Cass., Sez. II, 28 gennaio 2021 (dep. 5 marzo 2021), n. 9122, Pres. Rago, Est. Agostinacchio, Car Jet
1. Il controllo giudiziario volontario, introdotto con la legge 17 ottobre 2017, n. 161, nell’art. 34 bis, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, c.d. codice antimafia (di seguito c.a.m.), rappresenta all’interno dell’articolato assetto della prevenzione antimafia un delicatissimo ‘istituto cerniera’[1] in cui trovano risoluzione equilibrata le possibili frizioni tra la giurisdizione amministrativa e la giurisdizione ordinaria e si saldano in modo armonico le contrapposte esigenze sottese alle interdittive antimafia, da un lato, della tutela dell’ordine pubblico e dei valori fondanti della democrazia avverso i tentativi di infiltrazione mafiosa nelle attività economiche lecite[2] e, dall’altro, della libertà di impresa e del diritto di proprietà del destinatario del provvedimento prefettizio[3].
Come sovente accade alle riforme più innovative, che si situano in zone di confine tra settori diversi dell’ordinamento, nei primi anni della sua applicazione questa misura è stata oggetto di una interpretazione restrittiva e ‘prudenziale’ da parte della giurisprudenza ordinaria, foriera di esiti non particolarmente razionali, o, recte, manifestamente irragionevoli[4].
Procedendo ad una sua lettura in stretta connessione sistematica con la misura di prevenzione patrimoniale non ablativa del controllo giudiziario c.d. prescrittivo di cui all’art. 34 bis, comma 1, c.a.m., e facendo leva su schemi ermeneutici e categorie di ragionamento appartenenti alla tradizione del ‘diritto penale della prevenzione’, si è, infatti, arrivati alla conclusione inconferente di concederla all’imprenditore destinatario di una interdittiva antimafia solo nei casi di effettivo accertamento da parte del tribunale di prevenzione del tentativo di infiltrazione mafiosa capace di condizionare l’attività di impresa e di negarla, all’opposto, in quelli evidentemente meno gravi di esclusione di simili situazioni, con il paradosso di riservare un trattamento mitius al soggetto socialmente più pericoloso[5].
La sentenza in epigrafe ha l’indiscusso merito di segnare una netta e coraggiosa cesura rispetto al recente ed ancora instabile passato giurisprudenziale e di prospettare un’interpretazione dell’art. 34 bis, comma 6, c.a.m., decisamente originale ed evolutiva, capace di superare simili aporie e di restituire simmetria ad un sistema altrimenti sfasato, in cui due istituti eterogenei sono sovrapposti impropriamente, generando effetti palesemente irrazionali.
Come si vedrà, questa decisione, valorizzando il canone ermeneutico teleologico, arriva ad un approdo esegetico che amplifica le potenzialità dell’istituto; soddisfa la sua ratio legis di natura solidaristico-recuperatoria; chiarisce i rapporti tra il giudizio ordinario e il giudizio amministrativo; lo sgancia dal controllo prescrittivo; e, più correttamente, lo salda con il precedente provvedimento prefettizio antimafia negativo, considerandolo una misura di temperamento dei suoi possibili effetti draconiani di incapacitazione giuridica (teoricamente) parziale e temporanea a contrattare con la pubblica amministrazione[6].
Ed invero, per la Corte, l’ammissione al controllo volontario da parte del tribunale di prevenzione deve essere subordinata ad un giudizio solo in parte retrospettivo e, segnatamente, alla valutazione della esistenza del requisito (dei sufficienti indizi) della occasionalità della infiltrazione o agevolazione mafiosa, non anche alla rivalutazione di tale ultimo elemento già apprezzato in sede amministrativa con l’interdittiva prefettizia e l’eventuale successivo vaglio del T.A.R., seppure nella forma diafana (del ‘più probabile che non’) degli eventuali ‘tentativi di infiltrazione mafiosa’.
A tal fine, riprendendo un orientamento già sostenuto in dottrina[7], ciò che conta più di ogni altro aspetto è, invece, la valutazione prognostica di bonificabilità dell’impresa contagiata tramite l’adozione di procedure di c.d. self cleaning aziendale simili ad una messa alla prova dell’imputato.
Ragion per cui essa può essere disposta anche quando il giudice ordinario non ravvisi gli estremi del pericolo di infiltrazione descritti dal primo comma dell’art. 34, comma 1, c.a.m., ma riscontri che, in una prospettiva rivolta al futuro, ci siano serie probabilità di recuperare l’impresa alla legalità senza pregiudizi rilevanti per i suoi amministratori, gli stakeholders ed i lavoratori subordinati del tutto estranei alla vicenda.
2. Più nel dettaglio, il percorso logico-argomentativo su cui si fonda tale condivisibile overruling della Cassazione si snoda in maniera lineare e ben articolata, affiancando ad una pars destruens preliminare, una pars costruens conclusiva.
La decisione prende, infatti, le mosse da una attenta critica all’orientamento, avallato anche dal giudice del gravame nel caso in esame, che – in ragione anche della vaghezza della disposizione normativa – vede nell’istituto del controllo volontario una sorta di ‘propaggine’ della misura di prevenzione patrimoniale analoga descritta nel comma 1, di cui condivide tutti i presupposti, incluso quello della agevolazione o infiltrazione mafiosa[8].
Ad avviso dei giudici di legittimità, in ragione della eterogeneità dei due tipi di controllo, è invece improprio considerare tale ultimo aspetto requisito anche per la concessione della misura volontaria e, conseguentemente, riconoscere anche in questa circostanza una autonomia di sindacato al giudice ordinario circa la sua sussistenza, essendo il pericolo di infiltrazione già stato vagliato (o da vagliare) dal giudice amministrativo[9]. Anche perché, così ragionando, ed ammettendo una simile interferenza di giurisdizione, si arriva a considerare la coincidenza tra le due valutazioni nelle differenti sedi giudiziarie e con diversi standard probatori (sufficienti indizi versus più probabile che non) meramente casuale e residuale e a ritenere possibili, anzi frequenti, i denunciati effetti contraddittori.
Al contrario, il pericolo di inquinamento mafioso non può essere reputato un pre-requisito del controllo volontario rimesso anch’esso all’accertamento in concreto del giudice ordinario, dal momento che è già oggetto del provvedimento interdittivo prefettizio impugnato dinanzi al T.A.R. Anche perché, diversamente, – precisa la Corte – “una lettura ancillare del sesto comma dell'art. 34 bis rispetto alla previsione del primo comma mortificherebbe la ratio dell'istituto, restringendone la portata e riconducendolo ad un modello non conforme allo spirito della riforma”.
Da questa premessa si deduce in modo coerente che non è, dunque, possibile rigettare l’istanza di parte diretta ad ottenere l’ammissione al controllo volontario ex art. 34 bis, comma 6, c.a.m., per la ritenuta assenza a parere del giudice ordinario competente del presupposto del ‘tentativo di infiltrazione mafiosa’ anche quando (come nel caso in esame), in precedenza, lo stesso tribunale della prevenzione abbia rigettato sulla base degli stessi elementi la richiesta della parte pubblica della applicazione della ben diversa misura di prevenzione patrimoniale del comma 1 per il difetto dell’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.
Ad avviso della S.C., il previo accertamento nel giudizio di prevenzione giurisdizionale su istanza di parte pubblica della inesistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa necessari per l’adozione della misura di patrimoniale del controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis, comma 1, c.a.m., non esclude automaticamente l’eventualità di concedere su istanza di parte, in un giudizio di prevenzione separato, la misura di temperamento dell’interdittiva antimafia del controllo volontario di cui all’art. 34 bis, comma 6, c.a.m.
Altrimenti – prosegue la Corte, ben stigmatizzando gli effetti irragionevoli che discendono da questo modus interpretandi –, “aderendo a tale opzione ermeneutica (...) il giudice della prevenzione concederebbe la misura del controllo giudiziario, consentendo all'impresa destinataria d'interdittiva di sospenderne gli effetti paralizzanti e di proseguire l’attività imprenditoriale con la pubblica amministrazione, solo se ravvisasse a monte il pericolo di infiltrazioni mafiose e la possibilità di redimersi; la negherebbe - indifferente delle conseguenze dell'informazione antimafia interdittiva - all'impresa a suo giudizio immune da un simile rischio e che, quindi, in assenza del provvedimento prefettizio, avrebbe continuato ad operare sul mercato riservato alla contrattazione pubblica”.
3. Le cose in realtà stanno diversamente, perché da una lettura ‘tra le righe’ della sentenza emerge come i due istituti disciplinati dall’art. 34 bis c.a.m. siano solo all’apparenza omogenei, ma presentino finalità, funzioni e presupposti sensibilmente differenti, che ne impongono una interpretazione non strettamente interdipendente che solleva, quindi, il giudice ordinario in sede di concessione del controllo volontario dalla valutazione di taluni requisiti indispensabili per il controllo preventivo.
In particolare, il controllo giudiziario di cui al comma 1 costituisce – insieme all’amministrazione giudiziaria di cui al precedente art. 34 c.a.m. – una misura di prevenzione di natura giurisdizionale a carattere patrimoniale, disposta su istanza di parte pubblica, i cui presupposti preesistenti devono essere tutti vagliati dal giudice ordinario, in primis il pericolo di infiltrazione mafiosa.
L’esclusione di quest’ultimo elemento, sulla scorta di un giudizio retrospettivo, determina esiti chiaramente di favore per il proposto che non si vedrà applicata dal Tribunale ordinario la suddetta misura di prevenzione richiesta dai soggetti indicati dall’art. 17 c.a.m. per esigenze preventive praeter delictum.
All’opposto, il controllo volontario di cui al comma 6 rappresenta, invece, un istituto disposto su istanza della stessa parte privata e sulla scorta di valutazioni prevalentemente prognostiche di bonificabilità dell’azienda, teso a stemperare gli effetti della misura di prevenzione amministrativa dell’interdittiva antimafia previamente adottata nei suoi confronti dal Prefetto in assenza di un vaglio giudiziario preventivo e sulla scorta di una valutazione del “più probabile che non” dell’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.
In questo diverso caso, l’esclusione di tale ultima situazione con un giudizio autonomo del g.o. determinerebbe esiti chiaramente sfavorevoli per il richiedente che non si vedrebbe concessa la possibilità di attenuare le conseguenze dell’interdittiva, oltre che manifestamente irragionevoli: il provvedimento prefettizio, infatti, sarebbe sospeso solo nei casi in cui sia accertata – con il più elevato standard del giudice ordinario – l’infiltrazione mafiosa e non anche in quelli in cui questa ipotesi sia esclusa, assicurando così una disciplina paradossalmente più favorevole ai soggetti indiziati di rapporti con la criminalità organizzata rispetto a quelli che sono ritenuti del tutto privi.
Ciò implica che nel controllo volontario, come già segnalato dalla dottrina[10] e dalla giurisprudenza di legittimità più avanzate sul punto[11], il fuoco della attenzione deve essere posto, non tanto sul prerequisito del tentativo di infiltrazione, “quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata”.
3.1. Ma è soprattutto da un punto di vista della struttura normativa che i due istituti rivelano delle differenze che non possono essere trascurate e che ribadiscono la alterità anche dei loro requisiti applicativi.
Il controllo giudiziario c.d. prescrittivo di cui all’art. 34 bis, comma 1, c.a.m. – osserva la Corte – è, difatti, “composto da un unico periodo che forma una frase complessa (e che) stabilisce che quando l'agevolazione prevista dal comma 1 dell'art.34 risulta occasionale, il tribunale dispone, anche d'ufficio, il controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende di cui al medesimo comma 1, se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l'attività”.
Par contre “il sesto comma della norma, articolato in più periodi, ha una diversa prospettiva, incentrandosi sulle imprese destinatarie di informazione interdittiva ai sensi dell'art. 84, comma 4, che abbiano proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto” e prevedendo che il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, accolga la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti, senza fare riferimento esplicito a tale ultimo riguardo a quelli previsti dal comma 1 del medesimo articolo[12].
Ciò implica che in questo secondo caso al giudice ordinario (escludendo implicitamente l’eccesso opposto di un automatismo acritico) sia rimesso solo l’apprezzamento del requisito della occasionalità del rischio di infiltrazione mafiosa e non anche quello della esistenza di tale situazione, dal momento che se fosse appurata la stabilità del vincolo e dei rapporti con la criminalità organizzata non sarebbe possibile applicare la misura di favore del controllo volontario.
A differenza del controllo prescrittivo di cui al comma 1 dell’art. 34 bis c.a.m., rispetto al quale il giudice della prevenzione ha la competenza esclusiva nell’apprezzamento del pericolo di infiltrazioni mafiose, nel controllo volontario di cui al successivo comma 6 del medesimo articolo, il giudice ordinario deve limitarsi a prendere atto della valutazione previamente effettuata dal giudice amministrativo sulla scorta di compendi probatori ridotti.
In questa diversa ipotesi, il tribunale di prevenzione deve cioè “tener conto del provvedimento preventivo di natura amministrativa, non può prescindere cioè dall'accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall'organo amministrativo, substrato della decisione riservata alla cognizione del giudice ordinario, a garanzia del contemperamento fra diritti costituzionalmente garantiti (la tutela dell'ordine pubblico e la libertà d'iniziativa economica attraverso l'esercizio d'impresa)”.
In maniera ancora più netta, la S.C. osserva nel prosieguo del suo ragionamento che «fra i ‘presupposti’ di cui alla seconda parte del sesto comma non può comprendersi (...) il prerequisito del pericolo di infiltrazione (...) sì da negare addirittura la misura - come nel caso del provvedimento impugnato - qualora il tribunale ritenga inesistente, con gli standard probatori propri del giudizio penale di prevenzione, quello stesso pericolo che, invece, l'organo amministrativo ha affermato, sia pure con la regola del "più probabile che non"», andando così a riconoscere una sorta di insindacabilità da parte del giudice ordinario della decisione prefettizia e la apprezzabilità da parte sua del solo profilo della occasionalità.
Per il controllo volontario i presupposti saranno, dunque, diffusamente diversi rispetto al controllo prescrittivo e cioè: “l’adozione di una interdittiva antimafia ex art. 84 comma 4 cod. antimafia; la pendenza di una impugnativa davanti al Giudice Amministrativo; sul piano sostanziale, la ‘bonificabilità’ dell'impresa, rispetto ad un dato patologico già acquisito, da analizzare (...) in termini prognostici, sbarrando l'acceso alla misura in caso di cronicità dell'infiltrazione e consentendolo, con strumenti duttili da adeguare alla realtà contingente, nella diversi ipotesi di effetti reversibili (ed in tal senso occasionali) dell'inquinamento mafioso, in base alla tipologia di commistione criminale rilevata e in forza del sostegno ‘controllante’ e ‘prescrittivo’ dell'autorità giudiziaria”[13].
4. La decisione della Corte appare pienamente condivisibile, non solo stricto iure, ma anche sul piano più ampio e generale delle politiche di contrasto al fenomeno mafioso, poiché, tracciando una precisa linea di demarcazione tra i due tipi di controllo giudiziario, sancisce anche una definitiva presa d’atto della esistenza di un nuovo paradigma di intervento rispetto allo specifico problema della contiguità sinora non adeguatamente valorizzato.
Sotto il primo versante, sembra innanzi tutto ragionevole e corretta l’opzione ermeneutica percorsa che, facendo leva tanto sul canone letterale e sistematico, quanto su quello teleologico dello scopo dell’istituto di cui all’art. 34 bis, comma 6, c.a.m. di salvaguardare sia gli interessi della collettività alla tempestiva realizzazione delle opere pubbliche appaltate, sia dei destinatari diretti e meramente mediati della misura interdittiva antimafia, consente di mettere in luce le differenze funzionali e strutturali che intercorrono tra l’istituto del controllo volontario e la misura di prevenzione patrimoniale del controllo prescrittivo, sganciando così il primo dalla verifica del requisito del pericolo di contaminazione mafiosa.
Se la finalità dell’istituto è quella di recuperare aziende da infiltrazioni episodiche della criminalità organizzata, ben si comprende come la sua concessione debba dipendere soprattutto da valutazioni di carattere predittivo e dinamico circa il possibile esito favorevole della ‘messa alla prova aziendale’[14].
Questa soluzione, inoltre, appare come l’unica alternativa esegetica del disposto normativo costituzionalmente orientata e capace di evitare la produzione di situazioni manifestamente irragionevoli, difficilmente compatibili con il principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in cui il soggetto destinatario di un’interdittiva che, secondo la valutazione conforme del g.o., ha rapporti occasionali con le organizzazioni mafiose può accedere ad una disciplina più mite e proseguire nelle sue attività anche nel settore di appalti ed opere pubbliche, mentre quello che non li abbia mai avuti continuerà a subire le conseguenze pregiudizievoli ed incapacitanti implicate dal provvedimento pregresso dell’autorità prefettizia.
In secondo luogo, la decisione si lascia apprezzare, sempre in una prospettiva strettamente giuridica, per il chiarimento degli intricati e difficilmente districabili rapporti tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa in materia di interdittive antimafia e di misure ad esse connesse. Pur non potendo dipanare la matassa ingarbugliata che ha costruito nel tempo il legislatore, in cui si intersecano e sovrappongono – talvolta in maniera contraddittoria – i due tipi di giudizio, la sentenza cerca di mettere ordine nell’esistente, precisando che nel caso di interdittiva antimafia il vaglio sul pericolo di infiltrazione è demandato in via esclusiva al giudice amministrativo, residuando per quello ordinario solamente un potere di verifica del requisito dell’occasionalità.
Naturalmente rimane inalterata la asimmetria di fondo di un sistema di prevenzione che affida la misura più invasiva e restrittiva dei diritti fondamentali del destinatario ad un provvedimento amministrativo adottato dal medesimo organo inquirente e potenzialmente inaudita altera parte con ridotte garanzie processuali ed, invece, assegna la misura lenitiva e di favore su istanza di parte ad una decisione del giudice ordinario della sezione delle misure di prevenzione all’esito di un contraddittorio in camera di consiglio reale, seppur dimidiato[15].
Così come restano fermi i dubbi circa la ragionevolezza di questo assetto disciplinare e la convinzione che, invece, sarebbe forse più opportuno superare il distinguo tra prevenzione giurisdizionale e prevenzione amministrativa con l’annesso sdoppiamento di competenze tra giudice amministrativo e giudice ordinario, affidando al vaglio preventivo del secondo tutte le misure di prevenzione, anche l’interdittiva antimafia che è, probabilmente, la più afflittiva, confisca compresa, incidendo a trecentosessanta gradi su tutte le attività dell’impresa nel settore degli appalti pubblici e non su singoli cespiti patrimoniali.
Sotto il secondo versante, quello delle politiche antimafia, la decisione lancia messaggi di grande modernità nel momento in cui, opportunamente, amplifica gli spazi di operatività dell’istituto del controllo giudiziario volontario, cogliendo la sua funzione di salvaguardia di valori fondamentali di pari livello con quello della sicurezza collettiva, e la sua capacità di recuperare al ‘mondo della legalità’, con un interevento a carattere terapeutico e non incapacitante, soggetti che si muovono nella ‘zona grigia’ della contiguità mafiosa[16].
In controluce, infatti, sembra possibile intravedere una adesione da parte della Cassazione ad un modello di intervento ordinamentale differenziato sul cedevole terreno della infiltrazione mafiosa occasionale, in cui le risposte nei confronti dei comportamenti degli affiliati alle associazioni di tipo mafioso continuano a conservare un carattere marcatamente repressivo, mentre quelle nei confronti delle forme di contiguità meno gravi si ispirano ad una ben diversa logica prospettico-collaborativa[17].
L’eliminazione dei freni inseriti al controllo volontario dal diritto vivente consente, invero, di affrontare in futuro il problema delle infiltrazioni mafiose nell’economia legale in una ottica diametralmente opposta rispetto al passato e decisamente più coerente con gli scopi e gli assetti valoriali di uno Stato sociale di diritto.
Questa interpretazione estensiva delle maglie di operatività dell’istituto di cui all’art. 34 bis, comma 6, c.a.m., lascia intendere che rispetto ai tentativi meramente occasionali di infiltrazione mafiosa – sia compiacente che meramente soggiacente[18] – l’ordinamento non deve intervenire con il maglio duro della prevenzione amministrativa, affidandosi in modo impulsivo e drastico ad una misura, come l’interdittiva antimafia, istantanea, ostracizzante, potenzialmente ‘distruttiva’ per il destinatario che opera nel settore degli appalti pubblici, adottata dal prefetto territorialmente competente in assenza di un contraddittorio endo-procedimentale necessario e sulla base di uno standard probatorio labile del ‘più probabile che non’.
Esattamente al contrario, rispetto ad aziende di base ‘lecite’[19], che si trovano ad operare in territori o contesti socio-ambientali ad altissima contaminazione mafiosa che le portano ad avere inevitabili contatti, minimi ed episodici, con organizzazioni criminali o loro esponenti, uno Stato che davvero voglia agire, anche nella materia dell’antimafia, con l’intento di ‘rimuovere gli ostacoli’ che limitano le libertà dei cittadini non può limitarsi ad espungerle dalle gare pubbliche, condannandole ad una probabile estinzione, dannosa anche per i terzi estranei come i creditori o i lavoratori subordinati, ma deve farsi carico – il più possibile, laddove la situazione consenta di formulare giudizi prognostici positivi – di compiti solidaristici, affiancandole con il controllo giudiziario volontario in un percorso di fuoriuscita dal rischio di contaminazione mafiosa di lungo periodo, tramite un lavoro sinergico degli uffici territoriali del governo e della magistratura ordinaria[20].
Solo in questo modo è possibile conseguire il triplice obiettivo di: assicurare la tempestiva realizzazione delle opere pubbliche appaltate, o l’effettiva erogazione di servizi di interesse della collettività; evitare il dissesto delle imprese attinte da provvedimenti interdittivi antimafia che inibiscono la instaurazione o continuazione di rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione e determinano la decadenza di autorizzazioni e concessioni essenziali per la prosecuzione delle attività; rescindere realmente i legami mafiosi, inibendo un nuovo avvicinamento della criminalità organizzata durante la fase di bonifica ‘sorvegliata’.
La strada indicata dalla dottrina[21] per una antimafia dialogica e recuperatoria, orientata al reinserimento sociale ed economico di soggetti che hanno subito occasionali situazioni di contaminazione mafiosa nelle loro attività imprenditoriali, sembra definitivamente aperta anche dalla giurisprudenza di legittimità.
Ora spetta al diritto vivente dell’immediato futuro il compito di far sì che venga percorsa senza sbandamenti od eccessi, sia restrittivi che estensivi.
L’effettivo funzionamento dell’istituto dipende, evidentemente, da un suo ponderato impiego: tanto una serrata chiusura dei suoi spazi di concessione, quanto una loro ampia dilatazione, potrebbe pregiudicare le finalità perseguite dal legislatore, nel primo caso non consentendo proprio di attivare il percorso terapeutico di monitoraggio aziendale, nel secondo caso frustrando la possibilità di assicurare una sorveglianza effettiva sul suo andamento.
[1] Sulla delicatissima funzione dell’istituto del controllo volontario si veda C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperato ria contro le infiltrazioni mafiose, in G. Amarelli-S. Sticchi Damiani (a cura di), Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto alla infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Torino, 2019, pp. 237 e ss.; R. Cantone-B. Coccagna, L’impresa raggiunta da interdittiva antimafia tra commissariamenti prefettizi e controllo giudiziario, ivi, pp. 283 e ss.; A. Maugeri, La riforma delle misure di prevenzione patrimoniali ad opera della l. 161/2017 tra istanze efficientiste e tentativi incompiuti di giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, in Arch. pen., 2018, pp. 368 e ss.; M. Mazzamuto, Il salvataggio delle imprese tra controllo giudiziario volontario, interdittive prefettizie e giustizia amministrativa, in questa Rivista, 3 marzo 2020, pp. 5 e ss.; E. Birritteri, I nuovi strumenti di bonifica aziendale nel Codice Antimafia: amministrazione e controllo giudiziario delle aziende, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2019, pp. 859 e ss.; S. Finocchiaro, La riforma del codice antimafia (e non solo): uno sguardo d’insieme alle modifiche appena introdotte, in Dir. pen. cont., 10/2017, pp. 256 e ss.; F. Balato, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali: il controllo giudiziario delle aziende e delle attività economiche di cui all'art. 34-bis codice antimafia, ivi, 3/2019, pp. 64 e ss. Spunti interessanti anche in E. Mezzetti, Codice antimafia e codice della crisi dell’insolvenza: la regolazione del traffico delle precedenze in cui la spunta sempre la confisca, in Arch. pen., 2019, pp. 11 e ss.; A.G. Diana, Il controllo giudiziario nelle aziende, Pisa, 2021, pp. 237 e ss.
[2] Tale funzione ‘pubblicistica’ è evidenziata da Cons. St., Sez. III, 8 giugno 2020, n. 3641; Cons. St., Sez. III, 21 aprile 2019, n. 2141, nella parte in cui considera le interdittive antimafia “una risposta forte per salvaguardare i valori fondanti della democrazia”. In argomento A. Levato, Potestà discrezionale del Prefetto e regime di impugnazione delle interdittive antimafia. Criticità e prospettive di risoluzione, p. 17; R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’ 8 giugno 2020), in www.giustiziainsieme.it, 3 luglio 2020; C. Felicetti, Self cleaning e interdittiva antimafia (nota a Cons. St., Sez. III, 19 giugno 2020, n. 3945), ivi, 9 luglio 2020.
[3] Per una disamina degli interessi contrapposti di natura privata sacrificati dalle interdittive antimafia e, sovente, non adeguatamente considerati dalla giurisprudenza amministrativa nel bilanciamento ideale con quelli pubblici cfr. il nostro G. Amarelli, Interdittive antimafia e “valori fondanti della democrazia”: il pericoloso equivoco da evitare, in www.giustiziainsieme.it, 17 luglio 2020.
[4] La stessa decisione in commento richiama i precedenti orientamenti giurisprudenziali particolarmente cauti di Cass., Sez. V, 2 luglio 2018, n. 34526; Cass., Sez. II, 13 febbraio 2019, n. 18564.
[5] In tal senso cfr. la decisione impugnata della Corte di Appello di Torino, 17 settembre 2020. Tale opzione ermeneutica, secondo cui anche per la versione “volontaria” del controllo giudiziario occorre accertare i presupposti richiesti dal primo comma dell’art. 34 bis, è stata sostenuta anche da Trib. di S. Maria C.V., 14 febbraio 2018, in Giur. it., 2018, pp. 1518 e ss., con nota di T. Alesci, I presupposti ed i limiti del nuovo controllo giudiziario nel codice antimafia. Sul punto si veda anche F. Balato, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali: il controllo giudiziario delle aziende e delle attività economiche di cui all’art. 34 bis Codice antimafia, in Dir. pen. cont., 3/2019, pp. 61 e ss., nonché, per una ampia ricognizione delle diverse tesi, C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”, cit., p. 239 e s.
[6] La natura incapacitante parziale e temporanea dell’interdittiva è delineata da Cons. Stato, Ad. plen. n. 3 del 2018, nonché ribadita da C. cost. n. 57/2020.
[7] C. Visconti, Codice antimafia: luci e ombre della riforma, in Dir. pen proc., 2018, p. 149.
[8] La tesi ‘separatista’ del controllo volontario era già stata prospettata in dottrina da C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”, cit., p. 240 e s.
[9] In argomento cfr. L. Tescaroli-G. Mottura, Strumenti giurisdizionali e amministrativi per il disinquinamento mafioso dalle attività economiche, in Quest. giust., 5 maggio 2020.
[10] C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”, cit., p. 239 e s.
[11] Cass., Sez. I, 30 gennaio 2020, n. 8084, con nota di G. Amarelli, Interdittive antimafia e controllo giudiziario volontario: la Cassazione delinea un nuovo ruolo per le Prefetture?, in questa Rivista, 10 aprile 2020; nonché Cass., Sez. un., 26 settembre 2019, n. 46898, Recchiuto, con nota di D. Albanese, Le Sezioni unite ridisegnano il volto del controllo giudiziario “volontario” (art. 34-bis, co. 6, d.lgs. 159/2011) e ne disciplinano i mezzi di impugnazione, in questa Rivista, 28 novembre 2019.
[12] L’autonomia del controllo volontario rispetto al controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis, comma 1, c.a.m., era già stata messa ben in evidenza da C. Visconti-G. Tona, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, in Leg. pen., 14 febbraio 2018, p. 32, i quali segnalavano proprio l’assenza di un esplicito rinvio normativo al comma 1 quale elemento dirimente dei rapporti tra le due tipologie di provvedimento preventivo. Va peraltro rilevato che, come sottolineato da C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”, cit., p. 242, “l’inserimento nella norma della locuzione “verificandone i presupposti” è opera del Parlamento (la Commissione ministeriale che ha congegnato l’istituto, la Commissione parlamentare antimafia 9 e il Governo, invece, lo avevano configurato in termini “automatici”), sulla base di un documento presentato dalla Direzione nazionale antimafia in cui, salvo un generico riferimento alla necessità di evitare un indebolimento indiscriminato della prevenzione amministrativa, non v’è alcuna indicazione più stringente sui contenuti dei presupposti medesimi (e lo stesso può dirsi per i lavori parlamentari)”. Sul punto cfr. Proposte di intervento in materia di criminalità organizzata: la prima relazione della Commissione Fiandaca, in www.penalecontemporaneo.it, 12 febbraio 2014, e Codice antimafia e delle misure di prevenzione: in cantiere una riforma organica, ivi, 2 dicembre 2014.
[13] N.b. il grassetto nei passi della sentenza riportati testualmente è nostro.
[14] C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”, cit., p. 237.
[15] Per una trattazione più analitica dei possibili interventi de iure condendo realizzabili in materia di interdittive antimafia e di controllo volontario sia consentito rinviare al nostro G. Amarelli, Le interdittive antimafia “generiche” tra interpretazione tassativizzante e dubbi di incostituzionalità, in G. Amarelli-S. Sticchi Damiani, Le interdittive, cit., pp. 231 e ss. In termini analoghi, segnalano l’opportunità di una revisione della disciplina delle interdittive e dei controlli anche sul terreno del riparto di giurisdizioni, L. Tescaroli-G. Mottura, Strumenti giurisdizionali e amministrativi, cit.
[16] Sulle contrapposte esigenze sottese al controllo giudiziario volontario e, prima ancora, al provvedimento prefettizio interdittivo antimafia, si veda il nostro G. Amarelli, Interdittive antimafia e “valori fondanti della democrazia”, cit.
[17] I diversi paradigmi sono lucidamente tratteggiati da C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”, cit., pp. 237 3 ss.
[18] Il doppio tipo di contiguità legittimante l’adozione di un’interdittiva antimafia è ben descritto dalla giurisprudenza amministrativa. Secondo la recente precisazione di Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105 e Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743, la prima forma, quella della complicità soggiacente, designa l’ipotesi in cui un operatore economico si lasci condizionare dalla minaccia mafiosa e si lasci imporre le condizioni (e/o le persone, le imprese e/o le logiche) da questa volute, mentre la seconda forma, quella della complicità compiacente, l’ipotesi in cui decida di scendere consapevolmente a patti con la mafia nella prospettiva di un qualsivoglia vantaggio per la propria attività.
[19] Sottolinea come una antimafia preventiva a contenuto dialogico sia declinabile solo per imprese non direttamente controllate dalla criminalità organizzata R. Russo, Le misure patrimoniali antimafia applicabili agli enti, in Arch. pen., 2012, p. 8; T. Bene, Dallo spossessamento gestorio agli obiettivi di stabilità macroeconomica, ivi, 21 maggio 2018.
[20] Evidenziano l’importanza del controllo volontario in aree geografiche già economicamente depresse L. Tescaroli-G. Mottura, Strumenti giurisdizionali e amministrativi, cit., sottolineando come “il ricorso massiccio alle informative interdittive antimafia in aree caratterizzate dalla presenza di associazioni di tipo mafioso come la ‘Ndrangheta in Calabria, costituite su base familistica, potrebbe creare un male maggiore di quello che si intende curare, e annientare le timide propaggini di uno sviluppo economico, solo sulla base di rapporto di parentela privo di effettivo rilievo in quel contesto (ad esempio, nelle assunzioni di lavoratori dipendenti)”.
[21] Avevano segnalato la portata fortemente innovativa del controllo volontario e, più in generale, delle nuove misure di prevenzione patrimoniale miti e non ablative, G. Fiandaca, Le misure patrimoniali nelle fonti internazionali ed europee e il sistema penale italiano, in AA.VV., Misure patrimoniali nel sistema penale: effettività e garanzie, Milano 2016, pp. 22 3 ss.; C. Visconti, Strategie di contrasto dell’inquinamento criminale dell’economia: il nodo dei rapporti tra mafie e imprese, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, pp. 705 e ss.