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21 Dicembre 2020


Obblighi e responsabilità penale del medico che scopra un 'reperto occasionale'

Nota a Cass., Sez. IV, sent. 21 gennaio 2020 (dep. 2 luglio 2020), n. 19856, Pres. Ciampi, est. Tornesi, imp. Cirincione



1. Principio della sentenza. – Il reperto occasionale. Ecco un argomento intrigante che ci consente di prenderci una pausa di studio Covid-19 e che sboccia da una recente sentenza di legittimità. La sentenza che qui si annota riguarda un medico competente nei luoghi di lavoro[1], che scopre anomalie degli esami del sangue non incidenti sull’idoneità al lavoro e non interloquisce direttamente con il medico curante del lavoratore, che poi muore per la malattia che alterava gli esami. Con la sentenza, a differenza da quelle di merito, si è escluso l’obbligo per il medico competente d’interloquire direttamente con il medico curante del lavoratore, non essendo tale obbligo previsto dal testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza (d. lgs. 81/08). Si è quindi annullata con rinvio la condanna per omicidio colposo del medico competente, imponendo al giudice del rinvio la rivalutazione della colpa senza quell’obbligo d’interlocuzione.

Per valutare meglio questo principio giurisprudenziale, inquadriamo prima il fenomeno in termini generali.

 

2. Il reperto occasionale: che cos’è? Succede che entriamo in libreria per cercare un saggio o un romanzo o un testo di diritto, ma non lo troviamo. E comunque non ne usciamo a mani vuote, perché acquistiamo un altro libro che ci ha colpito. Occasionalmente abbiamo trovato un libro che non cercavamo. Abbiamo fatto una scoperta casuale. Ce la siamo portata via. Un acquisto imprevisto. E calchiamo il marciapiedi avendo nelle mani un reperto occasionale e nella mente le parole di Marcel Prevost: l’incontro casuale di un buon libro può cambiare il destino di un’anima.

Lo stesso succede durante le visite in soffitta, da dove torniamo talvolta con una speranza delusa, ma con un interesse riacceso.  

Questo è il reperto occasionale, anche se di solito parliamo semplicemente di qualcosa che non cercavamo.

In medicina si parla invece e appunto di reperto occasionale.

Mettiamo a fuoco il fenomeno, anche sul piano medico.

Partiamo da una nota e diffusa ritrosia. Quella di andare dal medico, quella di andare a “farsi vedere”. È una ritrosia che ha alla base la paura che una certa ipotesi ne esca confermata. Ad es., “Ho continuamente molta sete e non capisco il perché, ma non voglio andare dal medico perché potrebbe saltare fuori che ho la glicemia alta”.

E c’è anche un’altra paura: quella che dalle indagini diagnostiche emerga occasionalmente un dato che non si sospettava: “La sete forse è solo dovuta al fatto che non bevo a sufficienza e quindi il medico escluderebbe la glicemia alta, però potrebbe scoprire qualcos’altro: colesterolo alto, transaminasi mosse o chissà che cosa”.

Che cosa si teme? Il reperto occasionale, cioè un’alterazione non correlata al motivo per il quale l’indagine diagnostica è stata svolta. Questo è il significato dell’espressione nel gergo medico. L’indagine diagnostica è stata appunto l’occasione per fare emergere un certo reperto, che non si stava cercando, si cercava altro.

Si usano anche altri aggettivi per qualificare il reperto che non ha motivato l’indagine diagnostica. Si parla di reperto collaterale, che sta appunto a fianco al motivo dell’indagine. O di reperto incidentale, dall’inglese incidental findings, spesso abbreviato nell’acronimo IF. Comunque la sostanza del fenomeno non cambia a seconda degli aggettivi usati: si trova un reperto che non ha motivato l’indagine diagnostica.

Visto dalla parte del paziente il fenomeno è noto, come dicevamo. La paura del reperto occasionale, se presente, è gestita dallo stesso paziente, solo o con altri, in modo più o meno efficace o fantasioso. E la relativa partita contro la paura a volte si perde e a volte si vince: si va o non si va dal medico. È una paura umana, fin troppo umana. E non è una debolezza, ma una nobiltà, perché è espressione di amore per la salute, per la vita. Anche una minaccia immaginaria viene temuta, perché vogliamo vivere e vogliamo vivere bene, stringendoci forte al petto il bene più prezioso.

 

3. Distinzione fra medico curante e non curante. – Visto dalla parte del medico, il fenomeno fa emergere una domanda nell’oceano del penale della medicina e cioè: che cosa deve fare il medico che scopre un reperto occasionale?

Al riguardo occorre distinguere fra medico curante e medico non curante, a seconda cioè di chi fra i due scopre il reperto occasionale. E quindi: chi è il medico curante?

Viene in primis in considerazione il c.d. medico di famiglia, indicato nelle fonti come medico di medicina generale (acronimo MMG) o medico di assistenza primaria (acronimo MAP), che si occupa della cura complessiva del paziente. 

Vengono poi in considerazione gli specialisti che prendono in cura il paziente non inviato loro dal medico di medicina generale, ma giunto di sua iniziativa per la cura di un certo disturbo. Ad es., ortopedico per la cura di un’artralgia. Vengono in considerazione anche i medici di reparto ospedaliero, dove il paziente si trova in regime di ricovero. Possono essere tutti i medici del reparto che visitano un paziente o solo quello o quelli designati dal direttore dello stesso reparto.

Stabilito chi è il medico curante, chiediamoci: chi è il medico non curante?

È il medico al quale si rivolge il curante per una prestazione specialistica, ovviamente necessaria per diagnosi o terapia. Ad es., il cardiologo al quale si rivolge il medico di medicina generale che intende approfondire un’auscultata aritmia cardiaca. O il radiologo al quale l’ortopedico si rivolge per una rx di segmenti scheletrici.

Ed è anche il medico, che per ragioni non di cura, valuta comunque le condizioni di salute della persona interessata. Ad es., medico competente nei luoghi di lavoro, medico penitenziario alla visita di accesso del detenuto, medico che valuta l’idoneità alla guida di veicoli a motore o l’idoneità all’uso delle armi da fuoco.

 

4. Obblighi del medico curante. – Quali obblighi ha il medico curante che scopre un reperto occasionale?

Ha l’obbligo di giungere ad una diagnosi, anche ovviamente tramite specialisti non curanti. Ad es., approfondimento infettivologico del reperto occasionale di bianchi mossi. E ha l’obbligo di prescrivere la terapia, dopo l’indagine del reperto occasionale o se il reperto già consente una diagnosi, ad es., iperglicemia. Anche qui e ancora ovviamente può avvalersi di non curanti.

Per il medico di medicina generale, gli obblighi di approfondimento diagnostico e di prescrizione terapeutica derivano dalla globale presa in carico del paziente, dato il rapporto giuridico triadico paziente, medico e servizio sanitario, che s’instaura per legge.

Per lo specialista al quale il paziente si è autonomamente rivolto quegli obblighi derivano dal contratto: il paziente non è un organo che non funziona bene, il paziente è una persona che non sta bene e la considerazione del reperto occasionale rientra, anche solo implicitamente, nel complessivo oggetto del contratto. Ciò corrisponde anche al senso comune, ben fotografato nella frequente frase di rassicurazione, che rivolgiamo a noi stessi o che ci rivolge una persona cara: “Non ti preoccupare, qualunque cosa che non va, il medico te la dice”. Ad es., il paziente si rivolge a un enterologo per un disturbo intestinale e durante la visita clinica l’enterologo si accorge di una sospetta formazione cutanea. Può l’enterologo disinteressarsi? Ovviamente no, esplicitamente o implicitamente, glielo impone il contratto.

Per il medico di reparto ospedaliero che ha in carico il ricoverato gli obblighi derivano dal provvedimento di assunzione nella struttura. Ad es., fibrillazione atriale scoperta occasionalmente in pneumologia per un tracciato di un paziente enfisematoso: la richiesta di consulenza cardiologica è chiaramente mandataria.

 

5. Obblighi del medico non curante. – Che cosa deve fare invece il medico non curante che scopre un reperto occasionale?

I due poli opposti sono:

– nessun obbligo, può tacere il reperto

– l’obbligo di giungere ad una diagnosi e terapia.

Il primo polo pare doversi escludere.

Tacere il reperto, fare finta di nulla non è possibile, perché il non curante ha comunque preso in carico il paziente, anche se per una ragione diversa. Il reperto occasionale deve comunque essere significativo, cioè meritevole di approfondimento diagnostico, anche in relazione alle condizioni cliniche del singolo paziente. Spesso il non curante che scopre un reperto occasionale è lo specialista radiologo, al quale è stato insinuato un sospetto diagnostico. Ad es., dalla colonscopia virtuale svolta per sospetta diverticolosi emerge il reperto occasionale di un aneurisma dell’aorta addominale. O risonanza magnetica per sospetto di neurinoma del nervo acustico in paziente gravemente ipoacustico: dall’esame emerge invece una dilatazione pluriventricolare.

Pare da escludersi anche il polo opposto dell’obbligo del non curante di giungere ad una diagnosi e terapia. Questo è obbligo che, come già visto, spetta al curante. Farne carico al non curante significa sovrapporre i due ruoli: un non curante che diventerebbe curante per caso e di un paziente che un curante già lo ha.

Se si escludono questi poli opposti, quali obblighi ha il non curante che scopre un reperto occasionale?

Fra i poli opposti si profilano due obblighi intermedi. In ordine d’intensità crescente:

interloquire sul reperto solo con il paziente

– interloquire sul reperto sia con il paziente che con il curante.

 

Con la sentenza qui annotata, come posto in rilievo all’inizio, la Cassazione ha ritenuto sufficiente l’interlocuzione con il paziente. Durante la visita d’idoneità lavorativa, era emersa dagli esami ematochimici una grave forma di leucopenia e piastrinopenia, non influente sul giudizio d’idoneità al lavoratore, che era addetto a operazioni di banco, montaggio di cassetti, assemblaggio e imballaggio. Il medico competente aveva consegnato al lavoratore l’esito degli esami e consigliato di rivolgersi al medico curante per ulteriori accertamenti. Il lavoratore non si era rivolto al curante. Quelle alterazioni nei mesi dopo si erano manifestate clinicamente in una displasia midollare, poi mortalmente evolutasi. Nel giudizio di merito il medico competente viene condannato per omicidio colposo. Nel giudizio di legittimità la condanna viene annullata con rinvio al giudice di merito, imponendo la rivalutazione della colpa, escluso l’obbligo del medico competente di interloquire con il medico curante, in quanto nessuna disposizione del d. lgs. 81/08 impone specificamente tale obbligo.

 

6. Argomenti di riflessione. – L’opinione della Cassazione mostra solidità, se ancorata ai soli obblighi specifici del medico competente. È infatti aderente all’art. 25 del d. lgs. 81/08, che è appunto rubricato “Obblighi del medico competente” e che non contiene l’obbligo specifico d’interloquire direttamente con il medico curante.

Sorgono perplessità se si considerano anche gli obblighi generali, che sono invece posti dall’art. 39, rubricato “Svolgimento dell’attività di medico competente”. Il primo comma prevede che tale attività venga svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale. Questi principi si aprono con la seguente previsione: “La medicina del lavoro è volta alla tutela e protezione della salute fisica e mentale dei lavoratori oltre ad essere al servizio della loro salute e benessere sociale, sia individualmente che collettivamente”.

Ed allora ci si può chiedere: come può essere garantita l’efficace tutela e protezione della salute del lavoratore in ipotesi di reperto occasionale scoperto dal medico competente?

Come sostenuto dalla Cassazione, appare indispensabile l’interlocuzione con il lavoratore, che va messo quindi al corrente del reperto che si è scoperto in occasione della visita e della necessità di approfondimento da parte del curante. È questa un’attività delicata perché scendono in campo l’impreparazione del lavoratore non sanitario, la sua emotività, le sue paure. Non pare tuttavia necessario che il non curante faccia con il lavoratore ipotesi diagnostiche, perché queste spettano al curante e potrebbero sviluppare nel lavoratore resistenze a collaborare poi con il curante, fino all’evitamento. Semplicemente e in sostanza c’è qualcosa da vedere meglio. Senza che questo significhi che il non curante stia tacendo qualcosa al paziente: fare ipotesi diagnostiche in questa fase potrebbe essere azzardato. Infatti il reperto occasionale spesso fa genericamente emergere un’anomalia, non sempre indicativa di una precisa malattia: è semplicemente un’anomalia meritevole di un approfondimento, che potrebbe avere un esito del tutto rassicurante.

Non è però solo una questione di beneficialità del paziente/lavoratore, ma anche di sua autonomia: l’interlocuzione deve avere ad oggetto non solo la necessità di approfondimento diagnostico, ma anche il consenso alla comunicazione del reperto al curante. Si tratta infatti di un dato relativo alla salute e la comunicazione è una forma di trattamento, vietata, in assenza del consenso dell’interessato, dall’art. 9 del Regolamento  UE/2016/679 sulla protezione dei dati personali.

Ma una volta che il consenso è prestato, per il medico competente appare profilarsi l’obbligo d’interlocuzione anche con il curante, perché funzionale ad una più efficace tutela e protezione della salute del lavoratore, pretesa dall’art. 39 cit. Invero al curante possono essere necessari i dati inerenti l’attività lavorativa, i dati contenuti nella cartella sanitaria del lavoratore, nonché un confronto sul caso con il medico competente che ha scoperto il reperto occasionale. Un’interlocuzione quindi che potrebbe rivelarsi un contributo prezioso a corretta diagnosi e terapia da parte del curante. Soprattutto quando l’indagine ha sullo sfondo malattie che pongono a rischio la vita. D’altra parte la facilità dell’interlocuzione è oggigiorno garantita dai noti mezzi telematici a disposizione.

Emerge, anche su questo versante, la funzione propositiva assegnata al medico competente da altra giurisprudenza[2], che gli nega un ruolo meramente passivo. L’effettiva integrazione nel contesto aziendale, pretesa da questa giurisprudenza, importa un ruolo fattivo del medico competente a promozione della salute del lavoratore.

Sul piano professionale, il principio posto dalla Cassazione, limitando l’interlocuzione con il solo lavoratore, può appannare la curiosità del non curante per l’indagine diagnostica e il desiderio di prestare il proprio contributo. Curiosità e desiderio che invece vanno sempre e comunque alimentati, in qualunque campo dello scibile umano, come mirabilmente reso nell’immagine confuciana “Lo studio è come un mare senza rive“. In questo campo non alimentare curiosità e desiderio può addirittura favorire il lassismo professionale, quello mascherato dalla nota espressione “Non è di mia competenza”. Andrebbe invece promosso il ruolo del medico competente, altrimenti confinato alla valutazione di quei reperti che riguardano il giudizio sull’idoneità alla mansione specifica del lavoratore.

E per il non curante diverso dal medico competente? Si può ipotizzare anche per lui l’obbligo d’interlocuzione con il curante alla scoperta di un reperto occasionale?

La risposta dovrebbe essere positiva, alla luce del noto principio giurisprudenziale sull’assunzione della posizione di garanzia, per il quale l’instaurazione della relazione terapeutica tra medico e paziente è la fonte della posizione di garanzia che il primo assume nei confronti del secondo e da cui deriva l’obbligo di agire a tutela della salute e della vita[3]. Da questo generale obbligo di agire per il non curante non si vede come possa essere amputata l’interlocuzione con il curante, perché è indubbiamente tesa alla tutela della salute e della vita, essendo strumentale a diagnosi e terapia.

Ogni non curante è un compagno di squadra. È una squadra composta da paziente e medici, curanti e non curanti, contro la malattia, anche solo ipotizzata. E ci si aspetta che ogni compagno svolga il suo ruolo dando il massimo, perché la posta in gioco è la nostra salute, la nostra vita.

 

 

[1] Sul tema medico competente nei luoghi di lavoro v. da ultimo, R. Blaiotta, Diritto penale e sicurezza del lavoro, Giappichelli, 2020, 60 ss.

[2] Cass. Sez. III, 1856/2013, Favilli, est. Ramacci; Cass., Sez. III, 38402/2018, Baldeschi, est. Cerroni.

[3] Ex plurimis, fra le più eloquenti: Sez. IV, 46830/11, Zheng Li, est. Romis.