Cass., Sez. I, sent. 4 novembre 2020 (dep. 22 dicembre 2020), n. 37039, Pres. Rocchi, Rel. Palma, ric. Bagnato
1. Con la decisione indicata in epigrafe, la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di intercettazioni disposte dal pubblico ministero nei casi di urgenza, confermando un orientamento ritenuto «sostanzialmente uniforme» in giurisprudenza secondo il quale «l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni è prevista dall’art. 267 c.p.p. solo nel caso di mancata convalida». La pronuncia in esame, come si vedrà, si lascia apprezzare per alcuni spunti interessanti sulle intercettazioni effettuate in via d’urgenza mediante captatore informatico, specifico contesto nel quale viene così applicato tale principio di diritto.
2. Volgendo un rapido sguardo alla vicenda processuale, si rileva innanzitutto che il Tribunale delle Libertà, investito ai sensi dell’art. 309 c.p.p. della richiesta di riesame, confermava l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari con cui era stata applicata nei confronti di B.G. la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’art. 416 bis c.p. Avverso tale ordinanza, la difesa proponeva ricorso per cassazione, formulando quattro motivi di impugnazione.
Appare rilevante soffermarsi in questa sede sul primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente ha dedotto la «mancanza, insufficienza, manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per l’emissione del decreto di intercettazione in via d’urgenza a mezzo di captatore informatico emesso dal P.M. il 4.10.2017, innestato nel proc. pen. n. 2867/2017 RGNR e convalidato dal G.I.P. il 6.10.2017».
In particolare, con la nota del Commissariato di Palmi del 28.9.2017 si chiedeva al P.M. l’autorizzazione all’intercettazione in via d’urgenza da eseguire, mediante captatore informatico, sul telefono di L.D., e si evidenziava a questo proposito la sussistenza di gravi indizi di reità, atteso il pericolo che nelle ore successive potessero di fatto essere commessi i fatti delittuosi per cui si procedeva. Inoltre, il ritardo nella predisposizione dei mezzi di intercettazione avrebbe potuto pertanto «compromettere gravemente le indagini, precludendo l’acquisizione di elementi indispensabili alla ricostruzione dei fatti oggetto di indagine e all’individuazione degli autori degli stessi». Il decreto emesso dal pubblico ministero è stato successivamente convalidato dal giudice per le indagini preliminari.
Proponendo ricorso per cassazione, la difesa sottolineava come il Tribunale delle Libertà, nella motivazione con cui confermava l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, avesse operato un «erroneo accorpamento delle censure formulate in ordine alla procedura di intercettazione».
Di fatto, secondo la difesa, era necessario distinguere due profili di criticità in ordine a tale motivazione: un primo profilo riguardava le motivazioni che giustificavano l’urgenza (in altre parole, il “merito” dell’urgenza), mentre il secondo profilo era relativo all’arco temporale che viene riservato al pubblico ministero per disporre le intercettazioni. Occorrerà, a questo riguardo, tentare di distinguere tali profili, nella ricerca del fondamento della censura dell'’erroneo accorpamento' denunciato dalla difesa.
Con riguardo al primo profilo, la mancanza d’urgenza veniva eccepita sotto il profilo della mancanza di motivazione che inficiava sia il provvedimento del pubblico ministero che quello di convalida del giudice per le indagini preliminari, in quanto dal contenuto dei quattro colloqui riportati nella nota del Commissariato di Palmi non emergevano gravi indizi di reità a carico dell’intercettato[1]. In particolare, la difesa osservava che nonostante vi fosse la probabilità che venissero commessi i fatti delittuosi per cui si stava procedendo, tale probabilità non era a carico del soggetto per il quale venivano disposte le intercettazioni (L.D.), ma di un diverso soggetto, R.R. L’intercettato L.D., invece, non era neanche soggetto indagato e rispetto alla sua posizione era stata formulata richiesta di archiviazione, accolta dal giudice per le indagini preliminari con successivo decreto.
Appare tuttavia maggiormente utile, in questa sede, focalizzarsi sul secondo profilo di criticità, concernente l’arco temporale riservato al pubblico ministero per attivare il proprio potere di disporre le intercettazioni. Secondo la difesa il periculum in mora, da cui deriverebbe l’urgenza stessa, verrebbe meno a causa dell’attivarsi del pubblico ministero oltre il termine di quarantotto ore dal momento della segnalazione dell’urgenza. Il pubblico ministero, infatti, aveva esercitato tale facoltà solo sei giorni dopo. Ciò, unitamente all’ulteriore scissione temporale tra la convalida da parte del giudice per le indagini preliminari e l’inizio delle operazioni di intercettazione, dimostrava dunque l’assoluta mancanza del presupposto di urgenza[2].
3. Secondo i giudici di legittimità, il ricorso non meritava accoglimento. Ci soffermeremo dunque sull’iter argomentativo concernente il primo motivo di ricorso, con specifica attenzione sulle motivazioni inerenti al requisito dell’urgenza che avrebbe legittimato il decreto emesso dal pubblico ministero.
Con riferimento al primo profilo di criticità rilevato dalla difesa, si rilevava che «non meritava accoglimento la censura incentrata sul fatto che non sarebbero stati prospettati validi elementi indiziari idonei a legittimare la disposta intercettazione», in quanto il presupposto dei gravi indizi di reato[3] attiene alla sussistenza dell’illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto: non è necessario, pertanto, che tali indizi siano a carico della persona nei cui confronti verranno disposte le intercettazioni. Si rilevava, peraltro, come nel provvedimento di convalida il giudice per le indagini preliminari avesse diffusamente motivato sull’esistenza dei sufficienti indizi di reità del delitto di cui all’art. 416 bis c.p.p. contestato a R.R., ed avesse evidenziato che, nel compimento di tali attività illecite, R.R. si interfacciasse con il soggetto intercettato L.D. Da tali elementi poteva dedursi la necessità di procedere alle captazioni per evitare un grave pregiudizio alle indagini.
Ma ciò che si ritiene di dover sottolineare è la risposta degli Ermellini al successivo punto di criticità rilevato, secondo il quale il requisito dell’urgenza sarebbe stato ulteriormente smentito dalla circostanza per cui il pubblico ministero avesse disposto le operazioni di intercettazioni solamente sei giorni dopo[4]. A questo proposito la Corte di Cassazione decide di aderire ad un orientamento sostanzialmente uniforme in giurisprudenza, secondo il quale «l’inutilizzabilità degli esiti di tali intercettazioni è prevista dall’art. 267 c.p.p. solo nel caso di mancata convalida e che, pertanto, una volta che la stessa intervenga assorbendo integralmente il provvedimento originario, resta preclusa ogni discussione sulla sussistenza del requisito dell’urgenza, rimessa, peraltro, alla valutazione dell’organo procedente»[5].
Infine, l’ulteriore scissione temporale rilevata dalla difesa, concernente il ritardo con cui le intercettazioni sono state materialmente attivate, «non può di per sé influire sulla validità ed utilizzabilità dei risultati delle operazioni, essendo tale ritardo inidoneo a dimostrare ex post il difetto del requisito dell’urgenza». I giudici di legittimità rilevavano, inoltre, che secondo quanto disposto dall’art. 267, comma 3, c.p.p. al pubblico ministero vengono riservate «le modalità e la durata delle operazioni», sicché, qualora decidesse di procrastinare l’inizio delle operazioni rispetto alla data del decreto, non sarebbe tenuto ad alcuna motivazione[6].
* * *
4. Il contesto normativo nel quale si innesta l’approdo giurisprudenziale qui esaminato non appare affatto privo di criticità. Sembra dunque opportuno soffermarsi, in primo luogo, su alcuni aspetti riguardanti il procedimento d’urgenza ex art. 267 c.p.p., per poi far riferimento, più specificatamente, alla regolamentazione del captatore informatico[7].
Come è noto, l’art. 267, comma 2, c.p.p. disciplina una specifica procedura ex abrupto che consente al pubblico ministero, nei casi di urgenza, di disporre l’intercettazione con decreto motivato «quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare un grave pregiudizio alle indagini». Il decreto deve essere poi comunicato, non oltre ventiquattro ore dalla sua emanazione, al giudice per le indagini preliminari, il quale deciderà sulla convalida dello stesso entro quarantotto ore[8]. Tali condizioni di urgenza, dunque, “costringerebbero” il pubblico ministero «da un punto di vista temporale a non “disperdersi” e disperdere il fondamentale acquisibile nell’iter ordinario»[9]. Il secondo comma dell’art. 267 prevede, inoltre, che in assenza della convalida del giudice, o nel caso in cui questa non intervenga entro i termini, le operazioni di intercettazione debbano cessare immediatamente e che i risultati ottenuti non potranno essere utilizzati.
Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione aderisce ad un orientamento giurisprudenziale maggioritario, secondo il quale l’emissione del decreto di convalida assorbe integralmente il provvedimento emesso in via d’urgenza del pubblico ministero. Nessuna questione potrebbe dunque porsi circa il requisito dell’urgenza, in quanto l’eventuale difetto di motivazione del decreto emesso dal pubblico ministero viene sanato con il decreto di convalida da parte del giudice delle indagini preliminari, che rende dunque utilizzabili le operazioni di intercettazione. Tale principio, sebbene risulti sostanzialmente uniforme in giurisprudenza, non è stato immune dalle critiche della dottrina [10], che ne ha rilevato gli effetti sul piano delle «forti disarmonie fra il regime dell’intercettazione ordinaria e quello dell’intercettazione “urgente”»[11].
D’altra parte, la stessa difesa[12], nel secondo punto di criticità rilevato, solleva una questione proprio inerente alla mancanza del requisito d’urgenza, ponendosi in netto contrasto con il principio di diritto appena rilevato. In particolare, appare interessante evidenziare che la questione posta dalla difesa, concernente l’arco cronologico con riferimento al quale va apprezzata l’eventualità di un grave pregiudizio alle indagini (e di conseguenza la sussistenza delle ragioni di urgenza), sia stata condivisa anche da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, secondo cui tale arco cronologico «si identifica, in mancanza di espressi riferimenti normativi, con lo stesso lasso di tempo (quarantotto ore) riservato al giudice per la convalida del decreto dell’organo inquirente»[13]. Sebbene, dunque, l’obiezione concernente la mancata attivazione da parte del pubblico ministero entro quarantotto ore potrebbe, di per sé, apparire legittima, la stessa pronuncia appena richiamata ha poi condiviso il principio secondo il quale l’emissione del decreto di convalida preclude qualsiasi discussione sulla sussistenza del requisito d’urgenza, condizione che anche nel caso di specie, come ampiamente visto, si è verificata.
Tale principio di diritto non può che essere riaffermato in questa sede, così che le motivazioni offerte dalla pronuncia in commento conducono, a parere di chi scrive, ad una soluzione senz’altro condivisibile.
È infatti opportuno osservare che, attraverso la convalida, il giudice per le indagini preliminari effettua già un controllo sull’attività del pubblico ministero, verificando in tal modo la sussistenza del periculum in mora del “grave pregiudizio per le indagini”. Pertanto, le ragioni di urgenza, che giustificano l’attivazione del pubblico ministero, subiscono già un successivo e necessario controllo da parte del giudice delle indagini preliminari, il quale peraltro, nel caso in cui non ravvisi l’urgenza ma riconosca la presenza dei presupposti che legittimano l’intercettazione, potrà in tale sede negare la convalida delle operazione ma autorizzare l’intercettazione ordinaria.
Si rileva, inoltre, che l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni disposte d’urgenza dal pubblico ministero, secondo quanto sancito dall’art. 271 c.p.p.[14], si configura specificatamente nel caso di assenza dei presupposti legittimanti l’intercettazione, nonché «in carenza dell’indicazione della durata delle operazioni e in caso di mancata annotazione delle stesse nell’apposito registro»[15]. Tuttavia, il requisito dell’urgenza, come sottolineato dal principio di diritto affermato nella sentenza in commento, è rimesso alla discrezionale valutazione dell’organo procedente: nessuna questione potrà essere posta una volta emesso il decreto di convalida. Sulla conclusione raggiunta dalla pronuncia annotata, pertanto, pare non potersi effettuare alcun appunto.
5. Deve inoltre essere condivisa l’applicazione di un principio di diritto già ampiamente affermato in tema di intercettazioni tra presenti nello specifico contesto delle intercettazioni effettuate mediante captatore informatico[16]. In particolare, facendo riferimento al reato per cui si procedeva nel caso di specie, l’art. 266, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce che «l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l’inserimento di captatore informatico su di un dispositivo elettronico portatile è “sempre consentita” nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater[17], a differenza di quanto accade per i reati che non siano individuati nella predetta disposizione, per i quali occorre che si sia in presenza di fondato motivo di ritenere che si stia svolgendo attività criminosa per poter operare mediante captatore informatico nel domicilio privato[18]. Si rileva, in particolare, che il “nuovo” art. 267 c.p.p.[19] prevede, al comma 2-bis, che il pubblico ministero possa disporre nei casi di urgenza, con decreto motivato, l’intercettazione tra presenti mediante captatore informatico, non più nei soli procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater così come previsto originariamente dalla c.d. “riforma Orlando”, ma anche per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Tale modifica alla procedura d’urgenza effettuata mediante il “mezzo insidioso” del captatore informatico[20] è stata recentemente apportata dalla l. 28.2.2020, n. 7 in sede di conversione del d.l. 30.12.2019, n. 161[21] ed è entrata in vigore per i procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020[22].
In tale contesto incerto e sottoposto ad una continua evoluzione, deve essere senz’altro accolta favorevolmente l’affermazione di tale principio, che dunque viene applicato nello specifico contesto delle intercettazioni effettuate d’urgenza mediante trojan horse allo stesso identico modo in cui è stato applicato, fino ad ora, nel più ampio contesto delle intercettazioni effettuate con mezzi definibili “tradizionali”[23].
[1] Cfr. §2.1 del “ritenuto in fatto” della sentenza in commento.
[2] Per completezza, di seguito si riassumono brevemente gli altri motivi di ricorso. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto “violazione degli artt. 12, 19, 371, 125, 270, 191, 335 e 414 c.p.p., in relazione all’art. 606 lett. b) e c) c.p.p., emergente dall’illegittima riunione dei procedimenti n. 2687/17 e del procedimento c.d. Iris; vizio motivazionale del provvedimento di riapertura delle indagini; omessa trasmissione della nota del 6/9 febbraio 2018 della P.S. di Palmi, utilizzata per la riapertura del procedimento Iris”. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto “violazione dell’art. 416 bis c.p. 192 e 273 c.p.p., ai sensi dell’art. 606 lett. b) c.p.p.; mancanza, insufficienza, manifesta contraddittorietà e illogicità ad atti di indagine ignorati, travisati o pretermessi, ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p.; violazione dell’art. 292 lett. c) e c) bis c.p.p. in relazione all’art. 309, comma 9, ultima parte c.p.p. per mancanza di autonoma valutazione dei fatti da parte del giudice per le indagini preliminari, su cui il Tribunale ha taciuto”. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente ha dedotto “violazione degli artt. 125, 273, 274, 275, 292 e 309 c.p.p. in relazione all’art. 606 lett. b) c.p.p. e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p.”.
[3] Nel caso di specie, si richiedono peraltro i “sufficienti” indizi di reato, trattandosi di indagini relative a un delitto di criminalità organizzata.
[4] Secondo la difesa, l’”urgenza” può definirsi tale unicamente nel caso di uno iato temporale tra la comunicazione della polizia giudiziaria e il decreto emesso dal pubblico ministero pari, nel massimo, a quarantotto ore.
[5] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 25 novembre 2014, n. 49843; Cass. pen., Sez. I, 22 aprile 2004, n. 23531; Cass. pen., Sez. II, 4 dicembre 2006, n. 215; Cass. pen., Sez. VI, 16 luglio 2009, n. 35930; Cass. pen., Sez. V, 16 marzo 2010, n. 16285.
[6] Oltre ad aver considerato infondata la censura inerente al primo motivo di ricorso, sul quale tale contributo ha inteso soffermarsi, la Corte di Cassazione ha ritenuto che non meritassero accoglimento neanche gli altri motivi, rigettando dunque il ricorso.
[7] Sul tema, in generale, cfr. L. Palmeri, La nuova disciplina del captatore informatico tra esigenze investigative e salvaguardia dei diritti fondamentali. Dalla sentenza “Scurato” alla riforma sulle intercettazioni, in Diritto penale contemporaneo, 2018, fasc. 1, p. 60 ss.; M. Bontempelli, Il captatore informatico in attesa della riforma, in Diritto penale contemporaneo, 20 dicembre 2018; per un approfondimento sulle modifiche apportate dal decreto legge n. 161 del 2019, cfr. G. Santalucia, Il diritto alla riservatezza alla nuova disciplina delle intercettazioni, in questa Rivista, 2020, 1, p. 47 e ss.; cfr. inoltre, per una panoramica sulla giurisprudenza di legittimità, L. Giordano, Presupposti e limiti all’utilizzo del captatore informatico: le indicazioni della Suprema Corte, in questa Rivista, 2020, fasc. 4, p. 109 ss.
[8] Cfr., in dottrina, C. Maioli – R. Cugnasco, Profili normativi e tecnici delle intercettazioni. Dai sistemi analogici al voice over IP, GEDIT, Bologna, 2008, p. 37, secondo cui «l’adire un giudice comporta comunque una perdita di tempo che, in talune circostanze critiche, potrebbe rivelarsi un irreparabile danno sul piano delle indagini».
[9] Sul punto, v. A. Vele, Le intercettazioni nel sistema processuale penale. Tra garanzie e prospettive di riforma, CEDAM, Padova, 2011, p. 122.
[10] Cfr., ad esempio, C. Maioli – R. Cugnasco, op. cit., p. 39; A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 106.
[11] Così A. Camon, op. cit., p. 105, ove si rileva inoltre che «se proprio si volesse introdurre un regime differenziato, sarebbe logico che la disciplina più severa valesse per l’intercettazione disposta dal pubblico ministero, non per quella concessa dal giudice. In realtà, il legislatore voleva semplicemente togliere ogni dubbio sugli effetti della mancata convalida: da qualsiasi causa dipenda, anche un mero ritardo o disguido, l’intercettazione è comunque inutilizzabile. Ma, per converso, l’eventuale convalida non preclude affatto le questioni sulla utilizzabilità delle prove ottenute».
[12] Per completezza, si rileva come appaia discutibile la critica mossa al Tribunale delle Libertà da parte della difesa, secondo la quale sarebbe stato operato un “erroneo accorpamento” delle censure formulate, quando in realtà, a parere di chi scrive, è proprio la distinzione dei due profili di criticità ad apparire labile e non necessaria.
[13] Cass. pen., Sez. I., 25 novembre 2014, n. 49843; allo stesso modo, Cass. pen., Sez. I, 30 gennaio 2007, n, 21923.
[14] Tale previsione, in particolare, costituisce una species all’interno del più ampio genus della inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite ai sensi all’art. 191 c.p.p.
[15] Sul punto, in dottrina, v. C. Maioli – R. Cugnasco, op. cit., p. 68; cfr., inoltre, N. Galantini, Profili di inutilizzabilità delle intercettazioni anche alla luce della nuova disciplina, in Diritto penale contemporaneo, 16 marzo 2018, p. 6, nella parte in cui afferma che «quanto al decreto emesso ‘d’urgenza’ dal pubblico ministero, le violazioni meramente formali vengono escluse dal perimetro dell’inutilizzabilità, che non si integra a fronte dell’avvenuta convalida del Gip».
[16] Sul punto, cfr. M. Gambardella, La disciplina transitoria del captatore informatico, in G. Giostra, R. Orlandi (a cura di), Nuove norme in tema di intercettazioni, G. Giappichelli, Torino, 2018.
[17] Per un approfondimento sul tema, v. S. Lonati, I criteri direttivi contenuti nella delega in materia di intercettazioni, in O. Mazza (a cura di), Le nuove intercettazioni, G. Giappichelli, Torino, 2018, p. 25 e ss.; G. Varraso, Le intercettazioni e i regimi processuali differenziati fra i reati di “grande criminalità” e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, ivi, p. 143 e ss.
[18] P. Tonini, Lineamenti di Diritto Processuale Penale, XVI edizione, Giuffrè, Milano, 2018, p. 214.
[19] Sul punto, era intervenuta dapprima la c.d. “Riforma Orlando” (d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216), che aveva introdotto all’art. 267 c.p.p. il comma 2-bis, stabilendo che, nei casi di urgenza, il pubblico ministero potesse disporre l’intercettazione tra presenti mediante trojan horse soltanto nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. Successivamente, la l. 28.02.2020, n. 7 (con la quale è stato convertito il decreto-legge n. 161 del 2019) è intervenuta sulla c.d. “Riforma Orlando” estendendo tale possibilità anche per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio per i quali è prevista la pena della reclusione nel massimo a cinque anni.
[20] Anche autorevole dottrina aveva auspicato tale modifica, cfr. ad esempio, L. Camaldo, Le innovazioni previste dalla legge anticorruzione in tema di intercettazioni con captatore informatico, in Diritto penale contemporaneo, 24 settembre 2019, p. 17, ove si afferma che «si assiste, invero, al profilarsi di un’iniqua disparità di disciplina: da una parte, si prevede che l’intercettazione c.d. ambientale, eseguita con inserimento di un malware sull’apparecchio portatile, è sempre consentita se si procede sia per delitti di criminalità organizzata, sia per quelli commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (…). D’altra parte, per ragioni di urgenza, l’organo dell’accusa può attivarsi, senza attendere il provvedimento del giudice, soltanto se si tratta dei delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., mentre gli è preclusa ogni azione qualora abbia a che fare con i reati di corruzione».
[21] D.L. 30.12.2019, n. 161, conv. in L. 28.2.2020 n. 7.
[22] Si rileva che a seguito dell’ultimo differimento operato dall’art. 1 del d.l. 30.4.2020 n. 28, l’applicazione della nuova disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni è per i procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. In particolare, l’art. 1, comma 2, del d.l. n. 28 del 2020 prevede che all’articolo 2 del d.l. 30.12.2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla l. 28.2.2020, n. 7, il comma 8 sia sostituito dal seguente: «8. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione».
l’ultimo comma dell’art. 2 del d.l. 30.12.2019 n. 161, convertito, con modificazioni, dalla L. 28.2.2020, n. 7 stabilisce che «le disposizioni del presente articolo si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione».
[23] Cfr., inoltre, Cass. pen., Sez. I, n. 4458/2021, ove viene affermato lo stesso principio di diritto in tema di intercettazioni mediante captatore informatico.