1. Dall’11 marzo 2020 il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha monitorato con cadenza quasi giornaliera le condizioni di chi, in Italia, si accingeva a trascorrere l’emergenza sanitaria in condizioni di privazione della libertà. Benché il monitorato speciale sembrasse essere il sistema penitenziario, teatro di scontri, proteste e dibattiti[1], l’attenzione del Garante non si è mai distolta dagli altri luoghi di privazione della libertà dove il rischio di diffusione del virus era alto tanto quello di compromissione dei diritti: residenze sanitarie per anziani (RSA), residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), centri per il rimpatrio degli stranieri (CPR) e hotspots.
2. Volendo provare a soffermarsi sulla situazione all’interno di questi ultimi due luoghi, va brevemente premesso che i CPR, fin dalla loro comparsa nel 1998 (col nome di Centri di permanenza temporanea, CPT), hanno suscitato critiche e dubbi di legittimità. Insieme agli hotspot e alle zone di frontiera sono i luoghi dove avviene la detenzione amministrativa degli stranieri in attesa di espulsione (i CPR) o di relocation (gli hotspots). Benché la scarna e lacunosa disciplina della detenzione amministrativa degli stranieri in Italia presti il fianco a numerose critiche[2] che ne investono la (il)legittimità, l’ambigua natura formalmente amministrativa e sostanzialmente penale, le condizioni materiali del trattenimento, nonché la violazione dei diritti di difesa e lo stesso habeas corpus dei migranti, queste poche pagine si propongono di analizzare le novità in tema di detenzione amministrativa determinate dalle contingenze dell’epidemia, presentandone i principali effetti riscontrati dal Garante nazionale nella sua attività di monitoraggio.
Nel suo ultimo bollettino il Garante riporta che al 29 maggio 2020 risultano attivi sei dei CPR italiani (Bari, Brindisi-Restinco, Roma-Ponte Galeria, Torino, Gradisca d’Isonzo e Macomer) con un totale di 170 persone trattenute, pari al 30% dei posti disponibili. Altri centri – come quelli di Potenza-Palazzo San Gervasio e di Caltanissetta – sono invece chiusi per lavori di ristrutturazione.
Quanto alla situazione negli hotspots, viene segnalata l’attività di tre centri, riconvertiti però in luoghi di quarantena post sbarco nei quali si contano a fine maggio 218 persone, così dislocate: 111 a Lampedusa, 56 a Messina e 51 a Taranto.
Questi dati confermano, da un lato, il continuo calo di presenze all’interno dei CPR, e, dall’altro, una costante presenza di cittadini stranieri all’interno degli hotspot, dovuta alla nuova veste di luoghi di quarantena.
Quando a marzo i primi segni dell’avanzata dell’epidemia iniziavano ad allarmare l’Italia, nei CPR si contavano 425 presenze, mentre negli hotspot, ancora adibiti alla loro normale funzione[3] vi erano ospitate 314 persone. L’andamento dei mesi successivi, sempre di tipo discendente, è riassumibile nella tabella allegata, creata sulla base dei dati costantemente aggiornati dal Garante.
Il calo nelle presenze nei centri per il rimpatrio sembra essere dovuto a due fattori. Da un lato, la brusca frenata degli arrivi di stranieri alle frontiere italiane (di mare e di terra) e, dall’altro, a una diminuzione (pur non ugualmente distribuita sul territorio) delle convalide dei trattenimenti da parte dei giudici di pace.
3. Proprio questo tema attira l’attenzione del Garante che, sin dai primi bollettini di marzo, ha avanzato con forza dubbi circa la legittimità di un trattenimento attuato in vista di un rimpatrio che, le concomitanti chiusure dei confini, rendono impossibile.
In più riprese il Garante ha invitato le Autorità italiane a rivedere il trattenimento amministrativo all’interno dei Centri di permanenza per i rimpatri sottolineando che: «l’applicazione o il mantenimento della misura restrittiva in questo caso è priva di un suo necessario presupposto di legittimità, cioè la realizzabilità del rimpatrio, unico scopo cui è preordinata. Per tale motivo può configurarsi un’ipotesi di “illecito trattenimento”, ai sensi della stessa cosiddetta “Direttiva rimpatri” (direttiva 2008/115/CE)[4]».
L’art. 15 della Direttiva rimpatri, infatti, nel prevedere la possibilità di trattenimento nei confronti del cittadino di un Paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio, specifica al contempo alcuni limiti entro i quali la privazione in via amministrativa della libertà può avvenire. In primo luogo, nel caso concreto non devono essere efficacemente applicabili altre misure sufficienti ma meno coercitive (ossia, in Italia, le misure alternative ex art. 14, co. 1-bis, TUI); in secondo luogo, il trattenimento deve avere durata quanto più breve possibile corrispondente al solo tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio; infine, specifica l’art. 15 par. 4 il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata deve essere immediatamente rilasciata quando risulti che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento.
L’esigenza di porre fine ai trattenimenti amministrativi degli stranieri si ritrova anche nelle parole di Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa che, in una dichiarazione rilasciata il 26 marzo 2020 ha chiesto a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa di «rivedere la situazione dei richiedenti asilo respinti e dei migranti irregolari in centri di detenzione e di procedere al loro rilascio nella massima misura possibile”[5]».
Una richiesta avanzata in maniera ancora più netta dalle Nazioni Unite[6] che nel corso del monitoraggio delle operazioni di rimpatrio eseguite dai singoli Stati nei mesi dell’emergenza sanitaria, hanno rilevato un ingiustificabile utilizzo dei rimpatri forzati quale principale misura “di prevenzione e cura” all’emergenza sanitaria. L’ONU, con uno statement del 13 maggio 2020, ha dunque chiesto la sospensione delle attività di rimpatrio a livello mondiale al fine di tutelare, da un lato, i diritti umani dei migranti (in primis, quello alla salute) e, dall’altro, di scongiurare ulteriori rischi per la salute pubblica degli ufficiali incaricati del rimpatrio, degli operatori sanitari e delle comunità d’origine.
Positivamente il Garante rileva che l’Italia non ha mai intrapreso la via stigmatizzata dalle Nazioni Unite e che pertanto la riduzione del numero di migranti presenti nei Cpr italiani non è riconducibile a una prassi di intensificazione di rimpatri forzati.
Permangono, tuttavia, perplessità circa la scelta del nostro Paese di non porre fine al trattenimento dei migranti nei mesi in cui il loro rimpatrio – fine unico del trattenimento – era divenuto impossibile. La questione è ancora più spinosa se si fa riferimento alle persone il cui trattenimento è inevitabilmente prossimo alla scadenza per il raggiungimento del numero massimo di giorni previsti. Nel loro caso, la continuazione (e in alcuni casi la proroga) del trattenimento, stante la chiusura delle frontiere, è innegabilmente e inutilmente afflittiva.
4. Decisioni di senso contrario, però, si sono registrate nelle esperienze di altri paesi vicini[7].
È, innanzitutto, il caso della Spagna, portata ad esempio dal Garante (bollettino del 9 aprile 2020) dove, a ridosso della dichiarazione dello stato di allarme, avvenuto con decreto del 14 marzo 2020, le autorità politiche e amministrative hanno avanzato dubbi circa l’opportunità di tenere aperti i centri per il rimpatrio (i cd. Cies) essendo, da un lato, venuti meno i presupposti della loro esistenza, ossia l’effettiva possibilità di rimpatrio, e, dall’altro lato, sussistendo il rischio che i Centri, proprio a causa dell’alta concentrazione di persone al loro interno, potessero trasformarsi in pericolosi focolai. A partire da una interlocuzione permanente avviata il 17 marzo 2020 dal Defensor del Pueblo con la Direzione generale dell’immigrazione e delle frontiere e con il Segretariato di Stato per l’immigrazione, sono state sollecitate misure dirette a svuotare progressivamente tutti i Cies, al contempo garantendo ospitalità a coloro che risultavano privi di un riparo.
Ciò che più colpisce – per una volta in positivo – è che nelle motivazioni della richiesta, vi era un forte e chiaro richiamo alla Costituzione e alle leggi spagnole che garantiscono ai tutti i cittadini, senza distinzioni, diritti e opportunità di tutela della propria salute, che sarebbero inevitabilmente stati compromessi nei Cies.
Lo svuotamento dei Centri spagnoli è quindi iniziato il 20 marzo e a fine mese è stata annunciata la chiusura anche degli ultimi centri di Murcia e Las Palmas. La loro riapertura avverrà solo al termine dell’emergenza sanitaria.
Nel Regno Unito, l’azione legale avviata da Detection Action[8] ha portato le Autorità inglesi ad agire con rapidità in quattro direzioni.
In primo luogo, è stato disposto l’immediato rilascio di oltre 300 persone ritenute maggiormente esposte al rischio di contrarre l’infezione. In secondo luogo, a chi ancora si trovava in condizioni di privazione della libertà personale (secondo le stime di Detection Action erano 736 le persone trattenute al 24 marzo 2020) è stata assicurata una maggiore informazione circa i comportamenti da tenere per limitare i contagi attraverso la divulgazione di Linee guida. In terzo luogo, sono state sottoposte a urgente revisione tutte le misure detentive di trattenimento in atto, al fine di valutare ulteriori rilasci. Infine, un vero e proprio divieto di trattenimento è stato disposto nei confronti dei possibili destinatari di ordini di rimpatrio verso 49 paesi (tra cui Giamaica, India, Pakistan, Iraq, Sudan e Albania)
Anche il Belgio, a inizio marzo, conscio dell’impossibilità di rispettare le necessarie misure di distanziamento sociale all’interno dei centri per i migranti, aveva proceduto alla liberazione di 300 persone ivi trattenute.
L’esperienza italiana è, dunque, forse più vicina a quella francese dove la richiesta di chiusura dei centres de rétention administrative (CRA), avanzata da una rete di associazioni a difesa dei diritti dei migranti[9], è stata rigettata[10] dal Consiglio di Stato sulla scorta dell’esiguo numero di persone trattenute (152 al 26 marzo 2020), dell’avvenuta distribuzione di materiale per l'igiene personale e dei luoghi e della maggiore attenzione prestata alle condizioni di salute dei nuovi ingressi e delle persone già presenti nei Centri. Anche a fronte delle contestazioni circa l’impossibilità dell’allontanamento (cui consegue il venir meno del presupposto legittimante il trattenimento amministrativo degli stranieri), il Consiglio di Stato ha dato atto del proseguimento delle operazioni di rimpatrio, comunicato dall’Autorità amministrativa competente.
6. Come già anticipato, ad oggi l’Italia ha scelto di non interrompere i trattenimenti ma alcuni segnali di senso contrario sono pervenuti da decisioni di alcuni giudici di pace, autorità cui in Italia è affidato il giudizio sulla libertà degli stranieri in attesa di espulsione[11].
Il Garante ha raccolto preziose informazioni circa gli orientamenti dei giudici di pace nei confronti dei provvedimenti restrittivi che continuano a essere disposti dall’Autorità di pubblica sicurezza, riscontrando una realtà molto variegata.
I Giudici di pace di Roma e (in parte) di Melfi sembrano tenere in debita considerazione l’eccezionale situazione sanitaria e le sue pesanti ricadute sulla mobilità globale (frontiere chiuse e drastivo ridimensionamento dei collegamenti internazionali), non convalidando i provvedimenti sottoposti al loro scrutinio. Diversamente, altri hanno continuato a convalidare trattenimenti e proroghe[12].
Con riferimento ai richiedenti asilo trattenuti nei Cpr – le cui istanze sono giudicate da un’apposita sezione specializzata del Tribunale – il Garante nazionale riporta che a Roma e Trieste le sezioni specializzate dei Tribunali hanno espresso parere contrario alla convalida dei trattenimenti, essenzialmente rilevando tre elementi. Innanzitutto, i giudici hanno rilevato la mancanza del nesso di funzionalità normalmente intercorrente tra misura restrittiva e la tempestiva trattazione della domanda di protezione internazionale, stante la sospensione delle audizioni disposta con provvedimento ministeriale del 10 marzo 2020[13]. In seconda battuta, è stata riscontrata una generale e inaccettabile inadeguatezza dei luoghi di trattenimento ad assicurare una corretta osservanza delle misure anti-contagio poste a garanzia della salute dei singoli. Infine, sono state oggetto di scrutinio, con esito negativo, le reali possibilità di rimpatrio. Tre elementi, chiosa il Garante, che «ciascuno per conto proprio e soprattutto cumulati, rendono ben difficile comprendere come in questo momento possa essere prorogata una misura privativa della libertà giustificata soltanto dalla sua funzionalità a un possibile rimpatrio».
Di segno contrario, deve essere segnalato l’orientamento della sezione specializzata del Tribunale di Cagliari che ha ritenuto sussistenti i presupposti del trattenimento, nonostante la sospensione dei termini dei procedimenti per il riconoscimento della protezione internazionale.
L’auspicio del Garante è quello di una pronta riduzione delle asimmetrie con riferimento alle decisioni in tema di privazione della libertà delle persone migranti; in questo senso vengono in luce anche le indicazioni impartite dal Procuratore generale della Corte di cassazione[14] che, pur rivolte al mondo del carcere, sembrerebbero volte ad avviare rapido cambio di rotta che riconfermi, da un lato, il principio di extrema ratio della privazione della libertà e, dall’altro, renda l’esercizio della giurisdizione capace di contribuire al comune obiettivo di tutela della salute.
7. Stante, quindi, la generale prosecuzione dei trattenimenti, l’attenzione del Garante si è dunque posata sulle condizioni di vita all’interno dei Cpr e sull’effettiva applicazione delle misure anti-contagio.
Nei mesi di massima allerta per l’emergenza sanitaria, il Garante ha costantemente monitorato la situazione dei CPR attraverso la somministrazione di questionari agli Enti gestori, rilevando così condizioni generali ed eventuali criticità nella attuazione delle richieste misure di contenimento del contagio[15]. Da queste indagini è in generale emerso un clima di ‘relativa tranquillità’, con una quasi totale assenza di episodi di protesta o tensioni, in parte dovuto alla forte riduzione delle presenze.
La drastica riduzione dei contatti con l’esterno è stata ridimensionata nei suoi effetti dalla contestuale implementazione di sistemi di videochiamata che hanno consentito ai migranti presenti nei Centri di mantenere i contatti con le persone con cui, normalmente, sarebbe stato possibile un colloquio diretto.
L’auspicio espresso dal Garante è quello dell’estensione di tale sistema anche al termine dell’emergenza sanitaria, nonché la sua diffusione ai centri che non l’hanno sperimentata. A tal riguardo, è attesa la pubblicazione del nuovo Regolamento unico per i Cpr, ad oggi in fase di stesura presso il Ministero dell’Interno[16].
Apposite aree per la quarantena ed ambienti per l’isolamento sanitario sono stati allestiti nella maggior parte dei centri (salvo alcune eccezioni) ma nessuna persona si trova al momento in isolamento.
Rileva il Garante l’efficace opera di prevenzione all’interno dei centri, svoltasi tramite attività di sanificazione straordinaria e igienizzazione, la distribuzione di dispostivi di protezione e kit per l’igiene, la costante rilevazione della temperatura corporea, l’effettuazione di tamponi e la distribuzione di materiale informativo in diverse lingue.
L’efficacia di tali misure – la cui attuazione deve continuare a pieno regime, stante l’attuale presenza del virus – ha trovato riscontro nella bassissima diffusione del virus nei Centri.
8. Il protrarsi della crisi sanitaria ha determinato le Autorità italiane a consentire l’utilizzo di navi per lo svolgimento della quarantena delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare nel territorio italiano un cd. place of safety (Pos) dal momento che il decreto interministeriale n. 150 del 7 aprile 2020 ha stabilito che «per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria […] i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di place of safety […] per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area Sar italiana[17]».
La possibilità di utilizzare navi come luoghi di quarantena per migranti è stata, dunque, espressamente prevista dal decreto del Capo della Protezione civile del 12 aprile 2020 con il quale il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno è stato incaricato di provvedere all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare, prevedendo che, in tali situazioni, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, possano essere utilizzate navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria[18].
8.1. La prima applicazione di questa procedura è avvenuta dopo pochi giorni, con il trasferimento dei migranti soccorsi dalle imbarcazioni “Alan Kurdi” (17 aprile) e “Aita Mari” (19 aprile), sulla nave “Raffaele Rubattino”, ancorata a un miglio al largo dal porto di Palermo.
Pur riconoscendo la situazione di emergenza e la responsabilità della Istituzioni nella sua gestione, il Garante non nasconde perplessità in merito a questa soluzione avvertendo, in particolare, che «La realizzazione delle misure di quarantena in luoghi straordinari ed eccezionali non può comportare una situazione di ‘limbo’: le persone migranti sono sotto la giurisdizione dello Stato Italiano ai fini delle misure sanitarie loro imposte, ma al contempo non hanno la possibilità – e per un periodo di tempo non indifferente – di esercitare i diritti che il nostro Paese riconosce e tutela. Non possono chiedere asilo, non sono di fatto – e quanto meno temporaneamente – tutelati in quanto vittime di tratta o minori stranieri non accompagnati, Né possono tempestivamente accedere alle procedure per il ricongiungimento familiare ai sensi del Regolamento Dublino».
8.2. L’esperienza della “Rubattino” si è recentemente ripetuta con l’avvio di un’altra quarantena a bordo della nave “Moby Zazà” dove, al 22 maggio, si trovano ancora 232 persone.
Anche in questo caso, la gestione delle persone a bordo è stata affidata al personale della Croce Rossa Italiana (oltre alle attività di assistenza sanitaria, sono delegate alla CRI attività di gestione amministrativa e di distribuzione di beni), coadiuvata dall’Ufficio di sanità marittima e di frontiera. A bordo della Moby Zazà si contano 23 membri in servizio, suddivisi tra medici, infermieri, mediatori culturali, psicologi e personale formato per la gestione delle emergenze.
I migranti sono alloggiati in cabine singole (ad eccezione dei nuclei familiari) e in orari prestabiliti, a piccoli gruppi, hanno accesso a un cd. safe place, vale a dire un ponte della nave dove vengono organizzate “attività di tipo trasversale” che vanno da momenti di informazione (su diritto alla salute, protezione internazionale, prevenzione della tratta) o di preghiera a occasioni per avere accesso al wi-fi oppure alla ricarica dei telefoni cellulari.
La Moby Zazà non è ancorata in maniera stabile a largo di Porto Empedocle, anzi, la nave si muove alla volta di Lampedusa ogni volta in cui giunge notizia di nuovi sbarchi.
Il 20 maggio 2020 a bordo della Moby Zazà si è assistito al decesso di un cittadino tunisino “caduto” in mare nel cuore della notte e morto nonostante l’immediato allarme lanciato dai compagni e il pronto soccorso prestato dalla Guardia di Finanza e dalla Capitaneria di porto[19].
Nel 2016 – in circostanze diverse ma pur sempre caratterizzate da una situazione di crisi, in quel caso migratoria – l’utilizzo di navi per l’alloggiamento dei migranti aveva fatto guadagnare all’Italia una condanna per violazione dell’art. 5 par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo[20] per aver trattenuto a bordo di navi attraccate nel porto di Palermo alcuni cittadini tunisini, in assenza di un’idonea base giuridica per la privazione della libertà, senza fornire informazioni circa la loro condizione di irregolarità e la durata del trattenimento (art. 5 par. 2) e non garantendo agli stessi un diritto a un ricorso effettivo contro le misure restrittive poste in essere (art. 5 par. 4).
Più recentemente, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ritenuto “trattenimento” ai sensi dell’art. 2 lett. (h) della direttiva “accoglienza” (2013/33/UE) e dell’art. 16 della direttiva “rimpatri” (2008/115/CE), l’obbligo imposto al cittadino di un Paese terzo di permanere in una zona di transito situata alla frontiera esterna di uno Stato membro[21]. La vicenda merita attenzione perché, oltre ad estendere il novero di condotte definibili come “trattenimento” – con conseguente ampliamento delle garanzie per chi vi viene sottoposto – rimarca anche la scelta della Corte di Lussemburgo di non voler tenere in considerazione le situazioni di stress cui gli Stati possono essere sottoposti (crisi migratorie intense e, oggi, pandemie) quale giustificazione dell’affievolimento delle garanzie a tutela dei migranti.
Questi orientamenti espressi in passato potrebbero oggi assumere rilevanza con riferimento alle quarantene a bordo delle navi in corso in Italia, dove la forte limitazione della libertà personale dei migranti – pur dettata da un’inedita emergenza – sommata al limbo giuridico e alla mancanza di possibilità di richiedere asilo o accedere alle procedure di ricongiungimento familiare, potrebbe costare all’Italia l’ennesima condanna per violazione dei diritti fondamentali dei migranti.
9. In conclusione, è appena il caso di ricordare che le frontiere di terra e di mare, pur meno affollate nei primi mesi dell’epidemia Covid-19, stanno rapidamente tornando ai numeri e alle difficoltà di prima. Ricorda, infatti, il Garante la ripresa della “rotta balcanica” seguita ai primi allentamenti delle misure anti-Covid. In particolare, viene segnalata a fine maggio una consistente presenza di persone migranti al confine esterno del Friuli-Venezia Giulia, oltre a circa 340 persone in isolamento fiduciario a Trieste, ospitate in strutture private gestite dalla Caritas cittadina.
Quanto agli arrivi via mare, invece, tra il 25 aprile e il 6 maggio 2020, con otto sbarchi, sono giunte a Lampedusa 580 persone (360 erano uomini, 125 donne, 49 minori e 46 minori non accompagnati) immediatamente poste in quarantena negli hotspot.
È notizia dell’11 giugno, invece, la morte di oltre 50 persone a causa del rovesciamento di un barcone che, partito dalla Tunisia con a bordo 53 migranti (pur potendone trasportare solo 30) si accingeva ad attraversare il Mediterraneo alla volta di Lampedusa.
Questi numeri, in continuo aggiornamento, rendono chiara l’idea che il Covid-19 pur avendo rallentato momentaneamente i flussi migratori non li ha cancellati e anzi, i suoi pesanti effetti sulle economie dei paesi di tutto il mondo – e a maggior ragione su quelle già deboli – non potranno che determinare in un futuro molto prossimo nuove consistenti partenze.
Ecco allora che l’auspicio migliore per l’Italia e gli altri Paesi non può che essere quello di imparare dalle difficoltà per ripensare un sistema per il futuro, interrogandosi sugli attuali strumenti del diritto dell’immigrazione, sulla sua sempre più evidente commistione con il diritto penale, sul ruolo e sui modi della detenzione amministrativa e sulle pesantissime ricadute in termini di compressione dei diritti dei migranti. Se tutto questo non tornerà ad essere la ‘normalità’ – forse – gli sforzi e i sacrifici che questa situazione ha richiesto a tutti – Autorità, cittadini e migranti – porteranno un risultato, anch’esso apprezzabile da tutti.
Per chiudere con le parole del Garante: “la sperimentazione della difficoltà ha un valore di innalzamento culturale solo se gli interrogativi che pone non trovano risposte vecchie”.
[1] Sul tema v. già, in questa Rivista: G.L. Gatta, Carcere e coronavirus: che fare?, 12 marzo 2020; E. Dolcini – G.L. Gatta, Carcere, coronavirus, decreto ‘cura Italia’: a mali estremi, timidi rimedi, 20 marzo 2020; G. Fiandaca, Scarcerazioni per motivi di salute, lotta alla mafia e opinione pubblica, 19 maggio 2020.
[2] Tra i molti: Masera L., I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del decreto Minniti, in Dir. pen. cont., 10 marzo 2017; Pugiotto A., La “galera amministrativa” degli stranieri e le sue incostituzionali metamorfosi, in Quaderni Costituzionali, n. 3/2014, p. 573 ss.di Martino A., Centri, Campi, Costituzione. Aspetti d’incostituzionalità dei CIE, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, fasc. n. 1/2014; Loprieno D., “Trattenere e punire”. La detenzione amministrativa dello straniero, Napoli, Editoriale scientifica, 2018
[3] Negli hotspot hanno luogo operazioni di identificazione, di screening sanitario, di pre-identificazione, di registrazione, di foto-segnalamento e rilievi dattiloscopici degli stranieri, nonché il loro “smistamento” tra i canali della richiesta di asilo, della relocation o dell’espulsione; v. Roadmap Italiana del 28 settembre 2015 del Ministero dell’interno.
[4] Bollettino n. 20, 7 aprile 2020
[6] Per approfodire: https://migrationnetwork.un.org/
[7] I dati di Spagna, Regno Unito, Belgio e Francia sono riporati dal Garante nel bollettino n. 15 del 31 marzo 2020. Altri dati sono invece stati raccolti e resi disponibili dal Global detention project sulla piattaforma Covid-19 Global Immigration Detention che offre un’analisi Stato per Stato.
[9] In particolare: Groupe d’information et de soutien des immigré.e.s (GISTI), Avocats pour la Défense des Droits des Etrangers (ADDE), Syndicat des avocats de France, La Cimade e Conseil national des barreaux
[11] Ex art. 14 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. Immigrazione). Si segnala che a fine marzo 2020 ASGI, Antigone, Cild, Legal Team Italia, Clinica Legale Immigrazione Università di Roma 3, Progetto Diritti e la campagna Lasciatecientrare hanno rivolto una lettera aperta ai giudici di pace dal titolo “È legittimo trattenere se non si può espellere?", consultabile sul sito di ASGI.
[12] Nel Bollettino n. 20 del 7 aprile 2020 viene riferito dal Garante il caso di un Giudice di pace ha autorizzato la proroga per ulteriori 10 giorni (gli ultimi consentiti) a un cittadino marocchino che era già stato trattenuto per 170 giorni e che non poteva essere espulso, stante la decisione del Marocco di chiudere le frontiere con l’Italia del 10 marzo scorso.
[13] Al fine di ridurre al massimo gli spostamenti di persone e documenti e gli assembramenti, le audizioni con i richiedenti asilo erano già state sospese in attuazione delle misure governative per l'emergenza sanitaria: prevista inizialmente per le sole commissioni e sezioni territoriali delle cosiddette zone rosse (provvedimento della Commissione nazionale n.1788 del 24 febbraio 2020), la sospensione è stata poi estesa ai collegi di tutto il territorio nazionale (provvedimento della Commissione nazionale n. 2327 del 10 marzo 2020), per essere poi prorogata fino al 13 aprile.
[14] Il testo della comunicazione del Procuratore Generale Salvi ai Procuratori Generali presso le Corti d’appello è consultabile in questa Rivista, 3 aprile 2020.
[15] Gli esiti di questo monitoraggio sono raccolti ed analizzati nel bollettino del 21 aprile 2020
[16] V. bollettino n. 34 del 29 maggio 2020.
[17] Il riferimento è al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell’interno ed il Ministro della salute del 7 aprile 2020, con cui è stato disposto che, dalla data della sua adozione e fino alla scadenza dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety (“luogo sicuro”), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo, sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area Search And Rescue (SAR) italiana;
[18] All’art. 1 del decreto si legge che: “Per assicurare il rispetto delle misure di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica da COVID-19, anche nei riguardi delle persone soccorse in mare, ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi, è nominato Soggetto attuatore […] il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, che si avvale della Croce Rossa Italiana quale struttura operativa del Servizio nazionale ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1. Il Soggetto attuatore, previo assenso del Capo del Dipartimento della protezione civile, provvede all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” […]. Con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) il Soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria. Per le attività finalizzate all'individuazione delle suddette navi e dell'attività istruttoria di natura tecnico-amministrativa ai fini delle procedure di affidamento dei contratti pubblici il Soggetto attuatore provvede per il tramite delle strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti anche in house. Relativamente ai migranti che giungono sul territorio nazionale in modo autonomo il Soggetto attuatore individua, sentite le Regioni competenti e le autorità sanitarie locali, per il tramite delle prefetture competenti, altre aree o strutture da adibire ad alloggi per il periodo di sorveglianza sanitaria previsto dalle vigenti disposizioni, avvalendosi delle prefetture medesime che procedono alla stipula di contratti per il trattamento di vitto, alloggio e dei servizi eventualmente necessari, per le persone soccorse ovvero, in caso di mancanza di accordo, ad attivare le procedure di cui all’articolo 6, comma 7 del decreto legge n. 18 del 2020. Nel caso in cui non sia possibile individuare le predette strutture sul territorio, il soggetto attatore provvede alla sistemazione dei migranti ai fini dell’isolamento fiduciario e di quarantena anche sulle predette.
[19] La notizia è stata pubblicata su la Repubblica il 20 maggio 2020.
[20] Il riferimento è alla sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 15 dicembre 2016 Khlaifia e altri c. Italia
[21] Il riferimento è alla sentenza della CGUE, Grande Camera, FMS e FNZ, 14 maggio 2020, in questa Rivista, 25 maggio 2020, con nota di S. Zirulia, Per Lussemburgo è “detenzione”, per Strasburgo no: verso un duplice volto della libertà personale dello straniero nello spazio europeo?