ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
03 Febbraio 2022


I divieti connessi alla misura questorile dell’avviso orale al vaglio della Corte costituzionale: verso una nuova censura del sistema ante delictum?

Cass., Sez. V, ord. 25 ottobre 2021 (dep. 16 dicembre 2021), n. 46076, Pres. Sabeone, rel. Riccardi, ric. Boccabella



1. Come noto, quello della compatibilità costituzionale delle misure di prevenzione ante delictum è un problema che interroga gli interpreti fin dal giorno successivo all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e che, in attesa di un (auspicato) ripensamento della materia nel suo complesso, verosimilmente accompagnerà il dibattito costituzionalistico e penalistico anche negli anni a venire[1].

Oggi, a quasi tre anni dalla sentenza n. 24/2019, nella quale la Corte costituzionale ha dovuto fare i conti con le censure mosse al sistema ante delictum dalla Corte di Strasburgo nel caso De Tommaso[2], il diritto della prevenzione torna al cospetto del Giudice delle leggi: questa volta, a essere sospettati di illegittimità costituzionale sono i divieti connessi alla misura di prevenzione dell’avviso orale di cui all’art. 3 co. 4 d.lgs. n. 159/2011 (cod. antimafia).

 

2. Prima di esporre i rilievi di incostituzionalità formulati dalla quinta sezione della Corte di cassazione nell’ordinanza annotata, vale la pena di ricordare brevemente i tratti essenziali della misura di prevenzione sottoposta all’attenzione della Consulta.

L’avviso orale è una misura di prevenzione affidata alla competenza del questore e rappresenta la più blanda tra le misure personali contemplate dalla normativa ante delictum. L’avviso orale – introdotto con l. n. 327/1988, in sostituzione della diffida, come presupposto per l’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, e successivamente “promosso” ad autonoma misura con l’entrata in vigore del codice antimafia nel 2011 – si sostanzia in un potere di richiamo formale da parte dell’autorità amministrativa nei confronti di coloro che abbiano tenuto dei comportamenti antisociali e che diano motivo di ritenere che non muteranno il loro stile di vita: ai sensi dell’art. 3 co. 1 cod. antimafia, infatti, «il questore nella cui provincia la persona dimora può avvisare oralmente i soggetti di cui all’art. 1 che esistono indizi a loro carico, indicando i motivi che li giustificano», e invitandoli «a tenere una condotta conforme alla legge»[3].

L’avviso orale non ha una durata massima prestabilita – la sua efficacia si estende dal momento della sua applicazione a quello (peraltro solo eventuale) in cui l’interessato ne ottiene la revoca da parte del questore – e, quantomeno nella sua ipotesi “base”, non determina alcuna compressione dei diritti dell’avvisato[4].

Qualora, invece, il destinatario dell’avviso orale sia persona condannata in via definitiva per delitti non colposi, il questore può imporgli una serie di obblighi e divieti che incidono in maniera significativa su alcune libertà individuali, e la cui violazione è sanzionata penalmente dall’art. 76 co. 2 cod. antimafia. Tra questi rientra il “divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente[5] che, secondo una pacifica interpretazione giurisprudenziale, dev’essere inteso come comprensivo del divieto di utilizzo del telefono cellulare[6].

 

3. Con l’ordinanza annotata, la Corte di cassazione – nell’ambito di un giudizio di opposizione promosso dal ricorrente avverso un provvedimento questorile di avviso orale, impositivo, tra l’altro, del divieto di possesso e utilizzo di apparati di comunicazione radiotrasmittente e del divieto di accesso a internet – ha dubitato della costituzionalità dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia, «nella parte in cui omette di prevedere la durata minima e massima dei divieti imponibili» dal questore, e «nella parte in cui affida il potere di limitazione all’autorità amministrativa», per contrasto con gli artt. 3, 15, 21 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 10 CEDU.

 

4. Preliminarmente, i giudici di legittimità evidenziano come la vigente disciplina dell’avviso orale, nella parte in cui consente al questore di imporre all’avvisato il “divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente”, interferisca con due libertà fondamentali tutelate dalla Costituzione e dalla CEDU.

Anzitutto, l’art. 3 cod. antimafia in parte qua interferirebbe con la libertà di comunicazione tutelata dall’art. 15 Cost. e dall’art. 8 CEDU. Quanto alla disposizione costituzionale, la Corte di cassazione ricorda che essa protegge «qualsiasi forma di “corrispondenza” e di “comunicazione”», ivi comprese «le comunicazioni telefoniche, per messaggi – sms o tramite applicativi (whatsapp, telegram, ecc.) –»[7]. Con riferimento, invece, all’art. 8 CEDU, i giudici rimettenti ricordano l’ampia nozione di “corrispondenza” elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU, la quale ricomprende tutte le comunicazioni che avvengono attraverso strumenti tecnologici come la posta elettronica o il mezzo di internet[8].

L’avviso orale corredato dal divieto in questione interferirebbe, poi, con la libertà di espressione – da intendersi ovviamente nella sua triplice declinazione di libertà d’opinione, libertà di essere informati (o di ricevere informazioni) e libertà di informarsi (o di ricercare informazioni) – la quale viene protetta dagli artt. 21 Cost. e 10 CEDU anche nel caso in cui il reperimento di informazioni o la diffusione di opinioni avvengano attraverso internet[9].

 

5. Tanto premesso, la Corte di cassazione ritiene che la disposizione di cui all’art. 3 co. 4 cod. antimafia dia adito a «dubbi di legittimità sotto il profilo della legalità costituzionale e convenzionale»[10].

 

5.1. Quanto ai profili di frizione con la Carta costituzionale, i giudici di legittimità ricordano che l’art. 15 Cost. contempla una duplice riserva, di legge e di giurisdizione, in tutti i casi in cui sia in gioco una limitazione della libertà di comunicazione, ed esclude qualsiasi forma di intervento preventivo da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.

Con riguardo alla riserva di legge, i giudici rimettenti osservano che il tenore letterale dell’art. 15 Cost. – e, in particolare, la locuzione «con le garanzie stabilite dalla legge» – sembra esigere «un quid pluris rispetto alla fissazione dei casi e modi richiesta dagli artt. 13-14 Cost.»: più precisamente, il legislatore dovrebbe «non solo individuare i casi (richiesti dall’art. 13 Cost.) in cui si possa procedere alla limitazione, ma anche le garanzie tecniche e giuridiche idonee a limitare il sacrificio della libertà fondamentale»[11].

Con riguardo, poi, alla riserva di giurisdizione, la quinta sezione della Cassazione evidenzia la duplice funzione di tale garanzia: da un lato, infatti, «la disposizione costituzionale riserva all’autorità giudiziaria la concreta limitazione della libertà e della segretezza, escludendo l’intervento di organi e poteri diversi» e, dall’altro lato, «richiede che il provvedimento sia motivato per assicurare il controllo giurisdizionale nei gradi successivi di giudizio»[12].

Alla luce di tali considerazioni, la disciplina di cui all’art. 3 co. 4 cod. antimafia «non appare rispettosa innanzitutto della riserva di giurisdizione, in quanto affida l’imposizione di divieti connessi all’avviso orale all’autorità amministrativa, non già all’autorità giudiziaria»[13].

Agli occhi della Corte di cassazione, inoltre, anche «la riserva di legge risulta compromessa e vanificata, nella sua funzione di garanzia, da una disposizione che, nel prevedere la possibilità di imporre divieti all’esercizio di libertà costituzionali (…), non riconosce “le garanzie” legate alla predeterminazione della durata, massima e minima, del provvedimento limitativo»[14].

 

5.2. Quanto, invece, alla ritenuta incompatibilità dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia con la CEDU, la Corte di cassazione osserva che, «benché la misura limitativa possa essere giustificata dalla finalità, espressamente prevista sia dall’art. 8 che dall’art. 10 CEDU, della “prevenzione dei reati”, l’interferenza statale non appare essere fondata su una sufficiente “base legale”»: in effetti, «nel caso dei divieti imposti con l’avviso orale del questore, la mancata previsione della durata degli stessi determina un deficit di legalità convenzionale, non essendo prevedibile, da parte del destinatario della misura, la modalità temporale di esercizio del potere limitativo»[15].

 

6. I giudici di legittimità, infine, ravvisano un contrasto dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia anche sotto il profilo della proporzione della misura al metro dell’art. 3 Cost. e del parametro della “necessità in una società democratica” richiesto dagli artt. 8 e 10 CEDU.

In particolare, la Corte afferma che «una misura limitativa di libertà fondamentali, priva di termini di durata, appare sproporzionata allo scopo legittimo di prevenzione dei reati perseguito»[16] e, a sostegno di tale assunto, richiama un’ordinanza del 1987 con la quale la Corte costituzionale aveva sì escluso l’incostituzionalità della diffida nella parte in cui non prevedeva limiti temporali massimi di durata, ma era giunta a tale conclusione in ragione del fatto che tale istituto non comportava di per sé alcuna compressione delle libertà del suo destinatario[17].

Né, sostengono i giudici rimettenti, «la natura temporanea può essere legittimamente desunta dalla possibilità, prevista dal comma 3 dell’art. 3 d.lgs. 159/2011, di chiedere la “revoca” al questore dell’avviso orale (semplice o aggravato)», trattandosi, questa, di una «facoltà rimessa al destinatario della misura, che tuttavia non arricchisce la ‘base legale’ della limitazione mediante preventivo riconoscimento dei termini di durata, rimettendo all’autorità amministrativa la valutazione dell’esercizio del relativo potere»[18].

 

7. Va peraltro segnalato che analoghi dubbi di compatibilità costituzionale sono stati avanzati nei mesi scorsi anche dal Tribunale di Sassari[19]. In particolare, il giudice sardo – nell’ambito di un procedimento penale promosso nei confronti del destinatario dell’avviso orale per il reato di cui all’art. 76 co. 2 cod. antimafia, in quanto il soggetto, continuando a disporre di un telefono cellulare anche dopo il provvedimento del questore, aveva violato il divieto di possesso e utilizzo di apparati di comunicazione radiotrasmittente – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia per violazione dell’art. 15 Cost., «con riferimento all’assenza del vaglio giurisdizionale della limitazione ad opera del solo questore all’uso degli apparati radiotrasmittenti», e dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza in rapporto alla disciplina della sorveglianza speciale: mentre, infatti, i divieti connessi all’avviso orale sono applicati dall’autorità di pubblica sicurezza, gli obblighi e le prescrizioni che accedono alla sorveglianza speciale sono imposti all’esito di un procedimento giurisdizionale.

 

7.1. Per quanto riguarda l’ordinanza emessa dal Tribunale di Sassari, conviene anzitutto sgombrare il campo da un equivoco in cui è caduto il giudice sardo. Nella parte introduttiva del provvedimento, infatti, si sostiene che la disposizione attualmente prevista dall’art. 3 co. 4 cod. antimafia, la quale riproduce fedelmente il contenuto del previgente art. 4 l. n. 1423/1956, sarebbe «stata pensata in epoca nella quale le comunicazioni radiotrasmesse erano essenzialmente di tipo eccezionale e militare (walkie talkie)»[20]: in una fase storica in cui non esistevano ancora i telefoni cellulari, sostiene il giudice a quo, il divieto in questione non avrebbe avuto un impatto così pervasivo come invece lo ha oggi e, proprio per tale ragione, i dubbi di compatibilità costituzionale avrebbero preso forma soltanto in anni recenti[21].

In realtà, i divieti connessi all’avviso orale sono stati introdotti per la prima volta con l. n. 128/2001, la quale modificò il co. 4 dell’art. 4 della l. n. 1423/1956 (all’epoca, la legge ‘generale’ sulle misure di prevenzione), e poi trasposti nel cod. antimafia. La loro previsione, dunque, risale ad anni in cui i telefoni cellulari erano già disponibili sul mercato e cominciavano a diventare veri e propri beni di massa: ne deriva che l’attuale art. 3 co. 4 cod. antimafia, lungi dall’essere un mero anacronismo storico, è il risultato di una consapevole (e assai discutibile, come si dirà infra, § 8 ss.) scelta legislativa.

 

7.2. Passando alle censure di incostituzionalità, il Tribunale di Sassari dubita della legittimità dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia, «nella parte in cui consente al solo questore, e non alla autorità giudiziaria, di inibire qualunque mezzo di comunicazione radiotrasmittente, e quindi l’uso del telefono cellulare, quando anche in concreto la misura si possa giustificare per la pericolosità sociale dell’avvisato», per mancato rispetto della riserva di giurisdizione imposta dall’art. 15 Cost. In particolare, il giudice a quo osserva che «la preclusione all’utilizzo di mezzi radiotrasmittenti è tale da sacrificare radicalmente in modo certamente rilevante, se non esclusivo, ogni possibilità di comunicare con terzi» e che l’obbligo di motivazione imposto all’autorità di pubblica sicurezza al fine dell’applicazione dei divieti in discorso non basta a soddisfare la riserva di cui all’art. 15 Cost., la quale impone che «limitazione e motivazione» provengano esclusivamente dall’autorità giudiziaria[22].

Inoltre, con argomentazione a dire il vero non sempre lineare, il giudice rimettente ritiene irragionevole, al metro dell’art. 3 Cost., la disposizione del cod. antimafia in esame, nella misura in cui essa consente al questore di imporre un divieto, qual è quello relativo al possesso e all’utilizzo di apparecchiatura radiotrasmittente, che presenta un grado di afflittività equiparabile a quello delle prescrizioni conseguenti all’applicazione della più grave misura della sorveglianza speciale, la quale, tuttavia, viene disposta dall’autorità giudiziaria[23].

***

8. In attesa del pronunciamento della Corte costituzionale, possiamo già qui svolgere alcune brevi osservazioni.

Anzitutto, ci sembra di poter dire che, al di là dei richiami agli artt. 21 Cost. e 10 CEDU e dell’illustrazione di alcune recenti sentenze della Corte di Strasburgo in tema di libertà di manifestazione del pensiero (sub specie di libertà di informarsi e di ricevere informazioni) ad opera della Corte di cassazione, i rilievi formulati dai giudici di legittimità (e dal Tribunale di Sassari) siano fondamentalmente incentrati sulla ritenuta incostituzionalità dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia, nella parte in cui consente al questore di vietare all’avvisato il possesso e l’utilizzo di apparati di comunicazione radiotrasmittente, per contrasto con l’art. 15 Cost. (e con l’art. 8 CEDU). È, dunque, da questo particolare angolo prospettico che valuteremo l’ordinanza in commento.

 

9. Giova a questo punto ricordare, sia pure in maniera sintetica, quali sono i contenuti essenziali della libertà di corrispondenza e di comunicazione e quali le garanzie che la Carta costituzionale prevede a tutela di questo diritto fondamentale.

Secondo un’impostazione tradizionale generalmente condivisa, la libertà di cui all’art. 15 Cost. rappresenta, insieme con la libertà di domicilio, tutelata dall’art. 14 Cost., «un ampliamento ed una precisazione del fondamentale principio di inviolabilità della persona umana sanzionato dall’art. 13 Cost.»[24]: mentre, infatti, l’art. 13 Cost. protegge l’individuo essenzialmente nella sua libertà fisica, gli artt. 14 e 15 Cost. apprestano una tutela della persona rispettivamente nella sua proiezione spaziale e spirituale[25].

Quanto all’oggetto della tutela, l’art. 15 Cost. protegge la libertà e la segretezza della “corrispondenza” e di “ogni altra forma di comunicazione”. Il concetto di “comunicazione”, del quale quello di “corrispondenza” costituisce una species, deve essere inteso in senso lato, e dunque comprensivo di tutte le relazioni psichiche finalizzate, in maniera diretta o mediata, alla trasmissione di idee o notizie da parte di una persona a una o più altre persone individuate indipendentemente dalla materia o dall’oggetto del messaggio, nonché dalla forma espressiva o dal mezzo adoperati, e connotate dai caratteri dell’intersubiettività e dell’attualità[26].

Secondo la prevalente tesi dottrinale[27], tesi sostenuta anche dalla giurisprudenza costituzionale[28], i profili della “libertà” e della “segretezza”, pur intimamente connessi tra loro, devono essere tenuti distinti: ciò significa che l’art. 15 Cost. garantisce non soltanto «il diritto a che soggetti diversi dal destinatario non prendano illegittimamente conoscenza del contenuto di una corrispondenza o di una comunicazione», ma anche il diritto stesso «di poter comunicare e corrispondere con altri soggetti senza che sia portata alcuna interruzione o sospensione al “corso normale” di una corrispondenza o di una comunicazione»[29].

Infine, ai sensi del co. 2 dell’art. 15 Cost., la libertà di comunicazione può essere limitata, a fronte di esigenze primarie e costituzionalmente rilevanti (come, ad es., la prevenzione e la repressione dei reati)[30], purché sia rispettata la duplice condizione della riserva di legge – che deve essere intesa come assoluta[31] e che, come evidenziato dalla dottrina, risulta soddisfatta solo nella misura in cui vengano disciplinati gli scopi della misura limitativa, la durata massima della stessa, nonché i casi e i modi della sua adozione[32] – e della riserva di giurisdizione. Diversamente da quanto previsto dagli artt. 13 e 14 Cost., l’art. 15 Cost. non ammette limitazioni provvisorie della libertà di comunicazione ad opera dell’autorità di pubblica sicurezza[33].

Esposti i tratti essenziali della libertà fondamentale in discorso, non si può peraltro fare a meno di osservare che il progresso tecnologico cui si è assistito negli ultimi decenni ha innegabilmente rivoluzionato le modalità di comunicazione interpersonale attraverso l’elaborazione di una vasta serie di strumenti e programmi che consentono una molteplicità di interazioni riservate tra soggetti. Il che, evidentemente, impone una riflessione, di ben più ampio respiro rispetto a quanto consentito dai limitati spazi del presente lavoro, sugli attuali confini del diritto sancito dall’art. 15 Cost. Per quanto qui di interesse, occorre comunque rilevare che, sebbene rimanga ancora oggi valida l’avvertenza, formulata da autorevole dottrina, di non confondere il “diritto” (la libertà di comunicazione) con il “mezzo” (le modalità e i dispositivi con i quali avviene la comunicazione), non altrettanto condivisibile sembra la lettura riduttiva dell’art. 15 Cost. che da tale affermazione la medesima dottrina ha inteso ricavare, secondo cui, «una volta costituito un servizio di comunicazione il quale istituzionalmente e tecnicamente trasmetta in via riservata messaggi intersoggettivi», la disposizione costituzionale si limiterebbe a imporre, «all’ente pubblico o al soggetto privato che ne abbia la gestione, il dovere di rispettare la libertà e la segretezza delle comunicazioni inoltrate»[34]. A ben vedere, infatti, in alcune situazioni privare un soggetto del mezzo attraverso cui si instaura una comunicazione con uno o più altri soggetti determinati si traduce inevitabilmente in una compressione del diritto di cui all’art. 15 Cost. sotto il profilo della libertà stessa di comunicazione: il che, ci sembra, può valere proprio nel caso della proibizione dell’utilizzo del telefono cellulare, il quale, nel mondo contemporaneo, ha assunto un’importanza centrale nel mantenere e nel coltivare relazioni interindividuali.

Ebbene, se quanto appena sostenuto è corretto, il divieto imponibile dal questore, ai sensi dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia, di possedere e utilizzare apparecchiatura radiotrasmittente – e, conseguentemente, il divieto di possedere e utilizzare anche il telefono cellulare e di disporre della rete internet – configura un’interferenza non ammessa dall’art. 15 Cost., in quanto la limitazione della libertà di comunicazione viene disposta dall’autorità di pubblica sicurezza e non già dall’autorità giudiziaria. In definitiva, la citata disposizione del cod. antimafia risulterebbe – come peraltro già rilevato in dottrina all’indomani della riforma del 2001[35] e come oggi sostenuto dai giudici a quibusincostituzionale in quanto non rispettosa della riserva di giurisdizione richiesta dal co. 2 dell’art. 15 Cost.

 

10. Tralasciando l’altra questione sollevata dal Tribunale di Sassari con riferimento all’art. 3 Cost., la quale, in fin dei conti, mira a ribadire la necessità di un intervento dell’autorità giudiziaria ai fini della limitazione della libertà di comunicazione, qualora la tesi sopra esposta venisse accolta dalla Corte costituzionale, rimarrebbe ovviamente assorbita l’ulteriore censura formulata dalla Corte di cassazione, relativa alla mancata previsione di un termine massimo di durata del divieto di possedere e utilizzare apparati di comunicazione radiotrasmittente imponibile ai sensi dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia.

È bene precisare, infatti, che tale ulteriore rilievo di incostituzionalità è stato formulato dai giudici di legittimità con esclusivo riguardo al divieto di possedere e utilizzare apparecchiatura radiotrasmittente. A quanto risulta, invece, la medesima censura non è stata rivolta anche al divieto di possesso e di utilizzo di sostanze infiammabili e artifici pirotecnici, l’unico altro divieto che, sempre in base a quanto emerge dall’ordinanza, era stato imposto dal questore nei confronti del ricorrente.

In ogni caso, ci sembra che anche questo secondo rilievo mosso dalla Suprema Corte alla disciplina dell’avvio orale colga nel segno: e tale considerazione vale, a nostro avviso, non soltanto rispetto al divieto di possedere e utilizzare apparecchiatura radiotrasmittente, ma anche rispetto a tutti gli altri divieti imponibili dal questore ai sensi dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia. Non v’è chi non veda, infatti, come una previsione normativa, qual è quella dell’avviso orale, che consenta l’imposizione di uno o più divieti senza limiti temporali massimi – e, quindi, in assenza di una revoca della misura sollecitata dall’avvisato, potenzialmente gravanti sul destinatario per tutta la vita! – sia sproporzionata rispetto alle finalità che si intendono perseguire[36]. E il carattere sproporzionato della previsione in parola risulta ancora più evidente, se si considera che l’avviso orale rappresenta, nel sistema delle misure di prevenzione personali, lo strumento più blando, il quale, dunque, dovrebbe applicarsi in relazione alle manifestazioni di pericolosità meno gravi.

Va peraltro ricordato che il problema della durata massima dei divieti imponibili dal questore si era già posto in dottrina nel periodo immediatamente successivo alla riforma operata dalla l. n. 128/2001, quando l’avviso orale costituiva un presupposto per l’applicazione della sorveglianza speciale e non era ancora diventato un’autonoma misura di prevenzione. Con riferimento alla previgente disciplina, mentre alcuni commentatori ritenevano di poter superare l’omissione legislativa attraverso una lettura congiunta dell’art. 4 co. 4 l. n. 1423/1956 con il co. 2 della medesima disposizione, il quale attribuiva al questore un termine massimo di tre anni dalla data dell’avviso orale per avanzare la proposta di applicazione della sorveglianza speciale[37], altri autori, escludendo la praticabilità di una tale soluzione interpretativa, prospettavano già allora l’illegittimità della norma in questione[38].

A nostro avviso, questo secondo profilo di legittimità costituzionale potrebbe essere superato dal legislatore in due modi: a) o introducendo dei limiti massimi di durata dei divieti accessori all’avviso orale o, ancor meglio, dei limiti massimi di durata della misura dell’avviso orale (a prescindere, cioè, dall’imposizione o meno dei divieti di cui al co. 4 dell’art. 3 cod. antimafia); b) oppure imponendo al questore, a scadenze temporali normativamente stabilite, una nuova verifica della pericolosità sociale dell’avvisato e disponendo, in caso di inerzia dell’autorità di pubblica sicurezza, la decadenza della misura.

In attesa di un simile intervento legislativo, che tuttavia non sembra essere all’orizzonte, non è dunque da escludere che nel prossimo futuro vengano sollevate nuove questioni di legittimità costituzionale in relazione a tutti gli altri divieti di cui all’art. 3 co. 4 cod. antimafia per contrasto con l’art. 3 Cost., proprio in ragione della mancata previsione di un termine massimo di durata delle anzidette limitazioni.

Per il momento, non resta che attendere la decisione della Corte costituzionale.

 

 

[1] Per una ricostruzione del problema della compatibilità costituzionale del sistema di prevenzione personale ante delictum e per una proposta di riordino di tali misure entro la cornice costituzionale dell’art. 25 co. 3 Cost., sia consentito rimandare a E. Zuffada, La prevenzione personale ante delictum: alla ricerca di un fondamento costituzionale, in Criminalia, 2020, p. 253 ss.

[2] Per la ricostruzione della vicenda De Tommaso si rinvia a F. Basile (con la collaborazione di E. Zuffada), Manuale delle misure di prevenzione. Profili sostanziali, II ed., Torino, 2021, p. 39 ss. e alla dottrina ivi richiamata.

[3] Per una completa disamina della misura di prevenzione dell’avviso orale si rimanda a F. Basile (con la collaborazione di E. Zuffada), Manuale delle misure di prevenzione, cit., p. 92 ss.

[4] A dire il vero, stante la scarsa chiarezza del testo normativo, è dubbio se al destinatario dell’avviso orale possano essere riferiti alcuni effetti che il cod. antimafia ricollega genericamente a coloro nei cui confronti sia stata applicata una misura di prevenzione. In particolare, ci si riferisce: a) alla contravvenzione di cui all’art. 73 cod. antimafia, che sanziona la persona sottoposta con provvedimento definitivo a una misura di prevenzione sorpresa alla guida senza patente o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata; b) alle verifiche fiscali, economiche e patrimoniali di cui all’art. 79 cod. antimafia; c) agli obblighi di comunicazione delle variazioni patrimoniali superiori a 10.329, 14 euro di cui all’art. 80 cod. antimafia. Cfr. F. Basile (con la collaborazione di E. Zuffada), Manuale delle misure di prevenzione, cit., p. 96.

[5] Per completezza, ricordiamo che le altre limitazioni imponibili all’avvisato ai sensi dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia consistono nel divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte: radar e visori notturni; indumenti e accessori per la protezione balistica individuale; mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia; armi a modesta capacità offensiva; riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi giocattoli riproducenti armi; altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone; prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo; sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme; programmi informatici e altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.

[6] Cfr. Cass., sez. I, 11 settembre 2018 (dep. 7 gennaio 2019), n. 314, L.; Cass., sez. F, 1° settembre (dep. 1° ottobre) 2009, n. 38514, Finizio.

[7] Cfr. Cass., sez. V, ord. 25 ottobre (dep. 16 dicembre) 2021, n. 46076, Boccabella, § 3.2.2.

[8] Ivi, § 3.2.4.

[9] Ivi, § 3.2.2. e 3.2.3.

[10] Ivi, § 3.3.

[11] Ivi, § 3.3.1.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] Cfr. Cass., sez. V, ord. 25 ottobre (dep. 16 dicembre) 2021, n. 46076, Boccabella, § 3.3.2.

[16] Ivi, § 3.3.3.

[17] Il riferimento è a Corte cost., ord. 25 novembre-10 dicembre 1987, n. 499.

[18] Cfr. Cass., sez. V, ord. 25 ottobre (dep. 16 dicembre) 2021, n. 46076, Boccabella, § 3.3.3.

[19] L’ordinanza del Tribunale di Sassari dell’11 marzo 2021 è consultabile sul sito istituzionale della Corte costituzionale, reg. ord. n. 164 del 2021.

[20] Cfr. Trib. Sassari, ord. 11 marzo 2021.

[21] Ibidem.

[22] Ibidem.

[23] Ibidem. Invero, aggiunge il Tribunale di Sassari, «nessun vulnus costituzionale vi sarebbe se il limite alle comunicazioni radio avvenisse per atto del giudice e nel seno di una ordinaria misura di prevenzione personale nel contesto di un procedimento ampiamente giurisdizionale (peraltro di massima garanzia decisionale perché’ collegiale) che consentisse, nel seno di quelle garanzie partecipative di ogni procedimento giurisdizionale, anche di modularne gli effetti in relazione alle reali esigenze che emergono dal contradittorio, limitando per esempio le comunicazioni solo in alcuni orari, solo con taluni soggetti, o restringendola a un numero predeterminato di utenze, in modo da non eccedere così platealmente il fine della norma, che finisce sacrificare anticipatamente alla commissione dei reati diritti costituzionalmente garantiti, primo tra tutti quello di comunicare».

[24] P. Barile, E. Cheli, voce Corrispondenza (Libertà di), in Enc. dir., X, 1962, p. 744. Nello stesso senso, P. Caretti, voce Corrispondenza (Libertà di), in Dig. disc. pubbl., 1989, p. 201; F. Donati, sub. Art. 15, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 364.

[25] In questi termini A. Pace, sub Art. 15, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, vol. II, Bologna-Roma, 1977, p. 82.

[26] In dottrina, sostengono la tesi estensiva: P. Barile, E. Cheli, voce Corrispondenza (Libertà di), cit., p. 744; P. Caretti, voce Corrispondenza (Libertà di), cit., p. 202; F. Donati, sub. Art. 15, cit., pp. 364-365. Anche la giurisprudenza costituzionale sembra propendere per una definizione ampia di “comunicazione”: cfr., tra le altre, Corte cost., sent. 27 ottobre-15 novembre 1988, n. 1030; Corte cost., sent. 26 febbraio-11 marzo 1993, n. 81. Patrocina, invece, una nozione più restrittiva del concetto di “comunicazione” A. Pace, sub Art. 15, cit., p. 85 ss., il quale afferma che l’oggetto del diritto garantito dall’art. 15 Cost. andrebbe identificato nelle «forme espressive generalmente riconoscibili come tali», con esclusione di tutte quelle modalità comunicative che non siano idonee a escludere la conoscibilità, da parte dei terzi, del contenuto del pensiero trasmesso.

[27] V. Italia, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Milano, 1963, p. 33 ss.; P. Caretti, voce Corrispondenza (Libertà di), cit., p. 201; F. Donati, sub. Art. 15, cit., pp. 366-367. Sostiene, per contro, «l’esistenza di un’unica situazione soggettiva», «nel senso, cioè, che la particolare disciplina dell’art. in esame in tema di libertà trova la sua ragione d’essere nella segretezza, e la segretezza rinviene la sua giustificazione nella libertà», A. Pace, sub Art. 15, cit., p. 85; Id., Contenuto e oggetto della libertà di corrispondenza e di comunicazione, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, vol. III, Milano, 1977, pp. 914-915.

[28] Cfr. Corte cost., sent. 11-23 luglio 1991, n. 366, laddove la Corte osserva che «l’art. 15 della Costituzione – oltre a garantire la “segretezza” della comunicazione e, quindi, il diritto di ciascun individuo di escludere ogni altro soggetto diverso dal destinatario della conoscenza della comunicazione – tutela pure la “libertà” della comunicazione».

[29] In questo senso V. Italia, La libertà di corrispondenza, in P. Barile (a cura di), La pubblica sicurezza, vol. II, Milano, 1967, pp. 215-216.

[30] Cfr., per tutte, Corte cost., sent. 4-6 aprile 1973, n. 34.

[31] Corte cost., sent.11-23 luglio 1991, n. 366.

[32] Cfr., con particolare riferimento alla misura delle intercettazioni telefoniche, A. Pace, sub Art. 15, cit., pp. 106-107.

[33] Come evidenziato da A. Pace, sub Art. 15, cit., p. 106, la scelta dei costituenti di escludere qualsiasi intervento limitativo della libertà di comunicazione da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, lungi dall’essere frutto della casualità o comunque di una determinazione poco meditata, si spiegherebbe in un duplice senso. In particolare, una prima ragione giustificatrice «potrebbe risiedere in ciò che – mentre nelle limitazioni della libertà personale e, entro certi limiti, di quelle della libertà domiciliare, esse colpiscono soltanto il soggetto inquisito – nelle limitazioni della libertà di corrispondenza e di comunicazione, le misure restrittive incidono sempre anche su un altro soggetto, sia esso l’interlocutore telefonico, il mittente o il destinatario di una lettera». La seconda ragione, poi, potrebbe consistere «nella considerazione della maggiore facilità con cui di fatto una qualsivoglia intercettazione può essere compiuta dalla polizia, a fronte delle perquisizioni personali o domiciliari nelle quali la stessa presenza fisica dell’interessato (e comunque la consapevolezza, da parte dell’inquisito, della limitazione che sta subendo) costituisce già di per sé un limite psicologico all’arbitrio dei funzionari e degli agenti di polizia». Di diverso avviso V. Italia, Libertà e segretezza, cit., pp. 124-125, il quale sostiene che la locuzione “con le garanzie stabilite dalla legge” configuri una riserva di legge limitata alle sole garanzie che devono assistere ogni limitazione della libertà di comunicazione; per contro, sempre secondo questa opinione, non rientrerebbero nel contenuto di tale riserva i casi e i modi della limitazione del diritto tutelato dall’art. 15 Cost.

[34] In questi termini A. Pace, sub Art. 15, cit., p. 93, il quale aggiunge che «qualora poi la gestione di tale servizio di comunicazioni sia riservata in esclusiva allo Stato, quel che dalla formula dell’art. stesso può tutt’al più ulteriormente dedursi è, quanto ai servizi di corrispondenza e telefonici, l’obbligo di eliminare gli utili di monopolio, in quanto costitutivi di un ostacolo al maggio uso del “mezzo”, non giustificato dalla disciplina (“monopolistica”) dello stesso».

[35] V. Gius. Amato, Avviso orale: rafforzati i poteri del questore, in Guida dir., 2001, n. 16, p. 64; E. Ricci, L. 26.3.2001, n. 128. Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini – Art. 15, in Leg. pen., 2002, pp. 466-467.

[36] Per l’illustrazione del principio di proporzione v., per tutti, M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in A. Giorgis, E. Grosso, J. Luther (a cura di), Il costituzionalista riluttante. Scritti per Gustavo Zagrebelsky, Torino, 2016, p. 463; A. Morrone, voce Bilanciamento (giustizia cost.), in Enc. dir. Annali, II-2, 2008, p. 185; N. Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Torino, 2020.

[37] In questo senso Gius. Amato, Avviso orale, cit., p. 64.

[38] In questi termini R. Guerrini, L. Mazza, S. Riondato, Le misure di prevenzione, II ed., Padova, 2004, p. 80.