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  Scheda  
14 Giugno 2023


Ancora sui commi 1 ter e 1 quater dell’art. 581 c.p.p.


1. Non c’è convegno, congresso, dibattito, incontro sulla riforma Cartabia in cui non si parli della notificazione all’imputato, presente o dichiarato assente, del decreto di citazione al giudizio d’appello, in particolare dei commi 1 ter e 1 quater dell’art. 581 c.p.p.

Famosi o malfamati che siano, meritano che la riflessione continui.

 

2. La legge delega. È stata la l. 27 settembre 2021, n. 134 ad imporre al legislatore delegato di prevedere che, con l’atto di impugnazione, sia depositata, a pena di inammissibilità, dichiarazione o elezione di domicilio «ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione».

La direttiva si intreccia con il criterio dettato per il processo in assenza secondo il quale il difensore dell'imputato assente può impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e l’imputato, con lo specifico mandato a impugnare, deve dichiarare o eleggere il domicilio per il giudizio di impugnazione.

Il legislatore delegato ha provveduto (art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) inserendo, nell’art. 581, i commi 1-ter e 1-quater.

 

3. Il comma 1-ter prevede che, con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori, debba essere depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio «ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».

 

3.1. Due premesse.

La prima: le “parti private” si riducono in sostanza all’imputato, dato che, a norma dell’art. 100, comma 5, il domicilio della parte civile, del responsabile civile e del civilmente obbligato per la pena pecuniaria si intende “per ogni effetto processuale” eletto presso il difensore e, presso il difensore, deve essere eseguita la notificazione, a norma dell’art. 154, comma 4.

La seconda: alle notificazioni degli atti introduttivi del giudizio all’imputato non detenuto è specificamente dedicato l’art. 157-ter che, per quanto qui interessa, al comma 1 stabilisce che la notificazione della citazione in giudizio ai sensi dell’art. 601 è effettuata al domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 161, comma 1 (o, in mancanza di un domicilio dichiarato o eletto, nei luoghi e con le modalità di cui all’art. 157, con esclusione delle modalità di cui all’art. 148, comma 1) e al comma 3 (destinato ad applicarsi, ai sensi dell’art. 89, comma 3, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2022) precisa che «in caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, la notificazione dell'atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 581, commi 1-ter e 1-quater».

 

3.2. L’ambito applicativo del comma 1-ter dell’art. 581. Ispirato all’idea di facilitare e snellire il lavoro delle cancellerie, l’ambito applicativo del comma 1-ter è limitato a uno specifico atto introduttivo del giudizio di impugnazione, il decreto di citazione a giudizio.

Il deposito della dichiarazione o elezione di domicilio «ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio» presuppone, dunque, che la legge preveda un decreto di citazione a giudizio e che esso debba essere notificato alla parte privata, in particolare all’imputato. 

Ne deriva che la nuova disposizione – come si evince dall’art. 601 che disciplina gli atti preliminari al giudizio d’appello e contiene più volte le parole «citazione» o «decreto di citazione» – riguarda certamente l’appello e l’imputato appellante (non anche l’imputato non appellante benché, in caso di appello del pubblico ministero, di appello proposto per i soli interessi civili e di possibile estensione dell’impugnazione ex art. 587, vada citato).

Il comma 1-ter non riguarda, invece, il ricorso per cassazione la cui disciplina non prevede la notificazione di un decreto di citazione a giudizio dell’imputato e delle altre parti private. Gli atti preliminari al giudizio di cassazione (art. 610, commi 1 e 3) prevedono, invero, soltanto l’avviso ai difensori della data dell’udienza in cui è fissata la trattazione del ricorso. Nessun avviso è dato all’imputato se non nel caso in cui il medesimo non sia assistito da difensore di fiducia o da difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione (art. 613, comma 4); caso in cui all’imputato è designato un difensore di ufficio abilitato al quale dovrà essere dato l’avviso. Ne deriva che mai un ricorso per cassazione potrà essere dichiarato inammissibile per non avere la parte privata depositato, con il ricorso, la dichiarazione o elezione di domicilio.   

Poiché l’art. 581 contiene disposizioni applicabili, in quanto compatibili, a tutte le impugnazioni previste dal libro IX del codice (se si esclude – come si è detto – il comma 1-bis dedicato specificamente all’appello), potrebbe sostenersi che il comma 1-ter si applichi anche alla revisione. In senso affermativo potrebbe deporre il rilievo che l’art. 636, comma 1, rinvia al menzionato art. 601; tuttavia, il comma 1-ter è riferito all’«atto di impugnazione delle parti private e dei difensori», espressione che porta ad escludere ogni riferimento ai soggetti legittimati alla richiesta di revisione ex art. 632, in particolare il condannato o un suo prossimo congiunto e, se il condannato è morto, l’erede o un prossimo congiunto.

Il comma 1-ter non si applica, invece, alla revisione europea (l’art. 628-bis, comma 4, prevede che sulla richiesta la corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell'art. 611), alla rescissione del giudicato e al ricorso straordinario per errore materiale o di fatto (gli artt. 629-bis, comma 3, e 625-bis, comma 4, rinviano espressamente all’art. 127 che non prevede decreto di citazione a giudizio).

La disposizione non si applica, inoltre, per le impugnazioni in materia di misure cautelari personali e reali (artt. 309 – 311, 324 – 325, ecc.) e per l’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere (artt. 425 e 554-quater).

Va detto per concludere sul punto che, poiché l'opposizione a decreto di condanna è ritenuta dalla giurisprudenza più recente un mezzo ordinario di impugnazione sicché ad essa deve ritenersi applicabile la disciplina generale delle impugnazioni, compresa naturalmente la disciplina delle cause di inammissibilità (art. 591) che concorrono con quelle prevedute dall’art. 461[1], è ragionevole ritenere che la dichiarazione o l’elezione di domicilio vada depositata anche nel caso di opposizione, quantomeno se con essa è chiesta al giudice che ha pronunciato il decreto di condanna l’emissione di decreto di giudizio immediato.

 

3.2. Il “deposito” della dichiarazione o elezione di domicilio. Per non incorrere nell’inammissibilità la dichiarazione o la elezione di domicilio deve essere “depositata”. Può, naturalmente, essere allegata all’atto di appello depositato.

A differenza di quanto stabilito nel comma 1-quater (v. infra), non è previsto che la dichiarazione o la elezione debba essere successiva al provvedimento impugnato[2].

Ciò induce a ritenere che possa essere allegata anche una dichiarazione o elezione di domicilio anteriore al provvedimento impugnato. Può trattarsi, quindi, anche della dichiarazione o elezione prevista, per l’imputato non detenuto o internato, dall’art. 161, comma 1. D'altra parte – come è detto nell’art. 164, comma 1 – la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni degli atti di citazione in giudizio ai sensi dell’art. 601, salvo quanto previsto dall’art. 156, comma 1 (e cioè che le notificazioni all’imputato detenuto, anche successive alla prima, sono sempre eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona).

Non può trascurarsi che l’imputato presente potrebbe (qualunque sia la ragione) non avere, prima dell’impugnazione, dichiarato o eletto domicilio.

In tal caso potrebbe assumere rilievo il citato comma 3 dell’art. 157-ter che, per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2022, impone che, in caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, la notificazione dell'atto di citazione a giudizio nei suoi confronti sia eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater.

L’avverbio “esclusivamente” rende inevitabile che la dichiarazione o elezione di domicilio da depositare, per non incorrere nell’inammissibilità dell’appello, sia, in questo caso, successiva alla sentenza impugnata ed esime la cancelleria e il giudice da ogni onere di verifica preliminare, ai fini della citazione a giudizio, in ordine all’effettiva consistenza dei dati comunicati dal difensore mediante l’atto depositato. 

In caso di pluralità di dichiarazioni o elezioni di domicilio è necessario che sia depositata l’ultima in ordine cronologico. Sul difensore grava l’onere di effettuare questa verifica prima di depositare la dichiarazione o elezione che la cancelleria utilizzerà per la notificazione del decreto di citazione all’imputato. Non dovrebbe trattarsi di un onere gravoso, tanto più che, a norma del comma 4-bis dell’art. 161, nei casi di cui agli indicati commi 1 e 3 dello stesso articolo, l’elezione di domicilio presso il difensore è immediatamente comunicata allo stesso e che il comma 4-bis dell’art. 162 prevede che l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non abbia effetto se l'autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l'assenso del difensore domiciliatario. Se non presta l’assenso, il difensore deve attestare l'avvenuta comunicazione da parte sua all'imputato della mancata accettazione della domiciliazione o le cause che hanno impedito tale comunicazione.

È difficile, pertanto, che il difensore possa sbagliare.

Non è, tuttavia, impossibile ipotizzare un errore (scusabile o non) del difensore. Non è da escludere, in altre parole, che, a causa del deposito di una dichiarazione o elezione di domicilio “superata” da altra, si svolga un giudizio di appello nullo per l’omessa citazione dell’imputato e per essersi, quindi, svolto in assenza del medesimo in violazione dell’art. 598-ter, comma 1, che, a proposito dell’assenza dell’imputato in appello, stabilisce che soltanto in caso di regolarità delle notificazioni, l’imputato appellante non presente all’udienza di cui agli artt. 599 e 602 «è sempre giudicato in assenza anche fuori dei casi di cui all’articolo 420-bis».

Qualora ciò si dovesse verificare, non resta all’imputato che attivare i rimedi impugnatori, ordinari (ricorso per cassazione) o straordinari (rescissione del giudicato), che gli consentano di dedurre le questioni di nullità o di far valere la mancata conoscenza, a lui non addebitabile, dello svolgimento del giudizio di appello.

 

4. Il comma 1-quater riguarda l’imputato nei cui confronti si è proceduto in assenza. Stabilisce che, con l’atto d’impugnazione del difensore, sia depositato, sempre a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato.

Già il comma 3 dell’art. 571, soppresso dall’art. 46 della l. 16 dicembre 1999, n. 479, stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore potesse proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, ma esso poteva essere rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste.

Anche in tal caso la disposizione, che mira ad escludere la possibilità che siano presentate impugnazioni senza il volere dell'imputato, sembra riguardare soltanto l’appello.

E soprattutto riguarda – come si è premesso – l’imputato dichiarato assente nel giudizio di primo grado; si innesta, in particolare, in una rafforzata disciplina dell’assenza i cui spazi sono occupati solo dalla certezza della effettiva conoscenza della pendenza del processo e dagli strumenti processuali per rimediare ad eventuali errori di valutazione del giudice.

Un imputato, dunque, che, a conoscenza del processo a suo carico, sceglie, qualunque sia la ragione, di essere assente e di farsi rappresentare dal difensore (art. 420-bis, comma 4). La sua scelta deve essere volontaria e consapevole e il giudice è tenuto ad accertarlo (art. 420-bis, commi 1 e 2). Il difensore, pertanto, non dovrebbe incontrare soverchie difficoltà a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, il mandato specifico ad appellare. Tra l’altro, il nuovo comma 1-bis dell’art. 585, che disciplina i termini per l’impugnazione, prevede che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma 1 (15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi) sono aumentati di quindici giorni (30, 45 e 60 giorni) per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza.

Il nuovo comma 2.1 dell’art. 175 c.p.p. prevede, poi, che l’imputato giudicato in assenza sia restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione, qualora dia prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.

E, in ogni caso, il difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all’imputato, anche prima dell’emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall’art. 571, comma 1, che abbia il potere di proporre l’appello.  

È chiaro, comunque, che la disposizione in esame non pensa all’imputato che, dopo il primo impatto con le forze di polizia (la designazione di un difensore d'ufficio e quant’altro la legge prevede), sparisca senza lasciare traccia alcuna di sé.

Costui non potrà mai essere legittimamente dichiarato assente. Il percorso processuale che lo riguarda è diverso e confluirà, di regola, nella sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo di cui all’art. 420-quater.

Tutto ciò induce a ritenere che la disposizione in esame non leda il diritto di difesa dell’imputato assente, anche se proprio la citata previsione di cui all’art. 571, comma 1, che consente all’imputato di nominare in ogni momento un procuratore speciale che abbia il potere di proporre l’appello, poteva forse suggerire al legislatore di non appesantire oltremodo la situazione con la richiesta di un mandato specifico rilasciato successivamente alla sentenza da appellare[3].

 

 

 

[1] Tra le ultime Cass. sez. IV, 26 maggio 2015, n. 27209, Moretti, Rv. 263870. La questione della natura giuridica dell’opposizione resta, comunque, aperta e controversa: v. A. SALEMME, Sub art. 461 c.p.p. in CANZIO – BRICCHETTI, Codice di procedura penale, in Le fonti del diritto italiano, Milano 2017

[2] In senso contrario si sono espresse E.N. LA ROCCA – A. MANGIARACINA, Le impugnazioni ordinarie tra “efficienza” e snellimento, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale a cura di D. CASTRONUOVO, M. DONINI, E.M. MANCUSO, G. VARRASO, Padova 2023, 852

[3] V. F. COMPAGNA, L’appello dell’imputato assente: un diritto costituzionale sottoposto a nuovi ostacoli, in www.penaledp.it, 9 giugno 2023