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29 Novembre 2023


La piena libertà di circolazione dell’imputato in regime di messa alla prova: la posizione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale


1. Pubblichiamo in allegato, perché ritenuto di interesse e per l’importante principio che se ne trae, il decreto del Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale che accoglie il ricorso presentato da imputato in regime di messa alla prova (c.d. “MAP”) avverso il decreto della Questura di Milano di diniego della concessione del passaporto ordinario.

 

2. La vicenda prende avvio dalla richiesta di rilascio del passaporto ordinario avanzata da persona ammessa alla prova ai sensi degli artt. 464 bis ss. c.p.p. e 168 bis c.p. nell’ambito di un procedimento penale pendente nei suoi confronti dinanzi al Tribunale di Milano. La Questura di Milano, sulla base dell’interpretazione fornita dal Ministero della Giustizia in un parere rilasciato il 9 agosto 2019, ha rigettato tale domanda rilevando la sussistenza di un elemento ostativo, ossia l’esistenza di un’ordinanza di ammissione all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, che “comporta limitazioni della libertà personale, al pari di quelle conseguenti all’espiazione di una pena restrittiva della libertà personale”, situazione, quest’ultima, in relazione alla quale è espressamente sancito il divieto di rilascio del passaporto dall’art. 3 lettera d)[1] della legge n. 1185/1967[2]. Alla base di tale assunto vi sarebbe la considerazione secondo la quale nei confronti dell’imputato ammesso alla prova operino prescrizioni comportamentali relative, ad esempio, ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali, nonché alla prestazione del lavoro di pubblica utilità, e che la durata di siffatte limitazioni della libertà personale incidano – riducendolo – sul quantum residuo di pena che eventualmente l’imputato deve espiare qualora il procedimento penale, ripreso in forza della revoca o dell’esito negativo della prova, si concluda con una condanna. Da ciò, stando alla lettura data dal Ministero della Giustizia, deriverebbe “un’irragionevole disparità di trattamento” tra il soggetto in regime di messa alla prova ed il soggetto in esecuzione di una pena siccome il primo potrebbe espatriare liberamente e vedersi comunque riconosciuti, a titolo di detrazione ex art. 657-bis c.p.p., i giorni trascorsi all’estero.

 

3. Avverso il suddetto provvedimento di diniego di concessione del passaporto emesso dalla Questura di Milano è stato poi esperito ricorso gerarchico dinanzi al Ministero per gli Affari Esteri ex art. 10 co. 1 della legge n. 1185/1967. Ricorso nel quale si è lamentata la violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 3 lettera d) della legge n. 1185/1967 e l’eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Nello specifico, l’art. 3 lettera d) della legge n. 1185/1967 dispone che non possano ottenere il passaporto «coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda, salvo per questi ultimi il nulla osta dell’autorità che deve curare l’esecuzione della sentenza, sempre che la multa o l’ammenda non siano già state convertite in pena restrittiva della libertà personale, o la loro conversione non importi una pena superiore a mesi 1 di reclusione o 2 di arresto». Sul punto, vi è giurisprudenza di legittimità, amministrativa e costituzionale che è opportuno richiamare in questa sede per meglio comprendere quali siano i provvedimenti restrittivi della libertà personale che abbiano come corollario il divieto di concessione del passaporto o il ritiro dello stesso. Innanzitutto, la Corte di Cassazione, sez. I penale, con sentenza del 9 giugno 2020, n. 17507[3], che, trovandosi ad affrontare il caso di mancato rilascio del passaporto a persona soggetta allo svolgimento dei lavori di pubblica utilità previsti dall’art. 186 del codice della strada, ha affermato che quest’ultimo è un istituto di maggior favore per l’imputato, assimilabile alla pena detentiva sostituita e quindi, di fatto, all’esecuzione di una pena detentiva, ma al di fuori dell’istituto penitenziario. Vi è, poi, una sentenza del TAR Piemonte, sez. I, del 12 ottobre 2005, n. 2903[4], relativa al diniego del passaporto all’imprenditore fallito; il giudice amministrativo ha osservato che l’art. 49 della legge fallimentare prevede alcune restrizioni alla sua libertà di circolazione, ma comunque non configurando così una situazione assimilabile ad una forma di esecuzione sostitutiva di una condanna penale, rimarcando dunque la sostanziale differenza tra tale previsione e l’art. 3 della legge n. 1185/1967. A sostegno dell’interpretazione fornita, secondo la quale è escluso che esista un «divieto generalizzato di espatrio nei confronti del fallito che legittimi la revoca in via assoluta del passaporto», ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale del 31 marzo 1994, n. 109[5], con la quale i Giudici di Palazzo della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 281 co. 2-bis c.p.p. nella parte in cui prevedeva l’applicazione automatica del divieto di espatrio nell’ordinanza che applicava una delle altre misure cautelari coercitive previste dal Capo II del codice di procedura penale; ad oggi, il divieto di espatrio di cui all’art. 281 c.p.p. è una misura cautelare la cui applicazione può essere disposta dal giudice sulla base di una valutazione caso per caso e nel caso di specie non è stata applicata.

Dal dato normativo sopra riportato e dagli indirizzi giurisprudenziali menzionati emergono chiaramente i confini applicativi dell’art. 3 della legge n. 1185/1967 e, in particolare, si evince che l’elemento ostativo alla concessione del passaporto coincida con la presenza di un provvedimento restrittivo della libertà personale, che può consistere in una sentenza di condanna oppure in un provvedimento equiparabile all’esecuzione di una sentenza di condanna.

Venendo all’istituto della messa alla prova, quest’ultimo, dal punto di vista sostanziale, si configura come una causa di estinzione del reato. Vi si accede prima della conclusione del processo – in un momento, quindi, nel quale ancora una condanna non è intervenuta e, di conseguenza, vige il principio costituzionalmente garantito di presunzione di non colpevolezza dell’imputato ex art. 27 co. 2 Cost. – e ha la finalità, oltre che deflattiva, di rieducazione del reo, garantendogli come “premio” l’estinzione del reato imputatogli in caso di esito positivo della prova a cui viene sottoposto. Tale prova implica l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, il risarcimento del danno cagionato, l’affidamento al servizio sociale, lo svolgimento di attività di volontariato, la prestazione di lavoro di pubblica utilità e l’osservanza di prescrizioni riguardanti il rapporto con il servizio sociale, gli eventuali contatti con una struttura sanitaria, la dimora, la libertà di movimento e il divieto di frequentare determinati locali. Non vi è neppure una norma che prescriva il divieto di espatrio nei confronti del soggetto ammesso alla prova e che, quindi, legittimi l’estensione per analogia dell’applicazione dell’art. 3 della legge n. 1185/1967. Invero, è evidente come la messa alla prova non costituisca una forma sostitutiva di esecuzione di una pena detentiva irrogata con sentenza di condanna, come invece lo sono i summenzionati lavori di pubblica utilità di cui al codice della strada. In definitiva, l’imputato sottoposto al regime di messa alla prova resta pienamente libero di circolare, sia nel territorio nazionale che all’estero.

 

4. Alla luce di quanto sopra esposto, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha accolto il ricorso, con decreto del 31.10.2023 a firma del Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, sancendo che la sottoposizione all’istituto della messa alla prova non possa essere «equiparabile all’esecuzione di una sentenza di condanna».

 

 

 

[1] Art. 3 lettera d) legge n. 1185/1967: «Non possono ottenere il passaporto: […] d) coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda, salvo per questi ultimi il nulla osta dell’autorità che deve curare l’esecuzione della sentenza, sempreché la multa o l’ammenda non siano già state convertite in pena restrittiva della libertà personale, o la loro conversione non importi una pena superiore a mesi 1 di reclusione o 2 di arresto».

[2] Legge 21 novembre 1967, n. 1185, recante «Norme sui passaporti».

[3] Cass. pen., sez. I, 9 giugno 2020, n. 17507, in DeJure.

[4] TAR Piemonte Torino, sez. I, 12 ottobre 2005, n. 2903, in Giustizia Amministrativa.

[5] Corte Cost., 31 marzo 1994, n. 109, Pres. Pescatore, in www.cortecostituzionale.it.