8 d.l. n. 11/2009, ai sensi del quale, con l’ammonimento, il questore invita il destinatario «a tenere una condotta conforme alla legge». Nonostante la sua innegabile ampiezza, secondo i giudici di Strasburgo tale formulazione permette all’ammonito di individuare le condotte proscritte. Ciò in quanto – diversamente da come si era rilevato, con la nota sentenza de Tommaso c. Italia, a proposito dell’obbligo di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi” contemplato dall’art. 8, co. 4, d.lgs. n. 159/2011[13] – non si ha qui un illimitato richiamo a tutto l’ordinamento italiano: dal momento che l’ammonimento è finalizzato a prevenire la commissione di atti persecutori, la formula utilizzata non può che alludere ai soli comportamenti suscettibili di integrare la fattispecie tipica di cui all’art. 612-bis c.p. è la finalità della misura, in definitiva, a consentire al soggetto di individuare i comportamenti dai quali è chiamato ad astenersi e che, se commessi, farebbero scattare le conseguenze negative dell’ammonimento, vale a dire la procedibilità d’ufficio del delitto di atti persecutori e l’applicabilità di una circostanza aggravante (art. 8, co. 3-4, d.l. n. 11/2009).
4.3. Infine, allo scopo di valutare l’esistenza – sul piano della disciplina astratta – di meccanismi di tutela contro interferenze arbitrarie, la Corte prende in considerazione tre diversi profili della regolamentazione dell’ammonimento: i) il diritto dell’interessato di essere sentito prima dell’irrogazione della misura; ii) l’esistenza di un effettivo controllo giurisdizionale (judicial review); iii) la durata della misura.
4.3.1. Particolarmente accentuata è l’enfasi che i giudici pongono sul diritto di partecipare al procedimento, e più precisamente sul diritto di essere ascoltato prima dell’adozione di un provvedimento sfavorevole: si tratterebbe infatti di una regola basilare negli Stati democratici, che trova riconoscimento non solo nei riti di carattere giurisdizionale, ma anche in quelli di natura amministrativa[14]. Inoltre, nella materia di nostro interesse, viene in rilievo la specifica previsione di cui all’art. 53 della Convenzione di Istanbul. Nel disciplinare le “ordinanze di ingiunzione o di protezione” – quale può essere considerato l’ammonimento del questore –, tale disposizione ammette che le stesse, “ove necessario”, siano “disposte ex parte con effetto immediato”[15]. Ebbene, secondo la Corte, dal tenore della disposizione si ricaverebbe che la necessità di adottare dei “restraining or protection orders” inaudita altera parte andrebbe valutata tenendo conto delle circostanze del caso concreto, lettura che risulterebbe peraltro avallata dall’Explanatory Report allegato alla Convenzione di Istanbul[16].
Tanto premesso, i giudici volgono lo sguardo alla disciplina legislativa dell’ammonimento del questore, al fine di stabilire se la stessa assicuri al soggetto interessato il diritto di essere ascoltato in maniera coerente con le fonti sovranazionali. Come si è visto retro, nella vicenda de qua il Consiglio di Stato – prendendo le distanze dalla posizione adottata del T.a.r. Liguria – aveva sostenuto che il procedimento amministrativo in questione sia di per sé caratterizzato da particolari esigenze di celerità, sicché il questore non sarebbe tenuto a indicare, di volta in volta, le ragioni che si oppongono alla comunicazione di avvio del procedimento disciplinato dall’art. 7 l. n. 241/1990. Tuttavia, per i giudici di Strasburgo tale orientamento interpretativo può ormai considerarsi minoritario. La prevalente giurisprudenza amministrativa avrebbe infatti oggi assunto una posizione più garantista, secondo cui il questore potrebbe omettere la comunicazione di avvio del procedimento soltanto in ragione delle circostanze concrete e indicando le specifiche ragioni che impongono celerità nell’adozione dell’ammonimento, come per esempio il rischio della commissione di condotte illecite a danno della vittima[17]. Tenendo conto di questa più recente elaborazione giurisprudenziale, ad avviso dei giudici la disciplina dell’ammonimento del questore risulta compatibile con l’art. 8 CEDU: la necessità di individuare nel caso concreto le specifiche esigenze che si oppongono alla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/90 assicurerebbe un “fair balance” tra il diritto di essere ascoltato e le finalità preventive[18].
4.3.2. La disciplina italiana riceve una valutazione positiva anche rispetto al secondo dei summenzionati profili, vale a dire la previsione di un adeguato controllo giurisdizionale (judicial review)[19]. In base alla giurisprudenza del Consiglio di stato, il vaglio condotto da parte dei giudici amministrativi può infatti considerarsi effettivo, dovendo vertere sulla sussistenza di un quadro fattuale idoneo a supportare l’ammonimento e sulla motivazione dello stesso[20].
4.3.3. Criticità sono state invece riscontrate in relazione alla durata dell’ammonimento. In estrema sintesi, i profili problematici dell’attuale disciplina sarebbero i seguenti: i) la mancata previsione di un termine di durata degli effetti che conseguono all’ammonimento; ii) l’inesistenza di una procedura di controllo periodico sui presupposti legittimanti l’ammonimento; iii) la ritenuta assenza di un obbligo di provvedere, da parte dell’autorità amministrativa, sulle richieste di revoca in autotutela dei provvedimenti; iv) la qualificazione, operata da una parte della giurisprudenza amministrativa, dell’ammonimento quale provvedimento “istantaneo”, come tale radicalmente insuscettibile di essere revocato ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990[21]; v) l’orientamento della Corte di cassazione secondo cui, anche laddove l’ammonimento venisse revocato da parte dell’autorità amministrativa, rimarrebbero impregiudicati i suoi effetti[22].
Secondo i giudici di Strasburgo, un siffatto quadro normativo, che non prevede né un termine di durata della misura, né la possibilità di ottenere una revoca della stessa, pone seri dubbi di compatibilità con l’art. 8 CEDU[23]. Non solo: esso si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 53 §2 della Convenzione di Istanbul, la cui formulazione (“le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le ordinanze di ingiunzione o di protezione […] siano […] emesse per un periodo specificato o fino alla loro modifica o revoca”) sottenderebbe la necessaria provvisorietà dei protection orders[24].
Da queste premesse, la conclusione per cui la disciplina italiana non fornirebbe all’ammonimento un’adeguata base giuridica sembrava scontata. Tuttavia, la Corte non si è spinta ad affermare tanto: date le conclusioni cui si è giunti nel valutare la “necessità in una società democratica” della misura concretamente applicata, secondo i giudici di Strasburgo non vi era bisogno di stabilire se, in sé considerata, la perpetuità dell’ammonimento privi la base legale della misura della “qualità” imposta dalla CEDU[25].
5. Come prevedibile, particolarmente rapida e priva di incertezze si è invece rivelata la valutazione sulla legittimità della finalità perseguita con l’ammonimento del questore. Tale misura è infatti protesa alla salvaguardia di interessi di preminente rilievo, quali la prevenzione dei reati, la tutela della salute e di altri diritti, nonché il contrasto alla violenza domestica e contro le donne, oggetto della Convenzione di Istanbul.
6. Ben più articolati sono invece gli snodi motivazionali riguardanti l’ultimo gradino del test, rappresentato dalla “necessità della misura in una società democratica”. È qui che, come già accennato (supra, §1), la Corte ha riscontrato la violazione delle garanzie di cui all’art. 8 CEDU.
Tre le ragioni per le quali, nel caso di specie, l’ammonimento ricevuto dal ricorrente è stato reputato non necessario e sproporzionato.
Anzitutto, rileva il fatto che il questore, senza indicare le ragioni di urgenza ricorrenti nel caso concreto, non aveva fornito al ricorrente la possibilità di essere ascoltato prima dell’ammonimento. Tale violazione, peraltro, non aveva neppure ricevuto una “independent review” da parte dei giudici del Consiglio di Stato, questi ultimi avendo ritenuto che l’urgenza fosse in re ipsa nella tipologia procedimentale[26]. D’altra parte, secondo la Corte la sussistenza di un’emergenza sembrava sconfessata dal fatto che, nelle due settimane successive alla richiesta di ammonimento, la polizia aveva sentito diverse persone informate sui fatti, “e non si vede per quale ragione le autorità nazionali non avrebbero potuto ascoltare anche il ricorrente”[27].
In secondo luogo, ad avviso dei giudici l’autorità amministrativa non aveva indicato in maniera esaustiva le ragioni poste a fondamento dell’ingerenza nella vita privata e familiare del ricorrente. Da un lato, gli episodi ritenuti rilevanti erano stati descritti in maniera generica. Dall’altro lato, non si era dato conto del fatto che le dichiarazioni della maggior parte delle persone sentite dalla polizia non avevano corroborato le accuse mosse dalla sig.ra C.S.[28]
Infine, il ricorrente non aveva beneficiato di un effettivo controllo giurisdizionale sui presupposti legittimanti l’ammonimento. Il T.a.r. Liguria aveva infatti annullato il provvedimento amministrativo per un vizio di carattere procedimentale, mentre il Consiglio di Stato, dal canto suo, si era limitato ad affermare genericamente che le indagini disposte dal questore avevano corroborato le affermazioni contenute nella richiesta presentata dalla sig.ra C.S. Così facendo, i giudici nazionali non avevano garantito un “sufficient judicial review” sulla legittimità e sulla proporzionalità dell’ammonimento[29].
7. Sebbene la violazione dell’art. 8 CEDU sia stata accertata all’unanimità, la sentenza in epigrafe contiene un’articolata separate opinion del giudice Raffaele Sabato, che, pur condividendo l’esito raggiunto dalla maggioranza (si tratta di una concurring opinion), assume una posizione per diversi aspetti profondamente dissenziente. Al punto che, come già accennato, ad avviso del giudice italiano i principi affermati dalla Corte segnerebbero “diversi passi indietro nel contrasto alla violenza di genere”.
Il primo motivo di dissenso si lascia efficacemente riassumere nell’esclamazione “victims count!”, ripetuta per quattro volte nel testo della concurring opinion[30]. Secondo il giudice, la maggioranza non avrebbe dato il doveroso peso alla richiesta di ammonimento presentata dalla sig.ra C.S., la quale descriveva in maniera particolarmente puntuale e dettagliata una lunghissima serie di condotte violente e prevaricatorie asseritamente commesse dal ricorrente prima e dopo la separazione[31]. Le sue dichiarazioni non potevano essere trascurate o considerate alla stregua di una qualsiasi “versione dei fatti” priva di rilievo se non corroborata da conferme esterne, anche perché, quando si ha a che fare con la violenza domestica e contro le donne, il racconto della presunta vittima è spesso l’unica fonte di conoscenza a disposizione delle autorità[32]. Di qui la conseguenza che il provvedimento del questore, facendo rimando alla richiesta della sig.ra C.S., che era a disposizione del ricorrente, non poteva considerarsi affetto da carenza motivazionale.
Il secondo motivo di dissenso, connesso al primo, si appunta sull’eccessiva valorizzazione delle dichiarazioni delle persone informate sui fatti che non avevano fornito spunti di conferma alle dichiarazioni della sig.ra C.S. Invero, le prove andrebbero “pesate”, più che “contate” (“testes ponderantur, non numerantur”)[33].
Una significativa divergenza si ha poi rispetto alle considerazioni svolte dalla maggioranza dei giudici in relazione alla durata indeterminata dell’ammonimento. Nella concurring opinion si sostiene infatti che non vi sarebbe ragione per ritenere illegittime “ordinanze di ingiunzione” perpetue: neppure l’art. 53 §2 della Convenzione di Istanbul depone in questo senso, prevedendo anzi che le stesse possano essere emesse “per un periodo specificato […] o fino alla loro […] revoca”[34].
Infine, viene criticato il principio affermato nella main opinion a proposito “diritto di essere ascoltato”. Secondo il giudice Sabato, nulla si opporrebbe a una disciplina dell’ammonimento che, a prescindere dalle circostanze del caso concreto, disconosca in ogni caso il diritto di essere ascoltato prima dell’adozione del provvedimento amministrativo. Due, in particolare, gli argomenti valorizzati in tal senso. In primo luogo, si pone l’accento sulla complessità e sulla delicatezza del contesto della violenza di genere, osservando che l’ascolto del soggetto interessato prima dell’ammonizione potrebbe aprire la strada a una escalation di comportamenti violenti nei confronti della vittima ovvero intimidatori verso le persone informate sui fatti[35]. In secondo luogo, si osserva che – diversamente da quanto sostenuto nella main opinion – nessuna disposizione, né alcun precedente giurisprudenziale, riconosce in termini assoluti, nell’ambito dei procedimenti amministrativi, il diritto di essere ascoltato prima dell’adozione del provvedimento sfavorevole[36]. Né una siffatta garanzia potrebbe farsi discendere dall’art. 53 §2 della Convenzione di Istanbul: nell’ammettere l’adozione di ordinanze di ingiunzione inaudita altera parte “ove necessario” («where necessary»), la norma non impone di ravvisare un’“urgenza” nel caso concreto e non preclude che la valutazione di “necessità” sia effettuata dal legislatore in astratto, in ragione della gravità del fenomeno da contrastare[37].
L’unico punto su cui il giudice italiano si trova concorde con la maggioranza riguarda l’ineffettività del controllo giurisdizionale effettuato dai giudici amministrativi nel caso di specie, garanzia che peraltro assume particolare importanza proprio a fronte del mancato riconoscimento del diritto di essere ascoltato prima dell’adozione dell’ammonimento[38]. È soltanto su questa base che anche la concurring opinion giunge a riscontrare una violazione delle garanzie imposte dall’art. 8 CEDU.
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8. Sebbene la “base legale” dell’ammonimento ex art. 8 d.l. n. 11/2009 abbia oggi superato l’analitico vaglio di compatibilità con l’art. 8 CEDU condotto dai giudici di Strasburgo, la sentenza in commento pare destinata a determinare il consolidamento di taluni orientamenti giurisprudenziali ad oggi invero non del tutto assestati.
9. Il preminente rilievo assegnato al diritto di essere ascoltato prima dell’adozione di un provvedimento amministrativo sfavorevole – a quanto ci consta inedito nel panorama giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo – non lascia spazio a dubbi di sorta: eventuali ammonimenti disposti inaudita altera parte a prescindere dalla sussistenza di specifiche ragioni di urgenza nel caso concreto rappresenterebbero altrettante violazioni dell’art. 8 CEDU ed esporrebbero il nostro ordinamento a ulteriori condanne. Di qui dovrebbe derivare il definitivo abbandono di quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la misura dell’ammonimento si sottrarrebbe di per sé alla garanzia della comunicazione di avvio del procedimento.
Difficile dire se a questo passo in avanti sul piano della tutela della vita privata e familiare corrisponda davvero uno speculare, e indesiderabile, passo indietro nel contrasto alla violenza di genere. L’allarme lanciato dal giudice Sabato potrebbe invero risultare stemperato dalla considerazione di due elementi: da un lato, la perdurante possibilità del questore di procedere senza comunicazione di avvio del procedimento in base all’eccezione prevista in via generale dall’art. 7 l. n. 241/1990; dall’altro lato, la limitatissima efficacia specialpreventiva della misura in questione – da alcuni definita “risibile”[39] – che non può non condizionare le valutazioni sulla necessità di una sua applicazione “a sorpresa”. Si tratta ad ogni modo di una tematica delicata e complessa, a cui gli interpreti si approcciano anche con nozioni e considerazioni di stampo prettamente criminologico, e su cui pertanto non è possibile soffermarsi adeguatamente in questa sede. Un tangibile esempio di tale complessità è rappresentato dal fatto che l’attenta preoccupazione espressa dal giudice italiano, secondo cui l’invito a essere sentito prima dell’ammonimento potrebbe generare un’escalation di violenza, in dottrina è stata formulata, esattamente negli stessi termini, anche per l’ammonimento stesso[40].
10. Ricadute sugli orientamenti della giurisprudenza amministrativa potrebbero altresì scaturire dalle censure – invero meno nette rispetto alla precedente – mosse alla “perpetuità” dell’ammonimento. Dalle osservazioni della Corte emerge che tale carenza nella disciplina della misura di prevenzione potrebbe essere fronteggiato con una pluralità di meccanismi (cfr. supra, 4.3.3). Ciascuno di essi, però, ci sembra presupponga il superamento dell’orientamento secondo cui la misura de qua sarebbe “istantanea”, e come tale insuscettibile di “cessazione”. La sentenza in commento, allora, potrebbe determinare la renaissance di quel filone giurisprudenziale secondo cui il provvedimento di ammonimento è suscettibile di revoca ex nunc in quanto produce degli «effetti durevoli», rappresentati dalla procedibilità d’ufficio per il delitto di atti persecutori e dalla previsione di una circostanza aggravante (art. 8, co. 3-4, d.l. n. 11/2009)[41].
11. Sebbene messo in ombra da snodi motivazionali assai articolati, a nostro avviso la sentenza offre un ulteriore interessante spunto di riflessione, concernente i presupposti dell’ammonimento.
Come si è detto (supra, §4.1), l’esistenza di un’appropriata base legale è stata riconosciuta anche in ragione del fatto che la misura dell’ammonimento presuppone la ricostruzione (sia pure in via soltanto indiziaria) della medesima condotta punibile ai sensi dell’art. 612-bis c.p. Si tratta, a nostro avviso, dell’unica lettura compatibile con il dato letterale: nel prevedere che la richiesta di ammonimento può essere avanzata «[f]ino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale», l’art. 8, co. 1, d.l. n. 11/2009 sembra in effetti presupporre l’avvenuta consumazione del reato. E tuttavia, si deve osservare che tale dato non può dirsi del tutto pacifico tra gli interpreti: valorizzando la natura preventiva dell’ammonimento, vi è infatti chi ne ha affermato l’applicabilità anche al fine di evitare la consumazione del reato, e cioè in un momento antecedente ad essa[42]. Si deve allora concludere che una siffatta declinazione della misura di prevenzione – a nostro avviso, lo ripetiamo, in contrasto con la littera legis – sarebbe sicuramente e inevitabilmente in contrasto con la “quality of the law” imposta dall’art. 8 CEDU? Tale conclusione ci sembrerebbe frettolosa, considerando che da più parti si ammette la configurabilità del tentativo di atti persecutori[43], ciò che presupporrebbe il rispetto del principio di legalità anche da parte di questa fattispecie.
12. Infine, segnaliamo che i principi affermati nella sentenza sembrano riferibili non solo all’ammonimento del questore, ma anche ad altre misure amministrative capaci di interferire con il diritto alla vita privata e familiare. A ben vedere, le considerazioni svolte dai giudici di Strasburgo non poggiano soltanto su specifiche disposizioni della Convenzione di Istanbul (riferibili solo agli strumenti di lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), ma, più in generale, prendono l’abbrivio direttamente dai corollari dell’art. 8 CEDU. Così, la sentenza in commento potrebbe rappresentare un punto di riferimento per una lettura convenzionalmente orientata anche di altre misure di prevenzione, come ad esempio l’avviso orale di cui all’art. 3 d.lgs. n. 159/2011, che, come messo in luce dalla dottrina[44], ha una fisionomia molto simile a quella dell’ammonimento del questore.
[1] Cfr. p. 41 ss. della sentenza in commento, concurring opinion of Judge Sabato, la cui introduzione è intitolata «several steps backwards in human-rights protection in the context of gender-based violence».
[2] Per una puntuale ricostruzione delle allegazioni della vittima cfr. la concurring opinion del giudice Raffaele Sabato, in particolare pp. 43-46 della sentenza in commento.
[3] Invero, il ricorrente aveva invocato, a sostegno delle proprie ragioni, anche l’art. 6 §1 CEDU (diritto a un equo processo), ma la Corte ha ritenuto che le censure mosse ricadessero tutte nel perimetro dell’art. 8 CEDU, il quale, pur non facendo esplicita menzione di requisiti di carattere procedimentale, impone che la misura limitativa del diritto al rispetto della vita privata e familiare sia adottata all’esito di un equo “decision-making process” (cfr. §58 della sentenza in commento). Più precisamente, secondo il ricorrente: i) la disciplina dell’ammonimento non rappresenterebbe una “base legale” dotata della “qualità” imposta dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo; ii) i divieti scaturenti dal provvedimento amministrativo erano eccessivamente ampi e generici; iii) il legislatore non avrebbe messo a punto garanzie contro provvedimenti arbitrari; iv) non gli era stato assicurato il diritto di partecipare al procedimento e proteggere adeguatamente i propri interessi; v) non ricorrevano ragioni sufficienti per giustificare la misura; vi) i tribunali nazionali non avevano condotto un adeguato vaglio giurisdizionale.
[4] Cfr. §§ 73-74 della sentenza in commento.
[5] Sul punto cfr. anche quanto si rileverà infra, §11.
[6] Cfr. §§ 77, 79 della sentenza in commento.
[7] Cfr. §80 della sentenza in commento. Su tale anglicismo e sul suo significato cfr. il recente contributo di A. Galluccio, voce Chilling effect, in Studi in onore di Carlo Enrico Paliero, C. Piergallini – G. Mannozzi – C. Sotis – C. Perini – M. Scoletta – F. Consulich (a cura di), Giuffrè, Milano, 2022, p. 1262 ss.
[8] Cfr. §78 della sentenza in commento.
[9] In generale, sul test condotto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per accertare le violazioni dell’art. 8 CEDU cfr. A. Galluccio, sub art. 8. Parte I. Profili generali sugli art. 8-11, in Aa. Vv., Corte di Strasburgo e giustizia penale, G. Ubertis – F. Viganò (a cura di), Giappichelli, Torino, 2022, p. 322 ss. Come ricorda l’Autrice, per risultare “necessaria” la limitazione del diritto deve corrispondere a un pressante bisogno sociale e deve essere proporzionata rispetto alla finalità legittima perseguita.
[10] Cfr. §30 della sentenza in commento.
[11] Cfr. §28 della sentenza in commento, ove si richiama Cons. Stato Sez. III, 4 giugno 2020 (25 giugno 2020), n. 4077; Cons. Stato Sez. III, 12 marzo 2015 (dep. 25 maggio 2015), n. 2599.
[12] Cfr. §103 della sentenza in commento.
[13] Cfr. Corte EDU, Grande Camera, 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, in Dir. pen. cont., 3 marzo 2017, con nota di F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali. Con questo famoso arresto, i giudici di Strasburgo, tra le altre cose, avevano osservato che le prescrizioni menzionate nel testo sono formulate in termini “estremamente vaghi e indeterminati”.
[14] Cfr. §112: «[a]s to the individual’s participation rights, the Court reiterates that the right to be heard increasingly appears as a basic procedural rule in democratic States, above and beyond judicial procedures». Tra le fonti sovranazionali vengono in particolare richiamati: l’art. 41 §2(a) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ai sensi del quale il “diritto ad una buona amministrazione” comprende «il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio»; l’art. 1 della risoluzione (77)31 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sulla protezione dell’individuo in relazione agli atti delle autorità amministrative, rubricato “right to be heard”; l’art. 8 della raccomandazione CM/Rec(2007)7 del Comitato dei ministri in materia di buona amministrazione, che sancisce il “principle of participation”.
[15] Cfr. art. 53, co. 2, Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence, Istanbul, 11 maggio 2011: «Parties shall take the necessary legislative or other measures to ensure that the restraining or protection orders referred to in paragraph 1 are: […] where necessary, issued on an ex parte basis which has immediate effect».
[16] Cfr. Explanatory Report to the Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence, Istanbul, 11 maggio 2011, §272: «[t]he third indent requires Parties to ensure that in certain cases these orders may be issued, where necessary, on an ex parte basis with immediate effect» (enfasi aggiunta).
[17] Cfr. §§ 39-40 della sentenza in commento, ove si richiamano Cons. Stato Sez. III, 21 marzo 2019 (dep. 29 marzo 2019), n. 2108; Cons. Stato Sez. III, 15 maggio 2018 (dep. 9 luglio 2018), n. 4187; Cons. Stato Sez. III, 9 ottobre 2014 (dep. 9 dicembre 2014), n. 6038; Cons. Stato Sez. III, 15 luglio 2011 (dep. 21 ottobre 2011), n. 5676.
[18] Cfr. §116 della sentenza in commento.
[19] Cfr. §118 della sentenza in commento.
[20] Cfr. §41 della sentenza in commento, ove si richiama Cons. Stato Sez. III, 15 luglio 2011 (dep. 21 ottobre 2011), n. 5676.
[21] Cfr. T.a.r. Liguria, Genova, Sez. I, 22 luglio 2022 (dep. 3 ottobre 2022), n. 826, §2.1 dei “motivi della decisione”: «[…] l’ammonimento questorile è un provvedimento ad efficacia istantanea e, come tale, non passibile di revoca. […] l’effetto tipico dell’atto è un rimprovero, che si produce e si esaurisce istantaneamente nel momento in cui viene mosso».
[22] In questo senso Cass. pen. Sez. V, 3 giugno 2021 (dep. 16 settembre 2021), n. 34474, CED 281771.
[23] Cfr. §120 della sentenza in commento.
[24] Cfr. §120 della sentenza in commento.
[25] Cfr. §120 della sentenza in commento.
[26] Cfr. §129.
[27] Tale osservazione, oggetto di severa critica da parte del giudice Raffaele Sabato, si rinviene al §130 della sentenza in commento: «[…] indeed, in those two weeks the police authorities heard the testimonies of seventeen different individuals mentioned by the applicant’s wife in her request […]. The Court sees no reason why the domestic authorities could have not heard the applicant as well».
[28] Cfr. §§135-137 della sentenza in commento.
[29] Cfr. §§138-143 della sentenza in commento.
[30] L’attenzione che il giudice riserva alla dignità della vittima è peraltro manifestata anche dalla scelta di indicare la denunciante utilizzando le iniziali del suo nome, anziché con la formula “la moglie del ricorrente”, che invece compare nella main opinion, cfr. p. 42, nota 3 della concurring opinion.
[31] Cfr. §7 ss. della concurring opinion.
[32] Cfr. §6.
[33] Cfr. §16 ss. della concurring opinion.
[34] Cfr. §§31-33 della concurring opinion, oves si richiama anche il §271 dell’Explanatory Report, cit.: «[t]he second indent calls for the order to be issued for a specified or a determined period or until modified or discharged. […] Furthermore, it shall cease to be in effect if changed or discharged by a judge or other competent official» (enfasi aggiunta).
[35] Cfr. §40 della concurring opinion.
[36] Cfr. §41 della concurring opinion.
[37] Cfr. §§44-45 della concurring opinion.
[38] Cfr. §§51-52.
[39] Così A. Cadoppi, Efficace la misura dell’ammonimento del questore, in Guida dir., n. 19/2019, p. 52 ss.
[40] Cfr. G. Montanara, voce Atti persecutori, in Enc. dir., 2013, p. 73, secondo il quale, «all’opposto delle finalità perseguite dalla norma, l’ammonimento di polizia potrebbe incentivare l’aggressività del persecutore, anziché interromperla»
[41] In questo senso cfr. T.a.r. Trentino-Alto Adige, Trento, Sez. I, 25 febbraio 2021 (dep. 1 marzo 2021), n. 28, §12.
[42] Cfr. ad esempio A. Elif Dini, Ammonimento del questore e violenza di genere: un anello debole nella catena protettiva?, in questa Rivista, n. 20/2022, p. 80: «[s]i parla, dunque, di una misura di prevenzione che interviene prima del momento in cui la serie di condotte realizzate dall’agente ne acquisti i connotati di un reato, potendo poggiare su fatti che non hanno ancora raggiunto i crismi della tipicità»; p. 82: «i comportamenti descritti dalla fattispecie penale posti in essere dall’agente, potrebbero integrare la soglia del reato ovvero precederla». In giurisprudenza, un margine di ambiguità si rinviene in Cons. Stato, Sez. III, 4 giugno 2020 (25 giugno 2020), n. 4077, §4 dei “motivi della decisione”: «l’ammonimento della questura è un provvedimento discrezionale chiamato ad effettuare una delicata valutazione delle condotte poste in essere dal “potenziale stalker” in funzione preventiva e dissuasiva» (enfasi aggiunta).
[43] Cfr. A. Valsecchi, sub art. 612-bis c.p., in Codice penale commentato, E. Dolcini – G. L. Gatta (diretto da), Wolters Kluwer, Milano, 2021, p. 1927. In questo senso, di recente, Cass. pen. Sez. V, 6 ottobre 2020 (dep. 18 gennaio 2021), n. 1943, in Sist. pen., 2 marzo 2021, con nota di M. T. Filindeu, La Cassazione sulla configurabilità del tentativo di atti persecutori.
[44] Lo mette in luce F. Basile, La tutela delle donne dalla violenza dell’uomo: dal Codice Rocco… al Codice rosso, in Dir. pen. uomo, 20 novembre 2019, p. 6. Va peraltro segnalato che la necessità della comunicazione di avvio del procedimento volto all’emanazione dell’avviso orale è già stato riconosciuto dalla giurisprudenza; sul punto cfr. E. Mariani, Prevenire è meglio che punire. Le misure di prevenzione personali tra accertamento della pericolosità e bilanciamento di interessi, Giuffrè, Milano, 2021, p. 118, cui si rinvia anche per gli opportuni riferimenti.