A proposito del divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata dell’attenuante della lieve entità del fatto di ‘strage politica’
*Il presente contributo è destinato alla pubblicazione sul fascicolo 2/2023.
1. Uno dei molti tasselli della complessa vicenda giudiziaria che interessa Alfredo Cospito – ormai da settimane al centro del dibattito pubblico – riguarda un procedimento penale per il delitto di strage ex art. 285 c.p. Come meglio si dirà, nel procedimento penale in questione Cospito è accusato di aver collocato degli ordigni presso la Scuola Allievi Carabinieri di Fossano allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato: un fatto punito con l’ergastolo. L’attenuante della lieve entità del fatto, ravvisata dal giudice procedente, renderebbe inapplicabile l’ergastolo se potesse prevalere sull’aggravante della recidiva reiterata, contestata a Cospito. Questo esito è però precluso – questo è il punto – dal divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, introdotto come è noto dalla legge ex Cirielli, nel 2005, nell’art. 69, co. 4 c.p.
Con l’ordinanza che può leggersi in allegato, la Corte d’Assise d’appello di Torino ha dunque sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 c.p. – come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge ex Cirielli) – per violazione degli artt. 3 co. 1, 25 co. 2 e 27 co. 3 della Costituzione. Il giudice a quo ha ravvisato infatti profili di contrasto tra la norma censurata ed i parametri costituzionali di cui sopra nella parte in cui essa comporta, relativamente al delitto punito dall’articolo 285 c.p. (‘Devastazione, saccheggio e strage’), il divieto di prevalenza della circostanza attenuante della lieve entità del fatto, prevista dall’art. 311 c.p., sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata ex art. 99 co. 4 c.p.
2. Quanto ai fatti oggetto di contestazione, la notte tra il 2 ed il 3 giugno 2006 Alfredo Cospito e A. B., membri dell’organizzazione eversiva R.A.T./F.A.I. – Rivolta Anonima e Tremenda/Federazione Anarchica Informale, «al fine di attentare alla sicurezza dello Stato mediante l’uccisione di un numero indeterminato di esponenti delle Forze dell’Ordine», collocavano due ordigni ad elevato potenziale esplosivo nei pressi di uno degli ingressi della Scuola Allievi Carabinieri di Fossano, programmandone la deflagrazione in successione. Il consapevole utilizzo, da parte dei soggetti agenti, della c.d. “tecnica del richiamo”, consistente nel «far esplodere un ordigno di ridotta potenzialità offensiva per attirare sul posto appartenenti alle Forze dell’Ordine o soccorritori, con l’intento di attingere questi ultimi con un secondo e più potente ordigno collocato a breve distanza e programmato per esplodere dopo un lasso temporale sufficiente ad assicurare la presenza sul posto degli obiettivi prefissati»[1], era dichiaratamente orientato alla massimizzazione degli effetti letali dell’attacco stragista. Nondimeno, per caso fortuito, conseguivano all’attentato solo limitati danni alle cose.
Chiamato a pronunciarsi sulle descritte circostanze, il giudice del merito – in primo, come in secondo grado – qualificava il fatto quale violazione dell’articolo 422 c.p. (strage “comune”), ritenendo che, nel caso concreto, difettasse, tra le mire degli imputati, la volontà che l’evento recasse offesa alla personalità dello Stato, sotto il particolare profilo della sua sicurezza.
Discostandosi da quanto sostenuto dalla Corte d’Assise e dalla Corte d’Assise d’appello, la Corte di cassazione asseriva, invece, la sussistenza di questo ulteriore elemento psicologico subspecifico, appalesato dall’ideazione di un attacco di notevolissima potenzialità offensiva nei confronti di vittime precisamente individuate nella mente degli autori non in cittadini comuni, bensì «nei simbolici rappresentanti delle forze dell’ordine, articolazione importante dei pubblici poteri, corpo adibito precipuamente a tutelare la sicurezza dello Stato»[2]. Riqualificato, conseguentemente, il fatto in strage “politica” ai sensi dell’art. 285 c.p., il giudice di legittimità annullava la sentenza impugnata e rinviava ad altra sezione della Corte di Assise d’appello ai fini di una nuova valutazione del trattamento sanzionatorio.
Si instaurava, pertanto, dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Torino, un nuovo giudizio, ove le difese degli imputati, in virtù della rinnovata qualificazione giuridica operata dalla Cassazione, invocavano l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 311 c.p.
La valutazione della lieve entità del fatto così devoluta alla cognizione della Corte d’Assise d’appello, non coperta da giudicato e strettamente correlata alla quantificazione della pena da comminarsi, ma svuotata della propria portata attenuante in ragione della caratterizzazione del Cospito quale recidivo reiterato, determinava il collegio giudicante a sollevare questione di legittimità costituzionale.
3. L’ordinanza in esame muove, come brevemente anticipato, dalla constatazione che, nel caso di specie, possono ritenersi integrati i presupposti della circostanza attenuante di cui all’art. 311 c.p. Difatti, «avuto riguardo alle modalità con cui si è realizzato il reato ed alle conseguenze che da questo sono in concreto derivate, da valutarsi in rapporto all’entità della lesione arrecata ai beni»[3], la condotta tenuta dai soggetti agenti risulta, nella sua complessiva portata obiettiva, di lieve entità.
Tuttavia, quanto alla posizione del solo Alfredo Cospito, dichiarato recidivo reiterato – con valutazione ormai coperta da giudicato – ai sensi dell’art. 99 co. 4 c.p., il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti sancito dall’art. 69 co. 4 c.p. impone che la lieve entità del fatto soccomba – o sia comunque giudicata equivalente – alla recidiva, precludendo, di conseguenza, l’operatività del disposto dell’art. 65 co. 1 n. 2 c.p. e cioè la sostituzione dell’ergastolo con la reclusione da venti a ventiquattro anni.
È allora innegabile la rilevanza della questione di legittimità costituzionale prospettata dal giudice a quo, che risulta decisiva ai fini dell’irrogazione di una pena proporzionata all’effettiva portata lesiva delle condotte tenute dall’imputato: ipotizzando, infatti, quale soluzione dell’incidente di costituzionalità, la declaratoria di parziale illegittimità della norma censurata, e assumendo, perciò, come possibile la prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 311 c.p. sulla recidiva ex art. 99 co. 4 c.p., il reato più grave tra quelli contestati al Cospito sarebbe punito con una pena di durata compresa tra i 20 ed i 24 anni di reclusione, e non già con l’ergastolo.
4. In punto di non manifesta infondatezza, la Corte d’Assise d’appello procede in primis ad una disamina delle numerose declaratorie di parziale illegittimità costituzionale che hanno investito l’art. 69 co. 4 c.p. [4], enucleandone il comune denominatore. Si osserva qui che, nella quasi totalità delle pronunce, il giudice delle leggi ha ritenuto interesse preminente – nonché rispondente ai principi di uguaglianza, offensività e proporzionalità della pena in un’ottica rieducativa – calibrare la risposta sanzionatoria sul dato oggettivo, in maniera quanto più possibile aderente alla concreta portata offensiva delle condotte ed alla reale gravità del reato, prediligendo questo profilo rispetto alla colpevolezza ed alla pericolosità del soggetto agente, manifestati dalla sussistenza della recidiva reiterata.
Il collegio torinese, quindi, con ragionamento deduttivo, dalle premesse di ordine generale formulate si addentra nell’analisi delle peculiarità del caso concreto, interrogandosi sulla rispondenza ai canoni ermeneutici indicati dalla Consulta del divieto di bilanciamento in termini di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 311 c.p., quando specificamente riferita al delitto di strage “politica” ex art. 285 c.p.
Ebbene, anche in questa sede, come già nelle sentenze richiamate, a venire in considerazione è una circostanza diminuente – la lieve entità del fatto – che impone all’interprete il vaglio di aspetti marcatamente connotati in senso obiettivo, al fine di valorizzare la reale potenzialità lesiva delle condotte dell’imputato, nonché l’attitudine di queste ad incidere, più o meno significativamente, sui beni tutelati dal precetto penale.
La commisurazione del trattamento sanzionatorio in aderenza all’effettiva portata offensiva di quanto commesso dal soggetto agente, consentita dalla funzione mitigatrice dell’art. 311 c.p., diviene, a maggior ragione, espediente di massima importanza a fronte del delitto di strage “politica”, ove il dettato dell’art. 285 c.p. non prevede una cornice edittale all’interno della quale l’interprete possa muoversi, ma impone in via esclusiva l’inflizione della pena dell’ergastolo, così configurando un trattamento sanzionatorio di estrema severità tale da inibire qualsivoglia tentativo di parametrazione della pena al caso concreto. Le circostanze attenuanti possono, tuttavia, esplicare anche in questo caso la propria efficacia riequilibratrice, configurandosi in capo al giudice «la possibilità di far luogo alla pena della reclusione in luogo di quella dell’ergastolo»[5].
Va da sé quanto ribadisce il giudice a quo: la neutralizzazione dell’efficacia delle circostanze attenuanti, realizzata dal divieto di prevalenza delle stesse sulla recidiva reiterata, preclude l’applicazione di una pena differente dalla detenzione perpetua ed esclude, così, la calibrazione del trattamento sanzionatorio sul fatto oggettivamente inteso e sulla sua incidenza su interessi giuridicamente tutelati, in nome di profili della personalità del reo giudicati preminenti.
5. Le considerazioni sino a qui svolte conducono, quindi, la Corte d’Assise d’appello a configurare profili di contrasto tra l’art. 69 co. 4 c.p. ed i principi costituzionali sanciti dagli articoli 3 co. 1, 25 co. 2 e 27 co. 3 della Costituzione.
Difatti, l’esclusione della potenziale prevalenza della circostanza attenuante della lieve entità del fatto sulla recidiva reiterata, secondo quanto sostenuto dal giudice a quo, determina una caducazione della funzione dell’art. 311 c.p., negando l’irrogazione di pene differenti a fronte di condotte di diversa offensività: è questa palese violazione del principio di uguaglianza, che condurrebbe all’irragionevole equiparazione sul piano sanzionatorio – e, nel caso concreto, trattandosi del delitto di strage “politica”, alla condanna all’ergastolo – di fatti di rilievo penale profondamente diverso alla luce degli indici previsti dall’art. 311 c.p.
Ancora, quanto disposto dal quarto comma dell’art. 69 c.p. si pone in aperto conflitto con il principio di offensività del precetto penale che, secondo costante giurisprudenza costituzionale, impone all’interprete una valutazione organica e completa dell’azione delittuosa e di chi la ha commessa, valutazione estesa anche alla considerazione dell’obiettivo disvalore della condotta e non limitata all’esclusivo accertamento della pericolosità sociale del reo. Procedendosi in altra direzione, al diversificarsi dei fatti penalmente rilevanti non corrisponderebbe alcuna differenziazione nella risposta sanzionatoria.
Infine, la totale astrazione dalla gravità dell’offesa in concreto determinata dall’inderogabile divieto di prevalenza dell’art. 311 c.p. sull’art. 99 co. 4 c.p. è manifestamente incompatibile con il principio di necessaria proporzione tra pena e condotta in concreto realizzata dal reo, facendo venire meno l’idoneità e la tendenza del regime sanzionatorio alla rieducazione del condannato ai sensi dell’art. 27 co. 3 Costituzione.
Per le ragioni così ricostruite, la Corte d’Assise d’appello di Torino solleva, quindi, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 c.p., demandando al giudice delle leggi l’accertamento della violazione degli artt. 3 co. 1, 25 co. 2 e 27 co. 3 della Costituzione da parte della norma censurata, nella parte in cui questa, relativamente al delitto punito dall’art. 285 c.p., prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 311 c.p. sulla recidiva di cui all’art. 99 co. 4 c.p.
6. Come già segnalato nel corpo dell’ordinanza in commento, il problema della compatibilità costituzionale del quarto comma dell’art 69 c.p., non è certo nuovo alla Corte costituzionale.
Sulla scorta delle considerazioni svolte e delle disposizioni di legge richiamate dal giudice a quo nel quesito di costituzionalità, giova qui ricordare, in particolare, tra le numerose pronunce avvicendatesi in argomento, la sentenza n. 143 del 26 maggio 2021[6], con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata della circostanza attenuante del fatto di lieve entità relativo al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione.
In quella occasione, nel più ampio contesto di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, a cinque imputati era contestato il delitto di cui all’art. 630 c.p., aggravato in virtù del numero dei concorrenti nel reato. La Corte d’Assise d’appello di Bari – discostandosi da quanto deciso in primo grado –, constatato che il sequestro si era protratto solo per poche ore ai danni di un associato, costretto a versare quanto ricavato dalla vendita di una esigua quantità di stupefacente affidatagli, configurava in favore dei cinque soggetti la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, introdotta dalla sentenza n. 68 del 2012 della Corte costituzionale. In sede di determinazione della pena da infliggere, però, le posizioni degli imputati, qualitativamente parificate, erano tra loro diversificate sotto il profilo quantitativo, in dipendenza della sussistenza o meno, in capo ai singoli, della qualifica di recidivo reiterato. Il giudice delle leggi era, pertanto, adito dalla Corte di cassazione, che ravvisava, nel divieto di subvalenza della recidiva reiterata nel giudizio di bilanciamento tra circostanze, la violazione degli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione.
Investita della questione, la Corte costituzionale si pronunciava nel senso della contrarietà della norma censurata al principio di uguaglianza ed al principio della determinazione di una pena proporzionata, idonea a tendere alla rieducazione del condannato.
Rilevava, infatti, il giudice delle leggi che a fronte di una fattispecie – quella di cui all’art. 630 c.p. – caratterizzata da una cornice edittale stringente e di eccezionale asprezza, l’attenuante del fatto di lieve entità svolge una «funzione di necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio», consentendo una mitigazione della pena in dipendenza di «una valutazione riferita al fatto nel suo complesso, in rapporto all’evento di per sé considerato e alla natura, specie, mezzi, modalità della condotta, nonché all’entità del danno o del pericolo per la persona sequestrata, avuto riguardo alle modalità della privazione della libertà personale e alla portata dell’ingiusto profitto perseguito dall’autore della condotta estorsiva»[7]. In definitiva, solo ammettendo che la diminuente in esame possa anche prevalere sulla recidiva reiterata, contrastando quel fenomeno di «abnorme enfatizzazione» della circostanza di cui all’art. 99 co. 4 c.p. realizzato dall’art. 69 co. 4 c.p., può addivenirsi ad un trattamento sanzionatorio ossequioso del principio di proporzione, idoneo ad esplicare effetti rieducativi ed osservante dell’intensità dell’offesa arrecata in concreto dalle condotte giuridicamente rilevanti.
A ben vedere, gli argomenti addotti dalla Consulta nel 2021 a sostegno della declaratoria di parziale incostituzionalità dell’art. 69 co. 4 c.p. sinteticamente riportata, rivelano nuovamente la propria pregnanza se accostati ai dubbi di legittimità costituzionale prospettati dall’ordinanza qui in esame.
Anzi, se già, a fronte di una severa “forbice” edittale di soli 5 anni – s’intende, quella prevista per il sequestro di persona a scopo di estorsione –, si evidenziava la funzione essenziale della circostanza diminuente della lieve entità del fatto, contrappeso deputato al riequilibrio di irragionevoli eccessi sanzionatori in casi di minima offensività, parrebbe ora lecito domandarsi se, nel caso Cospito, dinanzi a un’ipotesi in cui, addirittura, non vi è alcuna cornice edittale e la discrezionalità dell’interprete è vincolata, secondo uno schema aut aut, all’inflizione – o meno – dell’ergastolo, non possa a maggior ragione riproporsi un analogo percorso argomentativo.
Non resta che attendere il responso della Corte costituzionale.
[1] Cass., Sez. II, 06.07.2022 (dep. 11.10.2022), n. 38184, in cui si fa espresso richiamo al contenuto della sentenza della Corte d’Assise d’appello di Torino impugnata.
[2] Cass., Sez. II, 06.07.2022 (dep. 11.10.2022), n. 38184, cit.
[3] Corte d’Assise d’appello di Torino, Sez. II, ord. 19.12.2022, cit. Con riferimento ai requisiti per la sussistenza della circostanza diminuente di cui si tratta si veda, tra le tante, Cass., Sez. I, 29.11.1985 (dep. 05.06.1986), n. 4938, Rv. 172982.
[4] Nominativamente, le precedenti pronunce della Corte Costituzionale richiamate nell’ordinanza della Corte d’Assise d’appello di Torino sono: «la sentenza n. 251 del 2012, relativa alla circostanza attenuante all'epoca prevista dall'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/1990 (oggi disciplinata alla stregua di fattispecie autonoma di reato) in tema di lieve entità nel reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope; la sentenza n. 105 del 2014, relativa alla circostanza attenuante prevista dall'art. 648 comma 2 c.p., con riguardo alla particolare tenuità del fatto di ricettazione; la sentenza n. 106 del 2014, relativa alla circostanza attenuante prevista dall'art. 609 bis comma 3 c.p., in rapporto ai fatti di minore gravità del reato di violenza sessuale; la sentenza n. 74 del 2016, relativa alla circostanza attenuante prevista dall'art. 73 comma 7 D.P.R. 309/1990, riconosciuta in favore di chi collabori ad evitare che l'attività delittuosa connessa alle sostanze stupefacenti venga portata ad ulteriori conseguenze; la sentenza n. 205 del 2017, relativa alla circostanza attenuante prevista dall'art. 219 comma 3 legge n. 267 del 1942, in tema di speciale tenuità del danno patrimoniale arrecato da fatti di bancarotta e ricorso abusivo al credito; la sentenza n. 73 del 2020, relativa alla fattispecie prevista dall'art. 89 c.p., concernente la responsabilità attenuata di colui li quale, al momento del fatto, versava in condizioni di capacità di intendere o di volere grandemente scemata; la sentenza n. 55 del 2021, relativa all'ipotesi prevista dall'art. 116 comma 2, che, nell'ipotesi in cui li reato commesso sia più grave di quello voluto da uno dei soggetti che ha concorso a realizzarlo, ammette una riduzione della pena a carico di chi volle li reato meno grave; la sentenza n. 143 del 2021, relativa alla circostanza attenuante introdotta con la sentenza additiva della Corte costituzionale n. 68 del 2012 nelle ipotesi di lieve tenuità del fatto di sequestro di persona a scopo di estorsione».
[5] In questo senso Cass., Sez. I, n. 1538 del 15.11.1978.
[6] Si veda, sul punto, Giudizio di bilanciamento e recidiva: incostituzionale il divieto di prevalenza dell’attenuante del “fatto di lieve entità” nel sequestro di persona a scopo di estorsione, in Sistema Penale, 9 luglio 2021.
[7] Quelli citati sono passaggi di Corte cost., sent. n. 143 del 26 maggio 2021.