Tre numeri: più di 60.000 le persone in carcere; 90.000 coloro che beneficiano di alternative al carcere; 90.000 liberi sospesi. Questi numeri ci dicono tre cose. Anzitutto, che se per decenni si è identificato il punire con l’incarcerare, già oggi, invece, punire non significa più soltanto incarcerare, anzi, si punisce soprattutto con pene diverse dal carcere, in particolare con pene non detentive ovvero in libertà. In secondo luogo, è dissolto il mito della certezza della pena come certezza del carcere ovvero il sistema sta in piedi grazie alle alternative al carcere: se infatti si eliminassero le alternative al carcere come vorrebbero coloro che sostengono la certezza della pena come certezza del carcere, la popolazione carceraria sarebbe di almeno 240.000 persone, una cifra spropositata e insostenibile. Infine, soprattutto il numero dei liberi sospesi ci dice che già lo stesso sistema delle alternative al carcere soffre di vera e propria ineffettività perché addirittura ineffettivo di fatto, con la conseguenza che occorre iniziare a pensare ad un’afflittività in libertà sempre meno pesante perché basata su progetti rieducativi molto impegnativi anche per la società e sul piano organizzativo (si pensi al lavoro di pubblica utilità) e sempre più leggera, caratterizzata soprattutto da prescrizioni negative sul modello della libertà vigilata.
1. Siamo arrivati alla resa dei conti. Per i sostenitori della certezza della pena come certezza del carcere siamo giunti ormai a un’implacabile resa dei conti. Davanti a una popolazione carceraria che cresce di 370 persone in media ogni mese (marzo 2023: 56.605; marzo 2024: 61.049), sempre più stringente si fa l’alternativa tra il perseverare nel mito e quindi nell’inganno che la pena carceraria certa risolverà addirittura buona parte dei problemi sociali del nostro Paese oppure riconoscere che la realtà è ben altra dal mito, e cioè che l’unico modo per gestire nel futuro la penalità è ridurre il carcere.
Ed infatti, dietro al braccio di ferro che si sta consumando sulla proposta di riforma presentata dall’on. Matteo Giachetti, che prevede di incrementare i giorni da scomputare alla pena carceraria in esecuzione attraverso l’istituto della liberazione anticipata, si gioca esattamente questo: adottare una riforma – per così dire – super-tampone, indispensabile, ma utile soltanto a gestire l’emergenza, potendosi considerare una sorta di minimo sindacale emergenziale, ma al contempo riconoscere anche il fallimento del populismo penale che ancora illude l’elettorato che il carcere certo sia possibile; oppure, restare coerenti all’idea che certezza della pena significa certezza del carcere e quindi rimanere inerti, con la conseguenza non soltanto di incrementare suicidi, rivolte e in futuro condanne dello Stato italiano da parte della Corte EDU, ma addirittura di creare a breve una situazione che risulterà davvero ingestibile.
Anche perché, pur non apparendo in modo evidente, un disegno sul carcere si sta realizzando, disegno che non esito a definire disumano e irresponsabile. Da un lato, in via amministrativa, nel nome della sicurezza, le più recenti circolari del Dap sono dirette a chiudere il carcere al proprio interno e quindi a far trascorrere ai detenuti il maggior tempo possibile in cella: se prima all’interno del carcere l’apertura era la regola e la chiusura l’eccezione, adesso avviene esattamente il contrario. Dall’altro lato, con il prossimo decreto sicurezza si vorrebbe chiudere il sistema introducendo la fattispecie di “rivolta in istituto penitenziario” che nella sostanza si integrerebbe con la “resistenza passiva” (sic nel testo della proposta di riforma), e quindi ogni volta che un detenuto non si attiene agli ordini impartiti dalla polizia penitenziaria. Insomma, se le rivolte degli anni Settanta del secolo scorso ci avevano insegnato che la sicurezza si tutela aprendo il carcere al proprio interno, e cioè con meno cattività, adesso si torna a una visione vecchia e disumana che notoriamente produce soltanto spirali dannose: maggiore aggressività da parte di chi è sempre più rinchiuso, affrontata con logiche di mera neutralizzazione, che a loro volta produrranno maggiore aggressività. E a farne le spese saranno oltre i detenuti, gli agenti di polizia penitenziaria, carne da macello di un populismo penale che macina consenso sbandierando il carcere e strumentalizza tutti i veri protagonisti della vicenda criminosa (rei vittime e polizia penitenziaria).
2. Bando alle ciance: partiamo dai numeri. Il punto che vogliamo evidenziare in queste paginette è che l’idea della certezza della pena come certezza del carcere è davvero un autentico mito, nel senso che già oggi non conosce alcuna attuazione, né in futuro potrà averla. Insomma, la stagione carcero-centrica e della certezza della pena come certezza del carcere non è al tramonto, ma è già finita nei fatti, oltretutto da tempo, e con ogni probabilità non tornerà più.
A dirlo non sono le nostre opinioni. Certo, io ritengo che la fine dell’ideologia carcero-centrica è già sul piano culturale: nonostante il populismo di facciata e da tastiera che si esprime feroce quando c’è da linciare l’altro in condizioni di vulnerabilità e debolezza, nell’intimo il giustizialista carceriere accoglie con gioia l’idea che se dovesse toccare a lui ci sono possibilità di non andare in carcere. Sul piano sociologico, il capro espiatorio si sta spostando dai cittadini e dal carcere agli stranieri e ai CPR. Sul piano economico, non esistono risorse da investire sulle carceri e i tempi per costruirle sarebbero talmente lunghi che nel frattempo la situazione sarà collassata. Sul fronte storico, la parabola discendente dello Stato centralizzato che gestisce monopolisticamente la pena attraverso il carcere, apre sempre di più spazi di gestione della penalità in libertà alla società e ai territori.
Ma il punto vero è che, se su questi piani la contestazione del mito è del tutto opinabile, a decretare la fine del mito è ormai la realtà dei numeri e non i numeri che registrano il costante incremento della popolazione carceraria, sui quali giustamente si insiste per denunciare la disumanità del carcere, bensì altri numeri, assenti nel dibattito pubblico, ma decisivi, vale a dire i numeri relativi alle alternative al carcere, agli adulti in area penale esterna, a ciò che potremmo definire le pene in libertà. Insomma, per mettere in evidenza l’insostenibilità del carcere ci si concentra sempre sui numeri della popolazione carceraria, mentre sono proprio i numeri delle alternative al carcere a costituire la controprova della fine del mito “certezza della pena come certezza del carcere”.
Al 31 marzo 2024 il totale delle persone che scontano la pena in carcere è di 61.049. Sempre al 31 marzo 2024, 88.527 persone scontano la pena in libertà. A queste persone si dovrebbe aggiungere un numero non stimato, ma presumibilmente molto elevato, è cioè quello di coloro che beneficiano della sospensione condizionale della pena. Infine, v’è un ultimo numero, rispetto al quale tutte le forze di governo di tutti i tempi, al netto del Governo Draghi con la sua Ministra Marta Cartabia, hanno fatto finta di niente, quello relativo ai c.d. liberi sospesi, che a detta dell’attuale Ministro Nordio ruota attorno ai 90.000. In particolare, tali sono coloro che, condannati in via definitiva a una pena carceraria inferiore a 4 anni hanno goduto della sospensione dell’ordine di esecuzione della carcerazione in attesa di misure alternative, ma queste non sono mai state applicate, con la conseguenza che sono liberi, perché in libertà, e sospesi in un duplice senso, sospesi perché godono di una sospensione di fatto, ma anche sospesi perché si trovano in una sorta di limbo tra la condanna e l’esecuzione.
Sì, sì, si è compreso bene: in Italia ci sono almeno 90.000 condannati a sentenza definitiva che non solo non sono in carcere, ma non sono nemmeno sottoposti a misure alternative. E il tutto accade non perché vi sia un istituto vuoto di contenuti, ma in via di fatto, per l’impossibilità materiale di applicare una misura alternativa. Insomma, se per decenni ci siamo lamentati che un istituto come la sospensione condizionale della pena era vuoto di contenuti rendendo la pena ineffettiva, adesso accade che in via di fatto le stesse alternative al carcere non siano eseguite.
3. Tre conclusioni sull’attualità. Da questi numeri si possono trarre tre conclusioni che mi sembrano incontestabili. La prima è che il nostro sistema sanzionatorio penale non è più carcero-centrico. Meglio, il nostro sistema è ancora carcero-centrico in astratto, per cui la pena carceraria domina incontrastata nell’art. 17 c.p. e nelle comminatorie edittali delle singole fattispecie incriminatrici, ma se dall’astratto si passa al concreto, il nostro sistema non è più carcero-centrico, perché nel momento in cui entra in gioco il giudice la pena carceraria viene spessissimo trasformata in alternative, in area penale esterna, in pene in libertà: in fase pre-decisoria attraverso la messa alla prova, in fase decisoria mediante la sospensione condizionale della pena e le pene sostitutive, in fase esecutiva attraverso le misure alternative dell’ordinamento penitenziario.
Il secondo dato è che se noi volessimo restare davvero coerenti e fedeli all’idea della certezza della pena come certezza del carcere, dovremmo non solo evitare di adottare riforme che riducono il carcere, ma addirittura eliminare tutti gli istituti di flessibilizzazione della risposta carceraria attualmente esistenti. Operazione praticamente impossibile da compiere per la semplice ragione che, garantita l’irretroattività sfavorevole per chi sta scontando pene alternative, con l’esecuzione delle future condanne in carcere si arriverebbe in poco tempo a una popolazione carceraria che nel complesso potrebbe potenzialmente coincidere addirittura con 240.000 persone incarcerate: circa 90.000, coloro che sono attualmente in area penale esterna, + 90.000, coloro che sono liberi sospesivi, + 60.000, coloro che sono in carcere. E se si considera coloro che godono della sospensione condizionale della pena, il numero sarebbe ben superiore ai 240.000.
Ma ancora più rilevante è il terzo dato di realtà, che ci viene suggerito dal fenomeno dei liberi sospesi. Il loro notevole numero non solo contribuisce a disvelare il mito della certezza della pena come certezza del carcere, ma rivela un problema ulteriore davvero devastante, per cui siamo andati ben oltre, per certi aspetti siamo giunti al capolinea: l’esistenza di 90.000 liberi sospesi dimostra che oggi non si realizza nemmeno la certezza della pena come certezza delle alternative al carcere ovvero come certezza della pena non carceraria. Detto diversamente, le stesse alternative al carcere sono oggi ineffettive, ma non perché opera un istituto pensato vuoto di contenuti come accadeva anni fa con la sospensione condizionale della pena, ma perché di fatto non siamo in grado di applicare le misure alternative, con la conseguenza che queste persone si trovano nella sostanza in piena libertà. Insomma, la realtà dei liberi sospesi decreta l’ineffettività della pena tout court ovvero la vera e propria ineffettività della pena come tale, quale che sia il suo contenuto, carcerario oppure non carcerario.
Ecco che, a tutti coloro che oggi sostengono la certezza della pena come certezza del carcere e vedono nelle alternative al carcere l’incertezza e l’ineffettività della pena intesa come pena carceraria, non si può che contrapporre il problema ulteriore e forse per certi aspetti maggiore dei liberi sospesi, problema che dovrebbero davvero aggredire visto che si tratta di vera e propria ineffettività della pena.
Ed ecco chiudersi il cerchio. Il problema dei liberi sospesi non si può risolvere dicendo: allora tutti in carcere. E ciò per le ragioni già viste: se si eliminassero le alternative al carcere in pochissimo tempo la popolazione carceraria salirebbe in modo vertiginoso. E non si può risolvere nemmeno con le alternative, perché ciò che non si esegue sono già le stesse alternative. In termini tecnici il sistema è davvero al collasso: su tutti fronti, non solo riguardo al carcere, ma anche alle alternative al carcere, risulta ormai ineffettivo.
4. Tre prospettive per il futuro. Siamo alla fine di un mito, anzi il mito “certezza del carcere come certezza della pena” è già finito.
Ciò significa che dobbiamo fare a meno del carcere? Ovviamente no. Impossibile fare a meno del carcere: il carcere deve restare ma soltanto come extrema ratio, come pena in astratto e in concreto per la criminalità grave violenta e soprattutto organizzata, mentre per quella medio bassa dobbiamo investire in alternative e soltanto se queste alternative falliscono in concreto si deve tornare al carcere. Insomma, ciò che si deve fare non è eliminare il carcere, ma ridurlo e collocarlo a chiusura di un sistema che si basa sulle alternative.
Piuttosto i politici (ma forse soltanto il nostro Presidente della Repubblica potrebbe farlo) dovrebbero parlare chiaramente alla nazione dicendo che punire non significa più soltanto incarcerare ma che già oggi si punisce soprattutto con pene diverse dal carcere. Insomma, occorre pensare sempre di più a un modo diverso di punire e cioè a una punizione che potremmo definire in libertà. L’idea delle alternative, essendo ormai della realtà, non può che appartenere a tutte le forze politiche che siano responsabili, potendosi considerare una sorta di patrimonio della realtà e della civiltà. Riduzione del carcere e quindi alternative al carcere sono ormai un terreno comune che deve essere condiviso.
Non solo, ma i dati dei liberi sospesi ci suggeriscono qualcosa di più. Che il sistema attuale non è più in grado di reggere nemmeno le alternative al carcere così come sono state configurate fino ad ora. In particolare, la realizzazione di alternative pesanti fortemente orientate alla rieducazione con molti impegni per la società sono davvero molte: si pensi al lavoro di pubblica utilità che si trova applicato nella messa alla prova come obbligatorio, per le condanne a reati stradali e relativi agli stupefacenti, come pena sostitutiva, come pena nel sistema penale del giudice di pace. È venuto quindi il momento di concentrare l’attenzione su come configurare le pene in libertà. Qui si apre l’alternativa tra alternative pesanti e alternative leggere, tra alternative basate sulla prevenzione speciale positiva e quelle basate invece sulla prevenzione speciale negativa. Incredibile a dirsi, riaffiora l’idea di una sospensione condizionale della pena con contenuti prescrittivi. Ma forse oggi si dovrebbe iniziare a ragionare tutti assieme a pene alternative a prevenzione speciale negativa come pene principali già in astratto, una sorta di libertà vigilata consistente in molte prescrizioni che il giudice sceglie discrezionalmente a seconda delle diverse esigenze afflittive.
Eh sì: è un po’ tardi. Forse è troppo tardi. Speriamo di non poter dire: è proprio troppo tardi. Certo è che la scienza giuridica è arrivata troppo presto: penso alla riforma elaborata dalla Commissione Palazzo e poi messa in un cassetto dal Governo Renzi. Certo è che il tempo della scienza giuridica non assomiglia a quello della politica. Ma se non tornerà rapidamente ad esserci una sinergia tra scienza giuridica e politica, le cose potrebbero mettersi davvero molto male, consumandosi ogni giorno sempre di più la tragedia infernale di una giustizia penale che invece di fare giustizia, compie ingiustizie e, proprio perché dovrebbe fare giustizia, peggiori di quelle dei criminali. Insomma, nel costituzionalismo moderno c’è un qualcosa di criminale in ogni impiego di violenza che risulti illegittimo.