Scheda  
05 Ottobre 2021


Nel caso di mandato di arresto emesso dall’autorità giudiziaria del Regno Unito, la Corte di cassazione applica l’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea e il Regno Unito, integrato da talune disposizioni della l. 22 aprile 2005, n. 69, attuativa della decisione quadro sul m.a.e., in quanto compatibili


Marta Bargis

Cass., Sez. fer., sent. 24 agosto 2021 (dep. 16 settembre 2021), n. 34466, Pres. Zaza, Est. Silvestri, ric. Damian


1. La pronuncia della sezione feriale presenta notevole interesse perché affronta per la prima volta le problematiche relative all’esecuzione di un mandato di arresto (nel caso concreto di tipo processuale) emesso dal Regno Unito in epoca successiva all’entrata in vigore dell’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica, da una parte, e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dall’altra (Accordo)[1]. Come si vedrà, la Corte di cassazione ha disatteso l’impostazione del difensore del destinatario del mandato, che riteneva andasse applicata la normativa italiana sull’estradizione, concludendo invece per l’operatività della disciplina attuativa della decisione quadro sul mandato di arresto europeo (m.a.e.), in quanto compatibile, con funzione integrativa dell’Accordo.

 

2. Innanzitutto, per meglio comprendere il ragionamento effettuato dalla sezione feriale, è bene muovere dal contesto e dalla impostazione difensiva. Il difensore del consegnando ha proposto ricorso contro la decisione della Corte di appello di Milano che aveva disposto la consegna all’autorità giudiziaria del Regno Unito del signor Damian, arrestato il 10 giugno 2021, in esecuzione di un mandato di arresto processuale emesso dalla medesima autorità il 30 marzo 2021 «per i reati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per aver incoraggiato la commissione dei reati scopo, consentendo all’organizzazione l’uso del proprio veicolo»[2].

La premessa sulla quale sono basati i cinque motivi di ricorso riposa sul rilievo che, nella fattispecie di mandato di arresto processuale emesso da uno Stato non facente più parte dell’Unione, la disciplina applicabile sul piano interno non sarebbe costituita né dalla l. 22 aprile 2005, n. 69 (nella versione dovuta al d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10), né dalla risalente Convenzione del Consiglio di Europa in materia di estradizione del 13 dicembre 1957 (ratificata dall’Italia con l. 30 gennaio 1963, n. 300).

Il riferimento normativo andrebbe viceversa ravvisato nel già citato Accordo, entrato definitivamente in vigore, dopo un periodo di applicazione provvisoria[3], il 1° maggio 2021[4]. Tuttavia, l’Accordo, che – lo si preciserà più nel dettaglio in seguito – dedica la Parte Terza alla «Cooperazione delle autorità di contrasto e giudiziarie in materia penale» e il Titolo VII di essa alla «Consegna», non conterrebbe disposizioni sulla procedura che il singolo Stato membro dovrebbe seguire nell’evenienza di un mandato emesso dal Regno Unito: in particolare, l’Accordo non indicherebbe il mezzo di impugnazione proponibile avverso la decisione adottata dallo Stato membro di esecuzione e neppure, ovviamente, il termine entro cui presentarlo; i poteri di verifica attribuiti alla Corte territoriale; la procedura inerente al deposito della documentazione da parte dello Stato emittente[5].

Tanto premesso, il difensore, con il primo motivo di ricorso, ha chiesto alla Corte di cassazione di rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, al fine di ottenere «l’interpretazione delle disposizioni contenute nell’Accordo» e «l’indicazione delle norme procedurali applicabili ai casi in esso disciplinati»[6]. La Corte di Lussemburgo sarebbe l’unica che «potrebbe colmare temporaneamente il vuoto normativo», non potendo «nella specie trovare applicazione la legge sul mandato di arresto europeo, come erroneamente avrebbe fatto la Corte di appello, attesa ormai la terzietà e l’estraneità del Regno Unito di Gran Bretagna dal contesto europeo e il divieto di analogia che vige anche nel diritto comunitario»[7]. D’altro canto, la pronuncia dei giudici di Lussemburgo sarebbe necessaria altresì al fine di garantire la tutela dei diritti fondamentali ex art. 6 c.e.d.u.[8].

Con il secondo motivo, è stata dedotta la violazione della legge processuale perché la Corte di appello non ha applicato l’art. 696 comma 3 c.p.p. e, di conseguenza, le norme del codice di rito penale relative ai rapporti giurisdizionali con autorità straniere[9]. Non sarebbe, infatti, conferente l’art. 696 comma 2 c.p.p., dato che, come sostenuto con il primo motivo di ricorso, l’Accordo presenterebbe caratteristiche di incompletezza[10]. L’applicazione dell’art. 696 comma 3 c.p.p. avrebbe imposto – a detta del ricorrente – l’osservanza di alcune garanzie, «quali la possibilità di richiedere i documenti posti a fondamento del mandato di arresto e di valutare le fonti di prova del provvedimento, la garanzia del contraddittorio sul merito degli addebiti, la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, la possibilità di ricorrere in corte anche per vizio di motivazione, un diverso termine di impugnazione»[11].

I primi due motivi di ricorso sono quelli che la Corte di cassazione – come si illustrerà più avanti – ha affrontato in modo analitico e approfondito per giungere a dichiararne l’infondatezza[12]. Ma, lo si è anticipato, il difensore del consegnando ha presentato tre ulteriori motivi.

Con il terzo motivo, è stata lamentata la violazione dell’art. 705 c.p.p., per non avere la Corte di appello valutato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sottolineandosi che la relazione inviata dal Regno Unito «sarebbe del tutto vaga» e la documentazione «generica», visto che dei quarantadue punti segnalati dal pubblico ministero inglese ben trentasei riguarderebbero altri soggetti e «quello relativo al ricorrente non espliciterebbe elementi a carico»[13]. Anzi, sussisterebbero elementi «dimostrativi dell’inesistenza indiziaria della partecipazione al sodalizio» dell’interessato, fatta discendere «solo dalla presunta commissione di un reato fine»[14].

Con il quarto motivo, si è denunciata la violazione di legge in rapporto all’art. 604 lett. c Accordo[15], in quanto la Corte di appello ha deciso di non chiedere informazioni sull’istituto penitenziario in cui il signor Damian sarebbe stato detenuto, esponendolo così al rischio di subire trattamenti inumani o degradanti. La Corte di appello avrebbe erroneamente reputato non sussistenti elementi atti a comprovare un simile rischio, non tenendo conto delle allegazioni difensive in proposito[16].

Infine, con il quinto motivo si è sostenuta la violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 3 c.e.d.u. e dell’art. 524 Accordo[17], perché la Corte di appello non avrebbe valutato adeguatamente il rischio per la salute del consegnando in un periodo di pandemia mondiale dovuta al COVID-19, non avendo chiesto informazioni al riguardo alle autorità del Regno Unito[18].

 

3. La Corte di cassazione ha esaminato congiuntamente i primi due motivi di ricorso, premettendo una breve ricostruzione del quadro normativo che regola i rapporti tra l’Unione europea e il Regno Unito. In estrema sintesi, la Brexit è avvenuta il 31 gennaio 2020 e dall’entrata in vigore dell’Accordo sul recesso[19] (1° febbraio 2020: v. art. 185 comma 1 dell’Accordo medesimo)[20] si è aperto un periodo di transizione, terminato il 31 dicembre 2020 (art. 126 Accordo sul recesso). In tale periodo, l’Unione e il Regno Unito hanno proceduto alla negoziazione di accordi di partenariato sulle loro future relazioni, ma i negoziati sono stati condotti a termine in una fase estremamente tardiva, il 24 dicembre 2020, e così gli accordi sono stati pubblicati il 31 dicembre 2020[21]. Subito dopo la firma degli accordi, le parti hanno proceduto alla revisione giuridico-linguistica finale dei testi: i testi definitivi, pubblicati il 30 aprile 2021, sostituiscono ab initio le versioni firmate degli accordi pubblicati il 31 dicembre 2020[22].

Venendo all’aspetto che qui più interessa, l’Accordo sul recesso prevedeva (art. 62 § 1 lett. b) che la decisione quadro sul m.a.e. si applicasse «ai mandati di arresto europei se il ricercato è stato arrestato prima della fine del periodo di transizione ai fini dell’esecuzione» di un m.a.e., indipendentemente dal fatto che «l’autorità giudiziaria dell’esecuzione decida di mantenere il ricercato in stato di custodia o di rimetterlo in libertà provvisoria»[23]. A sua volta, l’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione prevede all’art. 632 (ex LAW.SURR.112) che il Titolo VII della Parte Terza «si applica ai mandati d’arresto europei emessi, conformemente alla decisione quadro 2002/584/GAI, da uno Stato prima della fine del periodo di transizione qualora la persona ricercata non sia stata arrestata in esecuzione del mandato prima della fine» di tale periodo[24].

Diventato definitivo l’Accordo[25], dal 1° maggio 2021 – come sottolinea la Corte di cassazione – «il quadro delle relazioni tra l’Unione europea e il Regno Unito è regolato dal nuovo Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione», nonché dall’Accordo sul recesso che «ha disciplinato per il futuro alcune situazioni giuridiche connesse alla partecipazione del Regno Unito all’Unione europea»[26].

Appare dunque incontestabile, secondo la pronuncia in commento, che il mandato di arresto oggetto del ricorso è «formalmente regolato dalle norme previste dall’Accordo»[27]: il che è stato riconosciuto pure dal difensore ricorrente, il quale ne ha peraltro denunciato l’incompletezza. Limitandoci in questa sede a prendere in esame il settore della cooperazione giudiziaria, il Titolo VII della Parte Terza dell’Accordo si occupa, come si è detto poc’anzi, della consegna (artt. 596-628): è indubbio, infatti, che il Regno Unito non partecipa più allo strumento del m.a.e., ma è altrettanto vero che «non si sono verificati sconvolgimenti particolarmente profondi e tantomeno il paventato ritorno alla Convenzione europea di estradizione del 1957»[28]: a tale proposito, l’art. 629 § 1 Accordo stabilisce che le disposizioni del Titolo VII sostituiscono le corrispondenti disposizioni della Convenzione europea di estradizione e dei relativi Protocolli addizionali e della Convenzione europea per la repressione del terrorismo, per quanto riguarda l’estradizione. Ne consegue che la procedura di consegna e la relativa decisione continuano ad avere natura strettamente giudiziaria, senza ritorno a coinvolgimenti dell’autorità politica tipici del sistema estradizionale[29].

 In sostanza, il nuovo regime di consegna ha assunto a modello la decisione quadro sul m.a.e. e il precedente Accordo relativo alla procedura di consegna tra l’Unione europea e la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia[30]. Va sottolineato che, a differenza di quanto accade per la decisione quadro sul m.a.e.[31], nell’Accordo riveste valore centrale il principio di proporzionalità[32] (art. 597 Accordo), dovendosi tenere conto «dei diritti della persona ricercata e degli interessi della vittima», nonché considerare «la gravità del fatto, la pena che sarebbe probabilmente inflitta e la possibilità che uno Stato adotti misure meno coercitive della consegna del ricercato, in particolare al fine di evitare periodi inutilmente lunghi di custodia cautelare». Per concludere, la «base legale» della consegna è ora costituita dal Titolo VII dell’Accordo, ma il suo regime è assimilabile a quello del m.a.e.[33], sebbene qualche difficoltà potrà emergere dal fatto che il Regno Unito non può più accedere al SIS II, con la conseguenza che «efforts to replicate SIS II alerts with alerts in the Interpol system may prove be a hard sell to EU Member States, both on resource and on human rights grounds»[34].

 

4. Tracciata la cornice normativa di riferimento, la Corte di cassazione ha esposto le ragioni che l’hanno poi condotta a dichiarare infondati i primi due motivi di ricorso. Anzitutto, non può essere condiviso l’assunto del difensore ricorrente volto a disapplicare l’Accordo: quest’ultimo, infatti, «ha una struttura dettagliata, autosufficiente, completa sul modello di cooperazione che le parti hanno inteso recepire e sulla disciplina che gli Stati membri dell’Unione sono tenuti ad applicare nel caso di richiesta di consegna di un ricercato da parte del Regno Unito»[35]. Sul piano procedimentale, la Corte richiama, riproducendone il testo in motivazione, l’art. 613 Accordo, rubricato «Decisione sulla consegna», che delinea «un sistema del tutto coerente, quanto ai termini ed alle modalità con cui la decisione di esecuzione del mandato d’arresto deve essere presa» con l’art. 615 Accordo, rubricato appunto «Termini e modalità della decisione di esecuzione del mandato d’arresto» e anch’esso riportato in motivazione. Dall’art. 613 Accordo emerge che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve valutare in specie il rispetto del principio di proporzionalità (§ 1); se non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per consentirle di assumere la decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione all’art. 597 (principio di proporzionalità), agli artt. da 600 a 602 (motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato d’arresto, altri motivi di non esecuzione del mandato d’arresto ed eccezione relativa ai reati politici) e agli artt. 604 (garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari) e 606 (contenuto e forma del mandato d’arresto), potendo stabilire un termine per la ricezione delle suddette informazioni, tenendo conto dell’esigenza di rispettare i termini fissati dall’art. 615 (§ 2). Quest’ultimo, sulla falsariga dell’art. 17 decisione quadro m.a.e., prevede (§ 1) che un mandato di arresto deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza e che la decisione definitiva sull’esecuzione è presa[36] entro dieci giorni dalla comunicazione del consenso, se il ricercato acconsente alla consegna (§ 2); altrimenti, entro sessanta giorni dall’arresto (§ 3)[37].

Dalla descrizione del Titolo VII della Parte Terza dell’Accordo la Corte di cassazione ha dedotto la non persuasività dell’argomentazione del difensore, laddove ha sostenuto che la disciplina interna in materia di estradizione sarebbe operativa – con disapplicazione dell’intero Accordo – solo perché quest’ultimo «non indicherebbe espressamente il modulo procedimentale da seguire per emettere la decisione sull’esecuzione del mandato». Sul piano soggettivo, le parti dell’Accordo hanno chiaramente mostrato la loro volontà di non recepire il modello estradizionale, mentre, sul piano oggettivo, non è chiaro per quale ragione «si dovrebbero applicare le norme interne in materia di estradizione, che delineano un modello di cooperazione strutturalmente incompatibile con quello disegnato dall’Accordo». Insomma, il modello estradizionale invocato dal ricorrente «realizzerebbe soggettivamente ed oggettivamente un arretramento nei rapporti tra le parti in quanto sostanzialmente incompatibile con quanto recepito nell’Accordo»[38]. Perciò, il motivo di ricorso è infondato nella parte in cui ritiene che l’Accordo non sarebbe applicabile e la Corte di appello[39] avrebbe dovuto accertare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sulla base della normativa estradizionale italiana[40].

 

5. La Corte di cassazione si fa carico, inoltre, di analizzare due profili affrontati dal difensore ricorrente: il primo attiene alla circostanza che l’Accordo non descrive il procedimento da adottare per pervenire alla decisione sul mandato di arresto; il secondo al rilievo che l’applicazione della normativa italiana di attuazione della decisione quadro sul m.a.e. – effettuata dalla Corte di appello – si porrebbe in contrasto con il divieto di analogia vigente anche nel diritto comunitario.

Quanto al primo profilo, la Corte di cassazione ha ammesso che l’Accordo è carente nel descrivere l’iter procedimentale. Si deve comunque rammentare come analoga lacuna si riscontri nella decisione quadro sul m.a.e., modello cui l’Accordo si è ispirato: peraltro, dalla locuzione «decisione definitiva», impiegata nell’art. 17 decisione quadro m.a.e. – e riprodotta nell’art. 615 Accordo – scaturisce «implicitamente, ma necessariamente», a parere della Corte di giustizia, la possibilità di impugnazione della decisione che decide sull’esecuzione del m.a.e.[41].

Tuttavia, la Corte di cassazione ha aggiunto che l’Accordo pone «un principio chiaro, fondante, giustificato dal contesto generale, quello per cui il mandato deve essere “trattato” ed “eseguito” con la massima urgenza e la decisione definitiva sulla esecuzione deve intervenire entro il termine di sessanta giorni dall’arresto del ricercato»: si tratta di un principio che vincola i singoli Stati membri dell’Unione ad «adottare moduli procedimentali in grado di assicurare applicazione ed attuazione al principio cardine fissato dall’art. 615 dell’Accordo»[42].

Il problema, allora, si sposta, trattandosi di verificare se nell’ordinamento italiano sussistano norme che «consentano di dare attuazione, nel silenzio del legislatore, al principio di cui all’art. 615 Accordo»: esclusa, per i motivi a più riprese esplicitati, l’applicazione degli artt. 704-706 c.p.p., che «finirebbero per disapplicare e non dare attuazione all’Accordo», e scartata altresì l’applicazione dell’art. 127 c.p.p., che renderebbe disagevole osservare il termine previsto nel suddetto art. 615, la Corte di cassazione ha optato per l’applicazione delle regole previste dall’Accordo, integrate sul piano procedimentale, al fine di disciplinare le modalità e i tempi della decisione sull’esecuzione del mandato di arresto, dagli artt. 17, 22 e 22-bis l. n. 69 del 2005 (nel testo dovuto al d.lgs. n. 10 del 2021), in quanto compatibili[43].

Secondo la Suprema Corte, l’applicazione degli artt. 17, 22 e 22-bis l. n. 69 del 2005 produrrebbe vari effetti positivi: garantisce l’attuazione delle norme dell’Accordo e, in specie, dell’art. 615 di quest’ultimo, essendo idonea ad assicurare una decisione definitiva sull’esecuzione del mandato entro sessanta giorni dall’arresto del ricercato[44]; è compatibile con il modello di cooperazione sotteso all’Accordo; non viola l’art. 2 del Protocollo n. 7 alla c.e.d.u., poiché assicura il doppio grado di giurisdizione; non è in contrasto con l’art. 6 c.e.d.u.; non viola il divieto di analogia ex art. 7 c.e.d.u., trattandosi «dell’applicazione analogica di norme meramente procedurali», che «non intaccano la valenza del principio di legalità penale e le sue implicazioni sostanziali»[45] e non rilevano «rispetto al criterio della incidenza qualitativa (e, a maggior ragione, quantitativa) delle norme sulla libertà personale»[46].

La Corte si è dilungata sul secondo profilo sopra ricordato, cioè la supposta violazione del divieto di analogia e dell’art. 7 c.e.d.u., tratteggiando, alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e della nostra Corte costituzionale, l’ambito della nozione di materia penale”. In questa nozione, quanto all’ambito del divieto di retroattività, la Corte europea dei diritti dell’uomo non fa rientrare le disposizioni di natura solo processuale, «ad eccezione dei casi in cui abbiano capacità di incidenza sulla commisurazione della pena», ammettendone quindi l’interpretazione analogica[47]. In specie, la Corte di Strasburgo ha affermato come sia ragionevole che le giurisdizioni interne si conformino al principio tempus regit actum per quanto concerne le norme procedurali[48]. Anche la nostra Corte costituzionale, nella sentenza n. 32 del 2020, ha ritenuto che le modifiche della disciplina delle modalità di esecuzione della pena prevista al momento della commissione del reato possono assumere valenza sostanziale, con conseguente divieto di applicazione retroattiva, solo allorché la normativa sopravvenuta «comporti una trasformazione della natura della pena, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato»[49].

Applicando le considerazioni appena esposte al caso di specie, la Corte di cassazione ha notato in prima battuta che le norme procedurali previste dalla l. n. 69 del 2005 in rapporto ai tempi e alle modalità per assumere la decisione sull’esecuzione del mandato di arresto emesso dal Regno Unito «non hanno incidenza diretta sulla definizione del reato e delle pene» e dunque, non attenendo alla materia penale, non sottostanno al divieto di analogia ex art. 7 c.e.d.u.; nel contempo, però, la Corte ha riconosciuto che l’applicazione delle suddette  norme procedurali «avverrebbe nonostante le parti avessero previsto, al fine di regolare i loro rapporti, un limite temporale all’applicazione delle norme previste in tema di mandato di arresto europeo», come testimonia la norma transitoria contenuta nel già menzionato art. 632 Accordo[50]. Subito dopo, però, la Corte ha negato che vada attribuita «decisiva valenza» a una simile previsione, che rivelerebbe più che altro l’intenzione delle parti di «consentire – da un dato momento – l’attuazione del nuovo modello di cooperazione previsto dall’Accordo»: essa non impedirebbe di applicare quelle «pochissime norme di carattere processuale» in tema di m.a.e. finalizzate, nel contesto italiano, in mancanza di altre norme idonee allo scopo, a «garantire l’attuazione dell’Accordo», in specie sotto il profilo della tempestività nella definizione del procedimento di consegna[51].

A questo punto del proprio ragionamento, la Corte di cassazione ha richiamato la scelta compiuta dal legislatore italiano in rapporto al già citato Accordo relativo alla consegna tra l’Unione europea, l’Islanda e la Norvegia[52]. Attualmente, infatti, le disposizioni della l. 69/2005 «costituiscono altresì attuazione dell’Accordo tra l’Unione europea e la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia, fatto a Vienna il 28 giugno 2006, relativo alla procedura di consegna tra gli Stati membri dell’Unione europea e l’Islanda e la Norvegia, Accordo che si applica nei limiti in cui le sue disposizioni non sono incompatibili con i principi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti e libertà fondamentali» (art. 1 comma 4-bis l. 69/2005, aggiunto dall’art. 8 l. 3 maggio 2019 n. 37, legge europea 2018)[53]. A parere della Sezione feriale, l’opzione legislativa – assente un’analogo intervento volto a regolamentare tempi e modalità di esecuzione della decisione sul mandato di arresto nei rapporti con il Regno Unito – appare assai rilevante in quanto conferma che le norme della nostra legge attuativa del m.a.e. sono quelle nella maggior misura «compatibili e funzionali ad attuare modelli di cooperazione obiettivamente contigui»: una diversa soluzione, del resto, provocherebbe, quale ricaduta, l’impiego di «normative asimmetriche»[54] per attuare Accordi con Paesi terzi tra loro assimilabili. Pertanto, riassunti i capisaldi delle proprie argomentazioni, la Corte ha concluso per l’infondatezza del secondo motivo di ricorso e della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo oggetto del primo motivo del ricorso medesimo.

 

6. Giunta a questa conclusione, la Corte ha affrontato velocemente gli altri tre motivi di ricorso, dichiarando inammissibili il terzo e il quarto e infondato il quinto.

Il terzo motivo è inammissibile perché la Corte di appello, in virtù delle considerazioni esposte relativamente ai primi due motivi di ricorso, «non avrebbe dovuto accertare i gravi indizi di colpevolezza», data l’inapplicabilità della normativa sull’estradizione[55]. In ordine al quarto motivo, con cui ci si doleva che la Corte di appello non avesse vagliato l’esistenza di elementi concreti per richiedere al Regno Unito informazioni sulle condizioni dell’istituto penitenziario nel quale il signor Damian sarebbe stato detenuto dopo la consegna, la Corte di cassazione ha sostenuto che, in realtà, la Corte territoriale ha chiarito come dalla documentazione prodotta dal difensore ricorrente non emerga che il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) abbia rilevato «in concreto situazioni dimostrative della esistenza attuale del rischio di sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani o degradanti»[56].

Quanto all’ultimo motivo di ricorso, incentrato sui rischi alla salute in rapporto alla pandemia da COVID-19, la Corte di cassazione ne ha dichiarata l’infondatezza poiché, al di là della diffusione pandemica in tutti i Paesi europei, le deduzioni del ricorrente sono affette da «una genericità strutturale»[57].

 

7. In sede conclusiva, un rilievo sulla soluzione adottata dalla Sezione feriale. Si tratta di una soluzione in qualche modo necessitata, visto che applicare la normativa estradizionale riferita a Paesi terzi (come ormai è il Regno Unito) avrebbe in effetti rappresentato un “ritorno indietro” rispetto alla disciplina del m.a.e. fondata sul principio del mutuo riconoscimento. Il raffronto con la scelta del nostro legislatore per l’Accordo tra l’Unione europea, l’Islanda e la Norvegia ha costituito una sorta di “pezza d’appoggio”, soprattutto perché apparirebbe incongruo non riservare lo stesso standard ai rapporti con il Regno Unito[58], ben più importanti, in futuro, per l’Italia, a fronte di quelli che potrà intrattenere con l’Islanda e la Norvegia. Tuttavia, sarebbe utile che il legislatore intervenisse, introducendo nella nostra legge di adattamento, da poco “rivisitata”, una “norma-ponte”[59], cioè una disposizione atta a colmare le lacune procedurali riscontrate nell’Accordo, prevenendo così i possibili disorientamenti giurisprudenziali.

 

 

 

[1] L’Accordo è pubblicato in G.U.U.E., 30 aprile 2021, L 149/10. Per più compiuti ragguagli sulle “tappe” che hanno condotto all’Accordo v. infra, § 3.

[2] Cfr. Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 1 del Ritenuto in fatto.

[3] In proposito v. infra, § 3.

[4] Il relativo avviso è pubblicato in G.U.U.E., 30 aprile 2021, L 149/2560. V. anche la decisione (UE) 2021/689 del Consiglio, del 29 aprile 2021, ivi, 30 aprile 2021, L 149/2.

[5] Così Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2 del Ritenuto in fatto.

[6] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.1 del Ritenuto in fatto. A parere del ricorrente la situazione implicherebbe una violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 7 alla c.e.d.u., secondo il quale «l’esercizio del diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza da una giurisdizione superiore – ivi compresi i motivi per cui può essere esercitato – è disciplinato dalla legge».

[7] Cfr. Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.1 del Ritenuto in fatto.

[8] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.1 del Ritenuto in fatto.

[9] L’art. 696 comma 3 c.p.p. prevede – per quanto ci preme – che se le norme indicate nel comma 2 «mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme» del libro undicesimo.

[10] L’art. 696 comma 2 c.p.p., che si riferisce ai «rapporti con Stati diversi da quelli membri dell’Unione europea», stabilisce, fra l’altro, che le estradizioni sono disciplinate «dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale».

[11] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.2 del Ritenuto in fatto. La Corte di appello ha invece applicato la disciplina attuativa del m.a.e., come modificata dal d.lgs. n. 10 del 2021: su tale riforma v. M. Bargis, Meglio tardi che mai. Il nuovo volto del recepimento della decisione quadro relativa al m.a.e. nel d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10: una prima lettura, in questa Rivista, 3/2021, p. 63 ss.; G. Colaiacovo, La nuova disciplina del mandato d’arresto europeo tra esigenze di semplificazione della procedura e tutela del diritto di difesa, in Dir. pen. proc., 2021, p. 868 ss.; V. Picciotti, La riforma del mandato di arresto europeo. Note di sintesi a margine del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, in www.lalegislazionepenale.eu, 12 aprile 2021; F. Urbinati, La riforma del mandato d’arresto europeo, in Arch. pen. (web), 1/2021, p. 1 ss. Va segnalato che il 3 dicembre 2020 la Commissione europea ha adottato una lettera di costituzione in mora [2020/2278] nei confronti del nostro Paese, per non corretto recepimento della decisione quadro sul m.a.e.: dopo il varo del d.lgs. n. 10 del 2021, si attendono gli sviluppi della procedura d’infrazione.

[12] V. infra, §§ 4 e 5.

[13] Cfr. Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.3 del Ritenuto in fatto.

[14] Per l’esposizione di tali elementi v. Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.3 del Ritenuto in fatto. 

[15] Sulla cui base, se sussistono «fondati motivi per ritenere che vi sia un rischio effettivo per la protezione dei diritti fondamentali della persona ricercata, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può richiedere, se del caso, garanzie supplementari quanto al trattamento della persona ricercata dopo la sua consegna per decidere se eseguire il mandato d’arresto».

[16] In specie, la difesa aveva fornito la documentazione riguardante un provvedimento dell’autorità giudiziaria olandese che aveva rifiutato l’estradizione nel Regno Unito di un cittadino britannico appunto a causa delle condizioni carcerarie, accertate in seguito a informazioni richieste alle autorità inglesi (Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.4 del Ritenuto in fatto).

[17] Rubricato «Tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali».

[18] Cfr. Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.5 del Ritenuto in fatto.

[19] L’Accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica è pubblicato in G.U.U.E., 31 gennaio 2020, L 29/7. Sull’iter della Brexit, fino alla conclusione dell’Accordo sul recesso, v. L. Salazar, La cooperazione giudiziaria penale nell’Unione ai tempi della Brexit, in questa Rivista, 3/2020, p. 185 ss. Sul rapporto fra Brexit e m.a.e., prima del recesso del Regno Unito, si era pronunciata la Corte di giustizia dell’Unione europea: Corte giust., 19 settembre 2018, C-327/18 PPU, RO, sulla quale v. M. Bargis, Il mandato di arresto europeo ai tempi della Brexit, in Dir. pen. cont., 5/2019, p. 31 ss.

[20] Cfr. Nota relativa all’entrata in vigore dell’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica, in G.U.U.E., 31 gennaio 2020, L 29/189.

[21] Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica, da una parte, e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dall’altra, in G.U.U.E., 31 dicembre 2020, L 444/14. L’Accordo, a norma dell’art. FINPROV.11 § 2 lett. a, è stato applicato in via provvisoria dal 1° gennaio 2021 al 30 aprile 2021: cfr. Decisione n.1/2021 del consiglio di partenariato del 23 febbraio 2021 relativa alla data in cui cessa l’applicazione provvisoria a norma dell’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione, in G.U.U.E., 26 febbraio 2021, L 68/227. In dottrina v., ad esempio, V. Mitsilegas, A ‘new special relationship’ or a damage limitation exercise? EU-UK criminal justice cooperation after Brexit, in New Journal of European Criminal Law, 2021, p. 105 s. (nel n. 2/2021 della Rivista [p. 186-297] sono analizzati i singoli aspetti dell’Accordo in tema di cooperazione: in proposito v. Special Issue Editorial di A. Oehmichen, W. Schomburg, EU-UK cooperation in criminal matters, in New Journal of European Criminal Law, 2021, p. 184 s.; con particolare riguardo alla consegna v. E. Grange, B. Keith, S. Kerridge, Extradition under the EU-UK Trade and Cooperation Agreement, ivi, p. 213 ss.); L. Salazar, La cooperazione penale con il Regno Unito dopo la Brexit, in Cass. pen., 2021, p. 1382 ss.

[22] Cfr. Avviso al lettore, in G.U.U.E., 30 aprile 2021, L 149/1. Quanto all’entrata in vigore e all’applicazione provvisoria (art. 783 § 2 lett. a Accordo) vale la decisione n. 1/2021 del consiglio di partenariato citata alla nota precedente.

[23] L’art. 185 comma 3 del medesimo Accordo sul recesso precisava che al momento della notifica scritta del completamento delle necessarie procedure interne, l’Unione poteva dichiarare, in relazione allo Stato membro che avesse sollevato «eccezioni inerenti ai principi fondamentali del proprio diritto nazionale, che durante il periodo di transizione, oltre ai motivi di non esecuzione del mandato d’arresto europeo di cui alla decisione quadro 2002/584/GAI, le autorità giudiziarie dell’esecuzione di detto Stato membro possono rifiutare di consegnare i propri cittadini al Regno Unito in forza di un mandato d’arresto europeo»; in tal caso il Regno Unito poteva «dichiarare, entro un mese dal ricevimento della dichiarazione dell’Unione, che le sue autorità giudiziarie dell’esecuzione possono rifiutare di consegnare i propri cittadini a detto Stato membro». Tre Stati membri (Germania, Austria e Slovenia) si erano avvalsi di tale possibilità, come risulta dalla relativa dichiarazione dell’Unione europea (cfr. Dichiarazione dell’Unione europea rilasciata in conformità dell’articolo 185, terzo comma, dell’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica, in G.U.U.E., 31 gennaio 2020, L 29/188).

[24] Il 3 agosto 2021 la Supreme Court irlandese ha sollevato una questione pregiudiziale (nella causa C-479/21, SN e SD), domandando alla Corte di giustizia se «le disposizioni dell’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione, che prevedono il mantenimento del regime del MAE nei confronti del Regno Unito dopo il relativo periodo transitorio, possono essere considerate vincolanti per l’Irlanda, tenuto conto del loro rilevante contenuto nel settore dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia» (v. G.U.U.E., 27 settembre 2021, C 391/16).

[25] V. supra, nota 22.

[26] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.1 del Considerato in diritto. La Corte ha rimarcato altresì come l’Accordo, «essendo riferito a materie di competenza esclusiva dell’Unione europea» e non rientrando fra gli accordi di tipo c.d. misto, non richiede la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali degli Stati membri.

[27] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.2 del Considerato in diritto, cui si rinvia per più ampie considerazioni.

[28] Cfr. L. Salazar, La cooperazione penale con il Regno Unito, cit., p. 1384. Quando si ipotizzava lo scenario di una “hard Brexit”, cioè un recesso senza Accordo, si era prefigurato il possibile ritorno alla disciplina dell’estradizione: sul punto v. M. Bargis, Il mandato di arresto europeo, cit., p. 47 ss.

[29] V. ancora L. Salazar, La cooperazione penale con il Regno Unito, cit., p. 1384. Quanto al modello di mandato di arresto v. Allegato 43 all’Accordo pubblicato il 30 aprile 2021, in G.U.U.E., 30 aprile 2021, L 149/2069 (ex Allegato LAW 5 all’Accordo pubblicato il 31 dicembre 2020, ivi, 31 dicembre 2020, L 444/1051).

[30] Il testo dell’Accordo è pubblicato in G.U.U.E., 21 ottobre 2006, L 292/2. La firma dell’Accordo era stata approvata con decisione del Consiglio del 27 giugno 2006 (in G.U.U.E., 21 ottobre 2006, L 292/1); dopo l’entrata in forza del trattato di Lisbona, l’Accordo è stato approvato con decisione del Consiglio del 27 novembre 2014 (in G.U.U.E., 28 novembre 2014, L 343/1), ed è in vigore dal 1° novembre 2019 (cfr. Avviso riguardante l’entrata in vigore dell’accordo relativo alla consegna tra l’Unione europea, l’Islanda e la Norvegia, in G.U.U.E., 6 settembre 2019, L 230/1). Per alcune osservazioni sull’Accordo de quo v. M. Bargis, L’attuazione della direttiva (UE) 2016/1919 nei procedimenti di esecuzione del mandato di arresto europeo fra scelte positive e lacune strutturali, in questa Rivista, 11/2019, p. 81 s. Prima dell’Accordo sul recesso, si era prospettata, per il periodo successivo al recesso medesimo, la possibilità di un accordo particolare fra l’Unione europea e il Regno Unito sull’esempio dell’Accordo relativo alla procedura di consegna tra l’Unione europea, l’Islanda e la Norvegia: v. M. Bargis, Il mandato di arresto europeo, cit., p. 48 ss.

[31] Anche se il Manuale sull’emissione e l’esecuzione del mandato d’arresto europeo (C[2017] 6389 final, 28 settembre 2017, p. 19) ribadisce l’opportunità che le autorità giudiziarie emittenti valutino la proporzionalità nell’emissione di un m.a.e.: sulla problematica v. M. Bargis, Libertà personale e consegna, in R.E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, IV ed., Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, p. 430-432; COM(2020) 270 final, 2 luglio 2020, Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, p. 10.

[32] Lo sottolinea Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.3 del Considerato in diritto. L. Salazar, La cooperazione penale con il Regno Unito, cit., p. 1385, evidenzia un’altra differenza rispetto al regime del m.a.e. (v. art. 604 lett. b secondo periodo Accordo), in quanto, «se è richiesto il consenso della persona ricercata al trasferimento della pena o della misura di sicurezza nello Stato di esecuzione, la garanzia che la persona sia rinviata nello Stato di esecuzione per scontarvi la pena è subordinata alla condizione che la persona ricercata, dopo essere stata ascoltata, acconsenta a essere rinviata nello Stato di esecuzione».

[33] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.3 del Considerato in diritto. Cfr. L. Salazar, La cooperazione penale con il Regno Unito, cit., p. 1384.

[34] In questi termini V. Mitsilegas, A ‘new special relationship’, cit., p. 105.

[35] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.5 del Considerato in diritto, cita a supporto il parere del servizio giuridico del Consiglio, The Brexit DealCouncil legal service opinion, in Eu Law Analysis, 27 January 2012 (leggibile al link http://eulawanalysis.blogspot.com/2021/01/the-brexit-deal-council-legal-service.html), dove si afferma che «the Brexit Deal» non è «‘a mixed agreement’» perché «it is a mixture of competences exclusive to the EU and competences shared between the EU and its Member States».

[36] Nell’art. 17 §§ 2 e 3 decisione quadro m.a.e. si utilizza viceversa l’espressione «dovrebbe essere presa» («should be taken», nella versione inglese).

[37] L’art. 615 § 4 Accordo prevede una possibile proroga di trenta giorni in casi particolari e corrisponde all’art. 17 § 4 decisione quadro m.a.e.; analoga corrispondenza si riscontra tra l’art. 615 §§ 5 e 6 Accordo e l’art. 17 §§ 5 e 6 decisione quadro m.a.e. Nell’Accordo non compare, invece, la previsione relativa alle «circostanze eccezionali» che comportano l’informativa all’Eurojust (contemplata dall’art. 17 § 7 primo periodo decisione quadro m.a.e.): la ragione va ravvisata nella circostanza che il Regno Unito non fa più parte di tale Agenzia dell’Unione, anche se la cooperazione con Eurojust (v. Titolo VI della Parte Terza dell’Accordo) continuerà mediante la designazione da parte del Regno Unito di un proprio “punto di contatto” (art. 584 Accordo) e il distacco di un pubblico ministero di collegamento (liaison prosecutor), che può essere assistito da un massimo di cinque assistenti (art. 585 Accordo); a propria volta, Eurojust potrà distaccare un magistrato di collegamento (liaison magistrate) presso il Regno Unito (art. 586 Accordo).

[38] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.5 del Considerato in diritto (anche per le due precedenti citazioni).

[39] L. Salazar, La cooperazione penale con il Regno Unito, cit., p. 1385, ricorda che la «Corte di appello di Torino del 4 febbraio 2021 (c/Riaz Rizwan) ha ritenuto direttamente applicabile il nuovo regime di mandato di arresto introdotto» dall’Accordo, «disponendo la consegna di un cittadino pakistano in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso anteriormente alla scadenza di fine dicembre 2020»: la disciplina è stata reputata dalla Corte di appello pienamente conforme a quella costituente diritto interno ai sensi della l. n. 69 del 2005.

[40] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.5 del Considerato in diritto, dove viene ricordato che in Spagna l’Audiencia Nacional si è espressa nel senso dell’immediata applicazione delle norme contenute nell’Accordo, integrate quanto al modello procedurale sui tempi e sulle modalità di assunzione della decisione in ordine all’esecuzione del mandato di arresto.

[41] Corte giust., 30 maggio 2013, C-168/13 PPU, F., punto 54 (v. pure punti 37, 38, 64 e 65).

[42] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.6 del Considerato in diritto.

[43] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.6 del Considerato in diritto.

[44] Peraltro l’art. 17 l. n. 69 del 2021, nel testo modificato dal d.lgs. n. 10 del 2021 (sul quale v. M. Bargis, Meglio tardi che mai, cit., p. 95 s.; V. Picciotti, La riforma del mandato, cit., p. 30 s.), va coordinato con il nuovo art. 22-bis, inserito dallo stesso d.lgs.: per rilievi critici su quest’ultima norma, che regola l’eventualità in cui i termini ordinari (sessanta giorni; dieci giorni nel caso di consenso) o prorogati (di trenta giorni), per addivenire alla decisione definitiva sulla consegna, non siano stati rispettati e i riflessi sulla misura della custodia cautelare in atto, v. M. Bargis, Meglio tardi che mai, cit., p. 99 s. In dottrina si è altresì stigmatizzata la sin troppo consistente abbreviazione del termine per proporre ricorso per cassazione che emerge dall’art. 22 comma 1 l. n. 69 del 2005, “rivisitato” dal d.lgs. n. 10 del 2021: v. M. Bargis, Meglio tardi che mai, cit., p. 96 ss.; G. Colaiacovo, La nuova disciplina, cit., p. 875 s. e 880; F. Urbinati, La riforma del mandato, cit., p. 23.

[45] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.6 del Considerato in diritto, che richiama Corte cost., 13 novembre 2020, n. 238.

[46] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.6 del Considerato in diritto, che rinvia a Corte cost., 26 febbraio 2020, n. 32.

[47] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.6 del Considerato in diritto.

[48] In rapporto a una nuova regolamentazione dei termini per la proposizione di un ricorso, cfr. Corte eur., dec. 12 febbraio 2004, Mione c. Italia, n. 7856/02; Corte eur., dec. 10 luglio 2007, Rasnik c. Italia, n. 45989/06.

[50] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.6 del Considerato in diritto. Sull’art. 632 Accordo v. supra, § 4.

[51] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.6 del Considerato in diritto, anche per le precedenti citazioni.

[52] Cfr. supra, nota 30.

[53] L’art.1 comma 4-ter l. n. 69 del 2005, anch’esso aggiunto dall’art. 8 l. n. 37 del 2019, stabilisce che i «riferimenti delle disposizioni della presente legge al “mandato d’arresto europeo” e allo “Stato membro” devono intendersi fatti, nell’ambito della procedura di consegna con l’Islanda o la Norvegia, rispettivamente, al “mandato di arresto” che costituisce l’oggetto dell’Accordo di cui al comma 4-bis e alla Repubblica d’Islanda o al Regno di Norvegia».

[54] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 2.6 del Considerato in diritto.

[55] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 3 del Considerato in diritto.

[56] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 4 del Considerato in diritto, secondo cui il ricorso del difensore non era aggiornato sul punto. Per dati recenti, cfr. Report to the United Kingdom Government on the visit to the United Kingdom carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) from 13 to 23 March 2019, Strasbourg, 30 April 2020. Dall’8 al 21 giugno 2021 una delegazione del CPT ha visitato le carceri inglesi (v. https://www.coe.int/en/web/cpt/-/council-of-europe-anti-torture-committee-visits-the-united-kingd-4). Cfr. inoltre FRA (European Union Agency for Fundamental Rights), Criminal detention conditions in the European Union: rules and reality, Publications Office of the European Union, 2019 e il Criminal Detention Database 2015-2019, suddiviso per singoli Paesi (https://fra.europa.eu/en/databases/criminal-detention/criminal-detention/home).

[57] Cass., sez. VI fer., 24 agosto 2021, punto 5 del Considerato in diritto. Con riguardo al m.a.e., sul sito della Rete giudiziaria europea (v. https://www.ejn-crimjust.europa.eu/ejn/EJN_DynamicPage/EN/86) è possibile consultare un documento di sintesi, aggiornato al 16 luglio 2021, delle risposte fornite dagli Stati membri a successivi questionari concernenti le misure adottate per fronteggiare l’impatto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 sulla cooperazione giudiziaria in materia penale: con specifico riguardo al m.a.e., sono state considerate le ricadute sull’emissione e sull’esecuzione dei mandati, sulla consegna posticipata e sul transito, nonché le misure precauzionali a tutela della salute della persona da consegnare e degli agenti di scorta. Concretamente la situazione è destinata a evolversi in rapporto alla diffusione del vaccino.

[58] Con la decisione (UE) 2021/1729 del Consiglio del 24 settembre 2021 (in G.U.U.E., 30 settembre 2021, L 345/36) si è stabilito che la decisione da adottare nel comitato specializzato per la cooperazione delle autorità di contrasto e giudiziarie in applicazione dell’art. 540 § 3 Accordo è di acconsentire a una proroga fino al 30 giugno 2022 del periodo durante il quale gli Stati membri possono continuare a scambiare con il Regno Unito i dati personali di cui agli artt. 530, 531 e 534 dell’Accordo e trasmettere altri dati personali disponibili conformemente all’art. 536 Accordo.

[59] Per questa espressione v. L. Salazar, La cooperazione penale con il Regno Unito, cit., p. 1385.