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  Scheda  
07 Luglio 2020


Estradizione e cittadino di uno Stato dell’Associazione europea di libero scambio (AELS): la Corte di giustizia applica per analogia la sentenza Petruhhin

CGUE, Grande Sezione, sent. 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N.



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1. La sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., con l’intervento di Ruska Federacija, riveste un precipuo interesse perché ha fornito ai giudici di Lussemburgo l’occasione, versandosi in una fattispecie concreta piuttosto complessa, di considerare il rapporto fra il diritto dell’Unione europea e l’accordo sullo Spazio economico europeo (accordo SEE)[1], nonché l’accordo concluso dal Consiglio dell’Unione europea con la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia sulla loro associazione all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen, del 18 maggio 1999 (accordo del 18 maggio 1999)[2], e l’accordo tra l’Unione europea e la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia relativo alla procedura di consegna tra gli Stati membri dell’Unione europea e l’Islanda e la Norvegia, entrato in vigore il 1° novembre 2019 (accordo relativo alla procedura di consegna)[3].

Per meglio comprendere la “matassa” che la Corte si è impegnata a “sbrogliare”, è indispensabile premettere un riassunto dei fatti[4]. Il 20 maggio 2015 l’ufficio Interpol di Mosca aveva emesso un avviso di ricerca internazionale nei riguardi di I.N. (che all’epoca era soltanto cittadino russo), finalizzato all’arresto a causa di un procedimento penale iniziato nei suoi confronti per vari reati di corruzione passiva. Il 30 giugno 2019 I.N., passeggero di un autobus e munito di un documento di viaggio islandese per rifugiati, è stato arrestato, appunto in base al predetto avviso di ricerca internazionale, a un valico di frontiera tra la Slovenia e la Croazia, mentre tentava di entrare nel territorio croato. Il suo arresto ha innescato la procedura prevista dal diritto croato per decidere sull’eventuale estradizione in Russia[5]: il 1° luglio 2019 I.N. è stato interrogato dal giudice istruttore del Tribunale di comitato di Zagabria e ha dichiarato di opporsi alla propria estradizione, riferendo di essere anche cittadino islandese. Quest’ultima affermazione è stata confermata da una nota dell’ambasciata islandese, trasmessa al Tribunale di comitato attraverso il Ministero degli affari esteri ed europei della Repubblica di Croazia, dalla quale risultava che in effetti I.N. era divenuto cittadino islandese dal 19 giugno 2019 e rivestiva lo status di rifugiato permanente in Islanda. Il 6 agosto 2019 il Tribunale di comitato di Zagabria ha ricevuto una domanda di estradizione da parte del procuratore generale della Federazione russa, in conformità alla Convenzione europea di estradizione (c.e.estr.), nella quale si garantiva che «lo scopo della domanda di estradizione non era di perseguire I.N. per motivi politici né a causa della sua razza, religione, nazionalità o delle sue opinioni, che sarebbero state messe a sua disposizione tutte le possibilità di esercitare la sua difesa, compresa l’assistenza di un avvocato, e che non sarebbe stato sottoposto a tortura, a trattamenti crudeli o inumani o ancora a pene lesive della dignità umana»[6].

Con ordinanza del 5 settembre 2019 il Tribunale di comitato di Zagabria ha deciso che le condizioni di legge previste per l’estradizione di I.N., preordinata allo svolgersi del suddetto procedimento penale, erano soddisfatte. Il 30 settembre 2019 I.N. ha impugnato l’ordinanza davanti al giudice del rinvio, cioè la Corte suprema della Croazia, affermando: 1) che esiste un rischio concreto, serio e ragionevolmente prevedibile che, una volta estradato in Russia, egli sia sottoposto a tortura e a trattamenti inumani o degradanti; 2) che lo status di rifugiato in Islanda gli era stato riconosciuto a motivo del procedimento penale avviato in Russia, mentre il Tribunale di comitato di Zagabria «ha compromesso de facto la protezione internazionale concessagli in Islanda»; 3) di avere pure la cittadinanza islandese e che il Tribunale di comitato di Zagabria non ha tenuto conto della sentenza della Corte di giustizia nel caso Petruhhin[7].

La Corte suprema della Croazia si è a questo punto domandata se, prima di verificare il rischio reale che, qualora estradato, I.N. sia sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, occorresse informare della domanda di estradizione la Repubblica d’Islanda, di cui I.N. ha la cittadinanza, in modo da consentire a tale Stato di chiedere la consegna del proprio cittadino allo scopo di iniziare un procedimento mirante a evitare il rischio di impunità. Il giudice del rinvio ha altresì precisato che la Croazia non estrada i suoi cittadini verso la Russia e non ha stipulato un accordo bilaterale in tal senso. Dopo aver ricordato gli insegnamenti della sentenza Petruhhin, la Corte suprema croata ha osservato che, sebbene I.N. non sia un cittadino dell’Unione, «resta il fatto che egli è cittadino della Repubblica d’Islanda, con la quale l’Unione intrattiene specifici legami»[8], rimarcando che, in base all’art. 6 del Protocollo n. 19 sull’acquis di Schengen integrato nell’ambito dell’Unione europea, allegato al Trattato di Lisbona[9], il Consiglio ha concluso con l’Islanda e la Norvegia l’accordo del 18 maggio 1999 in forza del quale questi due Stati terzi attuano le disposizioni dell’acquis, e che, inoltre, l’accordo relativo alla procedura di consegna, entrato in vigore il 1° novembre 2019, è del pari rilevante nel procedimento principale[10].

La Corte suprema della Croazia si è quindi risolta a sottoporre alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali[11]: 1) se l’articolo 18 TFUE debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro dell’Unione europea che statuisce sull’estradizione verso uno Stato terzo di un cittadino di uno Stato che non è membro dell’Unione, ma che è membro dello spazio Schengen, è tenuto a informare della domanda di estradizione lo Stato membro dello spazio Schengen di cui tale persona ha la cittadinanza; 2) in caso di risposta affermativa alla precedente questione e qualora lo Stato membro dello spazio Schengen abbia chiesto la consegna per lo svolgimento del procedimento per il quale è stata richiesta l’estradizione, se occorra consegnargli la persona conformemente all’accordo relativo alla procedura di consegna.

 

2. La Corte di giustizia, come sovente accade, ha riformulato le questioni pregiudiziali sottopostele, muovendo da un’analisi preliminare del caso. Rammentata la propria giurisprudenza nelle cause Petruhhin[12] e Pisciotti[13] e sottolineato che il giudice del rinvio si chiede se, nella controversia de qua, si debba seguire l’interpretazione accolta nella sentenza Petruhhin anche per i cittadini islandesi, i giudici di Lussemburgo si sono soffermati sugli artt. 18 e 21 TFUE e sulla decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo (m.a.e.). Per quanto attiene all’art. 18 TFUE, il cui § 1 vieta «ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità», la Corte ha precisato che, secondo la propria giurisprudenza, «tale disposizione non è destinata a essere applicata nel caso di un’eventuale differenza di trattamento tra cittadini degli Stati membri e quelli degli Stati terzi»[14]; per quanto concerne l’art. 21 TFUE, poiché il suo § 1 prevede il diritto di ogni cittadino dell’Unione di «circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri» e si applica (art. 20 § 1 TFUE) a «chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro», ne consegue la sua inapplicabilità a un cittadino di uno Stato terzo[15]; per quanto riguarda, infine, la decisione quadro sul m.a.e., essa si applica solo agli Stati membri dell’Unione europea.

Tanto premesso, la Corte ha ribadito che le spetta il compito di «fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito», riformulando, se necessario, le questioni pregiudiziali e interpretando, allo scopo, tutte le norme del diritto dell’Unione, anche se non espressamente indicate dal giudice del rinvio[16].

Nell’evenienza concreta, la Corte ha convenuto sul fatto che «la Repubblica d’Islanda intrattiene relazioni privilegiate con l’Unione», che vanno al di là dell’ambito di «una cooperazione economica e commerciale», dato che, oltre ad attuare e applicare l’acquis di Schengen, è «parte dell’accordo SEE, partecipa al sistema europeo comune di asilo e ha concluso con l’Unione l’accordo relativo alla procedura di consegna»[17]. Pertanto, a parere della Corte, occorre prendere in considerazione l’accordo SEE, di cui sono parti sia l’Unione sia la Repubblica d’Islanda.

Riformulando le questioni pregiudiziali, la Corte ha ritenuto che il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se il diritto dell’Unione, in particolare l’accordo SEE, letto alla luce della sentenza Petruhhin, «debba essere interpretato nel senso che, quando a uno Stato membro nel quale si è recato un cittadino di uno Stato dell’AELS[[18]], parte dell’accordo SEE e con il quale l’Unione ha concluso un accordo di consegna, viene presentata una domanda di estradizione da parte di uno Stato terzo», in forza della c.e.estr., «esso è tenuto a informare di tale domanda il medesimo Stato dell’AELS e, se del caso, su sua domanda, a consegnargli tale cittadino, conformemente alle disposizioni dell’accordo di consegna, purché detto Stato sia competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire il cittadino in questione per fatti commessi fuori dal suo territorio nazionale»[19].

La Corte di giustizia ha poi notato come dal fascicolo processuale emerga che, prima dell’acquisizione della cittadinanza islandese, a I.N. è stato concesso l’asilo «proprio per via del procedimento penale avviato nei  suoi confronti in Russia e sulla base del quale è stata chiesta la sua estradizione»[20] alle autorità croate, circostanza assente nella causa decisa con la sentenza Petruhhin.

Fatto salvo l’esame – al quale la Corte ha proceduto in seguito – relativo all’applicabilità del diritto dell’Unione alla controversia, la Corte ha evidenziato come «una risposta utile al giudice del rinvio presupponga altresì di precisare la portata della protezione offerta» dall’art. 19 § 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE)[21], a norma del quale «[n]essuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti».

 

3. Il ragionamento della Corte di giustizia si snoda su due piani, costituiti dall’indagine sull’«applicabilità del diritto dell’Unione nella controversia principale» e da quella sulla «restrizione alla libera prestazione di servizi e sulla sua eventuale giustificazione».

Dal primo angolo visuale, la Corte ha premesso che, in assenza di una convenzione internazionale tra l’Unione europea e la Federazione russa, le norme in materia di estradizione «rientrano nella competenza degli Stati membri», i quali, tuttavia, «sono tenuti a esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione»[22]. Orbene, dato che un accordo internazionale concluso dall’Unione diventa «parte integrante» del suo diritto, le situazioni disciplinate dal più volte citato accordo SEE «costituiscono in linea di principio situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione»[23]. Secondo i giudici di Lussemburgo, uno dei principali obiettivi dell’accordo SEE è quello di «realizzare nella massima misura possibile la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali nell’intero SEE», in modo che il mercato interno sviluppatosi nel territorio dell’Unione «sia esteso agli Stati dell’AELS»: compito della Corte è controllare che «le norme dell’accordo SEE identiche nella sostanza» a quelle del TFUE «siano interpretate in maniera uniforme all’interno degli Stati membri»[24]. Nel contesto concreto, I.N. ha chiarito di essere entrato in Croazia per trascorrervi le vacanze estive (e ne è stata data conferma in udienza dal governo islandese): vengono perciò in risalto l’art. 56 TFUE e l’art. 36 dell’accordo SEE. Quanto al primo, la Corte ha affermato che la libera prestazione dei servizi comprende «la libertà, per i destinatari dei servizi, di recarsi in un altro Stato membro per ivi fruire di un servizio, senza essere ostacolati da restrizioni, e che i turisti vanno considerati destinatari di servizi beneficiari di tale libertà»[25]: dunque, la stessa interpretazione deve essere adottata relativamente alla «libera prestazione di servizi» riconosciuta «senza restrizioni» dall’art. 36 dell’accordo SEE. Ne consegue che la situazione del cittadino islandese I.N., presentatosi alla frontiera di uno Stato membro dell’Unione europea, cioè la Croazia, per entrarvi e fruire di servizi, «rientra nell’ambito di applicazione dell’accordo SEE e, di conseguenza, del diritto dell’Unione»[26], e che la Croazia è tenuta «a esercitare la propria competenza in materia di estradizione verso Stati terzi in maniera conforme all’accordo SEE», e in specie all’art. 36 di quest’ultimo.  

Passando al secondo piano dell’analisi, la Corte ha formulato le osservazioni di maggior rilievo, procedendo sulla falsariga dell’orientamento espresso nella pronuncia sul caso Petruhhin. Innanzitutto, ha osservato che l’art. 4 dell’accordo SEE vieta «ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità» e tale principio produce i suoi effetti «nel campo di applicazione» dell’accordo medesimo, «fatte salve le disposizioni particolari dallo stesso previste»[27], vale a dire disposizioni che applicano il principio generale a situazioni specifiche: un esempio è appunto il menzionato art. 36 dell’accordo SEE sulla libera prestazione di servizi. Ne deriva che norme nazionali sull’estradizione (come quelle vigenti in Croazia), ove si prevede un diverso trattamento a seconda che l’interessato sia un cittadino nazionale o un cittadino di uno Stato membro dell’AELS, parte dell’accordo SEE, non concedendo al secondo la protezione contro l’estradizione riservata al primo, possono pregiudicare la libertà sancita dall’art. 36 dell’accordo SEE[28]. Inoltre, la circostanza che I.N. è cittadino dell’Islanda, Stato parte dell’accordo SEE, e il fatto che tale Stato attua e applica l’acquis di Schengen rendono la sua situazione «oggettivamente comparabile a quella di un cittadino dell’Unione» al quale, ex art. 3 § 2 TUE, è offerto «uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone»[29].

La Corte ha chiarito che una restrizione della libertà garantita dall’art. 36 dell’accordo SEE può giustificarsi, in analogia a quanto sostenuto dalla sentenza Petruhhin, «solo se è basata su considerazioni oggettive e se è proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale»[30]: da questo punto di vista, l’obiettivo di evitare il rischio di impunità delle persone che hanno commesso un reato, addotto come giustificazione dalla Corte suprema croata nella domanda di questione pregiudiziale, è riconosciuto come legittimo dai giudici di Lussemburgo. Ma, in applicazione analogica della pronuncia Petruhhin, una misura restrittiva della libertà sancita all’art. 36 dell’accordo SEE può essere giustificata «da considerazioni oggettive solo ove risultino adeguate ai fini della tutela degli interessi che esse mirano a garantire e solo nella misura in cui tali obiettivi non possano essere raggiunti mediante misure meno restrittive»[31].

A quest’ultimo proposito entra in gioco l’art. 19 § 2 CDFUE: infatti, una volta assodato – come si è detto in precedenza – che la situazione in cui versava I.N. (presentatosi alla frontiera della Croazia al fine di entrare nel suo territorio per fruire di servizi) è ricompresa nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, le disposizioni dell’art. 19 § 2 CDFUE vanno tenute in conto nel valutare una domanda di estradizione presentata da uno Stato terzo (nella specie, la Federazione russa): pertanto, quando il cittadino islandese interessato deduce un rischio serio di trattamenti inumani o degradanti nell’evenienza della sua estradizione verso la Russia, lo Stato membro richiesto, prima di procedervi, deve verificare che una tale estradizione non pregiudicherà i diritti di cui al suddetto art. 19 § 2.

Per spiegare come lo Stato membro richiesto (cioè la Croazia) deve effettuare la verifica in discorso, la Corte si è richiamata alla sua sentenza nel caso Petruhhin, la quale – va posto debitamente in luce – a propria volta rimandava[32] ai principi enunciati dalla stessa Corte nella ormai famosa pronuncia nelle cause riunite Aranyosi e Căldăraru[33]. In altri termini, lo Stato membro, in conformità all’art. 4 CDFUE, che vieta le pene o i trattamenti inumani o degradanti, non può prendere in considerazione «le sole dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o l’accettazione, da parte di quest’ultimo, di trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali», ma deve basarsi «su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati», che possono risultare «da decisioni giudiziarie internazionali, quali sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, da decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite»[34]. La circostanza che l’Islanda abbia concesso a I.N. l’asilo proprio perché egli correva il rischio di subire trattamenti inumani o degradanti nel suo paese di origine «costituisce un elemento particolarmente serio», che l’autorità competente dello Stato membro richiesto deve considerare nel compiere la suddetta verifica, essendo la concessione dell’asilo collegata al procedimento che ha portato il procuratore generale della Federazione russa a presentare la domanda di estradizione[35]. Di conseguenza, in mancanza di «circostanze specifiche, tra cui, in particolare, un’evoluzione significativa della situazione nello Stato terzo richiedente», l’esistenza di una decisione delle autorità islandesi che ha concesso l’asilo all’interessato deve condurre l’autorità competente dello Stato membro, quale il giudice del rinvio, a rifiutare l’estradizione, applicando l’art. 19 § 2 CDFUE[36].

La Corte ha prefigurato, però, la possibilità che le autorità dello Stato membro richiesto pervengano alla conclusione opposta, e cioè che l’art. 19 § 2 CDFUE non osta all’esecuzione della domanda di estradizione: in tale eventualità, secondo i giudici di Lussemburgo si dovrebbe peraltro ancora verificare se «la restrizione in questione sia proporzionata all’obiettivo di lotta contro l’impunità di una persona che avrebbe commesso un reato». Rifacendosi anche qui alla pronuncia Petruhhin, la Corte ha posto in rilievo che i meccanismi di cooperazione e di assistenza reciproca in materia penale sulla base del diritto dell’Unione costituiscono, «in ogni caso, una misura alternativa meno lesiva del diritto alla libera circolazione rispetto all’estradizione verso uno Stato terzo con il quale l’Unione non ha concluso un accordo di estradizione», che consente di «raggiungere altrettanto efficacemente» l’obiettivo di lotta contro l’impunità[37].

Nella pronuncia Petruhhin, l’alternativa all’estradizione era rappresentata dalla procedura di consegna in base al m.a.e.: attraverso lo scambio di informazioni con lo Stato membro di cui la persona interessata è cittadino, si offriva alle autorità di detto Stato, purché competenti a perseguire tale persona per fatti commessi fuori dal territorio nazionale, l’opportunità di emettere un m.a.e. per la consegna ai fini dell’esercizio dell’azione penale[38].

Mutatis mutandis, con riferimento all’Islanda, Stato dell’AELS di cui I.N. è cittadino, si deve avere riguardo all’accordo relativo alla procedura di consegna che la Repubblica d’Islanda, insieme al Regno di Norvegia, ha concluso con l’Unione europea, per migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale nella misura in cui le relazioni tra le parti contraenti, «caratterizzate, in particolare, dall’appartenenza della Repubblica d’Islanda e del Regno di Norvegia al SEE, richiedono una stretta cooperazione nella lotta contro la criminalità»[39]. Poiché nel preambolo dell’accordo le parti contraenti «hanno espresso reciproca fiducia nella struttura e nel funzionamento dei loro sistemi giuridici nonché nella loro capacità di garantire un processo equo» e le disposizioni dell’accordo «sono molto simili» alle corrispondenti disposizioni della decisione quadro sul m.a.e., la Corte ha reputato che la soluzione accolta nella sentenza Petruhhin debba essere applicata «per analogia» ai cittadini della Repubblica d’Islanda, come I.N., che si trovino, nei confronti dello Stato terzo che ne chiede l’estradizione, «in una situazione oggettivamente comparabile a quella di un cittadino dell’Unione» prefigurata, come già anticipato, dall’art. 3 § 2 TFUE[40].

 

4. Alla luce di tutte queste argomentazioni, la Corte, rispondendo alle questioni pregiudiziali così come riformulate, ha deciso che il diritto dell’Unione (sub specie dell’art. 36 dell’accordo SEE e dell’art. 19 § 2 CDFUE) deve essere interpretato nel senso che quando a uno Stato membro nel quale si sia recato un cittadino di uno Stato membro dell’AELS, parte dell’accordo SEE e con il quale l’Unione europea ha concluso un accordo di consegna, viene presentata una domanda di estradizione da parte di uno Stato terzo in forza della c.e.estr. «e quando a tale cittadino era stato concesso l’asilo da parte di detto Stato dell’AELS, prima che egli acquisisse la cittadinanza del medesimo Stato, proprio per via del procedimento penale cui è sottoposto nello Stato che ha emesso la domanda di estradizione, l’autorità competente dello Stato membro richiesto è tenuta a verificare che l’estradizione non pregiudicherà i diritti» di cui all’art. 19 § 2 CDFUE; e, «nell’ambito di tale verifica, la concessione dell’asilo costituisce un elemento particolarmente serio». Prima di contemplare la possibilità di dare esecuzione alla domanda di estradizione, lo Stato membro richiesto è, in ogni modo, tenuto a informare lo Stato dell’AELS e, «se del caso, su sua domanda, a consegnargli il cittadino in questione, conformemente alle disposizioni dell’accordo di consegna, purché detto Stato dell’AELS sia competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire il cittadino in questione per fatti commessi fuori dal suo territorio nazionale»[41].

 

5. La Corte di giustizia ha così aggiunto un altro “tassello” alla manovra espansiva nel campo dell’estradizione iniziata con la pronuncia Petruhhin, trovando nella fattispecie concreta un terreno certamente complesso – come si diceva in esordio – ma nel contempo fertile, soprattutto per l’esistenza dell’accordo relativo alla procedura di consegna, che ha consentito ai giudici di Lussemburgo di prospettare un’alternativa all’estradizione per un cittadino islandese. L’ampliamento dello scenario potrà dare luogo a difficoltà operative, ma il tempo ormai trascorso da Petruhhin è servito – per continuare nella metafora – a dissodare il terreno, individuando i profili problematici e potenziando il ruolo e i compiti di assistenza di Eurojust[42].

 

 

 

[1] L’accordo SEE è pubblicato in G.U.C.E., 3 gennaio 1994, L 1/3.

[2] Consultabile in G.U.C.E., 10 luglio 1999, L 176/36.

[3] Il testo dell’accordo è pubblicato in G.U.U.E., 21 ottobre 2006, L 292/2. La firma dell’accordo era stata approvata con decisione del Consiglio del 27 giugno 2006 (in G.U.U.E., 21 ottobre 2006, L 292/1); dopo l’entrata in forza del trattato di Lisbona, l’accordo è stato approvato con decisione del Consiglio del 27 novembre 2014 (in G.U.U.E., 28 novembre 2014, L 343/1), ed è in vigore dal 1° novembre 2019 (cfr. Avviso riguardante l’entrata in vigore dell’accordo relativo alla consegna tra l’Unione europea, l’Islanda e la Norvegia, in G.U.U.E., 6 settembre 2019, L 230/1). Per alcune considerazioni sull’accordo de quo v. M. Bargis, L’attuazione della direttiva (UE) 2016/1919 nei procedimenti di esecuzione del mandato di arresto europeo fra scelte positive e lacune strutturali, in questa Rivista, fasc. 11/2019, p. 81 s.

[4] In proposito v. Conclusioni dell’avvocato generale Evgeni Tanchev, presentate il 27 febbraio 2020, punti 21-28 e Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., con l’intervento di Ruska Federacija, punti 18-23.

[5] Sul diritto nazionale della Croazia v. Conclusioni dell’avvocato generale Evgeni Tanchev, cit., punti 18-20. In specie, l’art. 9 della Costituzione stabilisce che un cittadino «non può essere espulso dalla Repubblica di Croazia né privato della sua cittadinanza, né estradato verso un altro Stato, salvo nell’ambito dell’esecuzione di una decisione sull’estradizione o sulla consegna, adottata conformemente a un trattato internazionale o all’acquis comunitario». L’art. 12 della legge relativa alla cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale prevede i casi nei quali una domanda di estradizione può essere respinta: ne fanno parte l’ipotesi in cui la domanda riguarda un atto considerato un reato politico o un atto collegato a un simile reato e l’ipotesi nella quale si può ragionevolmente presumere che, in caso di estradizione, la persona oggetto della richiesta di estradizione sarebbe penalmente perseguita o punita per via della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche, oppure che la sua situazione sarebbe resa più difficile per uno di tali motivi.

[6] Cfr. Conclusioni dell’avvocato generale Evgeni Tanchev, cit., punto 26.

[7] Corte giust. (Grande Sezione), 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15. A commento v., ad esempio, M. Böse, Mutual recognition, extradition to third countries and Union citizenship: Petruhhin, in Common Market Law Review, 2017, p. 1781; M. João Costa, The emerging EU extradition Law. Petruhhin and beyond, in New Journal of European Criminal Law, 2017, p. 192; A. Klip, Europeans first!: Petruhhin, an Unexpected Revolution in Extradition Law, in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, 2017, p. 195.

[8] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 26.

[9] Il testo è consultabile in B. Nascimbene, Unione Europea. Trattati, Giappichelli, Torino, 2010, p. 299.

[10] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punti 27 e 28.

[11] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 30.

[12] Corte giust. (Grande Sezione), 6 settembre 2016, Petruhhin, cit., ha risolto due questioni pregiudiziali concernenti gli artt. 18 e 21 TFUE (che, rispettivamente, vietano qualunque discriminazione in base alla nazionalità e prevedono il diritto di ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), in rapporto agli istituti dell’estradizione e della consegna. Secondo la Corte (v. punto 50), tali disposizioni vanno interpretate nel senso che, quando a uno Stato membro dell’Unione (nella specie, la Lettonia), ove si sia recato un cittadino di un altro Stato membro (nella specie, l’Estonia), viene presentata una domanda di estradizione da parte di uno Stato terzo (nella specie, la Russia) con il quale il primo Stato membro ha concluso un accordo di estradizione, esso è tenuto a informare lo Stato membro di cui il soggetto interessato ha la cittadinanza e, se del caso, su domanda di quest’ultimo Stato membro, a consegnargli tale cittadino secondo le disposizioni della decisione quadro sul m.a.e., purché detto Stato sia competente, in base al suo diritto interno, a perseguire la persona in questione per fatti commessi al di fuori del territorio nazionale. Sul ruolo esercitato da Eurojust nelle prime applicazioni della sentenza Petruhhin, v. Report on Eurojust’s casework in the field of the European Arrest Warrant (2014-2016), 11 May 2017, p. 20; nonché Eurojust, Relazione annuale 2017, p. 47. V. altresì Briefing Note on the Petruhhin Judgment (case C-185/15) and the role of Eurojust (annesso al documento 15786/17 LIMITE, Brussels, 15 December 2017): per le problematiche e le difficoltà pratiche scaturite dalla pronuncia, ivi, p. 4-9.

[13] Corte giust. (Grande Sezione), 10 aprile 2018, Pisciotti, C-191/16. Nel caso Pisciotti, la Corte di giustizia ha applicato i principi enucleati nella pronuncia Petruhhin a una situazione in cui un accordo internazionale tra l’Unione europea e uno Stato terzo (nella specie tra l’Unione e gli Stati Uniti d’America, del 21 giugno 2003) conferisce allo Stato richiesto (nella specie, la Germania) la facoltà di non estradare i propri cittadini (punto 52) e ha precisato che, «al fine di salvaguardare l’obiettivo di evitare il rischio di impunità dell’interessato per i fatti che gli sono contestati nella richiesta di estradizione», occorre che il m.a.e. «eventualmente emesso da uno Stato membro diverso dallo Stato membro richiesto verta quantomeno sui medesimi fatti» e che lo Stato membro il quale emette tale mandato «sia competente, in forza del suo diritto, a perseguire tale persona per fatti di tal genere quando questi ultimi sono commessi al di fuori del suo territorio» (punto 54). In una simile situazione, gli artt. 18 e 21 TFUE vanno interpretati nel senso che «non ostano a che lo Stato membro richiesto operi una distinzione, sulla base di una norma di diritto costituzionale, tra i suoi cittadini e i cittadini di altri Stati membri»: pertanto, tale Stato può autorizzare l’estradizione, una volta che «ha preventivamente posto in grado le autorità competenti dello Stato membro», di cui la persona da estradare è cittadino, «di chiederne la consegna» mediante un m.a.e. e quest’ultimo Stato «non ha adottato alcuna misura in tal senso».

[14] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 40 e giurisprudenza ivi citata.

[15] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 41. Sull’irrilevanza dell’art. 21 TFUE ai fini del procedimento principale, una volta individuati gli artt. 36 e 4 dell’accordo SEE «quali norme centrali rilevanti», v. Conclusioni dell’avvocato generale Evgeni Tanchev, cit., punto 90.

[16] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 43.

[17] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 44.

[18] In inglese EFTA, acronimo di European Free Trade Association.

[19] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 45.

[20] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 46.

[21] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 47. Nella sentenza Petruhhin, risolvendo una ulteriore questione pregiudiziale, la Corte di giustizia ha affermato che, qualora a uno Stato membro venga presentata una domanda da uno Stato terzo diretta a ottenere l’estradizione di un cittadino di un altro Stato membro, il primo Stato deve verificare che l’estradizione non recherà pregiudizio ai diritti di cui all’art. 19 § 2 CDFUE: Corte giust. (Grande Sezione), 6 settembre 2016, Petruhhin, cit., punto 60. Successivamente, i giudici di Lussemburgo hanno confermato che l’art. 19 § 2 CDFUE deve essere interpretato nel senso che «la domanda di estradizione di uno Stato terzo, riguardante un cittadino dell’Unione che, esercitando la propria libertà di circolazione, lasci il proprio Stato membro di origine al fine di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro», deve essere respinta da quest’ultimo, «qualora tale cittadino corra un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte in caso di estradizione» (Corte giust., ord. 6 settembre 2017, Schotthöfer & Steiner GbR v. Adelsmayr, C-473/15, punto 27. Per le circostanze del caso v. punti 3-14, 21 e 25).

[22] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 48, dove la Corte di giustizia ha richiamato la propria pronuncia nel caso Raugevicius: Corte giust. (Grande Sezione), 13 novembre 2018, Raugevicius, C-247/17, punto 45. Nella sentenza Raugevicius la Corte ha deciso che gli artt. 18 e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che, in presenza di una domanda, presentata da un paese terzo (nella specie, la Russia), di estradizione di un cittadino dell’Unione (avente la doppia cittadinanza russa e lituana) che ha esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, la quale sia finalizzata non all’esercizio dell’azione penale, bensì all’esecuzione di una pena detentiva, lo Stato membro richiesto (nella specie, la Finlandia), il cui diritto nazionale vieti l’estradizione dei propri cittadini al di fuori dell’Unione ai fini dell’esecuzione di una pena e preveda la possibilità che una siffatta pena irrogata all’estero sia scontata nel suo territorio, è tenuto a garantire a tale cittadino dell’Unione, purché sia residente in modo permanente nel suo territorio, un trattamento identico a quello accordato ai propri cittadini in materia di estradizione.

[23] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 49.

[24] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 50, anche per le due citazioni precedenti.

[25] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 52, dove viene citata Corte giust., 2 febbraio 1989, Cowan, C-186/87, punto 15, relativa all’interpretazione del principio di non discriminazione sancito dall’art. 7 del trattato CEE, nel testo allora vigente. Sulla causa Cowan v. le Conclusioni dell’avvocato generale Evgeni Tanchev, cit., punti 85 e 86.

[26] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 54, cui va riferita pure la citazione che segue.

[27] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 55, con richiamo, per analogia, a Corte giust., 2 febbraio 1989, Cowan, C-186/87, cit., punti 10 e 14.

[28] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punti 56 e 57, sulla scia della pronuncia Petruhhin: Corte giust. (Grande Sezione), 6 settembre 2016, Petruhhin, cit., punti 32 e 33.

[29] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 58.

[30] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 59 (rifacendosi, per analogia, al punto 34 della sentenza Petruhhin).

[31] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 60 (in analogia con i punti 37 e 38 della pronuncia Petruhhin).

[32] Corte giust. (Grande Sezione), 6 settembre 2016, Petruhhin, cit., punti 56, 58 e 59.

[33] Corte giust. (Grande Sezione), 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, cause riunite C-404/15 e C-659/15 PPU: per un’analisi v. M. Bargis, Mandato di arresto europeo e diritti fondamentali: recenti itinerari “virtuosi” della Corte di giustizia tra compromessi e nodi irrisolti, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2/2017, p. 192 ss. La Corte di giustizia ha elaborato successive precisazioni in materia: v. Corte giust., 25 luglio 2018, ML, C-220/18 PPU, sulle condizioni di detenzione in Ungheria; Corte giust. (Grande Sezione), 15 ottobre 2019, Dorobantu, C-128/18, sulle condizioni di detenzione in Romania. In argomento v. FRA (European Union Agency for Fundamental Rights), Criminal detention conditions in the European Union: rules and reality, Publications Office of the European Union, 2019.

[34] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 65.

[35] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punti 66 e 67.

[36] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 68. Sull’art. 19 § 2 CDFUE v. i rilievi espressi nelle Conclusioni dell’avvocato generale Evgeni Tanchev, cit., punto 116 (cfr. pure punti 112-115).

[37] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 69.

[38] Corte giust. (Grande Sezione), 6 settembre 2016, Petruhhin, cit., punti 41-49.

[39] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 72.

[40] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punti 73-75.

[41] Corte giust. (Grande Sezione), 2 aprile 2020, C-897/19 PPU, I.N., cit., punto 77.

[42] Cfr. Briefing Note on the Petruhhin Judgment, cit., p. 9 s.