Cass. pen. Sez. sez. IV, 9 maggio 2023, n. 32357, pres. Ciampi, rel. Bellini
*Contributo pubblicato nel fascicolo 10/2023.
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione ha escluso che il giudice, in sede di “patteggiamento” (art. 444 ss. c.p.p.), possa applicare d’ufficio una pena sostitutiva ex art. 53 ss. l. n. 689/1981 in luogo della pena detentiva breve negoziata dalle parti.
Si tratta di una presa di posizione di sicuro interesse, in quanto investe un dubbio interpretativo attuale, già attentamente messo in luce in dottrina[1]. Eppure, l’incedere argomentativo dei giudici di legittimità non sembra capace di dissipare i dubbi manifestati dagli interpreti, avendo mancato di confrontarsi con la nuova formulazione dell’art. 53 l. n. 689/1981, cioè col vero “pomo della discordia”.
2. La vicenda procedimentale su cui la Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi si lascia riassumere in poche battute.
Su richiesta delle parti, il giudice aveva applicato una pena detentiva pari a dieci mesi di reclusione, oltre a una multa di duemila euro, per un episodio di detenzione di sostanze stupefacenti destinate allo spaccio.
Contro la sentenza veniva proposto ricorso per cassazione da parte dell’imputato, il quale lamentava di non aver ricevuto l’avviso previsto dal nuovo art. 545-bis c.p.p. e, conseguentemente, di non essere stato messo nelle condizioni di ottenere la sostituzione della pena detentiva patteggiata con una delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689/1981. Sebbene l’accordo col pubblico ministero fosse stato raggiunto prima dell’entrata in vigore della “riforma Cartabia”, l’udienza si era tenuta in epoca successiva, e pertanto – secondo il ricorrente – il giudice avrebbe dovuto darvi applicazione. Ciò anche in quanto la riforma ha implementato il novero delle pene sostitutive aggiungendovi il lavoro di pubblica utilità, che le parti non avevano potuto tenere in considerazione nella propria attività “negoziale”.
3. La suddetta doglianza è stata tuttavia respinta dai giudici di legittimità, che hanno rigettato il ricorso. Secondo la Corte di cassazione, infatti, l’avviso di cui al primo comma dell’art. 545-bis c.p.p. deve essere fornito soltanto nel procedimento ordinario[2], non anche in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, come risulta confermato sia dal tenore della disposizione, sia dalla sua collocazione nel libro VII del codice di rito[3].
Tale conclusione sarebbe peraltro avvalorata dal nuovo comma 1-bis dell’art. 448 c.p.p., il quale, in relazione al caso in cui le parti abbiano concordato l’applicazione di una pena sostitutiva, rinvia al solo secondo comma dell’art. 545-bis c.p.p.[4]
Dalle coordinate normative appena menzionate si ricaverebbe dunque che, nella disciplina del c.d. patteggiamento, l’applicazione delle pene sostitutive non può dipendere da un’iniziativa del giudice, ma è rimessa all’«accordo negoziale dei contraddittori»[5].
Né, ad avviso dei giudici di legittimità, si può dire che l’imputato sia stato pregiudicato dall’aver raggiunto l’accordo con il pubblico ministero prima dell’entrata in vigore della “riforma Cartabia”. Alla luce della sopravvenienza normativa favorevole, infatti, ben avrebbe potuto l’imputato, prima della pronuncia ex art. 448 c.p.p., revocare il consenso già prestato e intraprendere un nuovo “negoziato” con l’accusa[6].
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4. Come anticipato (supra, §1), il tratto saliente della sentenza appena brevemente illustrata si lascia rinvenire nell’esclusione della sostituibilità della pena detentiva breve “patteggiata” dalle parti con una delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689/1981.
Soffermandosi soltanto sull’approdo, la pronuncia de qua potrebbe apparire di non particolare interesse. Invero, sebbene una parte della dottrina, invocando il favor libertatis, si sia schierata a favore della sostituibilità officiosa della pena detentiva breve concordata dalle parti[7], la giurisprudenza prevalente è da tempo orientata nel senso oggi ribadito[8]. In più occasioni si è infatti affermato che, consentendo la sostituzione officiosa della pena pattuita dalle parti, si tradirebbe la stessa logica negoziale sottesa al procedimento di cui agli artt. 444 ss. c.p.p., la quale esige che al giudice si consenta «esclusivamente di ratificare ovvero di negare la propria ratifica ai termini concordati tra le parti»[9]. Da questo punto di vista, dunque, la sentenza in commento non fa che avallare l’esistente.
5. Senonché, come si è già accennato (supra, §1), il dibattito sulla tematica de qua ha recentemente ricevuto nuova linfa dalla riformulazione dell’art. 53 l. n. 689/1981 operata dal d.lgs. n. 150/2022.
Con l’art. 1, co. 17, lett. e), l. 27 settembre 2021, n. 134, il parlamento ha delegato il governo a prevedere che il giudice possa procedere alla sostituzione della pena detentiva «nel pronunciare la sentenza di condanna o la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale». Recependo tale criterio direttivo, il legislatore delegato ha riscritto l’art. 53 l. n. 689/1981, prevedendo che il giudice «può sostituire» la pena detentiva non superiore a quattro anni con una delle pene di cui all’art. 20-bis c.p. non soltanto quando pronuncia sentenza di condanna – come precedentemente previsto –, ma anche «nel pronunciare sentenza […] di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale».
Soffermandosi sulla novella, la dottrina ha attentamente iniziato a domandarsi «se tale disposizione possa essere letta nel senso che il giudice del patteggiamento, recepito l’accordo che preveda l’applicazione della pena detentiva, possa d’ufficio sostituirla oppure se si tratti della mera ricognizione della facoltà delle parti di concordare l’applicazione di una pena sostitutiva, come già previsto dall’art. 444, comma 1, c.p.p.»[10].
6. In effetti, il nuovo art. 53 l. n. 689/1981 offrirebbe più di un argomento all’interprete che volesse intraprendere una rivisitazione dello stato dell’arte.
Anzitutto, la locuzione «nel pronunciare sentenza […] di applicazione della pena su richiesta delle parti» pare riferirsi a un momento procedimentale nel quale l’accordo tra imputato e pubblico ministero è stato già raggiunto, e la parola spetta ormai al giudice.
Sempre sul piano degli argomenti letterali, si deve poi osservare che con l’espressione «può sostituire» si è concepita l’applicazione della pena sostitutiva come un’alternativa all’irrogazione di una pena detentiva, che è pur sempre il punto di partenza da cui muovono le valutazioni del giudice. Ma se si afferma che nel c.d. patteggiamento l’applicazione della pena sostitutiva può avvenire solo su richiesta delle parti, ecco che viene meno il suddetto rapporto di alternatività rispetto alla pena detentiva: in caso di rigetto della richiesta delle parti non si avrebbe, ovviamente, l’irrogazione di alcuna pena.
Infine, non può trascurarsi che, attribuendole un significato meramente ricognitivo della possibilità, per le parti, di chiedere l’applicazione di una pena sostitutiva, l’interpolazione risulterebbe inutile, e l’approdo ermeneutico si porrebbe in contrasto con il c.d. canone dell’interpretazione utile, spesso valorizzato dalla giurisprudenza[11]. Invero, tale facoltà delle parti risultava – e risulta tuttora – già prevista dall’art. 444, co. 1, c.p.p.
Va peraltro segnalato che nei primi commenti alla riformulazione dell’art. 53 l. n. 689/1981 sono stati già enucleati alcuni argomenti che potrebbero convincere della (perdurante) inesistenza di poteri di sostituzione officiosa della pena da parte del giudice in sede di “patteggiamento”[12].
In primo luogo, si è fatto notare che la Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, spiega la modifica normativa con l’esigenza di «aggiornare la disciplina dell’art. 53, l. n. 689/1981, che nella sua versione originaria precede l’introduzione del rito speciale nel codice di procedura penale del 1988»[13], e che non si tratterebbe di mero “aggiornamento” se si ravvisasse l’introduzione di nuovi poteri officiosi.
In secondo luogo, si è sottolineato che il nuovo art. 448, co. 1-bis, c.p.p. rinvia all’art. 545-bis, co. 2, c.p.p. – che, evocando il sentencing anglo-americano[14], prevede la fissazione di un’apposita udienza laddove non sia possibile decidere immediatamente sulla pena sostitutiva – per il solo caso in cui l’applicazione della pena sostitutiva sia stata concordata dalle parti. Non vi è invece alcun riferimento alla sostituzione officiosa, rispetto alla quale, quindi, non si saprebbe che procedimento seguire.
Infine, si è sottolineato che l’ammissione di una sostituzione officiosa della pena striderebbe con la stessa logica ispiratrice del c.d. patteggiamento, «rito dominato dal consenso, che vede il giudice intervenire unicamente nel senso dell’accoglimento o del rigetto della richiesta»[15].
Le considerazioni appena brevemente richiamate si lasciano senz’altro apprezzare per la puntuale problematizzazione della tematica; e tuttavia, non può sottacersi che, anche alla luce di queste attente riflessioni, il quadro normativo conserva, comunque, un certo grado di plurivocità.
A proposito della volontà del legislatore che emergerebbe dalla Relazione illustrativa, si deve rilevare che, se già essa rappresenta un criterio ermeneutico malcerto in termini astratti[16], ancor di più si rivela tale nel caso di specie. Al di là del fatto che già prima della novella v’era chi riteneva ammissibile una sostituzione della pena officiosa (supra, §4), il termine “aggiornamento” non sembra invero incompatibile con l’introduzione di un quid novi in funzione di “adeguamento” tra due testi normativi.
Quanto all’argomento che fa perno sulla previsione di cui all’art. 448, co. 1-bis, c.p.p., si potrebbe replicare che essa esclude unicamente l’operatività dei poteri di cui all’art. 545-bis c.p.p., e non, tout court, l’ammissibilità di una sostituzione officiosa della pena. In altre parole, si potrebbe sostenere che, quando la richiesta proviene dalle parti, il giudice deve vagliare l’applicabilità di una pena sostitutiva anche quando «non è possibile decidere immediatamente» (art. 448, co. 1-bis, c.p.p.), acquisendo tutte le informazioni necessarie secondo quanto previsto dal secondo comma dell’art. 545-bis, c.p.p.; mentre la sostituzione officiosa potrebbe avvenire solo in caso di decidibilità “allo stato degli atti”. Tale ricostruzione, pur dovendo scontare una certa “asimmetria” dei poteri del giudice, potrebbe essere presentata come un punto di equilibrio tra le rationes sottese alla preferenza verso pene non detentive, da un lato, e le esigenze di celerità del procedimento speciale, dall’altro lato.
Inoltre, neanche la matrice consensualistica del c.d. patteggiamento – pur rappresentando un fondamentale criterio orientativo per l’interprete – sembra pretendere la totale esclusione di poteri officiosi da parte del giudice. Indubbiamente, l’applicazione di una pena sostitutiva contro la volontà dell’imputato risulterebbe problematica e difficilmente tollerabile. Non è infatti necessariamente vero che la pena sostitutiva sia sempre di per sé preferibile rispetto all’applicazione di una pena detentiva breve: come si è giustamente osservato, «una pena pecuniaria di rilevante entità potrebbe risultare più afflittiva di una pena detentiva espiata con una misura alternativa in un contesto extramurario»[17]. Lo scenario si presenta però ben diverso se si prendono in considerazione le pene sostitutive che presuppongono il consenso dell’imputato, come il lavoro di pubblica utilità[18]. In questo caso, a venire sacrificato dall’iniziativa del giudice sarebbe unicamente il consenso del pubblico ministero, che però, nell’architettura normativa dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, non pare ricevere la medesima considerazione di quello dell’imputato. Il parallelismo tra questo procedimento speciale e il paradigma “contrattualistico” perde infatti gran parte della propria carica suggestiva se solo si considera che il codice ammette l’applicazione della pena su richiesta delle parti anche a prescindere dal consenso del pubblico ministero (art. 448, co. 1, c.p.p.), salva la possibilità di quest’ultimo di proporre appello (art. 448, co. 2, c.p.p.). Se addirittura può prescindersi dal consenso del pubblico ministero nell’applicazione della pena richiesta dall’imputato, a fortiori può tollerarsi la semplice sostituzione – secondo i criteri fissati dalla legge – di una pena detentiva verso cui il pubblico ministero ha già espresso il proprio consenso.
Del resto, è proprio a questa logica che, già da tempo, pare esplicitamente ispirarsi, per i reati in materia di stupefacenti, l’art. 73, co. 5-bis, d.p.r. n. 309/1990. Tale disposizione prevede che, quando il fatto risulta di lieve entità (art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/1990) e, inoltre, è stato commesso «da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza […] di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero […] può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità». Dal momento che il p.m. deve essere soltanto “sentito”, pare difficile negare che, in questo caso, l’applicazione del lavoro sostitutivo in luogo della pena detentiva sia rimessa alla discrezionalità del giudice, come peraltro è stato incidentalmente riconosciuto dalla stessa Corte di cassazione[19].
7. In definitiva, la sentenza in commento – come si è già segnalato (supra, §1) – non pare capace di dissipare i dubbi ermeneutici che scaturiscono dalla recente modifica dell’art. 53 l. n. 689/1981. Peraltro, va segnalato che, nel panorama giurisprudenziale, la tesi che esclude la sostituzione officiosa della pena convive con degli arresti che, sul punto, hanno assunto una posizione ambigua[20]. Sembra allora legittimo attendersi ulteriori sviluppi giurisprudenziali.
[1] Cfr. in particolare F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive nel patteggiamento tra iniziativa delle parti e poteri del giudice, in questa Rivista, 14 settembre 2023, p. 17 ss., cui si rinvia anche per gli opportuni riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.
[2] Va peraltro precisato che la disciplina di cui all’art. 545-bis c.p.p. si applica anche nel giudizio abbreviato, dato il rinvio compiuto dall’art. 442, co. 1, c.p.p. agli artt. 529 ss. c.p.p. In questo senso si esprime anche la Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, consultabile in questa Rivista., 20 ottobre 2022, p. 241.
[3] Cfr. §3 del “considerato in diritto” della sentenza in commento.
[4] Cfr. §3.2 del “considerato in diritto” della sentenza in commento.
[5] Cfr. §3.3 del “considerato in diritto” della sentenza in commento.
[6] Cfr. §4.3 del “considerato in diritto” della sentenza in commento, che richiama Cass. pen. Sez. IV, 8 aprile 2015 (dep. 13 aprile 2015), n. 15231, CED 263151: «[i]n tema di patteggiamento, il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena è sempre revocabile qualora, dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. sopravvenga una legge più favorevole»; Cass. pen. Sez. IV, 23 febbraio 2012 (dep. 22 marzo 2012), n. 11209, CED 252173: «[i]n tema di patteggiamento, il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena è sempre revocabile qualora, dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza, ex art. 444 cod. proc. pen., sia sopravvenuta una legge più favorevole o tale ritenuta dall’interessato, che alteri la precedente valutazione di convenienza sulla base della quale la parte si sia determinata a chiedere o ad acconsentire all’accordo».
[7] Cfr. M. Cecchi, Patteggiamento: poteri del giudice in relazione alle sanzioni sostitutive, in Dir. pen. proc., n. 2/2017, p. 254 ss., spec. p. 259; P. Corvi, I poteri del giudice di appello in materia di sostituzione delle pene detentive brevi, in Proc. pen. giust., n. 5/2017, p. 822 ss. In senso critico F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive, cit., p. 24.
[8] Cfr. Cass. pen. Sez. V, 24 aprile 1992 (dep. 24 giugno 1992), n. 7254, CED 190993; Cass. pen. Sez. I, 26 giugno 1996 (dep. 06 agosto 1996), n. 4370; Cass. pen. Sez. V, 18 marzo 2011 (dep. 13 aprile 2011), n. 15079, CED 250172; Cass. pen. Sez. VI, 17 giugno 2014, (dep. 30 giugno 2014), n. 28154; Cass. pen. Sez. III, 9 settembre 2015 (dep. 6 aprile 2016), n. 13719; Cass. pen. Sez. V, 18 maggio 2017, (dep. 6 giugno 2017), n. 33023; Cass. pen. Sez. V, 20 settembre 2017 (dep. 26 ottobre 2017), n. 49227.
[9] Cfr. Cass. pen. Sez. V, 20 settembre 2017 (dep. 26 ottobre 2017), n. 49227. In dottrina, si esprime in senso adesivo a questo orientamento D. Vigoni, Patteggiamento “allargato”: riflessi sul sistema e sull’identità della sentenza, in Cass. pen., 2004, II, p. 711.
[10] Cfr. F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive, cit., p. 20.
[11] In questo senso, da ultimo, Cass. pen., Sez. un., 16 dicembre 2021 (dep. 31 gennaio 2022), n. 3513, §5.5 del “considerato in diritto”, che ha valorizzato tale criterio ermeneutico per assegnare all’art. 28, co. 2, d.lgs. n. 159/2011 il ruolo di fattispecie revocatoria “aperta”. La sentenza può essere consultata in questa Rivista con nota di D. Albanese, Gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019 sui provvedimenti definitivi: le Sezioni unite ammettono la revocazione delle confische disposte per la fattispecie di pericolosità ‘generica’ dichiarata costituzionalmente illegittima e ne individuano il fondamento nell’art. 28, co. 2, d.lgs. 159/2011.
[12] Per gli argomenti riportati di seguito cfr. F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive, cit., pp. 20-21.
[13] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., p. 190.
[14] In questo senso E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, in questa Rivista, 30 agosto 2022, p. 18.
[15] Così F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive, cit., p. 21, il quale ricorda che l’unica eccezione a tale principio è rappresentata dalle statuizioni dovute ex lege, cui però non possono essere ricondotte le determinazioni discrezionali riguardanti le pene sostitutive.
[16] Sul punto cfr., per tutti, G. Zaccaria, voce Interpretazione della legge, in Enc. dir., Annali V, 2012, p. 702.
[17] Cfr. F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive, cit., p. 24.
[18] Cfr. art. 545-bis, co. 1, c.p.p.
[19] Cass. pen. Sez. IV, 18 gennaio 2022, (dep. 07 aprile 2022), n. 13225, §1 del “considerato in diritto”: «la sostituzione della pena […] applicata in sede di patteggiamento, con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5-bis è atto discrezionale del giudice».
[20] Cfr. Cass. pen. Sez. V, 5 giugno 2023 (dep. 20 luglio 2023), n. 31761 e Cass. pen. Sez. IV, 16 maggio 2023 (dep. 6 giugno 2023), n. 24218, che – come segnala F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive, cit., p. 22 – hanno respinto le doglianze del ricorrente dando rilevanza all’insussistenza dei presupposti per l’applicazione delle pene sostitutive, senza valorizzare l’assenza di un accordo tra le parti in relazione a queste ultime.