Cass., Sez. I, ord. 30 ottobre 2020 (dep. 17 novembre 2020), Pres. Di Tomassi, est. Santalucia, ric. Bon e La Scala
1. La vicenda sottoposta alla Corte di cassazione - Il Pubblico Ministero, a seguito degli sviluppi di una articolata indagine, esercitava l’azione penale nei confronti di alcuni soggetti ritenendo emersi a loro carico i reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di illegale esportazione di materiali di armamento ed altro.
Erano altresì contestati agli imputati una serie di reati-fine in relazione ai quali – parte nell’udienza preliminare e parte in sede di giudizio di primo grado – venivano emesse sentenze di assoluzione nel merito o di proscioglimento per intervenuta estinzione per prescrizione.
All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale pronunciava quindi sentenza di condanna nei confronti degli imputati esclusivamente per il reato associativo.
Avverso tale sentenza appellavano due degli imputati.
Tuttavia, poiché nelle more della celebrazione del processo di appello era maturato il termine di prescrizione per il reato associativo, la Corte di appello, in sede predibattimentale ed in accoglimento di requisitoria scritta del Procuratore Generale, dichiarava de plano “non doversi procedere” nei confronti degli imputati anche per tale reato.
Avverso tale sentenza ricorrevano per cassazione i due imputati deducendo, in via preliminare, che il provvedimento impugnato era viziato da nullità assoluta e insanabile per essere stato pronunciato all'esito di una camera di consiglio svoltasi senza previo avviso alle parti e, quindi, in loro assenza.
Sostenevano, poi, i ricorrenti che dagli atti del processo emergevano comunque elementi tali da escludere con evidenza la sussistenza del reato associativo, sicché non poteva trovare applicazione il principio per il quale, in caso di contestuale ricorrenza nel giudizio di legittimità di una causa estintiva del reato e di una nullità assoluta, occorre dare prevalenza alla prima.
Per dovere di completezza deve solo essere aggiunto che nel ricorso per cassazione i due imputati non manifestavano la loro volontà di rinunciare alla maturata prescrizione anche per il reato associativo e che, per contro, uno dei due ricorrenti nella formulazione dell’originario atto di appello aveva chiesto al giudice di secondo grado di dichiarare la prescrizione del reato de quo maturata, a suo avviso, anteriormente alla sentenza di primo grado.
Il Collegio della Corte di cassazione investito del ricorso, evidenziando di dissentire dal contenuto di una precedente decisione delle Sezioni Unite che aveva deciso una vicenda analoga a quella qui in esame, con ordinanza in data 30/10/2020 rimetteva la questione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Il Presidente Aggiunto della Corte, tuttavia, non ravvisando la ricorrenza di condizioni per la sottoposizione della vicenda alle Sezioni Unite, disponeva ai sensi dell’art. 172, disp. att. cod. proc. pen. la restituzione degli atti al Collegio remittente che, allo stato, non risulta ancora essersi pronunciato.
2. Le questioni di diritto. - La vicenda sopra riassunta pone sul tavolo varie questioni processuali che hanno portato nel passato la Corte di cassazione ad emettere plurime pronunce sia delle sezioni semplici che delle sezioni unite.
Emerge in primo luogo la problematica legata alla legittimità di emissione da parte della Corte di appello di pronunce predibattimentali ex art. 469 cod. proc. pen.
Sulla stessa si incardina la problematica riguardante la procedura da seguire per addivenire a tale pronuncia con – “a cascata” – le conseguenze relative al mancato rispetto del principio del contraddittorio ed alla qualificazione in diritto del vizio procedimentale: nullità assoluta ed insanabile ovvero abnormità.
Sullo sfondo di tutto, ma non ultimo in ordine di importanza, aleggia poi l’immanente principio dell’interesse ad impugnare di cui all’art. 568, comma 4, cod. proc. pen.
Andiamo con ordine.
3. La possibilità per il giudice di appello di emettere sentenza predibattimentale ex art. 469 cod. proc. pen. - Il comma primo dell’art. 469 cod. proc. pen., intitolato “Proscioglimento prima del dibattimento”, testualmente dispone che «Salvo quanto previsto dall'articolo 129 comma 2, se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l'imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo».
Tale norma, per quanto riguarda il giudizio di appello, va però letta in combinato disposto con gli articoli da 598 a 605.
L’art. 598 cod. proc. pen. dispone che «in grado di appello si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni relative al giudizio di primo grado, salvo quanto previsto dagli articoli seguenti», tuttavia non può non osservarsi che in nessuno degli artt. da 599 a 605 viene fatto un richiamo diretto od indiretto all’art. 469.
Nel quadro normativo già di per sé così articolato si inserisce poi anche l’art. 129 cod. proc. pen. relativo all’”obbligo” di “immediata” declaratoria di determinate cause di non punibilità che, al comma primo, stabilisce che «in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che … il reato è estinto … lo dichiara di ufficio con sentenza».
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità, almeno fino a qualche anni fa, si è espressa in maniera non sempre univoca, in quanto a decisioni indubbiamente prevalenti nelle quali si è affermato che «in tema di giudizio di appello, è illegittima la sentenza predibattimentale di proscioglimento ex art. 469 cod. proc. pen., in quanto il rinvio di cui all'art. 598 cod. proc. pen. non comprende tale eccezionale procedura, né la pronuncia "de plano" può essere emessa ai sensi dell'art.129 cod. proc. pen., poiché l'obbligo del giudice di dichiarare immediatamente la sussistenza di una causa di non punibilità presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio»[1] se ne è contrapposta altra nella quale si è affermato che il proscioglimento prima del dibattimento ex art. 469 cod. proc. pen., è applicabile anche al giudizio di appello.[2]
A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite “Iannelli”[3] che hanno, innanzitutto, ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui nel giudizio d'appello non è consentita la pronuncia di sentenza predibattimentale di proscioglimento ai sensi dell'art. 469 ovvero dell'art. 129 cod. proc. pen., ciò in quanto, da un lato, la disciplina del proscioglimento predibattimentale di cui all'art. 469 cod. proc. pen. è dettata specificamente per il giudizio di primo grado, ma non può ritenersi applicabile nel giudizio di appello, in quanto ad essa non effettua alcun rinvio, esplicito o implicito, il combinato disposto degli artt. 598, 599 e 601 cod. proc. pen. e, dall’altro, la pronuncia de plano non può essere emessa ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., in quanto l'obbligo del giudice di dichiarare immediatamente la sussistenza di una causa di non punibilità presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio, per cui il richiamo contenuto in quest'ultima disposizione ad «ogni stato e grado del processo» deve essere riferito al giudizio in senso tecnico, ossia al dibattimento di primo grado o ai giudizi in appello e in cassazione, atteso che, solo in tali ambiti, venendosi a realizzare la piena dialettica processuale fra le parti, il giudice dispone di tutti gli elementi per la scelta della formula assolutoria più favorevole per l'imputato.[4]
4. La necessità di instaurazione del contraddittorio e la conseguente impossibilità di pronunciare decisioni “de plano”. - Si è già detto al paragrafo precedente come le Sezioni Unite “Iannelli” hanno preliminarmente chiarito l’impossibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento per estinzione del reato per prescrizione senza una previa instaurazione di un pieno contraddittorio tra le parti.
Del resto, come ricordato dalla stessa Corte di legittimità, il contraddittorio tra le parti ha valore di rango costituzionale (art. 111, secondo comma, Cost.), ampiamente valorizzato dalla giurisprudenza EDU, ed è il postulato indefettibile di ogni pronuncia terminativa del processo, la cui violazione è il paradigma da cui traggono origine tutte le forme di nullità previste dal codice di rito.
Immediata conseguenza del mancato rispetto del principio del contraddittorio è riassumile nella perentoria affermazione contenuta nella sentenza de qua secondo la quale «una sentenza emessa senza la preventiva interlocuzione delle parti processuali necessariamente integra la massima violazione del contraddittorio e, quindi, risulta viziata da nullità assoluta ed insanabile».
5. Il rapporto di pregiudizialità tra la declaratoria di estinzione del reato e la causa di nullità. - Da quanto fin qui detto nasce il problema se sia pregiudiziale la declaratoria di estinzione del reato o la causa di nullità.
Per risolvere la questione le Sezioni Unite “Iannelli” hanno preso le mosse dall'approfondita disamina in materia effettuata dalla precedente sentenza delle Sezioni Unite “Conti”[5] - che a loro volta hanno richiamato il conforme arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite “Cremonese”[6] secondo cui: «il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'art. 129 cod. proc. pen. impone nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, di dare prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio».
In sostanza, ha osservato la Corte, solo in casi particolari le questioni di nullità processuali assolute ed insanabili possono assumere carattere pregiudiziale rispetto alla causa estintiva: ciò può verificarsi quando l'operatività della causa estintiva non sia "pacifica", non emergendo ictu oculi dalla mera ricognizione allo stato degli atti, ma presupponga un accertamento di fatto rientrante nelle prerogative esclusive del giudice di merito.
Infatti, le Sezioni Unite “Conti” hanno approfondito la questione delle finalità perseguite dall'istituto previsto dall'art. 129 cod. proc. pen. chiarendo che:
a) l'art. 129 è disposizione che opera con carattere di pregiudizialità nel corso dell'intero iter processuale, ed assolve a due funzioni fondamentali: la prima è quella di favorire l'imputato innocente, prevedendo l'obbligo dell'immediata declaratoria di cause di non punibilità «in ogni stato e grado del processo», la seconda è quella di agevolare in ogni caso l'exitus del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato;
b) implicita alle sopraindicate funzioni ne è individuabile una terza, consistente nel fatto che l'art. 129 rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale dall'art. 1 cod. pen.; in sostanza, l'art. 129 si muove nella prospettiva di interrompere, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, cristallizzando l'accertamento a quanto già acquisito agli atti;
c) l'eventuale interesse dell'imputato a proseguire l'attività processuale, in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, sarebbe tutelato dalla possibilità di rinunciare alla prescrizione e deve bilanciarsi, alla luce della normativa vigente, con l'obiettivo, di pari rilevanza, della sollecita definizione del processo, che trova fondamento nella previsione di cui all'art 111, secondo comma, Cost., che codifica il principio della ragionevole durata del processo;
d) deve riconoscersi priorità all'immediata operatività della causa estintiva anche rispetto alle questioni di nullità assoluta, fatto salvo il limite dell'evidente innocenza dell'imputato che il legislatore si è preoccupato di tutelare con la previsione contenuta nel comma 2 dell'art. 129. Si tratta di «una scelta legislativa che trova la sua ratio nell'intento di evitare la prosecuzione infruttuosa di un giudizio e nella finalità di assicurare la pronta definizione dello stesso, evitando così esasperati, dispendiosi e inutili formalismi».
Ed allora, osservano le Sezioni Unite, se l'accertamento di merito non è assolutamente necessario per riconoscere l'esistenza della causa estintiva del reato e così renderla applicabile, pur in presenza di una nullità non è giustificato l'annullamento della decisione impugnata, perché la regressione del processo, violerebbe il principio della pregiudizialità e della immediatezza della stessa causa estintiva e darebbe spazio, in nome solo dell'ortodossia della forma, ad una inutile dilatazione dell'attività processuale, il cui epilogo non può che realisticamente portare alla stessa soluzione.
Diversamente ragionando, inoltre, verrebbero vanificate le esigenze di giustizia e di celerità, nonché lo stesso favor rei, consentendosi che a carico di un cittadino persistano, oltre il necessario, conseguenze pregiudizievoli, quale certamente è la permanenza di un c.d. carico pendente.
Nel solco dei principi sopra indicati si colloca, poi, anche la sentenza delle Sezioni Unite “Tettamanti”[7] che nell’esaminare la questione del sindacato di legittimità sui vizi della motivazione in presenza di cause di estinzione del reato hanno, a loro volta, ribadito la prevalenza di queste ultime, con la conseguenza che, in presenza di una causa di estinzione del reato, in sede di giudizio di legittimità è da escludere la rilevazione del vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe condurre all'annullamento con rinvio perché il giudice del rinvio si troverebbe nella medesima situazione che gli impone l'obbligo della immediata declaratoria della causa di estinzione del reato: ciò anche in presenza di una nullità di ordine generale che, dunque, non può essere rilevata nel giudizio di legittimità, essendo l'inevitabile rinvio al giudice del merito incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva.
Alla luce di tutte le argomentazioni sopra esposte le Sezioni Unite “Iannelli” hanno affermato – o, meglio, “consolidato” - il principio secondo il quale «Nell'ipotesi di sentenza predibattimentale d'appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato …».
Tale principio è stato ribadito in tempi più recenti dalla stessa Corte di legittimità che ha testualmente affermato che «Nell'ipotesi di sentenza d'appello che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, dichiari, "de plano" in violazione del contradditorio tra le parti, l'estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.».[8]
6. Lo spazio residuo dell’interesse a ricorrere. - Viene a questo punto da domandarsi se in relazione a situazioni come quella in esame, in presenza dell’incontestato decorso del termine di prescrizione del reato e di una altrettanto pacifica violazione del principio del contraddittorio da parte della Corte di appello possa comunque residuare un interesse dell’imputato a ricorrere per cassazione per far valere il vizio procedimentale della sentenza impugnata.
Come sappiamo, ai sensi dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. per proporre impugnazione è necessario avervi interesse.
Sicché solo un interesse concreto dell'imputato alla rinnovazione del giudizio di merito ancorché caratterizzato da nullità assoluta per violazione del contraddittorio potrebbe giustificare la declaratoria di nullità e l'annullamento del provvedimento impugnato.
In quest’ottica appare, innanzitutto, indubbio che uno spiraglio alla legittima proposizione del ricorso si apre nel caso in cui l’imputato abbia rinunciato alla prescrizione (condizione, peraltro, che nel caso in esame non si è verificata).
Infatti, la Corte di cassazione ha chiarito che la sentenza d'appello pronunciata "de plano" in violazione del contradditorio tra le parti, che, in riforma della decisione di condanna di primo grado, dichiari l'estinzione del reato per prescrizione, va annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al giudice d'appello, allorché l'imputato rinunci alla prescrizione allegando, così, un interesse concreto ed attuale alla celebrazione del giudizio di appello da lui promosso.[9]
E’ però appena il caso di ricordare che la rinuncia dell’imputato alla prescrizione è inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia medesima[10] con la conseguenza che, nel caso in esame, gli imputati avrebbero potuto rinunciarvi solo in un momento successivo al giudizio di primo grado.
A dir del vero una maggiore apertura alla possibilità di proporre un ammissibile ricorso per cassazione emerge da altra pronuncia della Suprema Corte che ha affermato che «nel giudizio di cassazione, sussiste l'interesse dell'imputato alla declaratoria di nullità della sentenza predibattimentale con cui la Corte d'appello abbia dichiarato "de plano" l'estinzione del reato per prescrizione, poiché solo il giudice del merito può valutare la sussistenza delle condizioni per il proscioglimento ai sensi dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen., con riferimento al contenuto di tutte le risultanze processuali».[11]
Con la decisione da ultimo menzionata, sulla premessa che non è attribuito al giudice di appello alcun potere di pronunciare una sentenza fuori dal contraddittorio con le parti, la Corte ha escluso che la declaratoria di prescrizione possa prevalere sul vizio di instaurazione del contraddittorio e determinare l'assenza di un interesse dell'imputato al ricorso.
In questo caso i giudici di legittimità hanno ritenuto di discostarsi dal principio enunciato dalle Sezioni Unite “Conti” e di condividere il diverso orientamento[12] secondo il quale sussiste l'interesse dell'imputato alla declaratoria di nullità della sentenza di prescrizione emessa "de plano" dal giudice di appello e la prevalenza di questa tipologia di decisione rispetto a quella consistente della declaratoria della causa estintiva del reato. Al riguardo si è affermato che presupposto imprescindibile per la praticabilità della soluzione contraria sarebbe quello della piena corrispondenza tra i poteri spettanti al giudice di merito ed i poteri attribuiti alla Corte di cassazione al fine della valutazione della sussistenza dei presupposti per la pronuncia delle formule di proscioglimento previste dall'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. Tuttavia, tale presupposto deve ritenersi radicalmente escluso dalla conformazione del sistema processuale.
A tal fine, richiamando le osservazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 249 del 1989, si è osservato che «la decisione allo stato degli atti è diversa se resa nel merito o dal Giudice di legittimità giacché solo nel primo caso si possono prendere in esame e vagliare direttamente le risultanze processuali, quando, per contro, la Corte di Cassazione ha un perimetro di giudizio limitato alla situazione di fatto quale emergente dalla sentenza impugnata», e che da ciò deriva, quale logico corollario, l'affermazione in base alla quale nel giudizio di cassazione, deve ritenersi sussistente l'interesse dell'imputato alla declaratoria di nullità della sentenza con cui la Corte d'appello abbia dichiarato «de plano» l'estinzione del reato per prescrizione prima del dibattimento, poiché solo il giudice del merito può valutare la sussistenza delle condizioni per deliberare il proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, con riferimento al contenuto di tutte le risultanze processuali.
7. La diversa prospettiva dell’ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite. - La Sezione Prima della Corte di cassazione con la propria ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite ha però affrontato la questione processuale de qua da un diverso punto di vista domandandosi, innanzitutto, se veramente la decisione della Corte di appello sia caratterizzata da una nullità assoluta ed insanabile e non sia, invece, caratterizzata da abnormità.
Come sappiamo, la lunga elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite[13] ha chiarito quali sono le caratteristiche della categoria della "abnormità", precisando che:
a) è affetto da tale vizio il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite;
b) l'abnormità dell'atto può riguardare sia il profilo strutturale, allorché l'atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, sia il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo, potendosene ravvisare un sintomo nel fenomeno della c.d. regressione anomala del procedimento ad una fase anteriore.
L'assenza di criteri uniformi d'identificazione dei caratteri distintivi del provvedimento abnorme ha contribuito ad una progressiva estensione di tale categoria, rispetto alle tradizionali invalidità dell'atto, nell'intento dichiarato da parte della giurisprudenza di legittimità di rimuovere, con il rimedio del ricorso immediato per Cassazione, situazioni processuali extra ordinem, altrimenti non eliminabili, che conseguono ad atti del giudice geneticamente o funzionalmente anomali, non inquadrabili nei tipici schemi normativi ovvero incompatibili con le linee fondanti del sistema.
Proprio muovendosi nel solco tracciato dalle pluriennali decisioni delle Sezioni Unite in materia di abnormità, i giudici rimettenti hanno evidenziato che l’essere la sentenza emessa de plano al di fuori di uno schema normativo del tipo di quello che il sistema ha modellato con esclusivo riferimento al giudizio di primo grado - art. 469 cod. proc. pen. - la connota di imprevedibile eccentricità e non la qualifica, pertanto e semplicemente, per la violazione di specifiche norme processuali, quelle in tema di contraddittorio e quindi di citazione in giudizio dell'imputato e di partecipazione al procedimento del pubblico ministero. A nulla può rilevare, per sottrarla all'area dell'eccezionalità dei provvedimenti abnormi, il fatto che, come nel caso in esame, sia adottata su richiesta (scritta) del procuratore generale, perché questa iniziativa non ha certo la capacità di render consentito un provvedimento non previsto dal sistema, e specificamente non previsto per quel dato momento della progressione processuale in cui va ad innestarsi.
In sostanza: in base alla giurisprudenza delle Sezioni unite il nucleo che connota l'abnormità, nella sua duplice forma dell'abnormità strutturale e di quella funzionale, è sempre e comunque il difetto di potere decisorio in capo al giudice che emette l'atto. Da questa premessa discende che, ove possa dirsi esistente l'attribuzione, gli eventuali vizi dell'atto sono quelli previsti dalla legge secondo il principio di tipicità; se, di contro, è proprio essa a far difetto, e quindi se mancano le condizioni per il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale, il provvedimento non può che essere abnorme e, come tale, deve essere rimosso.[14]
Hanno ricordato i giudici rimettenti varie situazioni nelle quali la Suprema Corte ha enunciato principi in materia di abnormità legati al mancato rispetto del contraddittorio.
E’, ad esempio, il caso affrontato dalle Sezioni Unite “De Rosa”[15] che si sono occupate della questione sorta dalla pronuncia, ad opera del giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di rinvio a giudizio, di una sentenza, ex art 129 cod. proc. pen., di non luogo a procedere emessa senza fissazione dell'udienza preliminare. Le Sezioni Unite “De Rosa”, che peraltro non hanno ritenuto abnorme la decisione assunta dal giudice di merito, hanno tuttavia ricordato che l'obbligo di proscioglimento immediato, «sotto il profilo dei tempi e dei modi di applicazione, deve trovare attuazione nel corso delle fasi e dei gradi del processo e nell'ambito della corrispondente disciplina prevista, alla quale deve uniformarsi» per poi aggiungere che l'immediatezza della pronuncia di proscioglimento non deve sacrificare il principio del contraddittorio, esigenza valoriale preminente, inteso, oltre che come metodo di formazione della prova, anche come diritto delle parti all'ascolto.
Sempre secondo i giudici rimettenti non potrebbe quindi non ritenersi abnorme la pronuncia predibattimentale di appello che dichiari, senza formalità di procedura, l'estinzione del reato per prescrizione così non solo arrestando l'ordinario sviluppo processuale ed innestandosi in modo anomalo ed imprevedibile nella concatenazione causale della progressione processuale, ma anche comprimendo il diritto dell'imputato di interloquire sul merito definito con la sentenza di condanna e sulla causa estintiva intempestivamente dichiarata, privandolo altresì della facoltà di valutare la rinuncia alla prescrizione maturata medio tempore.
Tutto ciò imporrebbe, quindi, una nuova riflessione sul tema della prevalenza della causa estintiva su eventuali patologie, pur gravi, occorse nei gradi di merito, e della sua giustificazione per mezzo dell'osservazione che, pur rimosso l'atto viziato, il giudice del rinvio non potrebbe che ribadire la sussistenza della causa estintiva già dichiarata sia pure al di fuori di un corretto schema procedimentale.
Come pocanzi osservato, una peculiarità della vicenda in esame, che milita nel senso del carattere abnorme della sentenza, è che l'imputato viene privato della facoltà di rinunciare tempestivamente alla causa estintiva, inopinatamente dichiarata.
Non vi sarebbe quindi altra soluzione che ammettere l'imputato prosciolto a giovarsi del ricorso per cassazione al (solo) fine di rinunciare alla prescrizione già maturata e dichiarata dalla sentenza ricorsa.
Per addivenire a tale soluzione bisognerebbe però, da un lato, allentare la tenuta del principio per il quale «la prescrizione dichiarata con sentenza non può essere, nei gradi successivi, oggetto di rinuncia, sicché una dichiarazione in tal senso in sede di impugnazione deve essere intesa come richiesta di assoluzione nel merito»[16] e, dall’altro, discostarsi dall'affermazione che «è tardiva ed inefficace la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato formulata dopo che sia stata pronunciata sentenza nel grado di giudizio in cui è maturata».[17]
Da ciò i giudici rimettenti convengono che il meccanismo acceleratorio accreditato dalla sentenza “Iannelli” mostra inadeguatezze e insufficienze tali da far seriamente interrogare sulla convenienza a riaffermare una soluzione che fatica, per il vizio di fondo costituito dalla incoerenza sistematica assunta in premessa, a governare la generalità e complessità dei casi.
Non sarebbe, quindi, comprensibile il passaggio contenuto nella sentenza Iannelli, che ripropone testualmente l'affermazione della sentenza Conti, secondo cui l'imputato non può pretendere la rinnovazione del giudizio di merito «in virtù della garanzia offerta dal confronto dialettico delle parti anche sulla causa di estinzione ...». Ciò perché nel caso della sentenza predibattimentale di appello adottata de plano, infatti, è proprio il confronto dialettico delle parti (anche) sulla causa di estinzione che viene a mancare, e la cui assenza genera la nullità assoluta che, con intima incoerenza, si mette in rapporto di soccombenza con la dichiarazione della causa estintiva.
Non sembrerebbe, pertanto, che si possa ribadire la regola di prevalenza della causa estintiva, modellata dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in riguardo a vicende processuali che, per quanto segnate da nullità assolute anche degli atti propulsivi del giudizio, si sono risolte nella negazione radicale del contraddittorio quale necessario momento preliminare alla emissione della sentenza.
Il mantenimento di siffatta regola, nella consapevolezza della peculiare patologia - al di là delle qualificazioni dommatiche - della sentenza predibattimentale di appello assunta de plano, finirebbe per stabilizzare un fenomeno, costituito dalla pronuncia di una sentenza in assenza del giudizio, che pone il sistema in tensione col principio costituzionale del contraddittorio e quindi del giusto processo.
***
8. Conclusioni. - La questione esaminata è ancora sub iudice e non resta che attendere un nuovo pronunciamento della Corte di cassazione.
Tuttavia, alla luce dell’analisi della giurisprudenza sopra effettuata si impongono alcune osservazioni conclusive, non senza prima avere evidenziato alcune contraddizioni.
Da un lato sembra pacifico che nel giudizio d’appello la sentenza predibattimentale – con o senza contraddittorio – non può essere pronunciata.
Dall’altro si sostiene nella giurisprudenza prevalente che, in difetto di una rinuncia espressa alla prescrizione (che comunque presuppone un contraddittorio), l’imputato non può pretendere la rinnovazione del giudizio di merito.
Tuttavia, se la sentenza predibattimentale d’appello non si può pronunciare, non è questione di contraddittorio o di non contraddittorio nel predibattimento: è una questione di incompetenza funzionale che caratterizza di abnormità il provvedimento adottato.
L'abnormità, come si è detto, scatta tutte le volte che la conduzione del processo si rilevi eccentrica piuttosto che illegittima per violazione di norme processuali. Il giudice emette perciò un atto abnorme se fa esercizio di un potere giurisdizionale che non essendogli attribuito dal Codice non è di fatto neanche specificatamente sanzionato con la previsione di annullabilità o nullità assoluta.
Quando c'è abnormità non vi è però neanche modo di stabilire la prevalenza di tale illegittimità sull'eventuale causa di estinzione del reato.
In altri termini, nella situazione delineata i giudici dell’appello avrebbero dovuto procedere alla citazione delle parti ed a sviluppare, ancorché nei soli limiti richiesti e ritenuti meritevoli, il giudizio d’appello che ben si sarebbe potuto concludere o con una decisione di merito ovvero con la declaratoria di estinzione del reato.
Non appare dubitabile, poi, che proprio in quella sede gli imputati avrebbero potuto rinunciare alla prescrizione non avendolo potuto fare in sede di giudizio di primo grado allorquando il termine di prescrizione del reato non era ancora decorso e non essendo possibile – secondo consolidata giurisprudenza – una rinuncia “anticipata” alla prescrizione.
Né si poteva pretendere che gli imputati, in presenza di un termine di prescrizione maturato medio tempore tra la conclusione del giudizio di primo grado e l’inizio di quello di appello si attivassero in detta forbice temporale per rinunciare alla prescrizione dato che non erano stati neppure informati dell’instaurazione del giudizio di appello avendo la Corte distrettuale assunto una decisione predibattimentale de plano.
In fin dei conti appare doveroso ritenere preminente su ogni altra esigenza l'interesse della parte alla fase del contraddittorio, completamente bypassato dalla sentenza di appello predibattimentale che afferma la prescrizione del reato come nel caso di specie.
Non sembra quindi astrattamente possibile, pur in presenza di esigenze di speditezza del processo e di rischi di un possibile “corto circuito” decisionale legato ad un annullamento senza rinvio della decisione adottata che porti in sede di appello ad una nuova declaratoria di estinzione per prescrizione del reato, impedire di fatto sia l'esercizio del diritto di difesa nel merito tendente ad ottenere una pronuncia ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., sia la facoltà dell'imputato di manifestare la rinuncia alla declaratoria della causa estintiva.
Se così è a tutela del diritto al contraddittorio costituzionalmente garantito non deve però neppure trascurarsi l’immanente principio dell’interesse ad impugnare che l’imputato, laddove ciò non sia di palese evidenza, è onerato ad indicare nell’atto di gravame.
Ne consegue che può altrettanto legittimamente pretendersi che il ricorso per cassazione dell’imputato non si limiti alla deduzione del vizio procedimentale ma che adeguatamente indichi l’interesse a coltivare il gravame legandolo alla volontà di rinunciare alla prescrizione ed alla preclusone all’effettivo esercizio di tale scelta causata della decisione assunta de plano dalla Corte di appello.
Solo così si potranno conciliare gli (apparentemente) opposti interessi alla speditezza del processo ed al rispetto del diritto al contraddittorio, quest’ultimo unito al concreto interesse alla sua attuazione.
[1] ex multis: Sez. 2, n. 33741 del 04/05/2016, Rv. 267498; Sez. 6, n. 50013 del 24/11/2015, Rv. 265700; Sez. 2, n. 42411 del 04/10/2012, Rv. 254351.
[2] Sez. 1, n. 48914 del 20/11/2003, Rv. 226835
[3] Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Rv. 269809
[4] cfr. Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005, De Rosa, Rv. 230529; Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403; Sez. U, n. 3027 del 19/12/2001, dep. 2002, Angelucci, Rv. 220555.
[5] Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, cit.
[6] Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Rv. 220511.
[7] Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244275.
[8] Sez. 2, n. 46776 del 26/09/2018, Rv. 274465.
[9] Sez. 3, n. 15758 del 30/01/2020, Rv. 279272.
[10] ex ceteris Sez. 4, n. 48272 del 26/09/2017, Rv. 271292.
[11] Sez. 6, n. 50013 del 24/11/2015, Rv. 265701.
[12] cfr. Sez. 6, n. 10960 del 25/02/2015, Rv. 2622833; Sez. 6, n. 28478 del 27/06/2013, Rv. 255862; Sez. 2, n. 42411 del 04/10/2012, Rv. 254351; Sez. 6, n. 24062 del 10/05/2011, Rv. 250499; Sez. 5, n. 44619 del 23/11/2005, Rv. 232718.
[13] Sez. U, 26/4/1989, Goria; Sez. U., 9/7/1997, Quarantelli; Sez. U, 10/12/1997, Di Battista; Sez. U, 24/11/1999, Magnani; Sez. U, 22/11/2000, Boniotti; Sez. U, 22/11/2000, Istituto Buonarroti; Sez. U, 31/1/2001, Romano; Sez. U, 31/5/2005 n. 22909, Minervini.
[14] Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590.
[15] Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005, De Rosa, Rv. 230530.
[16] Sez. 5, n. 40499 del 06/07/2017, Giuliana, Rv. 271423.
[17] Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020, Capacchione, Rv. 278983 (Fattispecie in cui il ricorrente aveva rinunciato alla prescrizione, già dichiarata in appello, il giorno dell'udienza in Cassazione).