Cass. Sez. Un., 25 maggio 2023 (dep. 21 settembre 2023), n. 38481, Pres. Cassano, rel. Andreazza
1. Introduzione. – La Corte di Cassazione, con la nota pronuncia n. 38481 del 2023[1], è intervenuta in maniera significativa nell’individuare la portata applicativa di talune novelle legislative introdotte dalla Riforma Cartabia con riferimento alla parte civile. In particolare, le Sezioni Unite si sono pronunciate non soltanto in merito ai profili intertemporali riguardanti l’impugnazione per i soli interessi civili, così come risultanti dal nuovo comma 1 bis, dell’art. 573 c.p.p. (già oggetto di ampia disamina in questa Rivista[2]) ma hanno fornito delle indicazioni di particolare rilievo in merito ai nuovi parametri di ammissibilità della costituzione di parte civile, così come risultanti all’esito delle modifiche apportate all’articolo 78, comma 1, lett. d), c.p.p. dall’art. 5, comma 1, lett. b), n. 1) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Prima di chiarire la portata innovativa della recente pronuncia a Sezioni Unite in merito alle formalità richieste per la costituzione di parte civile, è necessaria una breve premessa.
Tra le varie novelle legislative introdotte dalla Riforma Cartabia in merito alle ipotesi di trasferimento del giudizio in sede civile[3], il Legislatore, con l’obiettivo di rimediare all’eccessiva durata del processo penale, ha introdotto «nel nuovo comma 1 bis dell’art. 573 l’innovativa regola del trasferimento della decisione al giudice civile, dopo la verifica imprescindibile sulla non inammissibilità dell’atto svolta dal giudice penale»[4]. Infatti, secondo quanto previsto dall’articolo 573, co.1 bis, «quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile». Tale novella legislativa è espressione del principio guida che ha ispirato l’intera Riforma Cartabia: la ricerca dell’efficienza giudiziaria. Secondo questa impostazione, a fronte di una sentenza impugnata in relazione esclusivamente a questioni civili, la sede naturale della sua trattazione non può che essere quella dinnanzi al giudice competente per materia e, dunque, al giudice civile. Ebbene, tra le altre, l’introduzione del comma 1 bis dell’articolo 573 c.p.p. ha determinato un necessario adattamento dei paradigmi caratterizzanti la domanda risarcitoria da illecito penale, comportando una modifica dell’articolo 78, comma 1, lett. d), che disciplina il requisito della causa petendi all’interno della costituzione di parte civile. Tale articolo, infatti, nella sua innovata formulazione contiene una precisazione di non poco conto, demandando alla costituenda parte civile l’esposizione all’interno dell’atto delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili. In altri termini, come chiarito nella Relazione Illustrativa alla Riforma Cartabia, con l’introduzione dell’espressione agli effetti civili nel predetto articolo è stato posto a carico della parte civile un onere motivazionale di particolare pregio: proprio alla luce dell’eventualità che il giudizio possa proseguire dinnanzi ad un giudice civile, viene richiesto che l’atto di costituzione sia idoneo e di per sé sufficiente ad incardinare un giudizio dinnanzi all’autorità civile.
Tanto premesso, non sorprende dunque che le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno dell’articolo 573, comma 1 bis c.p.p., abbiano dovuto necessariamente interrogarsi, in via incidentale, sulla portata dell’articolo 78, comma 1, lett. d), così come risultante dalla Riforma Cartabia, risolvendo i dilemmi interpretativi sulla novella legislativa che si erano posti gli operatori del diritto sin dalla sua introduzione.
Prima di passare ad esaminare la sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite e le rilevanti conseguenze pratiche che ne discendono, è necessario un breve excursus circa il requisito previsto dall’articolo 78 c.p.p., così come interpretato nel corso degli anni da parte della giurisprudenza.
2. I requisiti di ammissibilità della costituzione di parte civile in vigenza della precedente disciplina. – La formulazione dell’articolo 78, comma 1, lett. d) antecedente alla Riforma Cartabia richiedeva, ai fini dell’ammissibilità della costituzione di parte civile, l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda, senza dunque alcun riferimento espresso ai parametri propri del giudizio civile.
In questo contesto, la natura e la portata dell’onere motivazionale richiesto alla costituenda parte civile con riferimento alla causa petendi erano stati oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali.
In una prima, e isolata, pronuncia[5], la Corte di Cassazione aveva individuato dei parametri piuttosto stringenti per soddisfare tale requisito. In particolare, la Corte, disattendendo le conclusioni cui era addivenuta la Corte D’appello nel medesimo procedimento, aveva ritenuto che la mera richiesta di risarcimento di danno, anche se unita alla indicazione del soggetto persona offesa dei reati contestati nel procedimento penale, non potesse in alcun modo soddisfare il requisito previsto dall’articolo 78, comma 1, lett. d). Infatti, a detta della Corte, il predetto articolo, così come risultante all’esito dell’introduzione del nuovo codice di procedura penale, aveva «profondamente innovato la dichiarazione di costituzione di parte civile, rendendola quasi del tutto simile all'atto di citazione del giudizio civile [enfasi aggiunta]»[6]. Da ciò ne derivava che, per non incorrere nell’inammissibilità della costituzione, era richiesta alla parte civile una precisa enunciazione, simile alle forme prescritte per la costituzione dell'attore nel processo civile, nell’atto delle ragioni in forza delle quali si riteneva che dal reato fossero scaturite conseguenze pregiudizievoli per chi si costituiva nonché il titolo che legittimava a far valere la pretesa
A fronte di quest’unico obiter dictum della Cassazione che assimilava (si badi bene, non equiparava) la costituzione di parte civile all’atto di citazione del giudizio civile, la giurisprudenza maggioritaria era addivenuta a conclusioni differenti, proponendo un doppio binario motivazionale della costituzione di parte civile, a seconda della natura delle imputazioni e del rapporto tra fatti lamentati e pretesa azionata.
In questo senso, dunque, quando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risultava in maniera evidente (come nel caso, ad esempio, del reato di minaccia) «si deve ritenere che, ai fini dell’esposizione della causa petendi, sia sufficiente il mero richiamo al fatto descritto nel capo di imputazione»[7]. Ciò, aveva portato a ritenere che «l’adempimento delle prescrizioni di cui alla lettera d) dell’art 78 c.p.p. risulta adeguatamente realizzato dal richiamo al capo di imputazione, il quale, se correttamente formulato, include gli elementi di fatto a fondamento della legittimazione attiva e di ogni ragione giustificativa della domanda [enfasi aggiunta]»[8].
Diversamente, quando in base alla dichiarazione non fosse individuabile, neppure per relationem all'addebito elevato con l'imputazione, il rapporto tra fatto-reato e danno lamentato o anche quando il danno veniva ricollegato a reati di pericolo e, comunque, quando il danneggiato non si identificava con la persona offesa, si riteneva necessario un onere motivazionale più pregnante per soddisfare la prescrizione di cui alla lett. d) dell’art. 78[9]. Ciò si doveva tradurre dunque, in questo caso, in una più precisa descrizione del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e i danni patiti dalla persona danneggiata dal reato.
A fronte, dunque, dell’isolata pronuncia nr. 8723 del 1996 che, ai fini dell’esposizione della causa petendi, assimilava l’atto di costituzione di parte civile all’atto di citazione, la giurisprudenza maggioritaria (anche recente[10]) riteneva soddisfatto l’onere motivazionale in capo alla parte civile anche tramite la mera riproduzione del capo di imputazione[11]. Ciò aveva portato, dunque, gli operatori del diritto a redigere in molti casi atti di costituzione di parte civile in cui la parte espositiva della dichiarazione si traduceva in un sintetico richiamo all’atto in cui era compendiato l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero[12].
Basti pensare, ad esempio, ai reati fallimentari in cui la parte motiva dell’atto di costituzione del Curatore fallimentare, in particolare quella relativa alla causa petendi, finiva per risolversi in una mera riproposizione del capo di imputazione.
Tutto ciò, sino all’intervento della Riforma Cartabia.
3. La modifica dell’articolo 78, comma 1, lett. d) da parte della Riforma Cartabia e i criteri interpretativi forniti da parte delle Sezioni Unite. – Come anticipato sopra, la Riforma Cartabia ha modificato taluni aspetti riguardanti le formalità della costituzione di parte civile. In particolare, per quanto rileva ai nostri fini, all’articolo 78, comma 1, lett. d), c.p.p. il Legislatore ha introdotto un quid pluris al requisito della causa petendi, ossia la precisazione che le ragioni che giustificano la domanda devono essere tali “agli effetti civili”.
Se della ratio sistemica di tale novella si è già detto nei paragrafi precedenti, vale la pena soffermarsi brevemente sulla interpretazione che la (poca) dottrina e la giurisprudenza hanno dato a tale inciso (e, in particolare, sulla sua portata innovativa) prima dei chiarimenti forniti dalle Sezioni Unite.
Infatti, da un lato, il silenzio dottrinale in relazione al novellato requisito di cui all’articolo 78 c.p.p., portava a ritenere che lo stesso presentasse una modesta rilevanza pratica nella redazione della costituzione di parte civile. Si riteneva dunque che lo stesso rappresentasse una mera precisazione circa la portata dell’onere motivazionale dell’atto di costituzione di parte civile, in linea con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità sul punto. In altri termini, come peraltro evidenziato da una parte della giurisprudenza, «all'originaria previsione, secondo cui è requisito di ammissibilità della dichiarazione di cost. di parte civile l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda, si aggiunge semplicemente il riferimento – già scontato nel sistema previgente, non potendo la parte civile interloquire sui profili strettamente penalistici – al fatto che tale domanda è proposta “agli effetti civili” [Enfasi aggiunta]» [13].
Se, dunque, vi era chi riteneva che la modifica dell’articolo 78, comma 1, lett. d) c.p.p. fosse da «interpretare alla stregua di una mera precisazione terminologica»[14], vi era anche un’altra corrente di pensiero che, valorizzando quanto chiarito nella Relazione Illustrativa alla Riforma, osservava come la previsione in commento potesse essere intesa anche come un nuovo onere per il danneggiato. Infatti, sarebbe stato posto a carico di quest’ultimo l’obbligo «di una maggiore puntualità e precisione nella formulazione delle domande restitutorie e risarcitorie e della chiara argomentazione in ordine al loro fondamento in termini civilistici. Di talché, è conseguenziale ritenere che tale domanda debba essere posta come autosufficiente e completa anche al fine dell’eventuale spostamento in sede civile» [15].
Secondo questa impostazione, il nuovo paradigma richiesto dall’articolo 78, comma 1, lett. d), lungi dall’essere scevro di conseguenze pratiche, avrebbe costituito una innovata formulazione di cui tenere necessariamente conto nella predisposizione di un atto di costituzione di parte civile, ormai sempre più di matrice civilistica.
Ebbene, le Sezioni Unite intervenute sul punto hanno aderito al secondo dei due orientamenti, proponendo una piena equiparazione dell’atto di costituzione di parte civile all’atto di citazione nel giudizio civile, così come previsto e disciplinato dall’articolo 163 c.p.c.
La Quinta sezione della Corte di Cassazione era chiamata a giudicare il ricorso promosso dalla parte civile avverso una sentenza di appello che aveva visto una derubricazione del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi in lesioni personali colpose, con conseguente riduzione della somma riconosciuta alla parte civile quale risarcimento del danno. I giudici rimettenti, riscontrando l’ormai evidente contrasto giurisprudenziale insorto in ordine alla applicabilità o meno dell’articolo 573, comma 1-bis, c.p.p. a tutti i ricorsi pendenti al momento dell’entrata in vigore della norma de quo ovvero solo a quelli proposti nei confronti delle sentenze pronunciate successivamente a tale data, provvedevano a rimettere lo stesso alle Sezioni Unite.
Ebbene, la Suprema Corte, nell’affrontare i diversi orientamenti fronteggiatesi in ordine ai profili intertemporali dell’articolo 573, comma 1 bis, c.p.p., ha dovuto necessariamente chiarire la portata applicativa del novellato articolo 78, comma 1, lett. d), con una pronuncia da cui scaturiranno delle conseguenze pratiche di non poco conto.
Ma procediamo con ordine.
Un primo orientamento[16], a sostegno dell'immediata applicabilità dell'art. 573, comma 1-bis, riteneva che in relazione alla questione in commento non potessero ritenersi applicabili i principi affermati dalle Sezioni Unite Lista[17]. Infatti, non si versava in un’ipotesi di abolizione della possibilità di impugnazione oppure di mutamento del mezzo di impugnazione consentito, posto che la Riforma Cartabia, in merito al diritto all’accertamento del danno civile, avrebbe «mantenuto lo stesso mezzo dinanzi allo stesso giudice e mutando solo l'epilogo del giudizio»[18]. Sul punto, rilevante ai nostri fini, sono le considerazioni addotte a sostegno di questo primo orientamento con riferimento all’articolo 78 c.p.p. all’esito della modifica introdotta dalla citata riforma. Infatti, come chiarito dalla Corte, secondo i sostenitori della immediata applicabilità dell’articolo 573, comma 1-bis, anche ai ricorsi presentati anteriormente alla sua entrata in vigore «la nuova e diversa sede della decisione del merito dell’impugnazione dipenderebbe allora dall'esito del vaglio di ammissibilità del ricorso che sarebbe dunque l’actus da considerare, nell'ottica del brocardo tempus regit actum, rilevante nella specie. Né rileverebbe la modifica, di natura solo terminologica, dell’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p. operata sempre dalla cd. Riforma Cartabia con cui si è specificato che la esposizione delle ragioni della domanda civile deve essere fatta “agli effetti civili [enfasi aggiunta]»[19]. In altri termini, come spiegato dalle Sezioni Unite, secondo una parte della giurisprudenza, la modifica addotta all’articolo 78, comma 1, lett. d) sarebbe stata una modifica cosmetica, in linea con quanto già richiesto dal dettato normativo, così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, in merito alla causa petendi all’interno dell’atto di costituzione di parte civile.
Di diverso avviso[20], invece, altra parte della giurisprudenza che nel ritenere invece applicabile, anche all'ipotesi in esame, i principi affermati dalle Sezioni Unite Lista, valorizzava le peculiarità del giudizio dinnanzi al giudice civile rispetto a quello svolto, sia pure ai soli effetti civili, dinnanzi al giudice penale, così comportando un’esigenza di tutela dell'affidamento della parte civile impugnante. In altri termini, per effetto della Riforma Cartabia si «sarebbe dunque in presenza di un accertamento qualitativamente diverso rispetto a quello svolto in sede penale, sia pure nell'ambito delle statuizioni civili, perché l'annullamento determinerebbe una vera e propria translatio iudicii dinanzi al giudice competente [Enfasi aggiunta]»[21] e il vaglio del giudice di legittimità civile è svolto alla stregua delle regole civilistiche.
Ebbene, date queste premesse, sono le stesse Sezioni Unite a chiarire come la risoluzione del contrasto giurisprudenziale in essere richieda una – quanto mai – necessaria analisi dell'entità delle modifiche apportate dal Legislatore della Riforma all’articolo 573 c.p.p. ma soprattutto, per quanto rileva ai nostri fini, all’articolo 78, co .1, lett. d) c.p.p. Infatti, proprio in relazione al predetto articolo, sono gli stessi Ermellini a chiarire che l’adeguata comprensione della sua modifica legislativa assume un rilievo decisivo ai fini della risoluzione del contrasto giurisprudenziale posto all’attenzione delle Sezioni Unite. Ciò, in quanto dalla sua analisi è possibile comprendere se le modifiche intervenute abbiano o meno comportato un mutamento del quadro normativo di riferimento, tale da ledere le aspettative di colui che abbia presentato l’impugnazione nel precedente regime.
Ebbene, proprio in relazione al parametro di ammissibilità della costituzione di parte civile di cui alla lett. d) dell’articolo 78 c.p.p., i giudici di legittimità sono intervenuti dettando delle nuove linee guida, cui bisognerà tenere necessariamente conto per la predisposizione della costituzione di parte civile da parte degli operatori del diritto.
In particolare, infatti, la Suprema Corte ha chiarito che la parte civile, sin dal momento della redazione dell’atto di costituzione, dovrà contemplare la possibilità che il giudizio prosegua dinnanzi al giudice civile, strutturando la costituzione di parte civile in necessaria sintonia con i requisiti richiesti dal rito civile. Ciò, a maggior ragione, se si considera che, in caso di translatio iudicii dinnanzi al giudice civile, non è previsto alcun ulteriore e successivo vaglio di ammissibilità dell’atto di costituzione di parte civile – secondo le regole processual-civilistiche – in capo alla sezione civile di rinvio. In questo senso, l’atto di costituzione, sin dal suo deposito nel procedimento penale, dovrà soddisfare i requisiti quanto meno sostanziali dell’atto di citazione di natura civilistica. Infatti, la necessità di un eventuale adeguamento della «domanda presentata in sede penale ai parametri propri del giudizio civile sia con riferimento ai requisiti della responsabilità aquiliana, sia con riguardo alle diverse regole attinenti al nesso di causalità da un latto, e alle prove dall’altro, […] è ormai superata dalla già iniziale impostazione, oggi richiesta dal nuovo art. 78, comma 1, lett. d) della pretesa civile secondo le più estese coordinate dell’atto introduttivo [Enfasi aggiunta]» di matrice civilistica.
La Corte ha chiarito quindi che l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda di costituzione di parte civile dovrà avvenire secondo gli stilemi dell'atto di citazione nel processo civile e, quindi, secondo quanto prevede il novellato l’art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c.[22], con «l’esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni», modificato dalla Riforma Cartabia e che trova applicazione in relazione ai procedimenti civili instauratisi successivamente al 28 febbraio 2023.
Ebbene, date queste premesse, la Corte rileva che l’assoluta rilevanza della novità rappresentata dall’attribuzione della decisione sull’impugnazione ai soli effetti civili al giudice civile ha comportato una modifica sostanziale dei requisiti richiesti ai fini dell’ammissibilità della costituzione di parte civile, considerato che ciò si traduce nella necessità di impostare l’atto di costituzione già considerando un possibile epilogo decisorio in sede civile.
Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha concluso evidenziando che «l’intervenuta variazione di aspetti che, pur legati formalmente alla sola fase decisoria dell’impugnazione, finiscono, tuttavia, per riverberarsi sugli atti indirettamente, ma logicamente, propedeutici alla impugnazione stessa mutandone imprevedibilmente i connotati […] deve dunque indurre inevitabilmente ad individuare nel momento del deposito dell’atto di costituzione di parte civile lo spartiacque di delimitazione tra impugnazioni soggette al regime previgente e impugnazione assoggettate alla nuova normativa [enfasi aggiunta]».
Dunque, se prima dell’intervento delle Sezioni Unite non era ben chiaro se il sintagma “agli effetti civili” di cui all’articolo 78, lett. d), c.p.p. avesse un’effettiva portata (in)novativa, a seguito della pronuncia a Sezioni Unite della Corte non permangono più dubbi: nella redazione dell’atto di costituzione di parte civile, l’avvocato penalista dovrà interfacciarsi necessariamente con un nuovo parametro di riferimento nella stesura della causa petendi rappresentato dall’articolo 163 codice di procedura civile.
4. Dalla somiglianza all’identità: l’atto di costituzione di parte civile e l’atto di citazione ai sensi dell’articolo 163 c.p.c. – La pronuncia de quo rappresenta sicuramente una novità di non poco conto posto che, nel delineare i contorni dell’articolo 78, comma 1, lett. d), c.p.p. all’esito della Riforma Cartabia, i Giudici di legittimità hanno riformato in maniera significativa i parametri redazionali caratterizzanti la costituzione di parte civile. Infatti, all’odierna costituenda parte civile viene richiesta una necessaria commistione tra competenze penalistiche e competenze civilistiche, tenuto conto della piena equiparazione, proposta da parte della giurisprudenza quantomeno circa la causa petendi, tra la dichiarazione di costituzione di parte civile nel processo penale ai sensi dell’articolo 78 c.p.p. e l’atto di citazione nel processo civile ai sensi dell’articolo 163 c.p.p.
Sebbene, infatti, taluni potrebbero ritenere che questa pronuncia non rappresenti altro che una reviviscenza dei requisiti giurisprudenziali dettati in materia di costituzione di parte civile dall’obiter dictum della Cassazione del 1996, la differenza semantica che caratterizza le due pronunce sembra rivelare un quadro ben differente. Infatti, con la nota risalente pronuncia la Corte di Cassazione osservava che «il nuovo codice di procedura penale ha, invero, profondamente innovato la dichiarazione di costituzione di parte civile rendendola quasi del tutto simile all’atto di citazione del giudizio civile […] si esige, cioè, una precisa determinazione della causa petendi simile alle forme prescritte per la costituzione dell’atto nel processo civile [enfasi aggiunta]»[23]. Diversamente, con la recente decisione delle Sezioni Unite i termini del rapporto tra atto di costituzione di parte civile e atto di citazione paiono essere cambiati. La Corte, infatti, anche tenuto conto dell’eventuale svolgimento di un giudizio di impugnazione ai soli effetti civili dinnanzi al giudice civile e alla luce del nuovo dettato dell’articolo 78, comma 1, lett. d), pare aver instaurato un rapporto di piena identità nella formulazione della pretesa civilistica di risarcimento del danno sia che essa avvenga nel giudizio civile, sotto forma di atto di citazione, sia che essa intervenga nel processo penale, sotto forma di costituzione di parte civile.
In questo senso, dunque, un nuovo parametro di riferimento di cui si dovrà tenere conto nella redazione della parte motiva della costituzione di parte civile sarà il novellato articolo 163, comma 3, n. 4 c.p.c. Ebbene, sul punto, se il dettato del citato articolo non è dissimile rispetto a quanto sancito dall’articolo 78, comma 1, lett. d), ci sono sicuramente talune specificità attinenti all’atto di citazione di matrice civilistica che insidiano la redazione della costituzione di parte civile da parte di un avvocato penalista.
Innanzitutto, la redazione del predetto atto secondo gli stilemi dell’atto di citazione, così come richiesto dalla Corte di Cassazione, determinerà inevitabilmente la necessità di soddisfare nell’enunciazione della causa petendi i pregnanti requisiti della chiarezza e della specificità delle ragioni in fatto e in diritto richiesti per la formulazione della pretesa civilistica. In questo senso, una prima applicazione degli insegnamenti della Corte, in un recente caso di bancarotta, ha visto il Tribunale ritenere non più sufficiente a soddisfare la parte motiva dell’atto di costituzione di parte civile da parte del Curatore fallimentare, la mera riproposizione del capo di imputazione, così escludendo la Curatela dal procedimento.
Di più, la redazione dell’atto di costituzione, secondo le più estese coordinate dell’atto introduttivo di matrice civilistica, comporta necessariamente un necessario confronto da parte dell’avvocato penalista con gli insegnamenti della giurisprudenza civile circa i requisiti richiesti dall’articolo 163 c.p.c. Sul punto, emerge come, nell’atto di citazione civile relativo a un risarcimento del danno da fatto illecito, l’attore, pur non avendo l'onere di designare con un preciso nomen iuris il danno di cui chiede il risarcimento e nemmeno di determinarne il suo preciso ammontare[24], «ha invece il dovere di indicare analiticamente e con rigore i fatti materiali che assume essere stati fonte di danno. E dunque in cosa è consistito il pregiudizio non patrimoniale; in cosa è consistito il pregiudizio patrimoniale; con quali criteri di calcolo dovrà essere computato [Enfasi aggiunta]»[25]. Ebbene, alla luce di quanto sopra, deve essere constatato come la giurisprudenza civile riconosca che l’entità dell’ammontare del risarcimento del danno richiesto non sia requisito indispensabile ai fini della legittimità dell’atto di citazione civile. Questo è in linea con quanto statuito da parte della giurisprudenza penale che individua come unica condizione essenziale per la costituzione di parte civile la richiesta di risarcimento[26], ben potendo la sua entità essere precisata in altra sede o rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Questo, a prescindere dal dettato dell’articolo 523 c.p.p., che comunque riconosce la facoltà alla parte civile di determinare l’ammontare del danno richiesto al momento della presentazione delle conclusioni scritte. Ciò, non toglie però che, a voler aderire agli insegnamenti della giurisprudenza civile sopra menzionata, il grado di approfondimento espositivo richiesto in relazione alla causa petendi pare essere piuttosto rigoroso, estendendosi sino all’individuazione dei criteri di calcolo del danno patito. D’altro canto, è interessante constatare come sia sempre la stessa giurisprudenza civile a chiarire che la nullità dell’atto di citazione deve escludersi allorquando gli elementi richiesti da parte dell’articolo 163 c.p.c, sebbene non chiaramente e perfettamente dedotti negli scritti di parte attrice, siano comunque individuabili avuto riguardo al contenuto sostanziale della domanda e alle conclusioni spiegate, ovvero siano desumibili dalla complessiva situazione dedotta in causa[27].
Se da un lato, dunque, i requisiti espositivi della causa petendi nel novellato atto di costituzione di parte civile, così come richiesto dalla giurisprudenza civile, dovranno essere esposti analiticamente e con rigore, dall’altro lato, è la stessa giurisprudenza a indicare la necessaria prevalenza della sostanza sulla forma nella valutazione dei requisiti richiesti dall’articolo 163 c.p.p.
Tanto premesso, in attesa di nuove pronunce che forniscano un primo riscontro pratico all’insegnamento delle Sezioni Unite, una cosa è certa: nella redazione della costituzione di parte civile sarà necessario un apporto integrato che tenga debitamente conto della possibilità che il giudizio prosegua dinnanzi al giudice civile, così comportando che la costituzione, nella sua parte motiva, debba essere in grado di soddisfare i paradigmi espositivi richiesti dalla disciplina civilistica in relazione all’atto di citazione.
[1] Cass. Sez. Un., 25 maggio 2023 (dep. 21 settembre 2023), n. 38481, Pres. Cassano, rel. Andreazza
[2] M. Toriello, Riforma “Cartabia” ed impugnazioni per i soli interessi civili: le Sezioni Unite sulla non immediata applicabilità dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., in questa Rivista, 12 ottobre 2023; G. Biondi, La riforma Cartabia e le impugnazioni: le prime questioni di diritto intertemporale sull’applicabilità dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. ai giudizi in corso, in questa Rivista, 10 febbraio 2023.
[3] Per una puntuale analisi delle stesse, si veda M. Toriello, op.cit.
[4] Relazione illustrativa al D.lgs. 150/2022.
[5] Cass. Pen., sez. II, 07/05/1996, n. 8723. Nota a sentenza di R. Guariniello in Diritto Penale e Processo, n. 11, 1° novembre 1996, p. 1345.
[6] Idem
[7] Cass. Pen., sez. I, 12/01/2021, n. 9534. In questo senso, anche Cass. Pen., sez. V, 13/12/2006, nr. 544.
[8] Cass. Pen., sez. VI, 15/11/2002, n. 39695. In questo senso, si veda, A. Pennisi, Art. 78 c.p.p., in AA.VV., Commentario Breve al codice di procedura penale, Wolters Kluvers, 2020, p. 275 il quale osservava che: “la condizione d’ammissibilità della costituzione di parte civile e la correlata domanda di risarcimento del danno derivante da reato sono rispettate se l’esposizione della vicenda sia svolta con riferimento a quanto, in punto di fatto, risulti dal capo d’imputazione e se la legittimazione soggettiva si ricavi, oltre che da espressa indicazione, dalla coincidenza certa tra la persona offesa dal reato contestato all’imputato e il proponente dell’istanza di condanna di quest’ultimo per gli effetti civili”. Tale approccio giurisprudenziale non era unanimemente condiviso in dottrina. Si veda, ad esempio, E. M. Mancuso, La parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, in AA.VV. Trattato di procedura penale – I soggetti e atti, Wolters Kluvers, 2009, p. 554: “È da criticare, in quest’ottica, l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità che reputa sufficiente a integrare il requisito menzionato dalla lett. d) il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, poiché esso nulla consente in termini di valutazione prognostica circa il fumus della legittimazione”.
[9] Si veda, sul punto, Cass. Pen., sez.VI, 15/11/2002, n. 39695.
[10] Si veda, ad esempio, Cass. Pen., sez. IV, 08/01/2021, n. 32899.
[11] In termini, si veda I. Iai, Art. 78 c.p.p., in A. Giarda e G. Spangher, Codice di Procedura penale commentato, Wolters Kluvers, 2017, p. 874 nel quale veniva evidenziato che “debbono, quindi, esservi esposte le ragioni che giustificano la domanda (causa petendi) secondo una prospettazione non analitica, dovendosi ritenere che il mero richiamo al capo di imputazione o al titolo del reato sia idoneo a soddisfare il requisito richiesto sfruttando il nesso eziologico che lo collega al fatto-reato, giacché l’impegno argomentativo necessario a giustificare l’esercizio dell’azione civile nel processo penale dipende dalla natura dell’imputazione”.
[12] Si veda, per esempio, sul punto Cassazione penale sez. V, 14/12/1995, n.1557 “Ed, in realtà, non si scorge come potesse rilevarsi il presunto difetto di motivazione della costituzione, se le ragioni della domanda furono indicate con riferimento ai fatti ascritti all'imputato (cioè: “di cui è processo”) ritenuti e indicati come produttivi dei danni “subiti e subendi” […] e la possibilità di cogliere – astrattamente – una parvenza criptica dell’esposizione d'una tale giustificazione, potrebbe solo concernere l'indicazione dei fatti; ma è subito esclusa dal riferimento della domanda costitutiva alla materia processuale, ossia a quanto, della notizia di reato, era stato trasfuso nel capo di imputazione, ben noto all'imputato, in quanto destinatario della notifica del decreto di citazione a giudizio [Enfasi Aggiunta]”.
[13] Cass. Pen., sez. III, 11/01/2023, n.7625.
[14] Idem.
[15] In merito alle differenti interpretazioni della locuzione “ai fini civili”, si veda la Relazione sulle modifiche alla costituzione di parte civile come risultante dalla Riforma Cartabia proposta dall’Osservatorio della Giustizia penale del Tribunale di Teramo.
[16] Ex multis, Cass. Pen., sez. II, 02/02/2023, n.6690.
[17] Cass. Pen., sez. un., 29/03/2007, n. 27614: “il regime delle impugnazioni va ancorato, in base alla regola intertemporale di cui all'art. 11 delle preleggi, non alla disciplina vigente al momento della loro presentazione ma a quella in essere all'atto della pronuncia della sentenza, posto che è in rapporto a quest'ultimo actus e al tempus del suo perfezionamento che vanno valutati la facoltà di impugnazione, la sua estensione, i modi e i termini per esercitarla”.
[18] Cass. Pen., Sez. Un., n. 38481.
[19] Idem.
[20] Ex multis, Cass. pen., sez. VI, 27/01/2023, n.12072.
[21] Idem.
[22] Nella sua formulazione antecedente alla Riforma Cartabia, l’articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 4 richiedeva “l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni”. Sul tema, si veda E. Merlin, S. Menchini, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al tribunale, in Rivista di Diritto Processuale, n. 2, 1° aprile 2023, p. 578.
[23] Cass. pen., sez. II, 07/05/1996, n. 8723.
[24] Cass. civ. sez. III - 18/01/2012, n. 691. Sul punto, si veda anche, Cass. civ., sez. III - 30/06/2015, n. 13328.
[25] Cass. civ., sez. III, 30/06/2015, n. 13328.
[26] Si veda, sul punto, Cass. pen., sez. IV, 08/01/2021, n. 32899; Cass. pen., sez. V, 13/12/2006, n. 544.
[27] Trib. Latina, 08/06/2022, n.1205.