Trib. minorenni Bari, GUP, ord. 25 marzo 2024, giud. Stilla
*Contributo pubblicato nel fascicolo 5/2024.
1. Dopo la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale per i minorenni di Trento, con l’ordinanza del 6 marzo 2024[1], in relazione all’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 (rubricato «Percorso di reinserimento e rieducazione»), il Tribunale per i minorenni di Bari ha investito la Corte costituzionale di una nuova questione concernente un’altra disposizione che è stata anch’essa inserita ex novo dal c.d. “decreto Caivano” (d.l. 15 settembre 2023 n. 123, conv., con modificaz., dalla l. 13 novembre 2023, n. 159)[2] e che, sin dalla sua entrata in vigore, ha immediatamente suscitato rilevanti dubbi di compatibilità con i princìpi che caratterizzano il processo penale nei confronti di minori autori di reato[3].
Con l’ordinanza del 25 marzo 2024[4], il giudice (collegiale) dell’udienza preliminare presso la giurisdizione minorile, infatti, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, D.P.R. n. 448/1988 per contrasto con l’art. 31, comma 2, Cost., nella parte in cui prevede che le disposizioni che consentono l’applicazione della sospensione del processo con messa alla prova (art. 28, comma 1, D.P.R. n. 448/1988) non si possano applicare al delitto di violenza sessuale di gruppo, di cui all’art. 609-octies c.p., nelle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter c.p.
Occorre, a tal riguardo, ricordare che il legislatore, in sede di conversione del già citato “decreto Caivano”, recante «Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile», ha innestato nel testo dell’art. 28 D.P.R. 448/1988 («Sospensione del processo e messa alla prova») un inedito comma 5-bis, che esclude l’applicazione della messa alla prova minorile qualora si proceda per delitti di omicidio volontario aggravato, violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo aggravate, nonché alcune ipotesi di rapina aggravata[5], con il chiaro intento di dare una risposta severa e immediata a seguito di un tragico delitto di violenza commesso da alcuni giovani ai danni di una minorenne nel Comune di Caivano, in provincia di Napoli, a cui la cronaca giudiziaria ha dedicato ampia attenzione.
A differenza della sospensione del procedimento con messa alla prova prevista nel rito degli adulti (artt. 464-bis ss. c.p.p.), l’omologo istituto contemplato nell’ambito del processo minorile era caratterizzato, nella versione antecedente all’intervento normativo citato, dalla assenza di preclusioni in ordine all’entità della pena o alla tipologia del reato commesso dal minorenne, potendo il giudice, dopo aver sentito le parti, disporre, senza alcuna limitazione, la sospensione del processo al fine di valutare la personalità del minorenne all’esito della prova[6]. Il quantum di pena comminata in astratto assumeva – e ancora assume – rilevanza ai fini della durata del periodo di probation: secondo l’art. 28, comma 1, D.P.R. n. 448/1988, infatti, la durata della messa alla prova non può superare i tre anni, quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, tale periodo non deve essere superiore a un anno.
La recente riforma ha determinato una brusca inversione di rotta, perchè impedisce, in assoluto, l’accesso alla sospensione del processo con messa alla prova del minore, il quale, seppure abbia commesso le gravi fattispecie di reato contemplate dalla norma citata, necessita, proprio per questo, di un intervento (ri)educativo innestato nella fase processuale, quale unica soluzione alternativa alla condanna, non essendo applicabile, in tali procedimenti, la pronuncia di irrilevanza del fatto e, nella maggior parte dei casi, nemmeno il perdono giudiziale[7].
Si pone, inoltre, un problema di diritto intertemporale, poiché, in mancanza di un’apposita disciplina transitoria, è lasciata all’interprete l’individuazione del perimetro applicativo della nuova disposizione in relazione ai fatti commessi antecedentemente alla sua introduzione.
2. Prima di analizzare le ragioni a fondamento della decisione di trasmissione degli atti alla Consulta, si ritiene opportuno descrivere sinteticamente la vicenda processuale nella quale si inserisce la questione di legittimità costituzionale in commento. Nel caso di specie, l’imputato è stato rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 609-octies, commi 1, 2 e 3 e 609-ter, comma 1, n. 1 c.p. per aver partecipato, insieme a due coetanei, giudicati separatamente, ad atti di violenza sessuale nei confronti di una minore infra-quattordicenne, costretta a sedersi sugli scalini di un edificio, mentre uno dei predetti soggetti si abbassava i pantaloni e, dopo avere estratto il suo organo genitale, la costringeva a compiere un rapporto sessuale orale afferrandole la testa, ma non riuscendo a completare l’atto perché la minore si opponeva, anche se poi lo stesso le afferrava la mano e se la metteva nei pantaloni, obbligando la minorenne a masturbarlo.
Durante l’udienza preliminare, l’imputato ammetteva l’addebito e chiedeva la sospensione del processo per messa alla prova. Il giudice collegiale minorile, preso atto del parere favorevole del pubblico ministero, rinviava la decisione a un’udienza successiva, incaricando i competenti servizi minorili dell’amministrazione della giustizia (USSM) di verificare la fattibilità della messa alla prova.
Nelle more del rinvio e degli approfondimenti istruttori richiesti, il 15 novembre 2023, è entrata in vigore la legge di conversione del decreto Caivano (l. 159/2023), con cui, come già anticipato, si è stabilito di precludere la messa alla prova in relazione a determinate tipologie di reato, tra le quali la violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.) commessa ai danni di persona di minore età e dunque aggravata ai sensi dell’art. 609-ter c.p., così come contestata all’imputato nel caso concreto.
A fronte di tale situazione, nonostante i servizi sociali avessero trasmesso la relazione richiesta dal giudice con il progetto di messa alla prova, la difesa dell’imputato chiedeva un ulteriore rinvio dell’udienza, allo scopo di effettuare le opportune valutazioni conseguenti alla nuova disciplina, nonché per valutare l’opportunità di richiedere la definizione del procedimento con un rito alternativo.
All’udienza del 26 febbraio 2024, la difesa dell’imputato avanzava istanza di sospensione del procedimento con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ritenuta l’illegittimità della nuova previsione dell’art. 28 comma 5-bis D.P.R. n. 448/1988 per violazione degli artt. 3 e 25 Cost., e il pubblico ministero esprimeva parere favorevole.
Dopo aver disposto un rinvio al 25 marzo 2024, il tribunale specializzato minorile riteneva la questione proposta rilevante e non manifestamente infondata per ragioni che meritano di essere analizzate.
3. La rilevanza della questione di legittimità costituzionale emerge dalla considerazione che la recente riforma impedisce al giudice di merito di valutare la sussistenza dei presupposti per la concessione della messa alla prova e gli impone di rigettare automaticamente la richiesta dell’imputato sulla base soltanto della presenza, nel capo di imputazione, di una delle fattispecie tra quelle contenute nella disposizione introdotta dal legislatore, in relazione alla quale, tuttavia, sono stati avanzati dubbi di conformità con la Carta fondamentale. Il collegio minorile non può quindi adottare una decisione nel caso sottoposto alla sua attenzione, riguardante nello specifico il reato di violenza sessuale aggravata, indipendentemente dalla risoluzione della questione in esame da parte della Consulta.
Sebbene, infatti, la condotta contestata all’imputato sia stata commessa in un periodo antecedente all’intervento riformatore, il giudice a quo, considerando che la sospensione del procedimento con messa alla prova, pur avendo effetti sostanziali (ossia l’estinzione del reato, in caso di esito positivo della prova), è intrinsecamente caratterizzata da una dimensione processuale[8], ha ritenuto correttamente di applicare «il principio del tempus regit actum e non il principio della lex mitior riferibile esclusivamente alla fattispecie incriminatrice e al trattamento sanzionatorio, con la conseguenza che la legge processuale applicabile va individuata in quella vigente al momento della pronuncia dell’ordinanza ex art. 28 D.P.R. n. 448/1988 e non quando è stata proposta la sospensione del procedimento»[9].
Si osserva, in proposito, che la richiesta di messa alla prova costituisce una mera dichiarazione di disponibilità al programma trattamentale, cui consegue una verifica di fattibilità a cura dei servizi sociali minorili, l’elaborazione del relativo progetto, la verifica, nel contraddittorio delle parti, della rispondenza del progetto alle esigenze di recupero del minore imputato sino alla decisione del giudice, momento conclusivo di un iter preliminare al quale è necessario fare riferimento per la individuazione della norma applicabile[10].
4. Per quanto concerne la non manifesta infondatezza, il collegio ha rilevato che «la preclusione introdotta dalla norma in esame appare in contrasto con tutto l’impianto normativo che regola il processo penale minorile e che trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 31, comma secondo, della Costituzione»[11].
In numerose pronunce, la Corte costituzionale ha affermato che, proprio in ossequio all’art. 31, comma 2, Cost., la disciplina del rito minorile si erge, nel suo complesso, sulla finalità di recupero del minore e sull’opportunità di una sua rapida fuoriuscita dal circuito penale[12].
Pertanto, come rilevato dal giudice remittente, «al fine del perseguimento di tali finalità e dell’individuazione della migliore risposta del sistema alla commissione del reato da parte di un soggetto in formazione e in continua evoluzione, quale è il soggetto di minore età, il giudice è chiamato, di volta in volta, ad esaminare la personalità del minore imputato»[13]. A tal proposito, si richiama l’art. 9 D.P.R. n. 448/1988, che, come è noto, impone di acquisire elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili.
In questo contesto, la Consulta ha evidenziato che «la messa alla prova costituisce, nell’ambito degli istituti di favore tipici del processo penale a carico dei minorenni, uno strumento particolarmente qualificante, rispondendo, forse più di ogni altro, alle indicate finalità della giustizia minorile»[14], perché richiede di valutare compiutamente la personalità del minore, sotto l’aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini dell’apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti.
Qualora, infatti, all’esito dello svolgimento del programma trattamentale, il minorenne abbia dato prova del superamento di quelle situazioni che hanno portato alla commissione del reato, l’ordinamento prevede che il giudice possa dichiarare estinto il reato per esito positivo della prova, essendo venuto meno l’interesse alla pretesa punitiva, per il raggiungimento delle finalità di recupero del minore e del suo reinserimento sociale. Dunque, «sarebbe sommamente ingiusto punire un soggetto che, all’esito di un positivo percorso di messa alla prova, abbia conseguito un totale mutamento di vita e sia divenuto “altro” rispetto a quello che ha commesso il reato»[15].
Costituiscono, certamente, elementi idonei a verificare la serietà dell’impegno dell’imputato e a scongiurare strumentalizzazioni del beneficio, sia i tempi di durata previsti per la messa alla prova (sino a tre anni per i delitti più gravi), sia la possibilità di verifiche intermedie dell’andamento del percorso, nonché, infine, la revocabilità della sospensione quando il minore abbia ripetutamente trasgredito le prescrizioni imposte (art. 28, comma 5, D.P.R. n. 448/1988).
Inoltre, il giudice minorile ha opportunamente evidenziato che «la possibilità di inserire, nel progetto di messa alla prova, importanti momenti di confronto con i servizi specialistici (consultorio familiare, neuropsichiatria infantile, SERD) e di supporto psicologico, utili nei delitti di relazione caratterizzati da dinamiche affettive disfunzionali (come nei casi di violenza sessuale e nei delitti di pedopornografia), riduce il rischio di recidiva, a beneficio della generalità dei consociati»[16].
È allora evidente che l’introduzione di un catalogo di reati che privano ex lege l’imputato della possibilità di accesso a questo importante istituto di recupero e reinserimento sociale, «costituisce un vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore del reato, ma anche di tutela dell’intera collettività contro i rischi di una possibile recidiva»[17].
Seppure fondamentalmente mossa da comprensibili esigenze di sicurezza e ordine pubblico, la disposizione censurata «impedisce il necessario bilanciamento tra le predette esigenze di sicurezza e ordine pubblico e quelle di “protezione dell’infanzia e della gioventù”, privilegiando automaticamente le prime»[18] e quindi «sottraendo al vaglio di un giudice specializzato e interdisciplinare la possibilità di valutare, caso per caso, le condizioni contingenti, per rendere la risposta del processo penale minorile aderente alla personalità del minore e maggiormente rispondente alle finalità rieducative, di recupero e di reinserimento sociale del minore autore di reato»[19].
5. Si deve affermare, in conclusione, che ogni automatismo è inaccettabile nel sistema della giustizia penale minorile, come più volte ribadito dalla Corte costituzionale.
A questo proposito, sebbene nella diversa materia della esecuzione della pena detentiva, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a) c.p.p., per violazione dell’art. 31, comma 2, Cost., nella parte in cui non consentiva la sospensione della esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati, evidenziando come debba essere bandita la possibilità di prevedere nei confronti dei minori «un rigido automatismo, fondato su una presunzione di pericolosità legata al titolo del reato commesso, che esclude la valutazione del caso concreto e delle specifiche esigenze del minore»[20].
Successivamente, intervenendo, per la prima volta in relazione al nuovo ordinamento penitenziario minorile, la stessa Corte ha ritenuto illegittima la disposizione dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 121/2018, nella parte in cui impedisce “automaticamente” ai condannati, che abbiano commesso nella minore età alcuni specifici e gravi delitti (c.d. reati ostativi, di cui all’art. 4-bis l. 354/1975), l’accesso alle misure penali di comunità e agli altri benefici, consentendo così al tribunale di sorveglianza specializzato una valutazione individualizzata per tutti gli autori di reato minorenni, senza che assuma alcuna rilevanza il tipo di reato commesso[21].
In questa cornice, si colloca, altresì, la recente pronuncia della Corte costituzionale, allorquando, mettendo in relazione la messa alla prova dell’adulto con quella del minorenne, ha statuito che «la messa alla prova del minore è prevista per tutti i reati anche quelli di gravità massima, rispetto ai quali l’ordinamento sospende il processo in vista dell’eventuale estinzione del reato per finalità puramente rieducative, quindi non perché l’imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta, ma solo perché, ed in quanto, lo ritenga opportuno un giudice strutturalmente idoneo a valutare la personalità del minore»[22].
Alla luce di tali indicazioni, è opportuno, pertanto, sopprimere il divieto “assoluto” di concedere la messa alla prova minorile nei processi riguardanti i “reati ostativi” elencati nell’art. 28, comma 5-bis, D.P.R. n. 448/1988.
Si auspicava che il legislatore volesse, con un intervento “in autotutela”, abrogare la controversa disposizione introdotta “a sorpresa” in sede di conversione del “decreto Caivano” [23], ma poiché ciò non è accaduto si confida ora che il giudice delle leggi accolga le condivisibili censure di illegittimità costituzionale che sono state descritte.
[1] Cfr. Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, Dott. Giovanni Gallo, con nota di L. Camaldo, Al vaglio della Corte costituzionale il percorso di reinserimento e rieducazione del minore, ai sensi dell’art. 27-bis d.p.r. n. 448/1988 (c.d. messa alla prova semplificata), recentemente introdotto dal decreto Caivano, in questa Rivista, 29 marzo 2024.
[2] V. S. Bernardi, Convertito in legge il d.l. “Caivano” in tema di contrasto al disagio e alla criminalità minorili: una panoramica dei numerosi profili d’interesse per il penalista, in questa Rivista, 15 novembre 2023. Cfr. anche A. Massaro, La risposta “punitiva” a disagio giovanile, povertà educativa e criminalità minorile: profili penalistici del c.d. decreto Caivano, in Proc. pen. giust., 2024, n. 2, p. 488 ss.; G. Mastrangelo, Il d.l. 15 settembre 2023, n. 123 e il processo penale minorile, in Cass. pen., 2024, n. 4, p. 1122 ss.
[3] In argomento, v. C. De Luca - L. Mantovani, Decreto “Caivano” e modiche al procedimento penale minorile: alcune questioni controverse, in Cass. pen. 2024, n. 5, in corso di stampa.
[4] V. Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024, presidente ed estensore Dott.ssa Francesca Stilla.
[5] L’art. 28, comma 5-bis D.P.R. n. 448/1988 (introdotto, nello specifico, dall’art. 6, comma 1, lettera c-bis) del decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni nella legge 13 novembre 2023, n. 159) stabilisce, nello specifico, che «le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai delitti previsti dall’articolo 575 del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 576, dagli articoli 609-bis e 609-octies del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 609-ter, e dall’articolo 628, terzo comma, numeri 2), 3) e 3-quinquies), del codice penale». Si osserva che, nell’elenco di reati ostativi alla concessione del beneficio, è rimasto, inspiegabilmente, escluso il riferimento a fenomeni delittuosi di tipo associativo, rispetto ai quali pure si registra un crescente e preoccupante coinvolgimento di minorenni.
[6] La sospensione del processo con messa alla prova del minore è stata disposta anche per reati particolarmente gravi, come, ad esempio, l’omicidio o i delitti associativi. A tal proposito, cfr., volendo, L. Camaldo, Sospensione del processo e messa alla prova del minore imputato di omicidio: una recente decisione del Tribunale per i minorenni di Milano, in Cass. pen., 2006, n. 4, p. 1589 ss. V., altresì, J. Moyersoen (a cura di), La messa alla prova minorile e i reati associativi, Franco Angeli, Milano, 2018.
[7] Ai sensi dell’art. 169 c.p. e dell’art. 19 r.d.l. n. 1404/1934, il perdono giudiziale può essere applicato (soltanto) se per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, il giudice ritiene applicabile una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a 1.549 euro, anche se congiunta a detta pena. Per un approfondimento, v., volendo, L. Camaldo, L’udienza preliminare nel processo penale minorile, Giappichelli, Torino, 2023, p. 161 ss.
[8] In dottrina, v. C. Cesari, sub art. 28 d.P.R. 448/88, in G. Giostra (a cura di), Il processo penale minorile. Commento al d.P.R. 448/1988, Giuffrè, 2021, p. 461 ss. V. anche Corte cost., 29 marzo 2019, n. 68, in Dir. pen. cont., 1° aprile 2019, che ha escluso l’operatività dell’art. 657-bis c.p.p. nei confronti dei minorenni condannati, ritenendo che il periodo trascorso in messa alla prova non possa considerarsi alla stregua di “pre-sofferto”. In tale occasione, la Consulta ha affermato che «il senso delle prescrizioni inerenti al programma cui l’imputato deve essere sottoposto appare esclusivamente orientato a stimolare un percorso (ri)educativo del minore» e che le stesse non possano essere «ragionevolmente intese […] dall’imputato come “punizioni” per i fatti di reato a lui addebitati, bensì […] come preziose offerte educative, volte a stimolare un cammino che richiede però una consapevole adesione “interiore” da parte del destinatario». Sul tema, v. C. De Luca, L’impossibilità di detrarre dalla pena da scontare il periodo trascorso in messa alla prova nel caso di imputato minorenne: profili di legittimità costituzionale, in Cass. pen., 2019, n. 5/6, p. 2278 ss.
[9] V. Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024, cit., p. 3.
[10] Ibidem
[11] Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024, cit., p. 4.
[12] Cfr. Corte cost., 25 marzo 1992, n. 125, in Cass. pen., 1992, p. 2897; Corte cost., 2 luglio 1983, n. 222, in Cass. pen. 1984, p. 13.
[13] Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024, cit., p. 4.
[14] Così Corte cost., 5 aprile 1995 (dep. 14 aprile 1995), n. 125, in Giur. cost., 1995, p. 972.
[15] Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024, cit., p. 5.
[16] Ibidem
[17] Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024, cit., p. 5.
[18] Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024, cit., p. 6.
[19] Trib. minorenni Bari, g.u.p., ord. 25 marzo 2024, cit., p. 7.
[20] Cfr. Corte cost., 22 febbraio 2017, n. 90, in Cass. pen., 2017, n. 5, p. 898 ss. Per alcuni commenti, v. P. Maggio, La Corte costituzionale afferma il diritto del minore alla sospensione dell’esecuzione, in Proc. pen. giust., 2017, n. 5, p. 301 ss.; F. Manfredini, Verso l’esecuzione penale minorile: la Consulta dichiara illegittime le ipotesi ostative alla sospensione dell’ordine di carcerazione, in Dir. pen. cont., 4 luglio 2017.
[21] V. Corte cost., 6 dicembre 2019, n. 263 (ud. 5 novembre 2019), in www.cortecostituizonale.it. In proposito, cfr., volendo, L. Camaldo, Meno carcere per tutti i condannati minorenni. La prima pronuncia d’illegittimità costituzionale del nuovo ordinamento penitenziario minorile, in Dir. pen. uomo, 2020, fasc. 1, p. 131 ss.
[22] Cfr. Corte cost., 6 luglio 2020, n. 139, in Cass. pen., 2020, n. 11, p. 4142.
[23] In questi termini cfr., volendo, L. Camaldo, Al vaglio della Corte costituzionale il percorso di reinserimento e rieducazione del minore, ai sensi dell’art. 27-bis d.p.r. n. 448/1988 (c.d. messa alla prova semplificata), recentemente introdotto dal decreto Caivano, cit.