GUP Varese, ord. n. 792 del 16 novembre 2022, giud. Battarino
1. Il Giudice dell’udienza preliminare di Varese, con l’ordinanza n. 792/2022, emessa il 16 novembre 2022, ha affrontato un’eccezione sollevata dai difensori degli imputati riguardante la possibile violazione dell’art. 415 bis c.p.p.
La difesa lamentava una ridotta disponibilità degli atti contenuti nel fascicolo investigativo dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Nello specifico, l’accesso all’ingente materiale – frutto soprattutto di intercettazioni ambientali – sarebbe rimasto limitato o negato a causa di provvedimenti e comportamenti ostativi del pubblico ministero e degli uffici della Procura.
Il Giudice ha ritenuto tale eccezione fondata e le affermazioni della difesa di fatto non smentite dalla pubblica accusa; pertanto, con il provvedimento in esame ha dichiarato la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, con restituzione integrale degli atti al p.m. Inoltre, per le medesime difficoltà di accesso al materiale intercettativo, ha revocato l’ordinanza di ammissione al giudizio abbreviato già in precedenza emessa a favore di uno degli imputati.
Così opinando, il giudice ha affermato che la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari non esaurisce gli oneri procedimentali costituenti presupposto per l’esercizio dell’azione penale. Al contrario, i commi 2 e 2 bis dell’art. 415 bis c.p.p. vanno intesi come previsioni idonee ad assegnare agli indagati e ai loro difensori facoltà che devono essere concretamente attuabili, se del caso mediante adeguati provvedimenti organizzativi degli uffici della Procura.
2. La pronuncia offre una lettura costituzionalmente orientata degli artt. 415 bis e 416 c.p.p., alla luce di alcuni fondamentali principi del nostro sistema processuale penale, quali il diritto di difesa, all’informazione, al contraddittorio in condizioni di parità tra le parti.
A causa della continua innovazione delle forme d’indagine e dei relativi supporti documentativi, tali norme sembrano destinate progressivamente a perdere la loro capacità di tutelare le garanzie per le quali sono state previste. In particolare, l’aumento esponenziale dell’impiego di sofisticate tecnologie nella ricerca delle prove pone in capo agli operatori nuovi e specifici oneri, che, se non adeguatamente adempiuti, rischiano di pregiudicare le garanzie poste a tutela dell’accusato, come è accaduto nel caso in commento.
Non per nulla, il «diritto di difesa si traduce in tutta una serie di facoltà e poteri attribuiti all'imputato, nonché di doveri e oneri facenti capo agli altri soggetti processuali, pubblici e privati»[1]; e, ai sensi dell’art. 111 comma 3 Cost., il giusto processo garantisce alla persona accusata di un reato di essere «nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico» e di poter disporre «del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa»[2].
Quest’ultimo principio trova, però, una fisiologica attenuazione nella fase investigativa, ove «spira garantismo tardo-inquisitorio»[3]. Durante le indagini preliminari, infatti, oltre ad essere inevitabile lo squilibrio di poteri tra le parti, l’interesse difensivo a ricevere notizie dell’addebito è inibito dall’interesse dell’accusa alla segretezza. Tuttavia, al termine di questa fase, più o meno coperta dal silenzio investigativo, l’avviso di conclusione delle indagini vorrebbe (e dovrebbe) rappresentare un momento di spiccata garanzia[4]; non è un semplice passaggio formale a chiusura di un periodo procedimentale, ma costituisce la fonte e la premessa per una serie di oneri in capo alla pubblica accusa e di diritti difensivi, primo fra tutti il diritto all’informazione[5].
L’avviso ex art. 415 bis c.p.p., infatti, è un «istituto complesso»[6] volto ad assicurare, da un lato, la conoscibilità delle investigazioni nella loro completezza, rendendo edotta la persona sottoposta a indagini della notizia di reato e dell’intera documentazione raccolta; dall’altro, il diritto dell’accusato a interloquire in modo diretto con l’accusa, al fine di verificare ed eventualmente contraddire l’impianto accusatorio, prima che sia ufficializzata la richiesta di rinvio a giudizio.
Facendo venir meno ogni segreto, la discovery degli atti investigativi pone il fascicolo delle indagini nella disponibilità della difesa, affinché diventi un serbatoio a cui possa attingere, e su cui le parti possano interloquire nel rispetto di una tanto ambiziosa, quanto faticosa, parità delle armi[7], che si realizzerà a pieno, da lì a poco, nell’eventuale fase processuale. Il confronto fra accusa e difesa, realizzabile in quello specifico momento processuale, è per l’indagato la prima vera occasione di approfondimento e vaglio sull’impostazione accusatoria, che potrebbe, addirittura, far desistere il p.m. dall’esercizio dell’azione penale.
Appare persino scontato affermare come queste regole processuali, proprio per la loro portata generale, non possono che trovare applicazione anche nel caso in cui il materiale contenuto nel fascicolo delle indagini sia composto da registrazioni audio-video, frutto di intercettazioni ambientali. L’ostensione del materiale d’intercettazione, al di là della specifica disciplina di cui al comma 2bis dell’art. 415bis c.p.p., che si applica qualora la selezione degli esiti avvenga non prima dell’avviso di conclusione delle indagini, deve, non di meno, sottostare alla previsione di cui al secondo comma dello stesso articolo che, senza compiere alcuna distinzione o esclusione sulla base della tipologia degli atti, consente in via generalizzata all’accusato e al suo difensore di esaminare ed estrarre copia della documentazione relativa alle indagini.
Sicché, condividendo la linea interpretativa fatta propria dal Giudice varesino, una volta emesso l’avviso di conclusione delle indagini, la difesa dovrebbe poter accedere all’archivio presso cui è custodito il materiale intercettativo ed esaminarlo nella sua interezza, pena una lesione, o quanto meno una compressione, dei diritti difensivi[8].
3. L’art. 416 comma 1 c.p.p. prevede la nullità della richiesta di rinvio a giudizio nel caso in cui tale atto non sia preceduto da determinati adempimenti posti a garanzia di un effettivo intervento dell’indagato nella fase terminale delle indagini preliminari. Tra questi, oltre alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, la norma prevede solo l’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio richiesto dall’indagato entro il termine di cui al terzo comma dell’art. 415 bis c.p.p., senza compiere alcun altro riferimento alle restanti, e altrettanto delicate, garanzie e facoltà difensive derivanti dall’avviso citato.
Nel caso di specie, tuttavia, il Giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto la richiesta di rinvio a giudizio nulla, poiché non preceduta da un avviso di conclusione delle indagini utilmente prodromico all’esercizio effettivo del diritto di difesa, seppur correttamente notificato all’imputato insieme a tutti gli avvisi difensivi che, per legge, esso deve contenere. L’atto ex art. 415 bis c.p.p., infatti, non dovrebbe considerarsi valido qualora l’attività difensiva resti «in concreto compromessa dalla mancata conoscenza degli elementi d’indagine»[9] e la discovery solo apparente o illusoria. Ritenendo, dunque, quanto previsto ai commi 2 e 2 bis dell’art. 415 bis c.p.p. una vera e propria condizione d’efficacia dell’avviso di conclusione delle indagini, il giudice afferma che tali avvertenze debbano sfociare in facoltà praticamente attuabili, anche a costo di imporre alla Procura l’adozione di provvedimenti organizzativi inusuali o particolarmente onerosi.
Prima facie, si potrebbe obiettare che, con il provvedimento in esame, il Giudice abbia compiuto una lettura analogica[10] dei casi di nullità elencati dall’art. 416 c.p.p., preclusa dal principio generale di tassatività delle nullità anche qualora si operi in favor rei, se non altro per salvaguardare la funzionalità del sistema alla luce dell’art. 177 c.p.p. Tuttavia, rimane indubbio – anche qualora non si volesse condividere l’interpretazione offerta dal Giudice – che non si possa lasciare priva di tutela un’offesa arrecata a fondamentali diritti difensivi. Un comportamento omissivo o reticente della Procura sugli adempimenti di cui all’art. 415 bis c.p.p. non può compromettere di fatto l’esercizio del diritto di difesa dell’accusato nella delicata fase procedimentale successiva alla chiusura delle indagini.
Inoltre, allorché il processo fosse continuato senza la restituzione degli atti al p.m., benché sul punto non tutta la giurisprudenza risulti concorde, si sarebbe anche potuta ritenere integrata – come sostenuto dal Giudice varesino – un’ipotesi di nullità di carattere generale ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p., nella parte in cui fa riferimento all’intervento dell’imputato nel giudizio[11].
4. Nel caso in esame, a differenza di quanto accaduto in occasione dell’eccezione sul “disordine del fascicolo”, per la cui risoluzione, a suo tempo, si era ricorsi alla Corte costituzionale[12], la dialettica processuale dell’udienza preliminare non pare idonea a risanare il pregiudizio arrecato ai diritti difensivi.
Invero, tale rimedio non sanzionatorio di certo avrebbe consentito all’organo giurisdizionale di non rinunciare alla speditezza del processo; però, la concessione di un termine per la difesa – in questo caso – non avrebbe rimesso gli imputati nelle originarie condizioni loro negate nell’antecedente fase procedimentale. Al netto del fatto che nell’udienza preliminare «i termini del dibattito non sono definitivamente fissati al momento della richiesta introduttiva e il rapporto che si instaura in essa tra giudice e parti configura in realtà un work in progress»[13], essa non è sempre in grado di riassegnare ogni garanzia precedentemente negata attraverso il confronto tra le parti o la dilatazione dei tempi processuali.
Negare o limitare il diritto d’accesso al materiale investigativo dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, inoltre, rischia di pregiudicare le facoltà difensive e di interlocuzione che l’art. 415 bis c.p.p. riconosce agli indagati. Non si può, allora, escludere che le negligenze della Procura di Varese abbiano di fatto compromesso il regolare confronto tra le parti nella fase successiva alla chiusura delle indagini. Di conseguenza, è venuta meno anche la possibilità di rendere l’udienza preliminare non tanto il luogo di primo incontro tra pubblica accusa e imputato, bensì un momento in cui proseguire, davanti al giudice, il confronto dialettico già precedentemente iniziato; nonché l’opportunità di evitare la celebrazione dell’udienza stessa, qualora dopo l’avviso ex art. 415 bis c.p.p. la difesa fosse addirittura riuscita a convincere il p.m. a non esercitare l’azione penale.
L’eccezione non sembra nemmeno correttamente risolvibile attraverso la dichiarazione d’inutilizzabilità degli atti non ostesi. Innanzitutto, degli atti in questione non viene contestato il mancato deposito all’interno del fascicolo, che, secondo quanto affermato dalla maggioritaria giurisprudenza di legittimità, li renderebbe inutilizzabili[14], bensì la loro mancata fruibilità da parte della difesa. Inoltre, in un’ottica di bilanciamento tra interessi e esigenze in gioco, giungere ad una soluzione così incisiva priverebbe il fascicolo delle indagini – e, nel caso d’intercettazioni, anche l’eventuale processo – di un ingente materiale investigativo, al fine di tutelare garanzie difensive che sono, comunque, recuperabili anche attraverso altre vie.
Pertanto, seppur in presenza di un apparente vuoto normativo sul punto, il Giudice, per evitare che si realizzasse una «burla per i diritti degli imputati»[15], ha optato per una soluzione restitutoria. Attraverso la regressione del procedimento, la difesa è stata rimessa nell’esatta condizione di poter godere di tutte le facoltà negate, evitando, al contempo, di rendere inutilizzabile l’ingente – e probabilmente anche essenziale – materiale intercettativo.
Il giudice, per giungere a tale epilogo, ha dovuto compiere un notevole sforzo interpretativo. L’ordinamento pare lasciare sprovviste di una specifica sanzione violazioni anche gravi, che potrebbero verificarsi all’interno della delicata “fase” di conclusione delle indagini preliminari. Per soddisfare esigenze di funzionalità investigativa, il legislatore, affidando prevalentemente l’osservanza dell’obbligo di discovery «al p.m., alla sua coscienza e alla sua responsabilità di magistrato»[16], ha dotato il sistema processuale di una disciplina che non è in grado di garantire la verificabilità dell’esatto adempimento degli obblighi ostensivi previsti all’art. 130 disp. att. c.p.p. Sicché, pare lecito quantomeno domandarsi se sia rispettoso del giusto processo affidare una scadenza dalle conseguenze processuali così importanti all’esclusiva responsabilità di una parte, benché si tratti di quella pubblica.
5. Rimane, infine, non completamente esente da dubbi la scelta del giudice di Varese di revocare l’ordinanza di ammissione al rito abbreviato precedentemente emessa per una degli imputati, con conseguente restituzione degli atti al p.m.
Il giudice, mosso da spirito di elevato garantismo, e ritenendo violate prescrizioni procedimentali inderogabili, ha esteso lo stesso trattamento riservato agli altri accusati anche a colei che tra essi aveva già ottenuto l’ammissione al rito abbreviato. Invero, si può dubitare se i comportamenti adottati dalla Procura varesina siano da ritenersi realmente contrari a prescrizioni tali da fondare la revoca del provvedimento ammissivo della richiesta di rito abbreviato. Inoltre, e in ultima analisi, è dubbio se da tale revoca consegua una maggior garanzia per l’imputata o, piuttosto, la scelta si configuri come un atto abnorme.
La posizione assunta dall’organo giurisdizionale, anzitutto, diverge dalla diffusa convinzione[17] che alle nullità di cui all’art. 416 c.p.p. dovrebbe negarsi carattere assoluto, in quanto non ricomprese tra quelle indicate dall’art. 179 c.p.p., limitatamente alla mancata citazione dell’imputato e all’assenza del difensore nei casi in cui è obbligatoria la sua presenza. Giurisprudenza e dottrina sembrano, infatti, più propense a ricomprenderle tra le nullità a regime intermedio che, seppur rilevabili anche d’ufficio, vengono sanate qualora sia presentata domanda – poi accolta – di riti speciali come il giudizio abbreviato.
La richiesta di rito abbreviato è espressione di una scelta consapevole e ponderata, caratterizzata dalla volontà dell’imputato di essere giudicato sulla base degli atti d’indagine, accettando di fatto una riduzione delle garanzie in cambio di una consistente riduzione della pena[18]. Ritenere, pertanto, il negato accesso a tutti gli atti d’indagine una violazione del diritto di difesa, tale da determinare addirittura la revoca dell’ammissione al rito abbreviato, sembra – più che una manifestazione di garantismo – l’espressione concreta di un atto abnorme. Il giudice, così agendo, si sarebbe di fatto riservato un potere non attribuitogli rispetto alla scelta di strategia processuale praticata dell’imputata, provocando un’indebita distorsione della sequenza procedimentale contraria al principio della ragionevole durata del processo[19].
6. Un’ultima riflessione viene suscitata dalla recentissima entrata in vigore della “riforma Cartabia”. Con la nuova formulazione dell’art. 408 comma 1 c.p.p.[20], le indagini subiranno nel prossimo futuro un progressivo e inevitabile cambio di prospettiva. Difatti, il pubblico ministero, esercitando l’azione penale, ora non è più chiamato genericamente a verificare, alla luce delle indagini compiute, la sola fondatezza della notizia di reato e la sua ricostruzione ipotetica in termini di sostenibilità dell’accusa davanti al giudice del dibattimento; bensì se – sulla base delle indagini compiute – possa fondarsi una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca[21].
Imporre alla pubblica accusa una valutazione proiettata verso uno specifico esito dell’iter processuale fin dalla richiesta di rinvio a giudizio avrà di certo non pochi effetti sulla qualità dell’operato delle Procure, oltre che sulla quantità delle attività investigative da espletare e degli elementi di prova da raccogliere. Alle indagini che, per ambire alla completezza richiesta, dovranno essere sempre più copiose e dettagliate, si sommeranno anche gli elevati standard documentativi imposti soprattutto dalle innovative metodologie di ricerca della prova, dalle quali deriverà – come del resto già avviene – una “sovrabbondanza di oneri organizzativi” per gli uffici dei p.m.
L’auspicio, dunque, è che tale evoluzione non diventi – come nel caso in esame – il motivo o il pretesto per rendere difficoltoso o addirittura impossibile l’esercizio delle garanzie che l’ordinamento riconosce alle persone sottoposte a procedimento penale. Anzi, proprio per tali ragioni, l’attuabilità dei diritti e delle facoltà dell’accusato dovrà essere oltremodo concreta e puntuale, affinché la difesa possa costruire un’adeguata alternativa rispetto ad un’azione penale sorretta dalla presunzione di meritevolezza della condanna. Allo stesso tempo, però, occorre essere consapevoli che non è possibile accomodare il sistema delle nullità alle peculiari esigenze di ogni vicenda processuale. La legalità processuale, che proprio nel rigoroso rispetto delle forme trova il suo naturale e più solido fondamento, dovrebbe far avanzare gli interpreti con estrema cautela, individuando efficaci contrappesi per evitare che le discrezionalità interpretative e applicative possano sortire indesiderati effetti arbitrari e iniqui[22].
[1] O. Dominioni, voce Imputato, in Enc. giur., XX, 1970, p. 789.
[2] Il principio è, altresì, enunciato dall’art. 6 § 3 Cedu, il quale stabilisce che ogni accusato ha diritto a: «a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile, e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa».
[3] Così F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, 2012, p. 900, evidenziando che «nemmeno il legislatore più garantista intende alla lettera la parità delle parti quando non esista ancora un processo, perché molte imputazioni non nascerebbero mai se l’indagante giocasse a carte scoperte».
[4] Secondo A. Camon, Le indagini preliminari, in AA.VV., Fondamenti di procedura penale, Cedam, 2021, p. 447, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, introdotto con la l. n. 479 del 16 dicembre 1999, «sebbene appesantisca l’iter, nel complesso va salutato positivamente». In senso più critico, invece, v. ancora F. Cordero, Procedura penale, cit., p. 904, che individua nell’istituto di cui all’art. 415-bis c.p.p. una «metastasi istruttoria» per un «garantismo vieux style, congeniale al primo tempo del processo bifasico».
[5] In questi termini L. Giuliani, Indagini preliminari e udienza preliminare, in G. Conso - V. Grevi - M. Bargis, Compendio di procedura penale, Cedam, 2020, p. 519.
[6] R. Gargiulo, Art. 415-bis, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di G. Lattanzi - E. Lupo, VII, Giuffrè, 2020, V, p. 666.
[7] Si tratta di una «condizione minima», secondo G. Giostra, voce Contraddittorio (principio del), II) Diritto processuale penale, in Enc. giur. Treccani, 2001, p. 1, volta a rendere concretamente attuabile un vero e proprio ius ad eloquendum in capo all’imputato. Pertanto, in linea generale, il deposito degli atti deve essere, a dispetto del silenzio normativo sul punto, integrale, come chiarisce T. Bene, Tra ragionevole durata del processo e funzionalità processuale, in Dir. pen. e proc., 2011, p. 760.
[8] Ufficio del massimario e del ruolo della corte suprema di cassazione, Rel. n. 35/2020, p. 39. Dibattuta, invece, rimane la questione se la difesa possa, nel caso previsto dal comma 2-bis dell’art. 415-bis c.p.p., anche richiedere il rilascio di una copia di tutti gli atti e le registrazioni custodite presso l’archivio della Procura.
[9] Cass., Sez. I, 10 novembre 1999, Bracchi, in Arch. n. proc. pen., 2000, p. 717.
[10] Così P.P. Paulesu, L’atto processuale penale. Patologia, in AA.VV., Fondamenti di procedura penale, Cedam, 2021, p. 261; G.P. Voena, Atti, in G. Conso - V. Grevi - M. Bargis, Compendio di procedura penale, cit., p. 244.
[11] In questo senso anche A. Barazzetta, Art. 416, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda - G. Spangher, Ipsoa, 2010, p. 5215. Di segno opposto, invece, Cass., Sez. I, 30 gennaio 2014, n. 4429, in C.E.D., n. 258311, secondo cui «il diniego alla richiesta dell'imputato di accedere ai supporti magnetici di un'intercettazione non dà luogo alla nullità della richiesta di rinvio a giudizio, poiché detta sanzione – oltre a non essere espressamente comminata dall'art. 416 c.p.p. – non può derivare dalla previsione generale dell'art. 178, comma primo lett. c) c.p.p., considerato che gli adempimenti relativi all'acquisizione delle conversazioni intercettate (art. 268 c.p.p.) non costituiscono condizione né antecedente procedimentale necessario dell'esercizio dell'azione penale».
[12] Corte cost., 8 maggio 2009, n. 142, in Giur. cost., 2009, p. 1545 e s., con commento di P. Bronzo, Il deposito degli atti d’indagine: patologie e sanzioni, ivi, 2009, p. 3931 e s.; G. Di Chiara, Osservatorio corte costituzionale - richiesta di rinvio a giudizio, in Dir. pen. e proc., 2009, VIII, p. 973. In quella sede la Consulta dichiarò infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 416 c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 24 comma 2 e 111 comma 3 Cost., nella parte in cui non prevede la sanzione di nullità per i casi in cui il fascicolo trasmesso al giudice con la richiesta di rinvio a giudizio sia predisposto senza l'osservanza delle prescrizioni relative alla formazione dei fascicoli. In tali casi, secondo la Corte costituzionale, l’introduzione di una nuova causa di nullità con la restituzione degli atti al p.m. determinerebbe da un lato un’eccessiva rigidità delle conseguenze, e dall’altro un contrasto con i legittimi interessi delle parti e con il principio della ragionevole durata del processo. La soluzione prospettata dal Corte fu quella di porre rimedio a tale evenienza attraverso l'intervento del GUP al fine di sollecitare il p.m. a riordinare il fascicolo nel rispetto delle norme relative alla sua formazione, rinviando, se del caso, anche l'udienza.
[13] L. Giuliani, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., p. 539.
[14] In linea generale, il deposito degli atti – onde non menomare le prerogative difensive – deve essere integrale. L’omissione del deposito degli atti di indagine preliminare contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione comporta l’inutilizzabilità degli stessi e non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio: così ex multis Cass., Sez. III, 22 dicembre 2017, n. 24979/18, in C.E.D., n. 273527. In senso difforme, però, Cass., Sez. II, 10 aprile 2018, n. 20125, in Cass. pen., 2019, p. 4016, ove si afferma che l’omesso deposito di atti di indagine preliminare contestualmente alla notifica dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. determina una nullità di ordine generale a regime intermedio.
[15] A. Camon, Nullità probatorie, omesso deposito di atti di indagine e principio di non regressione: un caso emblematico in tema di intercettazioni telefoniche, in Cass. pen., 1994, p. 768.
[16] Testualmente, già A. Nappi, Profili dell’udienza preliminare nel nuovo codice di procedura penale, in Cass. pen., 1989, p. 515.
[17] A. Barazzetta, Art. 416, cit., p. 5216; R. Blaiotta, Art. 416, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di G. Lattanzi - E. Lupo, VII, Giuffrè, 2020, V, p. 712; C. Grilli, Illegittimità o abnorme la revoca del giudizio abbreviato allo stato degli atti?, in Cass. pen., 2006, p. 2503. Nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass., Sez. VI, 20 dicembre 2012, n. 1043/2013, in C.E.D., n. 253843; Cass., Sez. VI, 28 dicembre 2017, n. 2382/2018, ivi, n. 272025.
[18] Come ben sintetizza incidenter tantum anche la Corte europea dei diritti umani: Cedu, Grande Camera, 18 ottobre 2006, Hermi c. Italia, secondo cui «l’istante, assistito da due difensori di fiducia, è stato indubitabilmente in grado di rendersi conto delle conseguenze della sua richiesta di adozione della procedura abbreviata».
[19] Di recente, in questi termini, Cass., Sez. II, 10 aprile 2020, n. 13969, riprendendo quanto già espresso da Cass., Sez. Un., 19 luglio 2012, n. 41461, in C.E.D., n. 253214.
[20] Modificato dall’art. 22 comma 1 lett. e) d. lgs. n. 150 del 2022.
[21] La modifica è commentata positivamente da M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della Riforma Cartabia. Profili processuali, in questa Rivista, 2 novembre 2022, p. 45. Per C. Santoriello, Le nuove regole di giudizio della Riforma Cartabia, tra una positiva sinergia e una possibile eterogenesi dei fini, in Arch. pen., 2022, n. 2., p. 2 e s., benché diversi autori, tra cui L. Pistorelli, Riforma del processo penale: le direttive di intervento in materia di indagini preliminari e udienza preliminare, in Ilpenalista.it, p. 3, minimizzino la portata innovativa della nuova formulazione del primo comma dell’art. 408 c.p.p., poiché «anche dopo la riforma il titolare dell’azione penale sarebbe comunque chiamato ad assolvere una valutazione analoga a quella richiesta nell’attuale vigenza dell’art. 125 disp. att. c.p.p., che vi sia una differenza fra le due formule pare innegabile».
[22] Cass., Sez. Un., 29 settembre 2011, n.155, in Cass. pen., 2012, p. 2410, con nota di F. Caprioli, Abuso del diritto di difesa e nullità inoffensive, ivi, p. 2444 e s., secondo cui si realizzerebbe un “abuso del processo” ogni volta che un diritto o una facoltà processuale sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l’ordinamento processuale astrattamente li riconosce.